Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
14. You don't care about us
Bill aveva avuto una crisi.
Era stato tremendo all’inizio e Tom aveva avuto paura: di non farcela, di perderlo, di fargli ancora più male. C’era stato un momento durante la notte in cui era convinto che non potesse finire bene. Forse, quando il sole sarebbe sorto, avrebbero trovato suo fratello in terra agonizzante e lui così spaventato da non ricordarsi neanche il suo nome. E poi c’era stato l’orgoglio di gemello: lui doveva poter fare qualcosa per Bill, era la sua metà. Nessuno su quel fottuto pianeta conosceva suo fratello meglio di lui.
Questo doveva pur significare qualcosa.
Poi la crisi era passata e di lei, nel corpo e nella mente di Bill, non era rimasta più traccia.
Tom aveva ormai imparato che il dolore di Bill non aveva memoria e che lui era il solo, in quella casa, che ad ogni nuova crisi, si ricordava di quanto suo fratello avesse sofferto la volta precedente.
Per Bill il dolore era sempre il più forte mai avuto, il bisogno più impellente, la disperazione massima.
E ogni nuova ondata di quello schifo portava con sé un nuovo cambio d’umore.
La dolcezza di suo fratello ormai non faceva capolino che poche volte.
Più passava il tempo, e meno sembrava restare di lui. Ondeggiava tra picchi di gioia assurda in cui ogni cosa sembrava meravigliosa e baratri di disperazione in cui piangeva sconvolto rannicchiandosi in posizione fetale e rifiutando qualsiasi tipo d'aiuto fino a portarlo all'esasperazione.
Tom non aveva idea di come entrare in contatto con lui, se non fisicamente.
Se non stringendolo forte a sé e sperando che questo fosse sufficiente.
La speranza non poteva ripulirgli l’organismo, ma forse poteva aiutarlo a credere di potercela fare.
In tutto questo, non avevano mai parlato di cocaina. Tom sentiva di dover affrontare l'argomento, ma non riusciva a trovare il modo di farlo. Quando Bill era tranquillo gli sembrava fuori luogo e quando Bill non lo era, diventava impossibile parlarci. Eppure c'erano cose che doveva sapere.
Se ne sentisse ancora il bisogno, ad esempio.
Questa era una cosa che lo stava tormentando da parecchio, ormai, ed era quasi convinto che il vagolare senza sosta di Bill per tutta la casa fosse seriamente legato alla faccenda.
Tom sospirò, seduto sul rientro della finestra con la sua decima tazza di caffè.
Era uno di quei momenti in cui Bill era intrattabile.
"Bill, ti prego vuoi sederti?" Esclamò alla fine, sollevando la testa dal libro che si era costretto a leggere per fare finta di non vedere suo fratello agitarsi e dover interagire con lui. Aveva bisogno di staccare il cervello di tanto in tanto e poi, assecondarlo ogni volta che se ne saltava fuori con una nuova paranoia era improponibile.
"Sono stanco di starmene chiuso in casa," protestò il moro, fermandosi in mezzo alla stanza e mettendosi le mani sui fianchi. "Non ne posso più. Mi annoio."
"Siamo usciti ieri a fare una passeggiata," gli fece notare Tom. "Non è che ci sia granché da fare a Magdeburg, ti ricordo."
E poi, sinceramente, non voleva ripetere l'esperienza di dover trascinare via suo fratello scoppiato improvvisamente in lacrime che urlava in mezzo alla gente.
Era stato imbarazzante, nonché estremamente destabilizzante.
Il moro emise un suono infastidito, quella specie di sibilo che doveva sottolineare il suo assoluto disappunto riguardo a ciò che aveva appena udito. "Io intendevo la sera, Tomi" commentò, come se stesse spiegando la questione ad un completo idiota. "Voglio andare a ballare."
Tom chiuse lentamente il suo libro e sospirò. "Non credo che sia una buona idea"
"Oh andiamo!" Continuò Bill. C'era sempre un tono lagnoso nel suo modo di chiedere le cose, soprattutto quando si rendeva conto che suo fratello avrebbe potuto cedere se insisteva nel modo giusto. Gli si avvicinò di qualche passo e si inginocchiò di fronte a lui sul divano. "Sarà divertente!"
