Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
03. By your side

Quando riaprì gli occhi, quello che vide fu un soffitto bianco e una luce al neon lattiginosa.
Ci volle qualche secondo prima che si ricordasse che cos'era successo: era stato investito da un'auto e la sua guardia del corpo aveva chiamato l'ambulanza. Ricordava vagamente di essere stato messo su una barella, ma faticava a rimettere insieme il resto dei pezzi. Ad un certo punto si era addormentato e prima un'infermiera lo aveva collegato ad un aggeggio per monitorare i battiti del cuore. Fico! Non era mai finito attaccato ad una macchina, prima. A dirla tutta, non era mai stato ricoverato per quanto potesse ricordare. Si era rotto il braccio destro un paio di volte, e un piede una volta ma non era stato più in là del pronto soccorso.
Bill invece era stato operato di tonsille ed era rimasto in ospedale tre giorni, facendone una tragedia. Ogni volta che l'argomento saltava fuori sembrava che lo avessero ricoverato in stadio terminale, perchè lo descriveva come un episodio estremamente drammatico. Ne aveva fatti di capricci in effetti: compreso il pretendere che fosse Tom a fargli la notte e che rimanesse lì accanto al suo letto.
La macchina continuava a bippare fastidiosamente. "E' proprio necessario che quel trabiccolo faccia tutto quel casino?" si lamentò con nessuno in particolare. Cercò di muovere il braccio ma l'ago della flebo gli tirò la pelle. Si voltò piano ad osservare il piccolo tubo trasparente che dalla sacca in alto arrivava fino al suo braccio. "Che roba è?"
"Antidolorifici" rispose Saki.
Tom rimase sorpreso di sentire la voce della guardia del corpo. Aveva fatto quelle domande ma non aveva ancora ben realizzato nè di essere sveglio nè di chi o cosa ci fosse nella stanza. "Saki?"
L'uomo si alzò dalla sedia accanto al letto e gli sorrise, anche se Tom non faticava a vedere l'aria di disappunto nei suo occhi. "Come ti senti?"
"Stordito" rispose il chitarrista. Fece una smorfia, aveva la gola secca. "Che ore sono?"
Saki fu pronto a versargli da bere. "Sono quasi le due. Non preoccuparti, dormi soltanto da un paio d'ore"
L'uomo lo osservò bere in silenzio, quindi riprese il bicchiere quando Tom glielo restituì vuoto. "Mi spieghi cosa ti è passato per la testa stavolta? Poteva andar male, lo sai?"
"Non potremmo rimandare le ramanzine a quando mi ricorderò per lo meno come mi chiamo?"
Saki gli risistemò i cuscini e lo aiutò a mettersi seduto. "Forse vuoi farlo sapere a me, prima che David torni a vedere come stai" gli suggerì.
Tom sembrò riprendersi tutto d'un colpo. "David è qui?" chiese allarmato. Il manager lo avrebbe fatto fuori, stavolta, era sicuro. Il cantante sparito e il chitarrista sotto una macchina, il sogno di ogni casa di produzione musicale. "Perchè lo hai avvertito?"
"Perchè sarebbe stato un po' difficile tenerglielo nascosto. Vogliono tenerti qui in osservazione" rispose Saki. "Allora? Cosa ti è preso?"
"Dov'è adesso?"
"Chi?"
"David!"
Saki si sedette di nuovo e si appoggiò allo schienale. "E' con tua madre. Quando ha saputo che eri all'ospedale ha avuto un mancamento. Sta bene, tranquillo" si affrettò ad aggiungere. "L'hanno solo fatta stendere. Sei a posto o vuoi che risponda a qualche altra domanda prima che tu risponda alla mia?"
Tom borbottò qualcosa e volse gli occhi al cielo. "Non ho visto la strada, Saki. Tutto qui"
"La strada era sempre stata lì, eri tu che non c'eri con la testa. Vorrei sapere perchè sei corso fuori a quel modo e perchè stavi piangendo" specificò l'uomo.
