Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
13. Medication

I don't need an education
I learnt all I need from you
They've got me on some medication
My point of balance was askew
It keeps my temperature from rising
My blood is pumping through my veins
(Garbage - Medication)


"Ne vuoi ancora?" Tom indicò la pentola di pasta avanzata che teneva in mano. Quando suo fratello, seduto a tavola, fece 'no' con la testa versò il contenuto nel proprio piatto e tornò a sedersi. Alzando lo sguardo notò che Bill lo stava fissando. "Che c'è?"
Bill sorrise amorevolmente, con un'alzata di spalle. "Niente".
"Ti fa ancora male?" chiese subito il biondo, con la forchetta a mezz'aria, convinto che se suo fratello lo guardava doveva esserci qualche problema. E, nella situazione attuale, non poteva trattarsi che di quel problema.
Bill piegò la testa di lato. "Un po' sì", poi fece una smorfia. "Beh, un po' tanto"
"Mi dispiace" Tom non smetteva di ripeterlo da quando aveva ripreso piena coscienza di se stesso e aveva scoperto che suo fratello faticava a muoversi.
"Tom ti prego smettila di dirlo" mormorò il moro, facendo scarpetta con un minuscolo pezzo di mollica.
"Ma mi dispiace" insistette Tom, che aveva tentato di espiare cucinando per lui.
"Lo so" Bill si pulì accuratamente con il tovagliolo "ma a me non dispiace affatto".
I due gemelli si guardarono, due paia d'occhi identici, e si sorrisero.
Il resto del pomeriggio passò relativamente in fretta: visto che Bill stava bene soltanto disteso sulla pancia avevano finito per recuperare qualche vecchio gioco da tavolo dalla loro stanza e lo avevano portato in sala.
Per ore si erano fregati soldi al Monopoli - con Bill che si ostinava a comprare e vendere le vie soltanto in base al colore - per poi passare a Risiko, che era il gioco preferito di Tom. Anche in quel caso, Bill ci capiva poco di strategia militare ma passava interi turni di gioco a posizionare in maniera elegante quintali di carri armati, solo per il gusto di presentarli in ardite combinazioni degne della miglior squadra di nuoto sincronizzato.
Tom non si arrabbiava neanche, sapeva che suo fratello e i giochi da tavolo non erano mai andati veramente d'accordo: quando giocavi con Bill, dovevi sopportare le sue stranezze, oppure non giocarci affatto. Solo che per un gemello era difficile estromettere l'altro da qualsiasi gioco, e allora... beh, Tom ci aveva fatto l'abitudine. Anzi, adesso gli sembrava quasi che le cose fossero tornate alla normalità per magia: lui e suo fratello, la salute di Bill, David che manteneva la parola data e non li chiamava per costringerli a tornare. Era bello poter scherzare e giocare di nuovo con Bill, con l'aggiunta che adesso ogni tanto poteva alzarsi e baciarlo teneramente sulle labbra per il solo gusto di farlo. Perchè resistere a quelle labbra era impossibile, soprattutto quando agitava contento il suo segnalino a forma di fungo e lo spostava ridendo su Parco della Vittoria. Che era sempre suo, per inciso.
L'illusione però durò soltanto qualche ora. Verso sera Bill iniziò a sentirsi male di nuovo. All'inizio fu soltanto la solita febbre, poi però iniziò ad alzarsi. Bill fu scosso dai tremiti e iniziò a dire che aveva freddo, tanto freddo.
Tom recuperò per lui tutte le coperte che riuscì a trovare, ma più il tempo passava più la febbre saliva e Bill batteva i denti come se non ci fosse modo di riscaldarlo.
Il rasta scoprì, alla fine, che suo fratello aveva avuto l'impulso di farsi per ore ma non aveva detto niente convinto che sarebbe passata come ogni volta prima di quella negli ultimi giorni.
"La febbre continua a salire" mormorò Tom, controllando il termometro che ormai segnava i 39 gradi. Non ci voleva un genio per capire che doveva fare qualcosa.
"Tomi, ho freddo..." Bill lo cercò con una mano.
