Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
15. Back in the picture

“Potete togliervi dalla testa l’idea che partiremo con calma,” disse David mentre faceva il giro del tavolo ovale, al quale erano tutti riuniti, per distribuire la tabella di marcia del mese a venire. “Abbiamo quasi tre settimane da recuperare.”
Gustav sgranò gli occhi quando si rese conto di cosa avesse davanti. Rilesse tutto da capo tre volte, tanto per essere sicuro, prima di esclamare, “David, c’è un errore. Abbiamo due interviste radiofoniche programmate per il venticinque dicembre.”
David raggruppò le copie avanzate del documento appena distribuito e le batté sul tavolo per rimetterle in ordine. “Nessun errore,” rispose senza alzare lo sguardo.
”Ma è Natale!” Gli fece notare Georg.
”Non per voi,” fu la risposta del manager. “Ringraziate sua maestà per la sua intelligentissima fuga.”
Georg dedicò a Bill uno sguardo piuttosto contrariato; gli occhi di Gustav erano molto tristi, invece. Per quanto sembrasse sempre imbestialito, non era mai davvero arrabbiato. Era troppo buono per esserlo. E ora, qualunque fosse stato il motivo che aveva spinto il cantante a scappare, non ce l’aveva con lui ma ciò non gli impediva di dispiacersi. Voleva rivedere la sua famiglia almeno per le feste comandate.
”David non potremmo aggiungere date alla fine delle feste, piuttosto che adesso?” Provò, cercando di suonare ragionevole, e non lamentoso. “I miei contavano che fossi a casa per-“
”Non avete un giorno libero da qui ai primi di maggio. Non c’è possibilità di aggiungere le date in un altro momento perché in quel momento, qualsiasi esso sia, siete già impegnati,” tagliò corto.
Tom ringhiò qualcosa che avrebbe potuto passare benissimo per una lunghissima bestemmia, che gli sarebbe valsa la scomunica; fortunatamente fu abbastanza furbo da tenere il tono di voce molto basso. Odiava quando David si comportava in quel modo. Capiva che nelle ultime settimane la Universal dovesse avergli fatto il culo, ma questo non lo autorizzava ad ammazzarli di lavoro.
Non lo autorizzava a dare agli altri motivi per prendersela con Bill. Soprattutto quando non si era minimamente degnato di parlare con lui, di cercare di capire cosa gli fosse successo.
Suo fratello, dal canto suo, sembrava assolutamente insensibile a tutta la situazione. Era seduto nell’angolo più lontano rispetto a lui, gli occhiali scuri di Prada calcati sul naso in modo che non fosse possibile capire dove guardasse.
Aveva preso i suoi fogli, ci aveva dato un’occhiata e quindi li aveva rimessi sul tavolo senza dire una parola.
”Tra meno di due ore abbiamo una conferenza stampa,” David dette il via a quella riunione con l’argomento più spinoso e, nel farlo, si rivolse direttamente al moro a cui sarebbe toccata la parte più difficile. “L’abbiamo allestita nella sala conferenze dello Steigenberger Hotel, ci saranno i giornali nazionali e chiunque possieda un microfono e possa dire al mondo che sei tornato.”
”Dove sono stato?” Chiese Bill, con un tono professionale che sconvolse Tom più di quanto avrebbe dovuto. Sapeva che non potevano raccontare la verità – uno, perché David non la sapeva; due, perché sarebbe stata pessima pubblicità - e che qualcuno, sicuramente, si era preoccupato di mantenere in vita la balla che avevano dato in pasto alla stampa all’inizio di quella faccenda, ma Tom aveva visto suo fratello schiumare di rabbia e dolore solo ventiquattro ore prima. Non si aspettava che avesse i nervi tanto saldi da mostrare così facilmente la propria faccia tosta.
David, da parte sua, accolse quella professionalità con muta gratitudine. Si fermò a guardarlo solo un attimo, l’unico in cui si concesse di essere sorpreso, prima di rispondere. “Hai avuto un esaurimento nervoso e sei stato in cura qui a Berlino.”
Bill, annuì. “Che cosa devo dire? Qualche nome?” Sfogliò il documento che aveva in mano e che comprendeva almeno tre o quattro pagine. “Non so, un medico, un istituto…”
”No, niente del genere. Tieniti sul generico, ringrazia tutti quelli che ti avevano in cura, dì che ti siamo stati vicini. Dovresti avere un prospetto del discorso,“ gli indicò David.
Bill annuì di nuovo, mentre lo scorreva velocemente. “Vedo che mio fratello si è preso tanta cura di me,” rise e Tom riconobbe in quella risata l’atteggiamento peggiore tra tutti quelli che Bill aveva tirato fuori. “Non avete idea di quanto. Mio fratello ha un bel modo di consolarmi, vero Tom?”
Il biondo serrò le labbra, ma non rispose. Abbassò lo sguardo, nascondendo il viso sotto la visiera del cappello. Se quello che lo aspettava nei prossimi giorni era un Bill che si prendeva gioco di quello che avevano fatto come se fosse stato un suo capriccio che Bill aveva solo assecondato, Tom non era sicuro di farcela.
David, comunque, non fece caso alla frase di Bill, preso com’era a dare ordini e ad occupare ogni singolo istante della loro esistenza. “Bill,” richiamò la sua attenzione. “Parlerai per circa venti minuti. Sorridi, sii gentile e cerca di apparire assolutamente entusiasta di essere di nuovo nel tuo mondo.”
”Splenderò come un diamante,” esclamò Bill, agitando le mani in aria velocemente.
David gli dedicò appena un’occhiata. “Quindi,” continuò come se niente fosse. “Daremo spazio alle domande. Io sceglierò per te i giornalisti. Tu non farai niente se non rispondere educatamente, sorridere ed essere carino. Ci siamo intesi?”
”Sarò una bambola gonfiabile, nessun problema,” ghignò il cantante.
Georg si mise a ridere e Gustav sollevò un sopracciglio. David rimase un po’ colpito da quel linguaggio, che di solito era tipico di Tom, ma non fece una piega. Una bambola gonfiabile era esattamente quello che voleva. Il chitarrista fu l’unico a vedere quell’atteggiamento per quello che era: guai. Per lui, almeno.
”Dopo la conferenza stampa, avete due sezioni fotografiche, dopodichè andremo a pranzo,” David passò in rassegna il resto degli impegni per la giornata. “Nel pomeriggio, voi tre sarete impegnati con altre foto. Tu Bill verrai con me: due radio vogliono intervistarti.”
”Devo imparare bene la balla. Dovrò dirla un sacco di volte.”
”Voglio che entro le dieci tu la sappia così bene da credere davvero di aver avuto un esaurimento nervoso,” commentò il manager. “Da domani in poi, sono soltanto concerti e sessioni fotografiche.”
”Solo?” Commento Georg, imbestialito.
”Piantala di fare il bambino, vedrai la mamma per Pasqua,” lo liquidò . “E ora fuori di qui, ho del lavoro da fare.”