"Io non stavo affatto piangendo!" scattò subito il ragazzino, ma poi altri frammenti gli ritornarono alla mente. Aveva sentito il viso bagnarsi, aveva pensato al sangue ma erano lacrime.
Saki lo stava ancora guardando, in attesa. "Ero arrabbiato, per via di Bill..."
"Deve mancarti molto" commentò Saki. Che ricordasse, Tom e Bill non si erano mai divisi per più di una settimana e immaginava che ora il ragazzino si sentisse particolarmente solo. Inoltre, se in qualche caso Tom si era allontanto per i fatti suoi per qualche giorno, Bill difficilmente si staccava dal fratello. Il rapporto che aveva con Tom era pericolosamente simbiotico, dal suo punto di vista.
"Non è solo questo Saki. E che mi sembra che non si stiano sforzando per niente. Sembra quasi che...." Tom si fissò le mani, cercando le parole "... insomma, che per loro sia passato già troppo tempo...."
"Non è così" lo interruppe Saki, deciso. "Ti assicuro che la polizia sta facendo tutto il possibile. Tua madre e il tuo patrigno hanno perfino assunto un detective privato. E' solo una questione di tempo. Se ti sembra che nessuno ne parli abbastanza è perchè stanno cercando di non farlo sapere alla stampa"
"E se..." Tom si morse un labbro, tentando di trattenere di nuovo le lacrime. Odiava piangere, maledizione. "... Saki, se gli fosse successo qualcosa?"
"Lo avremmo saputo, in qualche modo" rispose Saki, sinceramente. "Le cose brutte finiscono sempre per saltar fuori"
Tom continuava a guardarsi le mani. La cosa che lo preoccupava di più, a dire il vero, era che Bill non si fosse fatto sentire con nessuno di loro. Poteva capire e giustificare se non voleva più parlare con lui, ma gli altri? La sua carriera? I Tokio Hotel erano la cosa a cui teneva di più: Tom si rifiutava di credere che ci avesse rinunciato così. E l'unico motivo che riuscisse a concepire per questo silenzio era che Bill non avesse più modo di mettersi in contatto, che fosse......
Non riusciva nemmeno a dirla quella parola. E ogni volta che ci pensava, si ricordava che era lui il motivo per cui Bill se n'era andato.
"Saki..." mormorò, la voce era solo un sussurro.
"Dimmi"
"E' stata colpa mia" Tom non voleva alzare lo sguardo. "Se n'è andato perchè lui si è-"
Il suo cellulare prese a squillare. L'ultima canzone di 50Cents quasi lo fece trasalire, la suoneria sembrava fuori luogo in quella stanza di ospedale. Tom guardò il display, non riconosceva il numero. "Pronto?"
"....."
"Pronto? Chi parla?"
"...." dall'altra parte solo il respiro lento e regolare di qualcuno.
Tom s'innervosì quasi subito. "Ti avverto che se è uno scherzo non fa ridere". Saki, di fianco al letto, tese le orecchie.
"Volevo solo sentire la tua voce"
Tom sgranò gli occhi. "Bill?" chiese, ma non aveva bisogno di risposte. Avrebbe riconosciuto la voce di suo fratello in mezzo a milioni di altre. "Bill! Dove sei?"
Ci fu ancora una pausa, questa volta la voce tremò leggermente. "Stai bene, vero?"
"Sì... Bill ma che cos'hai?"
"Ti ho sentito stanotte. Io..." tentennò ancora "... un altro di quei presentimenti sai.."
Il cuore di Tom aveva preso a battere forte. La mancanza di suo fratello, che era stata così palese nelle ultime settimane, all'improvviso divenne ancora più dolorosa. Sentendone la voce, gli sembrava di averlo di nuovo lì vicino eppure non poteva toccarlo. Non sapeva nemmeno dov'era. Avrebbe voluto poter allungare il braccio e tirarlo fuori dalla cornetta. "Ho avuto un piccolo incidente, ma niente di serio" specificò. "Sono ancora tutto intero"
"Bene. Io, dovevo saperlo" la voce di Bill era sempre più flebile.
