Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
07. My sweet prince
Never thought you'd make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.
(Placebo - My sweet Prince)
Tempo.
Tom aveva la pressante sensazione che gli stesse scivolando tra le dita. Nel suo cervello minuti e secondi ticchettavano fastidiosissimi, uno dietro l'altro e gli impedivano di formulare qualsiasi altro pensiero coerente. Era sveglio, eppure non voleva aprire gli occhi come se aprirli fosse stato pericoloso.
Qualcosa di certo era successo: glielo diceva il suo stomaco. Aveva la sgradevole abitudine di rimescolarsi ogni volta che faceva incoscientemente qualcosa di mostruosamente errato.
Più che il buon senso - del quale, di fatto, era privo - aveva imparato ad ascoltare i suoi riflussi gastrici. Tom poteva ingurgitare qualsiasi cosa, in qualsiasi quantità e - oltre ad essere benedetto da un metabolismo bulimico che rivomitava fuori ogni grasso attraverso eccessi di energia - era anche provvisto di un simpatico sistema digerente in grado di fargli passare nottate tranquille e serene anche dopo il più pesante dei piatti tedeschi. Ecco perchè, se il suo stomaco si lamentava, era successo qualcosa. Tutto stava nel trovare il coraggio di aprire quei benedetti occhioni castani e capire di cosa si trattasse, perchè una cosa era certa: il problema era sicuramente là fuori. Aldilà delle palpebre.
Una vocina nella sua testa, come un ricordo vago e labile di un tempo non ben definito che copriva sicuramente tutte le ultime 48 ore, gli diceva che doveva iniziare a preoccuparsi su per giù in quello stesso istante. Anzi, forse avrebbe fatto meglio ad iniziare molto prima.
Molto cautamente aprì un occhio. C'era un armadio color nocciola, risalente all'ante-guerra come tutto il resto della mobilia che poteva scorgere con l'occhio destro.
Ricordò di trovarsi in un albergo di Monaco. Prima di ricordarsi da solo perchè si trovasse nella camera di un hotel, del perchè proprio a Monaco e - ancora prima - del perchè ci fosse arrivato, qualcosa di molto familiare entrò nella sua visuale. Qualcosa di molto nudo, anche.
Tutte le motivazioni presero posto nella sua testa, più o meno secondo questa sequenza di parole chiave: Bill, ti amo, sparito, telefonata, incidente... no, incidente, telefonata, Monaco, locale porno, maniaco, MANIACO?, litigata, Bill, sesso. Bill. Ancora sesso. Bill. E ancora sesso. Tom emise un lamento disperato, quindi nascose la testa sotto il cuscino continuando ad uggiolare sconfortato. Non voluti, tutti i particolari gli tornarono alla testa, dipingendo ancora una volta quelle parti della serata che l'annebbiamento del suo cervello di diciottenne più-che-allupato avevano rimosso. In quel momento si rese conto che non era affatto nei suoi piani ricordare prima di colazione cosa aveva fatto quella notte. Per tre volte.
Strisciò fuori da sotto il cuscino, i dreadlocks ancora più scompigliati del solito.
Bill dormiva pacifico, ranicchiato in posizione fetale come ogni personaggio (col suo stesso ruolo) dovrebbe fare, una mano delicatamente piegata sotto la guancia e l'altra posata sul cuscino di Tom. Sarebbe stata su Tom, in effetti, se durante le poche ore di sonno il chitarrista non si fosse girato e rigirato nel letto come un indemoniato in preda all'esorcismo.
Completavano l'ameno quadro dell'uke perfetto le labbra di Bill appena appena dischiuse e imbronciate e il suo corpo nudo e latteo coperto da un lenzuolo alla vita come cent'anni di storia del cinema comandano.
Tom si ritrovò a sospirare quasi estatico di fronte al fratello, i cui capelli - ringraziando il cielo e la divina provvidenza - erano sì scarmigliati ma composti lungo il collo e parte della schiena e non cotonati in una criniera di leone come suo solito. Tom lo contemplò ancora un poco, fingendo che la curva del suo corpo non fosse mostruosamente eccitante, quindi si chiese cosa fare. Poteva darsi alla paranoia selvaggia e porsi tutte domande alle quali non poteva rispondere, oppure scivolare languido tra le coperte, abbracciare suo fratello e sfanculizzare ogni pensiero almeno fino a quando non fosse stata ora di far colazione.
La seconda opzione sembrava straordinariamente più semplice della prima, per cui decise per quella.
Bill si mosse quel tanto che bastava per accomodarsi contro di lui e inchiodarlo al materasso con la testa mora sulla sua spalla. Mormorò qualcosa che forse, con un po' di fantasia, sarebbe apparso come tedesco e poi si chetò nuovamente. Tom rimase immobile, con un sopracciglio sollevato, fino a che Bill non ebbe trovato la sua posizione comoda quindi abbassò lentamente il braccio per circondargli le spalle. "E ora che il signorino si è sistemato..." sussurrò interdetto.
Bill sorrise.
Tom doveva essere collassato di nuovo.
Quando riaprì gli occhi, suo fratello gli dormiva praticamente spalmato addosso. "Bill..." biacicò tra il sonno e la veglia. C'era un rumore fastidioso di sottofondo, come qualcuno che bussava alla porta. Bill era abituato a dormire dodici, tredici ore di fila senza svegliarsi. In pratica cadeva in letargo, per cui non sentì nemmeno vagamente che il fratello lo stava chiamando. Continuò a dormire placido, morbidamente appoggiato contro il pancino di Tom.
Il chitarrista lo trovava più indigesto della pepata di cozze, invece. E quel rumore continuava a martellare fastidiosamente. Fece forza e spostò delicatamente il fratello, cercando di sgusciare via dalla sua stretta senza farlo ruzzolare giù dal letto. Fu mentre riappoggiava le scarne membra del suo gemello sul materasso che si rese conto che il bussare era reale.
"U-un attimo!" si infilò nei suoi pantaloni inciampando mentre andava ad aprire.
"Era l'ora" sbottò una voce dall'altra parte.