*

Bill sorrideva come Tom non gli vedeva fare da anni e tutti credevano al teatrino delle sue lunghe ciglia scure mentre ringraziava amorevolmente il personale medico di una clinica privata che non era mai esistita.
Seduto sulla poltroncina imbottita fornita dall’albergo, si chinava in avanti col corpo verso il microfono, sfiorandolo appena con le labbra e puntando gli occhi su una camera, e poi su un'altra perché ogni stazione televisiva potesse avere un suo bel primo piano luccicante. Peccato che sotto quel tavolo le sue mani tremassero come quelle di un vecchio col morbo di Parkinson. Tom, seduto al suo fianco poteva vederlo premere i palmi uno contro l’altro per limitare il tremore, le sue dita che giocavano frenetiche con gli anelli per tenersi impegnate.
David scelse una giornalista tarchiata, inguainata in un tailleur color crema, le fece un cenno con la mano e quella si alzò, col suo bel taccuino in mano.
”Signor Kaulitz-“
”Bill,” pronunciò suadente suo fratello al microfono, con uno di quei sorrisi al miele che di solito serviva a sciogliere le ragazzine ma che, dosato bene, faceva breccia anche nei cuori di mamma. A suo fratello Tom non aveva niente da insegnare.
”Bill,” si corresse la donna. “Che cosa risponde alle voci che parlavano di un tuo ricovero in una clinica per disintossicarti?”
Bill ridacchiò a suo agio mentre le sue mani si stringevano così forte a pungo che Tom pensò che avrebbe visto spuntare il sangue da un momento all’altro. “Ogni volta che sparisci pensano tutti alla droga,” disse quasi accondiscendente. “La verità è che se tutte le persone famose fossero ricoverate per disintossicarsi ogni volta che lo dicono, allora non ci sarebbe nessuno in giro a fare concerti.”
La sala rise, Tom vide David crogiolarsi nell’autocompiacimento di aver creato il mostro mediatico perfetto. Alzò un braccio indicando un’altra donna con i pantaloni più brutti che Tom avesse mai visto.
”Bill,” sorrise questa immediatamente, memore della discussione precedente. “Pensi che l’esaurimento nervoso sia dovuto alla tua carriera? Pensi di lasciare?”
”Assolutamente no,” commentò deciso Bill, chinandosi nuovamente sul microfono. I capelli morbidi gli scivolarono lungo il collo. Tom ebbe la voglia insana di sistemarglieli dietro ad un orecchio ma si trattenne, anche perché ogni volta che i suoi occhi vagavano sul viso di Bill e vi trovavano quella freddezza, l’unica cosa che voleva era scappare da quella sala. “Effettivamente gli impegni degli ultimi tempi mi avevano un po’ destabilizzato e ho dovuto rallentare ma si tratta solo di riorganizzare le cose. La band è la cosa più importante della mia vita, lasciarla non è mai stata un’opzione.”
Bugiardo. Tom lo fissò insistentemente perché si voltasse e avesse il coraggio di guardare anche lui dritto negli occhi mentre diceva l’ennesima emerita stronzata. Non solo Bill aveva lasciato il gruppo ma anche gli amici, lui e tutto il resto della famiglia. Il motivo era stato Tom, certo, e Tom si era sentito in colpa – si sentiva in colpa ogni santo giorno che Dio mandava in terra – ma sapeva anche che Bill era così cambiato che nessuno dei presenti lo avrebbe riconosciuto se solo Bill avesse permesso loro di vedere cos’era diventato.
”Quando tornerai a cantare?” Chiese un uomo, a cui David aveva appena dato la parola. Sembrava un direttore d’orchestra, intento ad agitare le braccia tutto entusiasta della sua scimmia ammaestrata.
”Praticamente subito,” scintillò Bill.