"Bill, ti prego. Dimmi dove sei che ti vengo a prendere"
All'altro capo del telefono Bill rimase in silenzio.
"Bill?"
"Io devo andare ora" mormorò il cantante.
"No, Bill aspetta! Io..." Tom era disperato. "... mi manchi."
Qualche secondo di silenzio, poi il rumore del suo gemello che metteva giù.

"Tutto bene?" la voce di Fabian arrivò all'improvviso, come se Bill si fosse nuovamente dimenticato della sua presenza.
Bill era immobile. Si stringeva la cornetta sulla bocca, reggendola con entrambe le mani e fissava il pavimento di fronte a lui. Un tremore leggero lo stava scuotendo da capo a piedi, come se avesse la febbre. Fabian gli toccò la spalla leggermente e Bill trasalì, voltandosi. Lo guardò con gli occhi sgranati, stupito.
"René?"
"Hm?"
"Chi era al telefono?"
Bill scosse la testa, lentamente. "Nessuno" mormorò. "Era... dovevo soltanto fare questa telefonata. Ora è tutto a posto"
Fabian annuì, come se questa risposta fosse tutto ciò di cui aveva bisogno per avere la coscienza a posto. "Meglio così. Io adesso devo andare" annunciò entrando in bagno. "Devo vedermi con alcune persone per una questione di lavoro"
Bill annuì vagamente. Conosceva le riunioni di lavoro di Fabian: nella migliore delle ipotesi sarebbe tornato completamente fatto, in quelle peggiori anche ubriaco.
In certe occasioni era così difficile impedirgli di saltargli addosso che di solito Bill faceva in modo di sparire dalla circolazione finchè Fabian non era crollato dal sonno.
"Se vuoi puoi restare qui" stava dicendo il ragazzo, superando il rumore della doccia.
Bill annuì di nuovo, ma senza una parola. Quella era un'offerta ironica, in quale altro posto avrebbe potuto andare? Lì a Monaco non conosceva nessuno e se si fosse arrischiato a prelevare dei soldi o a registrarsi in qualche albergo sicuramente la produzione lo avrebbe scoperto nel giro di qualche ora. Era certo di non poter più mettere piedi fuori dal locale senza che qualcuno fosse già pronto ad indicarlo urlando il suo nome e a telefonare a casa. Così passava il suo tempo tra l'appartamento di Fabian e il locale appena più sotto.
Lui e Fabian si erano incontrati per caso, tre giorni dopo la sua fuga dall'albergo. Bill non si era azzardato a prendere una camera d'albergo e aveva dormito dove capitava, avvolto nei suoi vestiti e col cappuccio della tuta calcato bene sugli occhi in modo che nessuno lo riconoscesse. Per passare meno tempo possibile in strada si era risolto con il rintanarsi in qualche locale dall'ora di apertura fino a che questo non chiudeva. Ed era stato in uno di quei posti che aveva incontrato Fabian.
Bill ricordava di essere stato in condizioni impresentabili in quel momento. Struccato, spettinato e sporco doveva avergli fatto tenerezza, come un cucciolo o qualcosa del genere.
La cosa che più gli piaceva di Fabian è che non faceva mai domande; non gli importava sapere da dove venisse o il perchè ne fosse fuggito e il silenzio sull'intera faccenda era l'unica cosa di cui Bill avesse realmente bisogno in quel momento.
Erano rimasti a Berlino una sola settimana, poi Bill aveva iniziato a diventare paranoico: gli sembrava che qualsiasi poliziotto stesse guardando lui. Tom non faceva nient'altro che telefonargli in continuazione: se spegneva il telefono, quando lo riaccendeva c'erano 40 o 50 chiamate. Si era sentito soffocare e aveva pensato che andarsene definitivamente fosse la soluzione. Così Fabian lo aveva portato con sè a Monaco, dove possedeva un locale.