Il biondo gli accarezzò una guancia. "Lo so, cucciolo" gli sussurrò preoccupato. "Lo so"
Aveva già proposto due volte a Bill di chiamare un medico ma lui non ne voleva sapere. Perso nel suo mondo di la gente lo verrà a sapere e chiameranno la mamma continuava a chiamarlo e a volere soltanto che lo cullasse.
Quando la febbre arrivò ai 40, però, Tom decise che non poteva più starlo a sentire. Se non voleva il medico, avrebbe dovuto improvvisare.
Si diresse in bagno e, come sparì dalla sua vista, Bill cominciò a chiamarlo e a piangere che tornasse da lui.
Tom riempì la vasca di acqua gelida e ci versò dentro tutti i cubetti di ghiaccio che trovò nel freezer. Prese tra le braccia il fratello, che scottava in maniera impressionante, e lo spogliò di tutti i plaid e le coperte che aveva addosso ignorando le sue proteste. Quindi lo portò in bagno per immergerlo nella vasca.
Non appena il suo corpo rovente toccò la superficie gelata, Bill cacciò un urlo e si aggrappò al collo di Tom con tanta forza da strangolarlo.
"Tomi, no!" piagnucolò, cercando di tirarsi su mentre l'acqua gli inzuppava i vestiti. "E' fredda!"
"Lo so Bill" Tom gli staccò a forza le mani dal proprio collo e cercò di tenerlo giù. "Dobbiamo far scendere la febbre"
Bill si mise ad urlare e a piangere, emettendo grida strazianti mentre Tom gli tamponava la fronte e le guance rimaste fuori dall'acqua.
"Basta, Tom! Ti prego! Ho freddo!"
Il rasta lo teneva fermo per i polsi, mentre faceva del suo meglio per ignorare quelle grida e il tono devastato di Bill che sembrava davvero soffrire tantissimo. Ogni tanto cercava di alzarsi e quando ricadeva giù, urlava e piangeva e gli diceva che sarebbe morto perchè l'acqua era fredda.
Batteva i denti così forte che Tom ebbe paura che avrebbe finito col romperseli, eppure scottava ancora. "Bill resisti ancora un po', hai la febbre troppo alta" cercò di calmarlo.
"No! E' fredda!" si gettò sul lato della vasca, piegando la testa verso di lui e guardandolo con i grandi occhi ambrati terrorizzati e in preda al delirio. "Tom sto morendo, vero?"
"No, assolutamente no" si affrettò a rispondergli Tom, terrorizzato quanto lui ma deciso a non darlo a vedere. Doveva rimanere lucido per lui, allontanare anni luce qualsiasi pensiero negativo, o non ce l'avrebbe mai fatta. Gli scostò i capelli dalla fronte. "Non stai morendo. Hai solo la febbre"
"Fà freddo, Tom" ripetè ancora il moro. La voce tremava, come tutto il resto di lui, e si era fatta debole come se avesse perso la forza di dire qualsiasi cosa.
"Chiudi gli occhi Bill"
Il moro lo guardò, senza capire. Tom gli passò una mano fredda sul viso e gentilmente gli premette le palpebre. Poi, senza avvisarlo, gli versò l'acqua sulla testa bagnandogli i capelli e il collo e le spalle che erano ancora parzialmente asciutte. La nuova ondata di freddo colse Bill così alla sprovvista che ebbe un moto di stizza. Urlò e prese a dimenarsi. "Vaffanculo, Tom! VAFFANCULO!"
"Bill fermati! Sta fermo maledizione!" Tom gli afferrò di nuovo i polsi, lasciando andare la spugna e cercando di tenerlo in acqua. Lottarono per un po': Bill però era scivoloso e continuava a sgusciare via dalla presa di Tom, che aveva finito per bagnarsi dalla testa ai piedi. Era come fare il bagno ad un San Bernardo riottoso. Alla fine il rasta ebbe la brillante idea di placcarlo da dietro, e al diavolo la sua maglietta che era ormai completamente fradicia.