Georg e Gustav stavano cercando di trascorrere il tempo in maniera socialmente utile e contavano le crepe sul soffitto, probabilmente per poi riferire il numero agli addetti della manutenzione. Erano talmente distratti che sembrava fossero stati scaricati lì dagli alieni. Tom non aveva tempo per loro ma una parte del suo cervello pensò che David li avrebbe fatti al forno con le patate se non dimostravano un minimo di partecipazione: Bill emanava abbastanza bagliore da offuscare qualche istante di distrazione altrui ma neanche lui era in grado di oscurarli completamente, permettendo loro di andarsene a casa prima.
”Tuo fratello ti è stato d’aiuto?” Chiese l’ennesima giornalista. David stava avendo una botta di testosterone non indifferente a questo giro.
”Oh, moltissimo,” Bill si sciolse languidamente, tutto occhioni e scuotimenti deliziosi del capo. Gli dedicò uno sguardo che avrebbe fatto il giro dei forum twincest e quindi tornò a piantare in camera due occhi diabolicamente dolci. “Tom è stato con me tutto il tempo. Non è vero?”
Tom avrebbe voluto rispondere; giurò perfino di aver avuto sulla punta della lingua la risposta cretina che la gente si aspettava – qualcosa sul rompimento di palle che era avere Bill per casa, o qualcosa sulla salsa – ma se la dimenticò all’istante perché in quel momento le mani tremanti di Bill avevano trovato qualcos’altro da stringere e muoversi senza tirare giù un gemito di piacere che spettinasse le amabili signore presenti era alquanto improbabile.
Lanciò un’occhiata a suo fratello che in tutta risposta gli sorrise come un bravo fratello minore che non si droga e che ama il suo gemello senza implicazioni sessuali dovrebbe fare. E lo odiò. “Bill…” sibilò.
David gli tirò una gomitata, condita di sorrisone a quattro impossibili arcate dentali, invitandolo a condividere il comune entusiasmo per il ritorno di suo fratello.
Così si ritrovò a giocare anche lui i suoi assi più sporchi. Si avvicinò al suo microfono, tentando di ignorare le dita di Bill e sfoggiò il suo ghigno sgargiante. “In realtà, se qualcuno lo vuole glielo regalo volentieri,” esclamò al suo pubblico ma si premurò di voltarsi verso Bill mentre concludeva la frase. “Averlo intorno tutto il giorno è solo un grosso peso.”
Bill ritrasse di scatto la mano e serrò le labbra in una linea sottilissima; per un attimo lo fulminò con gli occhi ma fu costretto a rimandare a dopo le macumbe perché David aveva appena dichiarato conclusa quella conferenza stampa e lui doveva sorridere per le ultime foto.
Tom si pentì quasi subito di quello che aveva detto. Il senso di trionfo provato nel vedere di essere riuscito a colpire nel segno per una volta, svanì l’attimo dopo quando vide l’ombra liquida negli occhi di Bill. Si allungò per afferrarlo ma Bill si divincolò abilmente e sparì tra David e Saki prima che uno potesse caricarselo in auto e portarlo di filata a fare altre intervista e l’altro gli facesse scudo da qualunque persona volesse saltargli addosso.
”Ma dove sta andando tuo fratello?” Chiese David, tra lo sconvolto e l’ansiolitico.
“Non ne ho idea.”
David lo indicò con il dito curatissimo. “Riportamelo indietro entro cinque minuti, o vi vendo entrambi al primo circo che incontriamo sulla strada,” esclamò in un sibilo, prima di voltarsi e sorridere amabile a chissà quale pezzo grosso di chissà quale giornale che avrebbe pagato chissà quale cifra per il sorriso dei suoi gemelli in prima pagina.