A Monaco era arrivata anche la droga. Farsi di cocaina e di qualsiasi altra cosa passasse il convento non era mai stato nei piani di Bill, in effetti, ma era diventato un buon modo per ignorare le chiamate di suo fratello e quel dolore intenso, giù in fondo allo stomaco, che lo mordeva ogni volta che il display gli mostrava il suo nome. Così, la presenza di Fabian gli era diventata sempre più necessaria. In un certo qual modo astratto, forse, stavano insieme. Bill non lo sapeva con certezza. Essere baciato e accarezzato era confortante. C'era... qualcosa tra loro. Una certa chimica, ecco: ma Bill non aveva mai sentito nient'altro con lui. E non aveva mai voluto spingersi oltre, anche se tenere a bada Fabian stava diventando sempre più complicato.
Registrò a malapena l'altro ragazzo che si vestiva e usciva di casa con un cenno di saluto. Si portò in cucina e mise insieme la colazione con gesti automatici: la voce di suo fratello gli rimbombava ancora nelle orecchie e nel cervello. Ci aveva messo settimane a riporre tutti i ricordi di Tom in un angolino del suo cervello ed era bastata la semplice voce a farli tornare tutti a galla.
Sospirò, non sarebbe mai andato abbastanza lontano per sfuggire a Tom.

Tom aveva provato a richiamare quel numero, ma la linea era sempre occupata così era rimasta una sola cosa da fare.
"Capisco quanto tu sia preoccupato, ma non posso farlo Tom" Saki sembrava irremovibile. "Daremo il numero alla polizia e loro se ne occuperanno"
"Ho sentito la sua voce. C'è qualcosa che non va. Voglio andarci io!"
Saki era un uomo paziente. Dovevi essere un uomo paziente quando passavi metà del tempo ad arginare la pubertà di due ragazzini e l'altra metà a tenere a freno milioni di ragazze il cui unico sogno è saltar loro addosso. La pazienza era un requisito fondamentale, a meno che non volessi farti mettere dentro per percosse su minore. "Bill potrebbe trovarsi in una situazione particolare che non puoi controllare. Lascia fare a chi--"
"Non capisci, è lui che me lo ha chiesto!" insistette Tom.
"Questo non lo avevi menzionato nel tuo riassunto"
"Non a parole! Lui... è difficile da spiegare, io l'ho sentito! Ecco" Tom continuava ad agitare le braccia, come se potessero aiutarlo a spiegarsi. "E' nel modo in cui mi ha parlato. Saki, devi credermi io so che me lo ha chiesto"
Saki lo guardò molto intensamente. Durante tutto l'arco della giornata, Bill era in grado di sparare le più grandi cazzate e di fartele passare anche per vere. Ma Tom, no. Fra i due gemelli era quello più sincero. Non era assolutamente capace delle manipolazioni in cui suo fratello era diventato così abile. "Io ti credo, Tom, ma non posso lasciarti fare una cosa del genere. Non saprei cosa dire ai tuoi e se te ne vai anche tu, finirà che mi licenziano"
"Hai detto che è il prefisso di Monaco, no?" le rotelline di Tom stavano già girando in maniera vorticosa e, per la foga, aveva pure scostato le coperte ed era quasi già sceso dal letto. "Non è molto distante. Posso prendere un aereo. Tra andare e tornare, più il tempo per trovarlo... posso cavarmela in tre giorni".
"Tom, per cortesia..."
Il chitarrista scese dal letto, incurante del pavimento gelido sotto ai piedi nudi. Il piagiama - oversize anche quello - sembrava averlo inglobato. "Dirò che sono andato da Andreas per il week-end, lui mi coprirà sicuramente"
Saki avrebbe voluto fare un altro tentativo per farlo desistere, ma in quel momento David e Simone entrarono nella stanza, urlando all'unisono non appena videro Tom in piedi.
"Perchè non sei a letto?"
"Per l'amor di Dio, Tom, stenditi immediatamente!"
Tom sgranò gli occhi, sentendosi investito da tutto quel vociare. "Stavo solo facendo due passi!"
"Hai avuto un incidente!" ululò sua madre.