"Bill, seriamente. Non è il caso," provò ancora il rasta. "Se per qualche motivo ricominci a sentirti male..."
"Ma sto bene!" Lo interruppe il moro, saltellando leggermente sul posto.
"Stai bene solo da qualche ora. Non mi sembra abbastanza per-"
"Tom ti prego! Sto bene, dico sul serio!" Continuò il moro.
Tom lo guardò negli occhi, ma aveva imparato a non fidarsi della falsa sensazione di fiducia che trasmettevano. Bill era bravo a mentire e lui era così stanco che non era ben sicuro di poter vedere oltre i suoi inganni questa volta.
"Tomi..?" Tentò ancora Bill, facendosi adorabilmente dolce. "Che ne dici, eh? Soltanto qualche ora... giusto per divertirci un po'."
Tom non rispose. Bill poggiò le mani sulle sue gambe e si tirò su quel tanto che bastava per arrivare all'altezza del suo viso.
"Bill..." lo avvertì il rasta.
Suo fratello ignorò il richiamo e gli prese il viso tra le mani baciandolo lentamente, come aveva imparato a fare quando voleva qualcosa di particolare. Ci era voluto poco perchè capisse come funzionavano i bottoni di Tom.
E questo Tom ancora non lo aveva digerito.
"Non succederà niente," mormorò il moro, la lingua che accarezzava dolcemente le labbra di Tom.
"Ascolta, non..."
Bill catturò di nuovo la sua bocca e si allungò languido su di lui. Lasciò scivolare i baci sul mento e sul collo di Tom, fin sotto il lobo dell'orecchio. "Sarà divertente..." sussurrò ancora. E quelle due parole suonarono nella testa del biondo come se avessero avuto tutt'altro significato.
Avrebbe potuto staccare la spina della propria coscienza e lasciarsi andare in quel bacio, al calore del corpo di Bill contro il suo e dargliela vinta. In fondo era successo tante di quelle volte in così poco tempo che aveva decisamente perso il conto.
Bill otteneva tutto ciò che voleva in quel modo; e forse Tom avrebbe dovuto riflettere su quel comportamento ma aveva pur sempre diciotto anni e tutto quello a cui riusciva a pensare quando suo fratello gli si scioglieva languido nel letto era che non gli importava assolutamente di nient'altro, fosse andata a fuoco la casa.
Solo che uscire e andare in un locale era troppo rischioso.
Così, si sforzò di allontanarlo da sé e di fargli aprire gli occhi. "Bill, per favore," esclamò, senza farsi intenerire dal broncino che comparve sulle labbra di suo fratello. "Non farmelo ripetere."
Quando Bill si rese conto che suo fratello lo aveva detto sul serio, la sua espressione deliziosa si trasformò in una smorfia. "Tom!" Esclamò, inviperito. Quindi si tirò su in piedi di scatto e puntò un piede a terra. "Non puoi impedirmi di uscire!"
"Oh sì che posso," replicò Tom, senza nemmeno tentare con le buone. Sapeva per esperienza che quando suo fratello iniziava con quell'atteggiamento, farlo ragionare era tutto tempo sprecato.
A Bill non piaceva che qualcuno gli dicesse cosa fare. Non gli era mai piaciuto. Le sue più grandi litigate con David le aveva fatte per questo motivo. "Questo lo vedremo!" Strepitò.
Gli lanciò un'occhiata fulminante quindi si diresse a grandi passi verso la sua stanza e la sua valigia.
"Dove diavolo stai andando?" Saltò su Tom, subito dietro di lui. Dio, se odiava gli scatti isterici! Erano quelli i momenti in cui la sua prima reazione era quella di sbatterlo contro il muro e tirargliele tante e poi tante da fargli la faccia gonfia.
"Dove mi pare!" Ribatté Bill, la sua voce che schizzava di un'ottava. Spalancò la porta della stanza con stizza e si gettò con foga sulla valigia, buttando abiti da tutte le parti.
Tom lo seguì a ruota e lo afferrò per un polso. "Tu non vai da nessuna parte!"
"Prova ad impedirmelo!" Lo sfidò il moro. Cercò di liberare il braccio con uno strattone ma non ci riuscì. "Tom lasciami immediatamente!"
"No!"