Tom non aveva bisogno di vedere la zazzera platinata di Andreas per sapere che era lui. Una volta aperta la porta, se lo ritrovò davanti, valigia alla mano ed enormi occhiali da sole coprenti. "Cosa ci fai qui?" fu la prima cosa che gli venne in mente di dire. Tutta la conversaizone che avevano fatto il giorno precedente era stata spazzata dalla nottata appena trascorsa. A chiederglielo, Tom non si sarebbe ricordato neanche come si chiamasse sua madre.
Andreas lo squadrò da capo a piedi con aria critica, anche se era difficile vedere che aria avesse di preciso visto che metà del suo viso era nascosta dagli occhiali. Sembrò storcere il naso alla visione del suo migliore amico semi-nudo e con la tipica faccia sbattuta post-coma. Poi però scrollò le spalle, del tutto disinteressato. "Ma che bell'accoglienza! Pensavo che quello acido fosse tuo fratello" esclamò, entrando nella stanza senza essere stato invitato a farlo. Con la valigia prese in pieno il ginocchio di Tom che si piegò in due con un grido soffocato e non fece in tempo a fermarlo.
"Non dovevamo andare in giro a cercare quel cretino di Bill? Che poi mica ho capito cos'è successo di preciso.... perchè diavolo è venuto a Monaco? Lo sai quanto c'è voluto per convincere mia madre a farmi venire qui?" Andreas si era messo a blaterare ininterrottamente come faceva di solito quando lo sproloquio continuo e inarrestabile di Bill non glielo impediva. "Per non parlare del vostro manager! Sul serio, Tom mi ha veramente--"
Andreas s'interruppe all'improvviso, impietrito di fronte a Bill visibilmente nudo nel letto. Si tolse gli occhiali da sole, lentamente. Il letto era disfatto, e i vestiti di Bill erano in terra appallottolati. I vestiti di Bill, quello stesso Bill che piegava tutto al millimetro e che non si sedeva in terra perchè "è sporco!". E il ragazzo in questione era nudo. La parola si conficcò nel cervello di Andreas come una pugnalata.
"Ehm... credo sia meglio che ti spieghi" caracollò Tom, alle sue spalle.
Andreas non riusciva a smettere di guardare Bill, non che gli interessasse ma era talmente sconvolto che aveva perso momentaneamente le capacità motorie. "Sarebbe un'idea" commentò. "Il mio cervello si rifiuta di darmi una spiegazione da solo"
Tom sospirò. Avrebbe tanto voluto poter nascondere il viso dietro la visiera del cappellino. Prese Andreas per un braccio e lo costrinse a seguirlo in bagno: l'unica posto in cui potesse mettere una porta tra loro e Bill. "Vieni, lascialo dormire"
Andreas si lasciò andare seduto sulla vasca, gli occhiali che gli teneva indietro i capelli biondissimi. "Allora?"
Tom lo fissò. "Eh, allora..." il chitarrista passò in rassegna tutti gli avvenimenti evitando di ritornare sul loop Bill-sesso-Bill che gli creava qualche problema di riavvio. "... l'ho trovato ieri. Cioè è venuto lui qui"
Andreas annuì. "E non avevi un pigiamino da prestargli?"
Il chitarrista si passò una mano sugli occhi. Non aveva progettato di spiegare l'intera faccenda a qualcuno soltanto cinque o sei ore dopo che era successa. "Lui è... Andreas, so che sembra completamente assurdo..."
Il racconto fu breve, coinciso, imbarazzato e privo di qualsiasi nesso logico. Ogni volta che Tom diceva qualcosa, gli occhi di Andreas si spalancavano sconvolti. Quando Tom ebbe finito, Andreas aveva due piatti da portata sopra il naso. "La faccia che hai... " realizzò alla fine inorridito, indicandolo selvaggiamente con un indice accusatore e lievemente macchiato di penna. "Quelle sono occhiate post-coito!"
Andreas si alzò in piedi di scatto e Tom fece altrettanto, per prevenire qualsiasi cosa fosse successa dopo. "Oddio!" urlò isterico l'amico "Sei andato a letto con lui!"
"Shhh..." Tom gli fece cenno di abbassare la voce.
"SEI ANDATO A LETTO CON LUI!" ripetè Andreas, la bocca spalancata in un'espressione di totale sconvolgimento e alienazione mentale. "CON LUI!"
"Sì" ammise Tom. "Ora pianatala, però, stai urlando"
"URLANDO? IO NON STO URLANDO!" sbraitò Andreas. "IO .. TOM, MALEDIZIONE! NON SO NEANCHE COME PRENDERLA!"
"E' successo per caso, non era programmato" cercava di blandirlo il chitarrista. "Vuoi calmarti per cortesia? Stai diventando isterico!"
Andreas si aggirava per il minuscolo bagnetto in preda a nemmeno lui sapeva cosa. Solo che non riusciva a star fermo. "Queste cose non succedono mai per caso!" replicò poi profetico, senza mai smettere di puntargli addosso il dito. "Se invece è andata diversamente allora farai bene a trovare una causa perchè quel tipo di là è tuo fratello e non accetterà un opss, scusa sono scivolato nei tuoi pantaloni per sbaglio, come giustificazione!"
"Certo che no!" esclamò indignato Tom. "Per chi mi hai preso? E' ovvio che ci saranno delle conseguenze ma non ti è passato per l'anticamera del cervello che forse - E DICO FORSE - c'è anche qualcosa di più profondo dietro tutto questo?"
"E' quel forse che mi preoccupa" Andreas gli lanciò un'occhiata indecifrabile. "Insomma, è una situazione piuttosto delicata..."
"Preferisco essere io piuttosto che quell'uomo" commentò Tom, infastidito.
"E che razza di soluzione sarebbe questa?" sbottò l'altro quando ebbe fatto avanti e indietro sulle cinque mattonelle almeno una dozzina di volte. "Lui fugge, tu lo ritrovi, lo strappi da un destino di lap-dance...... e non trovi niente di meglio da fare che portartelo a letto?!?"
"Ehm..."