"Calmati" gli sussurrò nell'orecchio, ansimando per lo sforzo mentre gli teneva le braccia premute contro il corpo.
"Tom..."
"Sì?"
"Basta, per favore...."
Tom espirò. Gli baciò la tempia, per sentire la temperatura e per rassicurarlo. Sentiva il corpo di Bill sotto le dita tremare quasi convulsamente e decise che poteva bastare. Doveva bastare, o gli sarebbe venuta una polmonite.
Lo aiutò ad uscire e lo avvolse immediatamente in un enorme asciugamano immacolato, strofinandolo forte per riscaldarlo. Bill, che aveva smesso di gridare solo qualche secondo prima, se ne stava immobile a farsi asciugare: i capelli completamente bagnati che gli ricadevano flosci sulle spalle e gli occhi cerchiati di rosso, per il freddo e per l'isteria. Incrociò lo sguardo del fratello e un attimo dopo scoppiò in lacrime disperato, gettandosi tra le braccia di Tom che fu pronto a stringerlo.

Bill si era addormentato.
C'era voluta un'ora prima che si calmasse al punto da permettere al sonno di prendere il sopravvento. E il suo era comunque un sonno agitato e convulso, che gli agitava le palpebre e lo costringeva a scatti improvvisi. Tom si alzò senza fare rumore e liberò la mano dalla stretta di Bill che mugolò qualcosa per poi stringere le dita a pugno.
Il chitarrista sospirò, aveva bisogno di una boccata d'aria: quella casa iniziava a stargli stretta. Uscì piano dalla stanza e lanciò un'occhiata stanca ai giochi ancora sparsi in terra e alle coperte con cui aveva avvolto Bill soltanto qualche ora prima. Il salotto era completamente in disordine ma non aveva nessuna voglia di rimettere le cose a posto.
Fuori nevicava. E non aveva idea di quando avesse iniziato. La strada era già ricoperta completamente di neve; senza rendersene conto ricordò il pickup di Ima e si chiese cosa stesse facendo. Si chiese anche perchè ci stesse pensando.
Forse aveva soltanto bisogno di staccare il cervello da quella situazione e ... da Bill, certo. Era inutile negarlo.
Paradossalmente era più facile accettare e sopportare il peso dell'incesto, piuttosto che quello della cocaina. Odiava vedere suo fratello in quello stato, lo faceva incazzare. Col mondo, ma anche con Bill. C'erano stati momenti negli ultimi due giorni in cui aveva avuto voglia di prenderlo a ceffoni, di fargli seriamente male.
Senza rendersene conto tirò fuori il telefono e compose il numero. Squillò sei volte prima che il suo interlocutore dall'altra parte si decidesse a rispondere.
"Quanto ci hai messo? Dove diavolo eri?" sibilò la voce di Tom, mentre con una mano si frugava nelle tasche in cerca delle sigarette.
"Scusami se ho avuto quasi paura vedendo il tuo nome sul display" commentò ironica la voce di Andreas dall'altra parte. In sottofondo si sentivano gli stonfi di pentole cadute e urla confuse. "Sai com'è, l'ultima volta che mi hai telefonato sono dovuto partire per Monaco"
Tom sorrise tristemente. Accese la sigaretta schermandosi dal vento prima di continuare la conversazione. "Cos'è questo bordello?"
Andreas urlò qualcosa, con la mano appoggiata sulla cornetta. "Sono i miei cugini" sospirò il biondo. "Cinque lui, quattro lei. Credo che abbiano appena distrutto la cucina"
"Perchè ti lascio solo due giorni e ti ritrovo in un asilo nido?" chiese Tom.
"Sono stato incastrato. Devo tenerli per le prossime dodici ore quindi se stai per dirmi che Bill è scappato in Rwanda e dobbiamo andare a riprenderlo temo di doverti rispondere di no"
La voce di Andreas riusciva sempre farlo smettere di pensare, e Tom non smetteva mai di stupirsene. Non era come la voce di Bill, che aveva poteri quasi lenitivi sulla sua persona, che era capace perfino di farlo rilassare. Andreas significava normalità nella sua testa. Non importava dove fossero o cosa stessero facendo, Andreas era il suo punto fisso, era qualcosa che non cambiava mai, quindi sentirlo parlare era rassicurante.