*

Tom lo trovò che piangeva seduto sulla tazza del cesso.
In realtà non lo vide, perché la porta del bagno era chiusa, ma non faticò ad immaginarselo, con le ginocchia strette e la faccia nascosta tra le mani. Finiva sempre a chiudersi in bagno quando qualcosa non andava. “Bill?”
”Vattene via.”
Tom si ritrovò a sospirare di sollievo: almeno parlava; la fase mutismo era sicuramente la peggiore. Provò ad aprire la porta, in un ultimo impeto di speranza, ma ovviamente era chiusa a chiave.
”Fammi entrare.”
”No,” singhiozzò Bill dall’interno. “Non voglio parlare con te.”
”Non devi parlare, parlerò io.”
Lo sentì tirare su col naso, ci fu un attimo di silenzio.
”Bill…”
”Hai detto una cosa orribile.”
”E’ il bagno della hall, Bill,” esclamò il biondo. “Non posso parlare così. O mi fai entrare o esci tu.”
Uno degli ospiti dell’albergo pensò bene di scegliere quel momento per entrare nel gabinetto e Tom lo fulminò con uno sguardo assassino, costringendolo ad uscire di nuovo. “Bill?”
”No.”
”No, cosa?”
”Tutto.”
Tom espirò frustrato e appoggiò un braccio alla porta chiusa per poi nascondervi il viso. “Mi dispiace per quello che ho detto. Non lo pensavo davvero."
Tra i singhiozzi e i singulti arrivò un pigolante, "Allora perché lo hai detto?"
"Perché hai fatto quella cosa?" Chiese lui di rimando.
Ci fu silenzio per un po' e Tom si perse a guardare le mattonelle lucide del muro alla sua destra finché non sentì lo scatto della serratura. Si fece un po' indietro e aspettò che, come al solito, il musetto di suo fratello facesse capolino dallo spiraglio che sarebbe stato aperto.
"Entra," mugugnò.
"Bill, dobbiamo andare."
"Entra."
Tom obbedì e s'incuneo nello spiraglio della porta. Il bagno era più che sufficiente per contenerli entrambi; di solito i loro problemi di spazio riguardavano solo l'altezza. Bill si appoggiò al muro, a testa bassa. "Allora?" Chiese Tom.
Il volto di suo fratello si tese, impercettibilmente.
Il biondo sapeva che Bill non sopportava quella domanda quando stava male. Se il mondo lo odiava e lui stava piangendo per questo, trovava insopportabile da parte di chi veniva a consolarlo iniziare la discussione in quel modo. Bill si aspettava sempre che tutti intorno a lui avessero risposte precise alle sue domande e soluzioni perfette ai suoi problemi.
Solo che spesso i suoi problemi richiedevano uno sforzo da parte sua per essere risolti, e questo era inammissibile dal suo punto di vista.
Questo era il vero problema di Bill: l'inammissibilità delle cose; il mondo di Bill girava secondo regole che solo lui comprendeva e riteneva di poter comprendere. L'incapacità di capirlo da parte degli altri dipendeva esclusivamente dalla loro volontà di ignorare il suo dolore e dalla loro convinzione di avere ragioni che in realtà appartenevano a Bill.
Tom conosceva così bene i meccanismi mentali di suo fratello che avrebbe potuto scriverci un libro e magari aiutare altre persone, nel mondo, che dovevano sopportare gente come Bill.
"Sono un peso, davvero?" Esclamò alla fine, piano.
Tom sospirò. "No, l'ho detto solo perché mi hai fatto incazzare."
"Non so cosa mi è preso."
"Sì che lo sai, Bill."
Altro silenzio, poi Bill si asciugò le lacrime con un fazzolettino di carta tutto stropicciato."Possiamo evitare questo discorso?"
"Guardati le mani!" Esclamò Tom, indicando le sue dita che tremavano visibilmente.
"Non è niente."
Tom sbuffò. "Certo, non è niente."
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Tom sentì le dita di Bill sul viso.
Pensò di scostarsi ma, per quanto sapesse che Bill tendeva ad adagiarglisi addosso quando non sapeva come portare avanti la discussione, non riuscì a farlo perché una parte di lui gli diceva sempre che se - per una volta - Bill fosse stato sincero, allora ci sarebbe rimasto male. Piegò il viso nel palmo della mano del fratello e socchiuse gli occhi, un attimo prima che le labbra di Bill si posassero sulle sue. "Bill," mormorò.
"Hmmsi?"
"Non abbiamo tempo, David-"
"Sì," concordò Bill, stringendosi addosso a Tom. "Hai ragione, non c'è tempo."
Tom sentì la propria convinzione scivolare da qualche parte in basso, insieme al sangue. Prese il viso di Bill tra le mani mentre lo spingeva indietro fino ad appoggiarlo al muro e lo baciò sulle labbra e sul collo, perdendosi del sospiro estasiato di Bill che reclinò la testa fino a guardare il soffitto.
Il cantante lasciò scivolare la mano oltre l’elastico dei suoi giganteschi pantaloni e le sue dita fecero in tempo a sfiorare il fratello, strappandogli un gemito estasiato, prima che la voce di David invadesse il gabinetto come se il manager stesse parlando attraverso un megafono. “Bill?”
Bill ritrasse di scatto la mano, spaventato. Guardò con gli occhi sgranati il fratello e Tom gli fece cenno con la testa di rispondere. “S-sono qui.”
”Ottimo,” commentò il manager. “Qualsiasi sia il tuo problema, direi che hai fatto abbastanza la diva. Ora datti una mossa, Saki ti sta aspettando. Hai un servizio fotografico.”
Tom gli fece di nuovo cenno.
”D-d’accordo. Arrivo, dammi un secondo.”
Rimasero in ascolto per sentire i passi di David che si allontanava, ma quel suono non arrivò mai. Tipico di David rimanere finché non otteneva quello che voleva. Bill lanciò a suo fratello un’altra di quelle occhiate disperate.
Tom annuì, quindi si spostò silenziosamente di lato, sperando che David non fosse arrivato al punto di stendersi in terra per guardare sotto le porte. Si fece scivolare il fratello tra le braccia, in modo che potesse raggiungere la porta e aprirla, mentre lui si schiacciava dietro di essa.
”Alla buon’ora,” commentò David. “Pensavo che avessimo finito con questi giochetti.”
”Scusami.”
”Dov’è tuo fratello? Era venuto a cercarti,” replicò il manager mentre si allontanavano.
”E’ andato a prendermi qualcosa da bere al distributore,” rispose Bill, alzando la voce perché Tom potesse sentirlo e provvedere a reggergli il gioco. “Arriva tra un attimo.”
David però non lo stava già più ascoltando, perso nell’ennesima telefonata della giornata.