Andreas scosse la testa, perdendo ogni forza. "Perchè non fate mai cose normali voi due?!??!"
Tom si morse un labbro per non ridere. La frustrazione nelle parole di Andreas era quasi palpabile ed era profondamente comica.
"Perchè non ho due amici normali?" si lamentò ancora il ragazzo biondo, con gli occhi al cielo. "Non potevate, che ne so.... DROGARVI? O DARVI ALL'AUTOLESIONISMO? ALL'ALCOL, MAGARI? Qualcosa di normale insomma. No, loro dovevano ingropparsi tra di loro....."
"Potresti evitare di utilizzare certe parole?" gli chiese Tom.
Un sopracciglio quasi albino si sollevò sul viso di Andreas. "Da quando sei diventato un'educanda?"
"Da quando vado a letto con mio fratello"
"Amabile controsenso".
Bill si svegliò due ore dopo.
Due ore che Andreas e Tom avevano passato in bagno in cerca della sequenza giusta di azioni da compiere ora che il disastro era avvenuto, concludendo che Andreas avrebbe dovuto anticiparli all'areoporto. Compito che il biondo aveva accettato di buon grado visto che - per quanto bene volesse loro - per niente al mondo voleva essere lì quando Bill avrebbe spalancato gli occhioni truccati, tubando come una colomba in amore.
Bill, dunque, si era svegliato. E solo perchè Tom era inciampato nei suoi pantaloni, andando a sbattare contro il muro. Il rimbombo della sua testa contro l'intonaco aveva strappato il fratello efebico dai suoi dolci sogni.
"Tomi?" chiese, ancora mezzo addormentato.
"Sono qui" borbottò il chitarrista, massaggiandosi la fronte.
Bill sbattè le lunghissime ciglia allungate dal rimmel e sorrise, ignorando totalmente la craniata di suo fratello. "Buongiorno" cinguettò.
Tom gli sorrise, incapace di preoccuparsi oltre del proprio trauma cranico quando suo fratello gli faceva gli occhi da cerbiatto sperduto. Gattonò sul letto e lo baciò delicatamente sul naso. "Hai fame? Ho chiesto la colazione"
Bill annuì, quindi sparì in bagno dove - Tom sapeva - sarebbe rimasto indicativamente per mezz'ora buona. Sempre che non avesse intenzione di farsi i capelli, perchè in quel caso...
La colazione gli fu recapitata puntuale, mentre il suo cellulare squillava e Bill strepitava dalla doccia che gli portasse un asciugamano. Tom lanciò in maniera molto acrobatica l'asciugamano a suo fratello, evitando di guardare la sua sagoma nella doccia, quindi aprì il cellulare ed esplose in un bel "Pronto!" squillante, mentre afferrava la colazione e mandava via la cameriera quasi a pedate. "Chi parla?"
"Dove. diavolo. siete?" la voce di Saki era terrificante.
Tom rabbrividì. "A... ehm.. Monaco?"
"Avevi detto che avreste presto il primo aereo!" gli rinfacciò l'uomo, che non si era messo ad urlare solo perchè aveva una reputazione da mantenere e perchè se avesse alzato la voce sarebbe stato complicato nascondere il fatto che stava parlando con Tom. "Non mi dire che non ce n'erano!"
"Ci sono stati dei... contrattempi" buttò lì il chitarrista, lanciando occhiate al bagno. Ci mancava solo che Bill uscisse urlando garulo qualcosa di indecente che non avrebbe assolutamente saputo come spiegare. "Partiamo oggi"
"A che ora?"
"Non lo so"
"Farai bene a saperla perchè non riattacco finchè non me lo dici"
Il chitarrista sospirò. Si guardò intorno cercando una soluzione scritta sui muri dell'albergo ma - ovviamente - non la trovò. "Saki, non lo so" ripetè esasperato. "Andreas è appena andato all'areoporto. Appena saprò qualcosa te lo dirò"
"Andreas? Cosa diavolo ci fa quel ragazzino lì?"
Tom alzò gli occhi al cielo. "E' una storia lunga. Molto lunga, Saki." sospirò. "Ti prometto che oggi partiamo. Non appena salirò su quel dannato aereo ti farò sapere tutto nei minimi dettagli, compreso il colore delle mutande della hostess, ma adesso no. Non lo so!"
Saki trattenne a stento una risata. La tensione rotta dalla frase di Tom. "Okay, d'accordo, ma datevi una mossa perchè David è uscito dalla grazia di Dio. Mi aspetto di vederlo sollevare tavoli sopra la testa da un momento all'altro"
"Okay, d'accordo"
"Chi era al telefono?" Bill era appena uscito dalla doccia, vestito di tutto punto e avvolto in una nube di profumo e borotalco. In testa aveva un turbante di spugna ad asciugargli la criniera. Tom sospirò: tra phon, piastra e lacca sarebbero partiti dopo cinque ore. "Era Saki" rispose, mentre Bill prendeva posto al tavolino da colazione e si serviva di caffè e brioche.
Bill lo guardò con gli occhioni spalancati, attendendo altre spiegazioni. "Ah sì?"
"Ehm.. sì" Tom si sedette di fronte a lui, ignorando la propria colazione. Bill continuava a guardarlo con aria interrogativa. "Bill... tu sai che dobbiamo tornare a casa, vero?"
"Certo" Bill inghiottì, quindi bevve di nuovo.
"Oggi" precisò Tom.
Bill smise di mangiare all'istante. Il cucchiaino, lasciato andare, sbattè rumorosamente sul piattino sotto la sua tazza. "Cosa?" domandò.
Tom riconobbe immediatamente il tono infastidito e supponente. Bill aveva la capacità di far girare i nervi a chiunque semplicemente pronunciando una parola di due sillabe.
"Sono tre settimane che sei qui. La band ha bisogno di te" lo blandì. Poi sorrise, cercando di apparire tenero. "E ora non c'è motivo che tu mi stia lontano, no?"
I lineamenti di Bill non si addolcirono come il fratello si aspettava. Lo guardò intensamente, con gli occhi stretti a due fessure. Le sue labbra tremarono un istante, fino a che Bill non serrò la mascella. "E' per questo che lo hai fatto?"