"Sì, ma non sono morto" puntualizzò lui.
David lo tirò su di peso (tanto pesava al massimo due chili in più di quell'altro!) e lo coprì fin sotto il naso con il lenzuolo. "Ci manca solo che ti venga l'influenza!" sbottò. L'incidente doveva essere stata la goccia che fà traboccare il vaso anche per lui.
"Ma sto bene!"
"Ti hanno investito!" ripetè sua madre.
Tom roteò gli occhi al cielo. "Lo so mamma, ero lì"
David lo fulminò con lo sguardo. "Fai meno lo spiritoso" lo riprese. "Sai che poteva finire male?"
"Sì, Saki me ne ha parlato"
"Tra te e Bill non so chi mi sta facendo impazzire di più" si lamentò il manager. Poi osservò la guardia del corpo che era ancora seduta sulla sua sedia. "Nessuno dei tuoi ha avuto notizie?"
Saki era in contatto con altre agenzie che si stavano occupando della faccenda. Era un uomo di cui David si fidava al 100% e potergli affidare parte di quel peso gli rendeva la cosa più facile.
Tom si voltò verso Saki e lo guardò così intensamente che la guardia del corpo fu costretta a guardare altrove. Ci fu un attimo di tensione, che soltanto i due interessati percepirono.
"No, nessuna" disse alla fine Saki. Tom gli sorrise.


Bill era ancora al tavolo di cucina quando sentì nuovamente dei rumori all'entrata, si chiese se Fabian avesse dimenticato qualcosa.
"Fabian? E' permesso?" era la voce di una ragazza.
Bill si affacciò lentamente sul salotto, scrutando la porta che si apriva. Per qualche inesplicabile motivo, trattenne il respiro.
"Fabian?" ripetè la ragazza. "Sono io, Claudien"
"Non c'è" esclamò Bill, dal suo angolino. "E' uscito"
Claudien si voltò di scatto, sorpresa che ci fosse qualcun altro e faticò a scorgere Bill, ancora semi-nascosto dal muro dietro al quale faceva capolino. "Tu sei Renè, giusto?"
Bill annuì, la brioche ancora in mano. Gli occhi, struccati, sembravano enormi. Claudien trovò che avesse un'aria smarrita e gli sorrise. "Ci siamo visti ieri sera. Io sono..."
"La ragazza che era con Lukas. Sì, mi ricordo"
Bill aveva ricordi confusi della serata, ma poteva più o meno inquadrare il momento in cui lui e Claudien si erano incrociati. Lukas era più interessato a lui che a lei, in realtà, ma non gli sembrò il caso di farlo notare. E ad ogni modo, Claudien doveva saperlo: la pagavano per sculettare accanto a uomini d'affari pieni di soldi, probabilmente le importava poco di che orientamento fossero.
Vedendo che Bill non accennava a proseguire la conversazione, Claudien si strinse nelle spalle. "Beh visto che Fabian non c'è, me ne vado e ti lascio in pace" annunciò. "Dovevo soltanto dirgli un cosa, ma niente d'importante. Posso dirgliela anche in un altro momento"
"No, resta" Bill abbassò lo sguardo. "Cioè, se non hai niente da fare, dico. Non mi dai fastidio"
"Okay" Claudien si chiuse la porta alle spalle e si guardò intorno. Le valigie di Bill erano ancora in mezzo al salotto. "Tu vivi qui?"
Bill annuì, lasciando andare su una delle poltrone come se tutte le ossa gli fossero scomparse e fosse soltanto un mucchietto di pelle morbida. Fece cenno alla ragazza di fare lo stesso.
"Da quanto lavori per Fabian?"
Il cantante ci mise un po' a realizzare la domanda e quando lo fece, la guardò scandalizzato. "Io non lavoro per lui"
"Ah no?"
"No!" protestò indignato. "Lui mi ha dato una mano, ecco"
Lei lo guardò poco convinta, ma si strinse nelle spalle. "Se lo dici tu. E il tuo nome? Come mai lo hai scelto?"