***
Erano state due settimane infernali.
David non si era trattenuto dall’essere la peggior vipera sulla faccia della terra e non aveva risparmiato loro una comparsata che fosse una; dalle trasmissioni di punta di Viva, ai programmi della domenica pomeriggio. Erano andati ovunque ci fosse un divano abbastanza largo per ospitare tutti i loro quattro micro sederi – ma anche se non c’era, di solito David si accordava per una poltrona sola, relegando Georg e Gustav in piedi come due pali della luce. E poi c’erano stati i servizi fotografici, le interviste e, per Bill, due sfilate per Dolce e Gabbana che lo avevano portato via per tre giorni di fuoco tra Parigi, Londra e New York.
La band era stremata e non avevano ancora fatto un concerto da quando Bill era tornato. Tutti i componenti temevano il giorno in cui David sarebbe salito su quel tour bus annunciando venti o trenta date consequenziali, decretando definitivamente la loro morte.
David, in effetti, sul tour bus era salito e qualcosa aveva annunciato; ma non si era parlato di concerti. Non di concerti imminenti, per lo meno. A quanto pareva la prima tappa tedesca era fissata per il mese successivo. Il giovane manager aveva gioiosamente fatto le scale di corsa, li aveva chiamati a gran voce come Biancaneve in mezzo alla foresta e loro – come gli animaletti dell’omonimo cartone animato – erano sbucati da tutte le parti per starlo a sentire. Compreso Bill che aveva fatto capolino dalla sua cuccetta, tutto spettinato, struccato e stravolto da una nottata passata a metà tra il suo letto e quello di Tom.
”Signori,” decretò con un mezzo sorriso. “Stasera siete invitati ad una festa.”
”La festa di chi?” Chiese Tom, passandosi una mano sul viso. Erano solo le undici del mattino, l’alba di un nuovo giorno! Non capiva perché fosse costretto ad emettere frasi di senso compiuto.
”E’ un party della Universal e-“
Non fece nemmeno in tempo a finire che si alzò il coro di gemiti e lamenti. I party organizzati dalla casa discografica non erano più divertenti da anni ormai. Quando erano solo dei ragazzini, sembravano una cosa fantastica; ora erano soltanto due o tre ore di noiose chiacchierate con gente ancora più noiosa su argomenti di cui non fregava niente a nessuno. In più a questo genere di ricevimenti c’erano solo persone famose e David aveva impedito loro di farsela con chiunque fosse passato anche solo una volta in televisione o alla radio.
Pertanto, tutto ciò che avrebbero potuto fare era bere, e devastarsi senza divertirsi non sembrava una bella idea quando il giorno dopo dovevano svegliarsi presto.
”Ragazzi, non vi sto chiedendo se vi va di andarci.”
”Ah, bene. Quindi significa che possiamo restare qui,” commentò sarcastico Gustav.
David gli lanciò un’occhiata talmente furiosa che il batterista fece un passo indietro. “No, Gustav. Significa che ci andrete tutti e quattro. E che sorriderete, felici di essere lì.”
I tre musicisti si lagnarono di nuovo e, stranamente, fu Bill a venirgli incontro. “Dai ragazzi, sarà divertente! Dopo due settimane di lavoro, perfino una serata in compagnia di quella gente è meglio che stare a casa no?”
”Ben detto Bill. Così mi piaci!” Commentò David. “Non sei sempre una piaga, allora!”
Bill sorrise.

***

Su quella pista da ballo, come a Monaco, non contava chi era; contava la voglia che aveva.
E al bisogno ci si piega, diceva Fabian.
Piegati Bill.

Piegati.

Doveva soltanto ricacciare tutto quanto nell’angolo più remoto di sé stesso e ingoiare.
Dolore, lacrime, regole.
Buttare giù tutto come acqua, come veleno. Aveva imparato che quello in cui aveva sempre creduto non valeva niente. C’era Tomi, certo. C’era l’amore, ma non era abbastanza.
E forse non c’era nemmeno l’amore.
Lui, Tomi, era tutto bello finché la voglia di farsi non gli mordeva lo stomaco. Finché tutto non crollava e qualcuno veniva a sapere che lui e Tomi non erano più solo adorabili fratellini.
Finché Tom non si stancava.
Il tipo gli toccò appena una spalla e gli fece cenno di seguirlo, lui sorrise.
Il sorriso era la sua carta di via.
Se sorrideva abbastanza poteva avere tutto: denaro, protezione, cibo, droga…
Il tipo fendette la folla e gli fece strada; Bill lasciò che gli afferrasse un polso e si lasciò trascinare oltre la pista da ballo, verso i bagni, senza guardarsi indietro.
A tutti piaceva stringergli i polsi, i fianchi, il viso. Bastava che sfiorassero una piccola parte di lui, che pregustassero di averne un po’ di più, perché cadessero tutti quanti ai suoi piedi.
Ma forse, questa volta, avrebbe dovuto concedersi di più.
E poteva farlo; Dio, se poteva.
Il tipo lo spinse in uno dei cubicoli e chiuse la porta dietro di sé. Lasciò scorrere le mani lungo il corpo di Bill non appena si fu girato, schiacciandolo contro il muro.
”Sai, lo dicono tutti in giro,” esclamò, con un mezzo ghigno. “Le voci su di te sono vere, dopotutto.”
Bill non rispose. Le voci non facevano del male a nessuno.
Le foto erano pericolose, David era sempre stato chiaro su questo.
David, a cui sarebbe andato bene che si scopasse chiunque purché non dovesse avere a che fare con le immagini sui giornali di pettegolezzi il giorno dopo. Fottuto, stupidissimo, David.
Di certo Tom non gliele avrebbe mai fatte le foto mentre se lo faceva.
Chissà se a David sarebbe andato bene anche l’incesto?
”Hey, bellezza, ci sei?” L’uomo aveva le mani nei suoi pantaloni e le labbra sul suo collo. La voce era sgraziata, resa roca da troppe sigarette in poco tempo.
”Ce l’hai?”
Il tipo ghignò. “Non vuoi sentire nemmeno come mi chiamo?”
”Non me ne frega un cazzo di come ti chiami. Ci mancava solo lo stronzo sentimentale,” sbottò Bill infastidito, scostandoselo di dosso con un gesto brusco. Lo spinse contro un muro. “E tieni le mani a posto.”
L’uomo alzò le mani in segno di resa. “Che caratterino… ce l’ho sì. Comunque sono Viktor.” S’infilò una mano nel risvolto del colletto e ne estrasse una bustina, che aveva un’aria fin troppo famigliare per Bill.
Qualcosa nel suo stomaco si ribaltò, sentì il polso aumentare e l’alcol che aveva bevuto gli andò tutto alla testa. Poteva essere felice per una fottuta bustina di plastica piena di merda?
Allungò una mano per afferrarla, ma Vicktor gli afferrò il polso. “Direi che stai correndo un po’ troppo, non ti pare?”
Bill liberò la presa e si portò la mano su un fianco. “Dimmi che cosa vuoi e facciamola finita, uh?”
Viktor sorrise.