"Eh?"
Bill scambiò l'espressione sinceramente interrogativa del fratello per una presa in giro e si alzò di scatto, tirando indietro la sedia con quanto più rumore possibile. "Hai capito benissimo quello che voglio dire!"
"No che non l'ho capito" insistette Tom.
Bill ebbe un moto di stizza. Strinse i pugni innervosito. "Odio quando fai così!" sibilò isterico.
Tom espirò, con calma. Lentamente contò fino a dieci, poi fino a venti. Aspettò che la calma zen tornasse ad abitare le sue quattro ossa e infine ripetè: "Bill, dico davvero. Non ho capito di cosa stiamo parlando, nè come ci siamo arrivati. Stavamo semplicemente dicendo che dobbiamo tornare a casa, oggi"
"E pensi che dopo quello che è successo io ti segua come un cagnolino? Hai una bella faccia tosta!" protestò il cantante.
"Cosa diamine è successo?" sbottò Tom.
L'indignazione massima e l'affronto si dipinsero sul volto perfetto di Bill, che spalancò gli occhi e la bocca impossibilitato a dire qualsiasi cosa. Tom capì il collegamento, capì l'errore. Capì di cosa sarebbe morto se non avesse trovato un rimedio.
"Intendi stanotte!" esclamò. "Certo che è successo! Tre volte! Me lo ricordo! E' ovvio.. ma io intendevo.. pensavo....Bill pensavo ti riferissi a qualcos'altro che era successo. Insomma... oddio...."
Bill stava già scuotendo la testa. Si era tolto l'asciugamano e ora si strofinava i capelli con violenza, quasi volesse asciugarli per combustione. Ogni tanto gli lanciava un'occhiata di disappunto, quindi tornava a borbottare.
"Bill?"
"Stammi lontano"
"Andiamo, non penserai mica che non gli abbia dato importanza!" commentò Tom, seguendolo mentre andava in bagno. "Te l'ho detto anche ieri notte!"
"Ah beh, certo! Perchè mai non dovrei dare importanza ad un grugnito testosteronico appena intellegibile e pre-orgasmico?" replicò il cantante "Mi avresti firmato un assegno in bianco se te ne avessi messo uno sotto al naso!"
"Questo è un colpo basso!"
"Anche il tuo!" lo accusò Bill, mentre si pettinava i capelli con spazzolate devastanti. "Tutto mi sarei aspettato, tranne questo!
"Ma questo cosa?!?!?!" sbraitò Tom, trattenendosi dal prenderlo a ceffoni seduta stante. Così, a prescindere. "Ti sto dicendo che non hai più motivo di farti da parte ora che.... che.. bè ora! Potremmo rimettere in piedi la band!"
"Lo sapevo!" sbottò il cantante, girandosi all'improvviso e puntandogli in faccia un dito magrissimo. I capelli gli stavano diritti verso il basso, tutti inteccheriti come spaghetti. Quella crema lisciante avrebbe fatto la piega ad un barboncino. "E' per questo che lo hai fatto! Sei venuto a letto con me per riavere i Tokio Hotel!"
"COSA?!?!" Questa volta fu Tom a spalancare gli occhi.
Bill si stava mordendo un labbro. "Sapevi che non sarei mai tornato indietro se me lo avessi chiesto, perchè soffrivo troppo vicino a te. E allora hai pensato bene di scoparmi per risolvere il problema!"
Tom era incredulo. E tra l'altro trovava surreale dover discutere di cose del genere con il fratello mentre lui si piastrava i capelli. "Bill, sei stato tu a baciarmi!"
"E tu ci sei stato mi pare!"
"APPUNTO!" esclamò Tom. Espirò di nuovo, il suo viso si fece un po' triste. "Bill, per favore. Cerca di ragionare. Mi pensi davvero capace di farti una cosa simile?"
Bill abbassò lo sguardo. La piastra sfrigolò tra le sue mani e lui la appoggiò sul lavandino, staccando la presa. "Perchè è successo, allora?" mormorò. Quindi sollevò gli occhi sul fratello aspettando una risposta.
Tom aprì la bocca, respirò, la richiuse. Non aveva una risposta a quella domanda. Avrebbe potuto dirgli che provava qualcosa per lui, ma non ne era sicuro. E dicendo una mezza verità avrebbe fatto più danni che a stare zitto, perchè se poi si fosse rivelata una bugia Bill si sarebbe sentito preso in giro. "Bill, non lo so il perchè" ammise.
Il gemello gli lanciò un'occhiata al vetriolo, quindi prese a rimettere le sue cose a posto con gesti secchi.
"Bill!"
"Fuori!"
Tom cercò di farlo ragionare, di impedirgli di spingerlo fuori dal bagno ma Bill continuava a tirargli spintoni e lui non se la sentiva di reagire con troppa forza. Per quanto fosse più o meno della stessa corporatura di Bill, aveva sempre finito col fargli male quando facevano a botte. E questo perchè Bill era bravo a tirare manate, ma non incassava per niente bene. "Bill, aspetta!"
"FUORI!" Bill strillò di nuovo, sbattendogli la porta in faccia.
Tom sentì la serratura che si chiudeva, quindi si abbattè sul legno con forza. "Piantala! Fammi entrare e parliamone!"
Dall'interno, nessuna risposta.
Tom s'innervosì. Era già abbastanza stressante dover affrontare l'intera situazione, ma essere lasciato da solo a farsi venire i sensi di colpa.... questo no. "Bill, giuro che se riesco ad entrare te le tiro!" sbraitò Tom, con un altro pugno.
"E io ti faccio arrestare!"
"Non fare la checca, maledizione!"
"Stronzo!"
Tom ringhiò qualcosa dal profondo dello stomaco. Trattenne la rabbia per quei dieci secondi, poi tirò una pedata alla porta. "MALEDIZIONE!"
Quindi si sedette, la schiena contro il muro. Appoggiò le braccia sulle gambe larghe e ci nascose dentro la testa.