"Tom?"
"Sì, sono qui" si riprese il chitarrista.
"Hum, quello è un tono da tragedia imminente. Lo riconosco.....Hans lascia stare tua sorella!!!" berciò Andreas. Sparì per qualche istante e poi tornò. "Scusami. Allora, cos'è successo stavolta?"
"Bill dorme, ma è stata una giornataccia"
Andreas capì al volo. "Forse dovresti rivolgerti al medico, Tom"
"Non se ne parla" replicò il chitarrista di scatto. Poi sospirò e tentò di giustificare la propria risposta. "Bill non vuole. E' spaventato ed è già abbastanza complicato gestirlo così com'è. Non posso imporgli anche il medico"
"Bill è ben oltre il punto di poter decidere cosa sia o non sia bene per lui" gli fece notare Andreas.
Tom aveva telefonato proprio per sentirsi dire quelle parole, perchè era ciò che aveva pensato fin dal primo istante: che Bill non fosse più in grado di decidere per sè, che fosse ora di costringerlo a fare qualcosa. Solo che ogni volta che guardava suo fratello negli occhi e ci leggeva dentro il panico e la paura, e sentiva la sua voce disperata dirgli che non voleva nessun altro che lui, si sentiva male. E non riusciva a non assecondarlo, finendo col pensare che forse era stato egoista a volersi liberare della responsabilità di accudire Bill, che aveva avuto soltanto paura nel vederlo tremare per l'astinenza. Si sentiva da schifo, ecco perchè aveva telefonato ad Andreas: perchè gli dicesse che aveva ragione.
"Dovresti vederlo Andi..." commentò all'improvviso. Sospirò, sentendo il biondo fare altrettanto dall'altra parte. "Non gli basterà qualche giorno per riprendersi"
"Questo è certo"
"E... Andi?"
"Sì? Abigail! Lascia stare la presa!!" Andreas sembrava seriamente devastato. "Stavi dicendo?"
Tom sorrise, senza arrabbiarsi. Era bello sapere che almeno uno di loro tre stava avendo una vita normale. "Ero sul punto di dirti che ho fatto sesso con mio fratello, ma forse non lo volevi sapere"
Tom lo sentì soffocare, quindi tossire come fosse sul punto di crepare e poi emettere una serie di suoni non umani a metà tra l'agonia e il rantolo della morte. Tra una cosa e l'altra, comunque, riuscì a gracchiare un ".... cosa vuoi? Che ti faccia i complimenti?" molto sarcastico.
"Oh beh, sicuramente sarebbero appropriati" il sexGott che era in lui se ne fregava se le modalità, il luogo e l'oggetto delle sue prestazioni sessuali non erano accettate dalla morale comune. "In fondo stiamo parlando di ME"
Andreas, nel frattempo, aveva strappato i suoi polmoni al Tristo Mietitore. "E cosa ti ha fatto cambiare idea al riguardo in sole ventriquattr'ore? No! Non dirmelo, temo di saperlo...."
"Non è quello che pensi!"
"Non gli sei saltato addosso in preda alla lussuria dopo aver realizzato di non scopare da più di tre giorni?" chiese Andreas.
"No"
"Oh" Andreas si ricompose, percependo il tono. "Spero che tu sapessi cosa stavi facendo quando lo hai deciso"
"Credo di sì" ammise titubante il chitarrista. "Oh meglio, credo di averlo voluto fortemente"
Andreas rimase in silenzio a lungo, ma poi lo disse. "E questo ti fa paura"
"Già."
Perchè averlo fatto in preda agli ormoni sarebbe stata la più grossa cazzata della sua vita. Ma rendersi conto di averci messo tutta la volontà del mondo nel farlo, di averlo desiderato dal profondo, significava esserci dentro fino al collo.
Significava che era tutto vero.
E lui non era mai stato dentro fino al collo in niente, nella sua vita.

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