Piegati Bill.

Piegati.

*


Bill sentì la porta aprirsi e si passò un dito sotto il naso velocemente.
Il sesto senso gemellare non si era mai rivelato tanto utile come in quel momento: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era una delle paternali di Tom.
Lui era un bravo fratello, ma non poteva capire.
”Bill!”
”Ciao,” gli sorrise, stappando il lucidalabbra e studiando il proprio riflesso nel grande specchio del bagno.
”Che cosa stai facendo?” Dietro alla voce ansiosa di Tom c’era una nota sorpresa. Bill sapeva che se la situazione negli ultimi tempi non fosse stata così strana e sconvolta, suo fratello se ne sarebbe uscito fuori con una risatina e una battuta. Tra l’altro, se le cose non fossero state com’erano, Tom non sarebbe mai venuto a cercarlo in bagno; sarebbe stato intento a sbattersi la prima bionda disponibile.
”Mi inciprio il naso,” commentò ironico, senza mai staccare gli occhi dalla copia di se stesso che lo fissava di rimando dal muro. Si passò il lucidalabbra e schioccò le labbra. “Tu, piuttosto?”
In quel momento, la porta del cubicolo si aprì e ne uscì Viktor, intento a chiudersi la cerniera dei pantaloni. L’uomo lanciò un’occhiata a Bill che non lo degnò della minima attenzione, come se non lo avesse mai visto.
Tom lo seguì con lo sguardo finché non fu uscito dal gabinetto. “Ti stavo cercando,” rispose sospettoso. “Dove ti eri cacciato?”
”Ero qui.”
”Tutto il tempo?”
Bill chiuse il lucidalabbra e se lo infilò in tasca, per poi tirar via le sbavature. “Ovviamente no, stupido”, sorrise dolcemente. “Ero in giro, a parlare con un po’ di gente. Lo sai che David mi vuole mondano, devo dimostrare al mondo dello spettacolo che sono di nuovo pronto a dare loro un pezzettino di me!”
Si ravvivò la frangia ed eseguì una posa teatrale per sottolineare il concetto.
Tom non sembrava convinto. “Vieni,” lo prese per un polso. “Torniamo di là. Non mi va che te ne vai in giro da solo.”
Bill si mise a ridacchiare, ma lo seguì e quando ebbero varcato le porte del bagno, guardò bene di infilargli la lingua nell’orecchio prima di miagolargli un umido, “Sei geloso, Tomi?”
Il biondo si scostò di scatto, guardandosi intorno come aspettandosi di trovare un paparazzo, già pronto con in mano la polaroid di Bill incollato a lui. Ma non c’era nessuno. “Fai attenzione!” Gli sibilò. “Non dove possono vederti.”
Bill sbatté le lunghe ciglia scure, guardandolo seriamente per un lungo istante prima che le sue labbra si aprissero nuovamente in uno di quei sorrisi strafottenti. “Vuoi portarmi in bagno come una delle tue puttanelle, Tom?”
Il chitarrista ricacciò in fondo allo stomaco la voglia di tirargli un ceffone. “Sei ubriaco,” azzardò, strattonandolo attraverso la pista da ballo.
Bill rise. “Forse”
Tom rimase in silenzio, e lo ricondusse al divanetto che lui, David e gli altri stavano condividendo. Quando ci arrivarono, David era ancora lì ma le due G si erano date alla macchia.
”Dove sono Gustav e Georg?” Chiese Tom mentre, tenendolo sempre per mano, faceva fare a Bill il giro del tavolino fino a farlo sedere. Con gli occhi gli intimò di rimanere lì dove lo aveva messo, ma Bill si limitò a sbuffare.
”Non l’ho capito, ma suppongo ci siano di mezzo delle ragazze,” commentò il manager. “Hai parlato con Peter? So che ti cercava.”
Tom scosse la testa. “No, non ho avuto modo,” rispose.
L’uomo annuì e prese un altro sorso dal suo bicchiere. “Cerca di trovare il tempo, credo che voglia farti conoscere delle persone.”
Il biondo annuì. “Vado a prendere da bere.” Quindi guardò Bill e aggiunse, “Tu resta lì.”
”Prendi da bere anche a me, allora!” Protestò Bill, tutto occhioni e luccicante broncino.
”Hai bevuto abbastanza,” commentò Tom. “Ti prendo un analcolico.”
Bill incrociò le braccia al petto e lo guardò andare via, con disappunto.
”Non dovresti farlo arrabbiare,” lo prese in giro David.
Bill si voltò verso di lui, e sorrise amorevole.
“Mi fai assaggiare quello che stai bevendo tu?”