Maledizione.
Never thought you'd make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.
(Placebo - My sweet Prince)
Tempo.
Tom aveva la pressante sensazione che gli stesse scivolando tra le dita. Nel suo cervello minuti e secondi ticchettavano fastidiosissimi, uno dietro l'altro e gli impedivano di formulare qualsiasi altro pensiero coerente. Era sveglio, eppure non voleva aprire gli occhi come se aprirli fosse stato pericoloso.
Qualcosa di certo era successo: glielo diceva il suo stomaco. Aveva la sgradevole abitudine di rimescolarsi ogni volta che faceva incoscientemente qualcosa di mostruosamente errato.
Più che il buon senso - del quale, di fatto, era privo - aveva imparato ad ascoltare i suoi riflussi gastrici. Tom poteva ingurgitare qualsiasi cosa, in qualsiasi quantità e - oltre ad essere benedetto da un metabolismo bulimico che rivomitava fuori ogni grasso attraverso eccessi di energia - era anche provvisto di un simpatico sistema digerente in grado di fargli passare nottate tranquille e serene anche dopo il più pesante dei piatti tedeschi. Ecco perchè, se il suo stomaco si lamentava, era successo qualcosa. Tutto stava nel trovare il coraggio di aprire quei benedetti occhioni castani e capire di cosa si trattasse, perchè una cosa era certa: il problema era sicuramente là fuori. Aldilà delle palpebre.
Una vocina nella sua testa, come un ricordo vago e labile di un tempo non ben definito che copriva sicuramente tutte le ultime 48 ore, gli diceva che doveva iniziare a preoccuparsi su per giù in quello stesso istante. Anzi, forse avrebbe fatto meglio ad iniziare molto prima.
Molto cautamente aprì un occhio. C'era un armadio color nocciola, risalente all'ante-guerra come tutto il resto della mobilia che poteva scorgere con l'occhio destro.
Ricordò di trovarsi in un albergo di Monaco. Prima di ricordarsi da solo perchè si trovasse nella camera di un hotel, del perchè proprio a Monaco e - ancora prima - del perchè ci fosse arrivato, qualcosa di molto familiare entrò nella sua visuale. Qualcosa di molto nudo, anche.
Tutte le motivazioni presero posto nella sua testa, più o meno secondo questa sequenza di parole chiave: Bill, ti amo, sparito, telefonata, incidente... no, incidente, telefonata, Monaco, locale porno, maniaco, MANIACO?, litigata, Bill, sesso. Bill. Ancora sesso. Bill. E ancora sesso. Tom emise un lamento disperato, quindi nascose la testa sotto il cuscino continuando ad uggiolare sconfortato. Non voluti, tutti i particolari gli tornarono alla testa, dipingendo ancora una volta quelle parti della serata che l'annebbiamento del suo cervello di diciottenne più-che-allupato avevano rimosso. In quel momento si rese conto che non era affatto nei suoi piani ricordare prima di colazione cosa aveva fatto quella notte. Per tre volte.
Strisciò fuori da sotto il cuscino, i dreadlocks ancora più scompigliati del solito.
Bill dormiva pacifico, ranicchiato in posizione fetale come ogni personaggio (col suo stesso ruolo) dovrebbe fare, una mano delicatamente piegata sotto la guancia e l'altra posata sul cuscino di Tom. Sarebbe stata su Tom, in effetti, se durante le poche ore di sonno il chitarrista non si fosse girato e rigirato nel letto come un indemoniato in preda all'esorcismo.
Completavano l'ameno quadro dell'uke perfetto le labbra di Bill appena appena dischiuse e imbronciate e il suo corpo nudo e latteo coperto da un lenzuolo alla vita come cent'anni di storia del cinema comandano.
Tom si ritrovò a sospirare quasi estatico di fronte al fratello, i cui capelli - ringraziando il cielo e la divina provvidenza - erano sì scarmigliati ma composti lungo il collo e parte della schiena e non cotonati in una criniera di leone come suo solito. Tom lo contemplò ancora un poco, fingendo che la curva del suo corpo non fosse mostruosamente eccitante, quindi si chiese cosa fare. Poteva darsi alla paranoia selvaggia e porsi tutte domande alle quali non poteva rispondere, oppure scivolare languido tra le coperte, abbracciare suo fratello e sfanculizzare ogni pensiero almeno fino a quando non fosse stata ora di far colazione.
La seconda opzione sembrava straordinariamente più semplice della prima, per cui decise per quella.
Bill si mosse quel tanto che bastava per accomodarsi contro di lui e inchiodarlo al materasso con la testa mora sulla sua spalla. Mormorò qualcosa che forse, con un po' di fantasia, sarebbe apparso come tedesco e poi si chetò nuovamente. Tom rimase immobile, con un sopracciglio sollevato, fino a che Bill non ebbe trovato la sua posizione comoda quindi abbassò lentamente il braccio per circondargli le spalle. "E ora che il signorino si è sistemato..." sussurrò interdetto.
Bill sorrise.
Tom doveva essere collassato di nuovo.
Quando riaprì gli occhi, suo fratello gli dormiva praticamente spalmato addosso. "Bill..." biacicò tra il sonno e la veglia. C'era un rumore fastidioso di sottofondo, come qualcuno che bussava alla porta. Bill era abituato a dormire dodici, tredici ore di fila senza svegliarsi. In pratica cadeva in letargo, per cui non sentì nemmeno vagamente che il fratello lo stava chiamando. Continuò a dormire placido, morbidamente appoggiato contro il pancino di Tom.
Il chitarrista lo trovava più indigesto della pepata di cozze, invece. E quel rumore continuava a martellare fastidiosamente. Fece forza e spostò delicatamente il fratello, cercando di sgusciare via dalla sua stretta senza farlo ruzzolare giù dal letto. Fu mentre riappoggiava le scarne membra del suo gemello sul materasso che si rese conto che il bussare era reale.
"U-un attimo!" si infilò nei suoi pantaloni inciampando mentre andava ad aprire.
"Era l'ora" sbottò una voce dall'altra parte.