"E' il mio" sparò subito Bill.
"Nessuno in questo posto ha il suo vero nome, Renè" lo rimbeccò subito la ragazza. "Ma capisco che forse non ne vuoi parlare. Va bene così."
Fra i due scese il silenzio. Bill la guardava diffidente, come se sospettasse che lei fosse in grado di leggergli nella testa. Claudien, al contrario era molto serena.
Bill non capiva perchè l'avesse invitata a rimanere: forse la prospettiva di passare un'altra giornata da solo - dopo tre settimane di quasi totale solitudine - lo avevano portato sull'orlo del suicidio. Un pochettino, forse. Oppure la telefonata a Tom gli aveva ricordato che nella sua vita non c'era mai stato un istante in cui fosse stato veramente, completamente, inequivocabilmente solo. Da quando era nato, in effetti, aveva sempre avuto l'ombra rassicurante del suo gemello. E se lui non c'era, c'era la band. Lui, solo lui, sempre lui. Certo, ma con alle spalle decine di persone che non lo lasciavano mai da solo. E tra tutta quella gente, la figura di suo fratello sembrava quasi brillare. In quell'istante si rese conto che a farlo soffrire più di ogni altra cosa non era che Tom non ricambiasse i suoi sentimenti, ma che lui fosse costretto a fare a meno di suo fratello per non essere devastato da quegli stessi sentimenti. Gli sembrava così ingiusto che oltre a non poter avere il suo amore, non potesse più averne neanche l'amicizia. Che se qualcosa era andata storta, doveva rinunciare anche a tutto il resto per non essere schiacciato dal dolore.
Fu mentre quella rivelazione lo colpiva in pieno come un ceffone che il telefono squillò per la milionesima volta. Il nome << Tomi >> richiamava prepotentemente la sua attenzione sul display. Più tentava di ignorare la suoneria, più questa sembrava farsi più forte.
"Non rispondi?" Gli chiese Claudien.
Bill scosse la testa e con un gesto secco rifiutò la telefonata. "E' soltanto uno che continua a sbagliare numero. Sono ore che prova a chiamare"
Claudien scrutò ogni centimetro del suo viso e, ancora una volta, Bill ebbe l'impressione che lei riuscisse a leggerlo come un libro aperto. Abbassò lo sguardo e sbuffò. "Che cos'hai da guardarmi a quel modo?" sibilò, infastidito.
"Cercavo di capire perchè fossi tanto arrabbiato"
"Io non sono arrabbiato"
Claudien sorrise. "Non sei il primo che passa da queste parti, lo sai?" gli fece notare. "Forse abbiamo la stessa età, ma tu di questo posto non ne sai un bel niente. Sono quelli come te e come me che finiscono qui, quelli che si sono lasciati qualcosa alle spalle"
Bill si alzò di scatto, fingendosi totalmente disinteressato all'intero discorso. "Ne parli come se fosse l'Inferno, Claudien. E' solo un locale"
"No, non lo è. E lo sai anche tu." insistette lei. "Non so cosa tu voglia dimenticare, ma certo è questo il motivo per cui ti annebbi il cervello ogni sera. Vuoi annullarti. Anche io ero come te"
"E tu cosa volevi dimenticare?" la incalzò Bill, con cattiveria. Non gli erano mai piaciute le ramanzine. David aveva provato a riprenderlo un paio di volte e poi ci aveva rinunciato perchè Bill si metteva ad urlare isterico e poi farlo lavorare diventava impossibile. Odiava sbagliare qualcosa e se qualcuno glielo faceva notare, allora sì che erano guai.
"Me stessa e quello che ero" rispose lei, stringendosi nelle spalle. "Il punto è che puoi dimenticare tutto e tutti, tranne l'immagine che si riflette nello specchio"
Bill rimase immobile e fissò gli occhi nei suoi. Lui voleva dimenticare qualcuno, sì, ma anche se stesso. Era ironico che nel suo caso entrambe le persone condividessero lo stesso riflesso.

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