*

“Oh, Peter!” Tom lo salutò con un cenno della testa, sperando che il produttore fosse disposto a rimandare la loro discussione ad un momento più opportuno.
Naturalmente l’uomo aveva altri piani, per cui si appoggiò al bancone del bar e fu chiaro che si aspettava lo stesso da Tom. ”Cercavo proprio te!” Esclamò, infatti.
Tom ordinò due analcolici alla fragola e incrociò le braccia sul banco. “David mi ha detto che volevi parlarmi.”
”Ti ha detto anche di cosa?” Chiese il produttore.
Tom scosse la testa. Cercò di scorgere il suo tavolo, ma da quella posizione era impossibile. Almeno duecento persone in preda alla febbre della musica anni novanta lo separavano da suo fratello.
”Si tratta di un piccolo progetto che avevo in mente per te,” spiegò Hoffmann.
”Sarebbe?” A Tom non piacevano i piccoli progetti fatti soltanto per lui. O per suo fratello; o per uno qualunque dei componenti del gruppo. Se fossero stati una grande band, con una forte cultura musicale, i lavori da solisti sarebbero stati nella norma; ma per quello che erano loro – e anche Tom ne era consapevole - qualsiasi lavoro non li comprendesse come quartetto non era un bell’affare. Sapeva di fallimento, come se la casa discografica volesse ritentare, puntando su uno soltanto di loro.
”Ho per le mani questo nuovo gruppo di ragazzine,” iniziò Hoffmann, Evidentemente aveva sperato che la notizia di quattro persone di sesso femminile bastasse a smuovere l’interesse del chitarrista; purtroppo quella non era la serata adatta perché Tom potesse cadere come una pera cotta al solo pensiero di quattro signorine. Per cui Peter fu costretto ad aggiungere altri dettagli. “Fanno rap.”
”Davvero?” Tom sollevò un sopracciglio.
L’uomo agitò una mano di fronte a sé, con noncuranza. “Più che altro muovono il culo, ma ho dei tecnici che stanno campionando il loro primo singolo proprio in questo momento,” rispose. “Comunque, ho pensato che per le Killa Babes sarebbe un gran bel biglietto da visita essere portate a battesimo da Tom Kaulitz.”
”Killa Babes?” Commentò scettico il biondo.
“Sul nome ci stiamo ancora lavorando,” si giustificò Peter. “Sono cinque, comunque. Una rossa, una mora, una bionda, una con i capelli rosa e l’altra li ha verde acido.”
”Io non faccio rap, Peter,” gli fece notare Tom. Arrivarono i suoi analcolici. “Perché non chiedi a Bushido?”
”Troppo divario di età,” l’uomo scosse la testa. “Queste hanno quindici anni.”
”Sì, ma io cosa c’entro?” Tom continuava a guardarsi indietro. Voleva tornare da Bill, non si fidava a lasciarlo solo quando era in quello stato.
”Tutti conoscono Tom Kaulitz,” spiegò Peter. “Se dici che le Killa Babes sono forti, finiranno con l’esserlo davvero. Hanno solo bisogno di una spinta.”
Tom espirò, esasperato. “Non so nemmeno chi sono, queste!”
”Farò in modo che tu le conosca,” promise l’uomo. “Anche approfonditamente, se vuoi.”
Lo sguardo allusivo negli occhi del produttore, non gli piacque per niente. Che cosa si era perso nell’ultima settimana? Da quando erano passati dall’essere quattro adolescenti da spremere come olive, a ingranaggi attivi del sistema che potevano essere comprati con il sesso? Si stava facendo schifo da solo. “Peter, non ho bisogno di certe cose,” commentò.
”Certo che no, ma a chi non piacciono? Sei diventato grande ormai,” gli fece l’occhiolino.
”Non lo so, ci devo pensare.”
”D’accordo, pensaci.” Peter annuì, con aria comprensiva. “Questa potrebbe essere un’occasione per uscire dall’ombra di tuo fratello.”
Tom gli lanciò un’occhiata quasi rabbiosa. Non c’era nessuna ombra di Bill da cui volesse uscire, e se qualcuno la pensava diversamente, non era un problema suo. Recuperò i due bicchieri con un gesto secco e si allontanò senza salutare.
Fanculo, Peter.