Tom non aveva bisogno di vedere la zazzera platinata di Andreas per sapere che era lui. Una volta aperta la porta, se lo ritrovò davanti, valigia alla mano ed enormi occhiali da sole coprenti. "Cosa ci fai qui?" fu la prima cosa che gli venne in mente di dire. Tutta la conversaizone che avevano fatto il giorno precedente era stata spazzata dalla nottata appena trascorsa. A chiederglielo, Tom non si sarebbe ricordato neanche come si chiamasse sua madre.
Andreas lo squadrò da capo a piedi con aria critica, anche se era difficile vedere che aria avesse di preciso visto che metà del suo viso era nascosta dagli occhiali. Sembrò storcere il naso alla visione del suo migliore amico semi-nudo e con la tipica faccia sbattuta post-coma. Poi però scrollò le spalle, del tutto disinteressato. "Ma che bell'accoglienza! Pensavo che quello acido fosse tuo fratello" esclamò, entrando nella stanza senza essere stato invitato a farlo. Con la valigia prese in pieno il ginocchio di Tom che si piegò in due con un grido soffocato e non fece in tempo a fermarlo.
"Non dovevamo andare in giro a cercare quel cretino di Bill? Che poi mica ho capito cos'è successo di preciso.... perchè diavolo è venuto a Monaco? Lo sai quanto c'è voluto per convincere mia madre a farmi venire qui?" Andreas si era messo a blaterare ininterrottamente come faceva di solito quando lo sproloquio continuo e inarrestabile di Bill non glielo impediva. "Per non parlare del vostro manager! Sul serio, Tom mi ha veramente--"
Andreas s'interruppe all'improvviso, impietrito di fronte a Bill visibilmente nudo nel letto. Si tolse gli occhiali da sole, lentamente. Il letto era disfatto, e i vestiti di Bill erano in terra appallottolati. I vestiti di Bill, quello stesso Bill che piegava tutto al millimetro e che non si sedeva in terra perchè "è sporco!". E il ragazzo in questione era nudo. La parola si conficcò nel cervello di Andreas come una pugnalata.
"Ehm... credo sia meglio che ti spieghi" caracollò Tom, alle sue spalle.
Andreas non riusciva a smettere di guardare Bill, non che gli interessasse ma era talmente sconvolto che aveva perso momentaneamente le capacità motorie. "Sarebbe un'idea" commentò. "Il mio cervello si rifiuta di darmi una spiegazione da solo"
Tom sospirò. Avrebbe tanto voluto poter nascondere il viso dietro la visiera del cappellino. Prese Andreas per un braccio e lo costrinse a seguirlo in bagno: l'unica posto in cui potesse mettere una porta tra loro e Bill. "Vieni, lascialo dormire"
Andreas si lasciò andare seduto sulla vasca, gli occhiali che gli teneva indietro i capelli biondissimi. "Allora?"
Tom lo fissò. "Eh, allora..." il chitarrista passò in rassegna tutti gli avvenimenti evitando di ritornare sul loop Bill-sesso-Bill che gli creava qualche problema di riavvio. "... l'ho trovato ieri. Cioè è venuto lui qui"
Andreas annuì. "E non avevi un pigiamino da prestargli?"
Il chitarrista si passò una mano sugli occhi. Non aveva progettato di spiegare l'intera faccenda a qualcuno soltanto cinque o sei ore dopo che era successa. "Lui è... Andreas, so che sembra completamente assurdo..."
Il racconto fu breve, coinciso, imbarazzato e privo di qualsiasi nesso logico. Ogni volta che Tom diceva qualcosa, gli occhi di Andreas si spalancavano sconvolti. Quando Tom ebbe finito, Andreas aveva due piatti da portata sopra il naso. "La faccia che hai... " realizzò alla fine inorridito, indicandolo selvaggiamente con un indice accusatore e lievemente macchiato di penna. "Quelle sono occhiate post-coito!"
Andreas si alzò in piedi di scatto e Tom fece altrettanto, per prevenire qualsiasi cosa fosse successa dopo. "Oddio!" urlò isterico l'amico "Sei andato a letto con lui!"
"Shhh..." Tom gli fece cenno di abbassare la voce.
"SEI ANDATO A LETTO CON LUI!" ripetè Andreas, la bocca spalancata in un'espressione di totale sconvolgimento e alienazione mentale. "CON LUI!"
"Sì" ammise Tom. "Ora pianatala, però, stai urlando"
"URLANDO? IO NON STO URLANDO!" sbraitò Andreas. "IO .. TOM, MALEDIZIONE! NON SO NEANCHE COME PRENDERLA!"
"E' successo per caso, non era programmato" cercava di blandirlo il chitarrista. "Vuoi calmarti per cortesia? Stai diventando isterico!"
Andreas si aggirava per il minuscolo bagnetto in preda a nemmeno lui sapeva cosa. Solo che non riusciva a star fermo. "Queste cose non succedono mai per caso!" replicò poi profetico, senza mai smettere di puntargli addosso il dito. "Se invece è andata diversamente allora farai bene a trovare una causa perchè quel tipo di là è tuo fratello e non accetterà un opss, scusa sono scivolato nei tuoi pantaloni per sbaglio, come giustificazione!"
"Certo che no!" esclamò indignato Tom. "Per chi mi hai preso? E' ovvio che ci saranno delle conseguenze ma non ti è passato per l'anticamera del cervello che forse - E DICO FORSE - c'è anche qualcosa di più profondo dietro tutto questo?"
"E' quel forse che mi preoccupa" Andreas gli lanciò un'occhiata indecifrabile. "Insomma, è una situazione piuttosto delicata..."
"Preferisco essere io piuttosto che quell'uomo" commentò Tom, infastidito.
"E che razza di soluzione sarebbe questa?" sbottò l'altro quando ebbe fatto avanti e indietro sulle cinque mattonelle almeno una dozzina di volte. "Lui fugge, tu lo ritrovi, lo strappi da un destino di lap-dance...... e non trovi niente di meglio da fare che portartelo a letto?!?"
"Ehm..."
Andreas scosse la testa, perdendo ogni forza. "Perchè non fate mai cose normali voi due?!??!"
Tom si morse un labbro per non ridere. La frustrazione nelle parole di Andreas era quasi palpabile ed era profondamente comica.
"Perchè non ho due amici normali?" si lamentò ancora il ragazzo biondo, con gli occhi al cielo. "Non potevate, che ne so.... DROGARVI? O DARVI ALL'AUTOLESIONISMO? ALL'ALCOL, MAGARI? Qualcosa di normale insomma. No, loro dovevano ingropparsi tra di loro....."
"Potresti evitare di utilizzare certe parole?" gli chiese Tom.
Un sopracciglio quasi albino si sollevò sul viso di Andreas. "Da quando sei diventato un'educanda?"
"Da quando vado a letto con mio fratello"
"Amabile controsenso".
Bill si svegliò due ore dopo.
Due ore che Andreas e Tom avevano passato in bagno in cerca della sequenza giusta di azioni da compiere ora che il disastro era avvenuto, concludendo che Andreas avrebbe dovuto anticiparli all'areoporto. Compito che il biondo aveva accettato di buon grado visto che - per quanto bene volesse loro - per niente al mondo voleva essere lì quando Bill avrebbe spalancato gli occhioni truccati, tubando come una colomba in amore.
Bill, dunque, si era svegliato. E solo perchè Tom era inciampato nei suoi pantaloni, andando a sbattare contro il muro. Il rimbombo della sua testa contro l'intonaco aveva strappato il fratello efebico dai suoi dolci sogni.
"Tomi?" chiese, ancora mezzo addormentato.
"Sono qui" borbottò il chitarrista, massaggiandosi la fronte.
Bill sbattè le lunghissime ciglia allungate dal rimmel e sorrise, ignorando totalmente la craniata di suo fratello. "Buongiorno" cinguettò.
Tom gli sorrise, incapace di preoccuparsi oltre del proprio trauma cranico quando suo fratello gli faceva gli occhi da cerbiatto sperduto. Gattonò sul letto e lo baciò delicatamente sul naso. "Hai fame? Ho chiesto la colazione"
Bill annuì, quindi sparì in bagno dove - Tom sapeva - sarebbe rimasto indicativamente per mezz'ora buona. Sempre che non avesse intenzione di farsi i capelli, perchè in quel caso...
La colazione gli fu recapitata puntuale, mentre il suo cellulare squillava e Bill strepitava dalla doccia che gli portasse un asciugamano. Tom lanciò in maniera molto acrobatica l'asciugamano a suo fratello, evitando di guardare la sua sagoma nella doccia, quindi aprì il cellulare ed esplose in un bel "Pronto!" squillante, mentre afferrava la colazione e mandava via la cameriera quasi a pedate. "Chi parla?"
"Dove. diavolo. siete?" la voce di Saki era terrificante.
Tom rabbrividì. "A... ehm.. Monaco?"
"Avevi detto che avreste presto il primo aereo!" gli rinfacciò l'uomo, che non si era messo ad urlare solo perchè aveva una reputazione da mantenere e perchè se avesse alzato la voce sarebbe stato complicato nascondere il fatto che stava parlando con Tom. "Non mi dire che non ce n'erano!"
"Ci sono stati dei... contrattempi" buttò lì il chitarrista, lanciando occhiate al bagno. Ci mancava solo che Bill uscisse urlando garulo qualcosa di indecente che non avrebbe assolutamente saputo come spiegare. "Partiamo oggi"
"A che ora?"
"Non lo so"
"Farai bene a saperla perchè non riattacco finchè non me lo dici"
Il chitarrista sospirò. Si guardò intorno cercando una soluzione scritta sui muri dell'albergo ma - ovviamente - non la trovò. "Saki, non lo so" ripetè esasperato. "Andreas è appena andato all'areoporto. Appena saprò qualcosa te lo dirò"
"Andreas? Cosa diavolo ci fa quel ragazzino lì?"
Tom alzò gli occhi al cielo. "E' una storia lunga. Molto lunga, Saki." sospirò. "Ti prometto che oggi partiamo. Non appena salirò su quel dannato aereo ti farò sapere tutto nei minimi dettagli, compreso il colore delle mutande della hostess, ma adesso no. Non lo so!"
Saki trattenne a stento una risata. La tensione rotta dalla frase di Tom. "Okay, d'accordo, ma datevi una mossa perchè David è uscito dalla grazia di Dio. Mi aspetto di vederlo sollevare tavoli sopra la testa da un momento all'altro"
"Okay, d'accordo"
"Chi era al telefono?" Bill era appena uscito dalla doccia, vestito di tutto punto e avvolto in una nube di profumo e borotalco. In testa aveva un turbante di spugna ad asciugargli la criniera. Tom sospirò: tra phon, piastra e lacca sarebbero partiti dopo cinque ore. "Era Saki" rispose, mentre Bill prendeva posto al tavolino da colazione e si serviva di caffè e brioche.
Bill lo guardò con gli occhioni spalancati, attendendo altre spiegazioni. "Ah sì?"
"Ehm.. sì" Tom si sedette di fronte a lui, ignorando la propria colazione. Bill continuava a guardarlo con aria interrogativa. "Bill... tu sai che dobbiamo tornare a casa, vero?"
"Certo" Bill inghiottì, quindi bevve di nuovo.
"Oggi" precisò Tom.
Bill smise di mangiare all'istante. Il cucchiaino, lasciato andare, sbattè rumorosamente sul piattino sotto la sua tazza. "Cosa?" domandò.
Tom riconobbe immediatamente il tono infastidito e supponente. Bill aveva la capacità di far girare i nervi a chiunque semplicemente pronunciando una parola di due sillabe.
"Sono tre settimane che sei qui. La band ha bisogno di te" lo blandì. Poi sorrise, cercando di apparire tenero. "E ora non c'è motivo che tu mi stia lontano, no?"
I lineamenti di Bill non si addolcirono come il fratello si aspettava. Lo guardò intensamente, con gli occhi stretti a due fessure. Le sue labbra tremarono un istante, fino a che Bill non serrò la mascella. "E' per questo che lo hai fatto?"