*

Quando raggiunse il tavolo, i bicchieri gli scivolarono di mano e caddero a terra.
Bill era estremamente impegnato ad intrattenere David, infilandogli quattro metri di lingua in gola. Il loro manager, non aveva trovato niente di meglio da fare che palpare suo fratello, come se entrambe le cose fossero assolutamente normali.
Forse era la sicurezza con cui suo fratello si era spalmato addosso a David e lo accarezzava sotto la maglia, ma Tom sapeva, con assoluta certezza, che l’iniziativa non era stata del manager.
Non voleva che la gente intorno si rendesse conto di quello che stava succedendo. Se per miracolo divino nessuno aveva visto Bill strusciarsi mugolando contro il proprio giovane manager, forse era meglio non attirare l’attenzione generale picchiando i due deficienti di fronte a tutti.
”Bill!” Sibilò, quindi, avventandosi sui due che erano distesi sul divanetto.
David trasalì, risvegliandosi finalmente dal torpore inebetito in cui era scivolato, ma Bill non fece una piega. Si fermò a metà di un bacio e rimase fermo, la testa girata di tre quarti, come la iena sulla carcassa di un animale abbattuto. Furono i suoi occhi semi-aperti che lo prendevano in giro, a costringere Tom ad afferrarlo per un braccio e tirarlo via da David con uno strattone. “Che cazzo stai facendo?”
”Tom, calmati,” intervenne l’uomo.
”Tu stai zitto!” Replicò Tom, indicandolo di scatto, prima di tornare a guardare suo fratello.
David aprì la bocca e la richiuse, ancora un po' confuso.
"Calmati Tomi," sorrise angelico Bill. "Ci stavamo solo divertendo."
"Ti ha dato di volta il cervello per caso?"
"Non essere geloso! Vuoi che baci anche te?" Chiese il cantante, gettandogli le braccia al collo e guardando le sue labbra con fare interessato. "E' questo che vuoi?"
"Tom forse sarebbe il caso che..." tentò nuovamente David.
Il chitarrista tornò ad indicarlo mentre cercava di non farsi baciare da Bill. "Tieni chiusa quella bocca," gli sibilò incattivito. "Con te faccio i conti dopo."
Afferrò suo fratello per un polso e se lo trascinò via. Bill ridacchiò e agitò l'indice in direzione di David, tutto compunto. "Con te fà i conti dopo! Così impari a toccarmi il culo!"
"Vieni via!" Tom lo condusse fuori dalla calca della pista da ballo e lo sbatacchiò contro un muro senza tante cerimonie. "Che cos'hai bevuto?" Gli chiese, diretto.
Bill si staccò dal muro e cercò di spalmarglisi addosso ma Tom lo risbattè indietro.
"Che cos'hai bevuto Bill?"
Il moro rise. "Niente!" Rispose. Aprì la bocca in faccia a Tom. "Senti!"
Tom si ritrovò a scostarsi di scatto ma, in effetti, l’alito di suo fratello non era così alcolico come si aspettava. Qualcosa aveva bevuto ma non era abbastanza per giustificare un comportamento del genere: per quanto fosse magro, Bill reggeva esattamente quanto lui. Bere, possibilmente cocktail con nomi molto scenici, faceva parte del suo essere clamorosamente diva.
”Aaaaaaaaaaah,” Bill continuava ad avvicinargli la bocca al viso. “Visto?”
Tom lo scostò e il fratello rise. “Non ho bevuto! Non sono ubriaco!”
Il rasta rimase ad osservarlo mentre Bill rideva e gli gettava le braccia al collo, schiacciando il naso contro il suo. “Bill non ha bevuto, si merita un premio…” gli sussurrò in faccia il moro, per poi tirare su col naso.
Tom assottigliò gli occhi. Lo sguardo gli cadde sulle pupille dilatate di Bill, sul rossore intorno alle sue narici. Lo allontanò con forza, fino a sbatterlo di nuovo contro il muro. “Ti sei fatto di nuovo?” Lo accusò.
Bill tirò di nuovo su col naso. “Tomi, dai,” si lamentò, cercando di raggiungerlo di nuovo ma Tom lo teneva fermo contro il muro.
”Rispondimi”
Bill rimase in silenzio. Espirò infastidito e guardò altrove come se stesse aspettando soltanto che Tom finisse di fargli la ramanzina per potersene andare.
”Bill!” Tom lo minacciò con una scrollata.
”Che cosa vuoi?”
”Ti sei fatto di nuovo?” Chiese Tom, ancora una volta.
Bill incrociò le braccia e si rifiutò di rispondere, il che era già di per se una risposta sufficiente.
Tom batté entrambi i pugni sul muro sul muro, a poca distanza dalla sua testa. “PORCA PUTTANA!” Sbraitò, facendolo sussultare. Bill si strinse tra le braccia coprendosi le orecchie. “PORCA, STRAMALEDETTA PUTTANA! Si può sapere che cosa cazzo ti passa per il cervello Bill?”
”Non urlare”
“Non urlare? Dopo settimane passate a vomitare anche l’anima tu vieni qui e ti fai di nuovo come se niente fosse e io non dovrei urlare?”
Bill lanciò un’occhiata alle due persone che stavano passando alle spalle di Tom. Entrambi i gemelli si zittirono finché non rimasero di nuovo soli. “E’ stato solo una volta,” si giustificò il moro a voce più bassa.
”Certo! Solo una volta! E domani? Verrai a piangere da me dicendo che stai male!”
”Non lo farò, Tom… è stata solo una cosa piccola e-“
”CAZZATE!” Gli urlò il biondo direttamente in faccia. “SONO SOLO CAZZATE. E lo sai. E non sopporto che tu stia qui a vendermele facendo finta di crederci!”
”Tom..”
”No!” Tom scosse la testa e si staccò da lui con un gesto di stizza. “Sai cosa ti dico Bill? Fai quello che ti pare. Drogati, scopati David… non m’interessa! Io me ne lavo le mani.”
Tom gli lanciò un’occhiata che conteneva tutta la sua delusione, quindi si allontanò tra la folla, diretto all’auto e a Saki che lo avrebbe riportato in albergo.

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