"Eh?"
Bill scambiò l'espressione sinceramente interrogativa del fratello per una presa in giro e si alzò di scatto, tirando indietro la sedia con quanto più rumore possibile. "Hai capito benissimo quello che voglio dire!"
"No che non l'ho capito" insistette Tom.
Bill ebbe un moto di stizza. Strinse i pugni innervosito. "Odio quando fai così!" sibilò isterico.
Tom espirò, con calma. Lentamente contò fino a dieci, poi fino a venti. Aspettò che la calma zen tornasse ad abitare le sue quattro ossa e infine ripetè: "Bill, dico davvero. Non ho capito di cosa stiamo parlando, nè come ci siamo arrivati. Stavamo semplicemente dicendo che dobbiamo tornare a casa, oggi"
"E pensi che dopo quello che è successo io ti segua come un cagnolino? Hai una bella faccia tosta!" protestò il cantante.
"Cosa diamine è successo?" sbottò Tom.
L'indignazione massima e l'affronto si dipinsero sul volto perfetto di Bill, che spalancò gli occhi e la bocca impossibilitato a dire qualsiasi cosa. Tom capì il collegamento, capì l'errore. Capì di cosa sarebbe morto se non avesse trovato un rimedio.
"Intendi stanotte!" esclamò. "Certo che è successo! Tre volte! Me lo ricordo! E' ovvio.. ma io intendevo.. pensavo....Bill pensavo ti riferissi a qualcos'altro che era successo. Insomma... oddio...."
Bill stava già scuotendo la testa. Si era tolto l'asciugamano e ora si strofinava i capelli con violenza, quasi volesse asciugarli per combustione. Ogni tanto gli lanciava un'occhiata di disappunto, quindi tornava a borbottare.
"Bill?"
"Stammi lontano"
"Andiamo, non penserai mica che non gli abbia dato importanza!" commentò Tom, seguendolo mentre andava in bagno. "Te l'ho detto anche ieri notte!"
"Ah beh, certo! Perchè mai non dovrei dare importanza ad un grugnito testosteronico appena intellegibile e pre-orgasmico?" replicò il cantante "Mi avresti firmato un assegno in bianco se te ne avessi messo uno sotto al naso!"
"Questo è un colpo basso!"
"Anche il tuo!" lo accusò Bill, mentre si pettinava i capelli con spazzolate devastanti. "Tutto mi sarei aspettato, tranne questo!
"Ma questo cosa?!?!?!" sbraitò Tom, trattenendosi dal prenderlo a ceffoni seduta stante. Così, a prescindere. "Ti sto dicendo che non hai più motivo di farti da parte ora che.... che.. bè ora! Potremmo rimettere in piedi la band!"
"Lo sapevo!" sbottò il cantante, girandosi all'improvviso e puntandogli in faccia un dito magrissimo. I capelli gli stavano diritti verso il basso, tutti inteccheriti come spaghetti. Quella crema lisciante avrebbe fatto la piega ad un barboncino. "E' per questo che lo hai fatto! Sei venuto a letto con me per riavere i Tokio Hotel!"
"COSA?!?!" Questa volta fu Tom a spalancare gli occhi.
Bill si stava mordendo un labbro. "Sapevi che non sarei mai tornato indietro se me lo avessi chiesto, perchè soffrivo troppo vicino a te. E allora hai pensato bene di scoparmi per risolvere il problema!"
Tom era incredulo. E tra l'altro trovava surreale dover discutere di cose del genere con il fratello mentre lui si piastrava i capelli. "Bill, sei stato tu a baciarmi!"
"E tu ci sei stato mi pare!"
"APPUNTO!" esclamò Tom. Espirò di nuovo, il suo viso si fece un po' triste. "Bill, per favore. Cerca di ragionare. Mi pensi davvero capace di farti una cosa simile?"
Bill abbassò lo sguardo. La piastra sfrigolò tra le sue mani e lui la appoggiò sul lavandino, staccando la presa. "Perchè è successo, allora?" mormorò. Quindi sollevò gli occhi sul fratello aspettando una risposta.
Tom aprì la bocca, respirò, la richiuse. Non aveva una risposta a quella domanda. Avrebbe potuto dirgli che provava qualcosa per lui, ma non ne era sicuro. E dicendo una mezza verità avrebbe fatto più danni che a stare zitto, perchè se poi si fosse rivelata una bugia Bill si sarebbe sentito preso in giro. "Bill, non lo so il perchè" ammise.
Il gemello gli lanciò un'occhiata al vetriolo, quindi prese a rimettere le sue cose a posto con gesti secchi.
"Bill!"
"Fuori!"
Tom cercò di farlo ragionare, di impedirgli di spingerlo fuori dal bagno ma Bill continuava a tirargli spintoni e lui non se la sentiva di reagire con troppa forza. Per quanto fosse più o meno della stessa corporatura di Bill, aveva sempre finito col fargli male quando facevano a botte. E questo perchè Bill era bravo a tirare manate, ma non incassava per niente bene. "Bill, aspetta!"
"FUORI!" Bill strillò di nuovo, sbattendogli la porta in faccia.
Tom sentì la serratura che si chiudeva, quindi si abbattè sul legno con forza. "Piantala! Fammi entrare e parliamone!"
Dall'interno, nessuna risposta.
Tom s'innervosì. Era già abbastanza stressante dover affrontare l'intera situazione, ma essere lasciato da solo a farsi venire i sensi di colpa.... questo no. "Bill, giuro che se riesco ad entrare te le tiro!" sbraitò Tom, con un altro pugno.
"E io ti faccio arrestare!"
"Non fare la checca, maledizione!"
"Stronzo!"
Tom ringhiò qualcosa dal profondo dello stomaco. Trattenne la rabbia per quei dieci secondi, poi tirò una pedata alla porta. "MALEDIZIONE!"
Quindi si sedette, la schiena contro il muro. Appoggiò le braccia sulle gambe larghe e ci nascose dentro la testa.
Maledizione.