"Voglio uscire!" Insistette il cantante, col tono di chi pensa che questo basti a fargli ottenere il permesso. Bill voleva e quindi otteneva, era sempre stato così in fondo.
"Non puoi fare sempre come ti pare!" replicò Tom, senza lasciare la presa. "La devi finire di comportarti in questo modo!" Lo strattonò così forte che finì per tirarlo via dalla valigia e farlo inciampare all'indietro. Bill sbatté la testa contro il muro alle sue spalle e non finì in terra solo perchè c'era Tom a reggerlo.
"AHIA!" Bill glielo urlò direttamente in faccia, con un'espressione così piena di odio da spaventarlo. "Cazzo! Mi hai fatto male!"
Tom si morse un labbro, preoccupato: non aveva avuto intenzione di reagire in quel modo. Inconsciamente gli lasciò andare il braccio e Bill se lo riprese come se gli fosse stato sottratto fino a quel momento. "Scusami, io..."
"Vaffanculo Tom!" Lo aggredì Bill, massaggiandosi il polso. E quando Tom allungò una mano per accarezzarlo si ritrasse. "NON MI TOCCARE!"
"Bill, mi dispiace!"
"No che non ti dispiace," replicò di scatto il moro. "Tu vuoi tenermi qua dentro ad ammuffire. A te non frega niente di me!"
"Adesso sono io che me ne frego?!" scattò il biondo, infastidito. "Chi è stato qui con te tutto il tempo?"
"Vuoi rinfacciarmelo? Sei meschino!" Bill si massaggiava ancora il polso, sull'orlo delle lacrime. "Lo sai che ho bisogno di uscire, lo sai! E mi hai fatto male! E adesso ti metti anche ad urlarmi contro. Io ti odio!"
"Bill piantala di dire stronzate!" Sibilò Tom. Non era più disposto a stare a sentire quelle idiozie paranoiche. Non ne poteva più di stare lì a farsi offendere gratuitamente.
"Io uscirò stasera!"
"No!" Ripeté cocciuto il biondo.
"Tom tu non puoi impedirmi di uscire!" Strepitò il cantante. "Tu non sei mia madre! Non sei nemmeno il mio ragazzo!.... Tu non sei niente!"
Qualcosa scattò nella testa di Tom e il suo cervello si spense definitivamente. Afferrò suo fratello per i polsi e lo spinse indietro, costringendolo a camminare. Bill si mise a strillare, agitandosi e minacciando di fare cose tremende ma lui non gli avrebbe permesso di fare un bel niente. "Chiudi quella cazzo di bocca, Bill!" gli ordinò, e lo costrinse sul letto salendogli sullo stomaco.
"Cosa diavolo credi di fare!?" Gli urlò Bill in faccia.
Tom gli inchiodò le braccia al materasso, guardandolo dritto negli occhi. E non c'era niente di tenero, solo il desiderio disperato di farlo stare zitto, di impedirgli di aprire ancora quella bocca e dire cattiverie. Voleva che la piantasse di fare così.
Fu il telefono a salvare lui e Bill, ad impedirgli di fare qualcosa di orribile.
Tom rimase immobile, sopra suo fratello, guardandolo con rabbia.
Lo sguardo di Bill ne conteneva altrettanta. Violenta. Incollerita. I suoi occhi erano quelli della bestia messa a terra, che non vuole arrendersi e l'idea che non avesse alcuna intenzione di ubbidirgli stava seriamente mettendo a dura prova i nervi di Tom.
Il telefono continuava a squillare.
"Forse dovresti rispondere," sibilò Bill, con un sorriso strafottente sul viso.
Tom non voleva lasciargli andare i polsi, o le gambe. Non voleva lasciarlo andare perchè potesse dichiararsi vincitore.
"Lasciami," continuò il cantante, strattonando.
Alla fine Tom fu costretto a cedere. La suoneria era quella di David e sapeva con estrema certezza che se non avesse risposto, il manager avrebbe finito per mandare qualcuno a recuperarli.
Molto lentamente, lasciò andare le braccia di Bill, mentre si portava una mano in tasca per recuperare il cellulare. "Pronto?" chiese, senza mai staccare gli occhi dal gemello.
Bill si tirò su di scatto e scalciò, disarcionandolo. Approfittò del fatto che fosse al telefono con David per gettare giù le lunghe gambe dal letto e correre via.
"Quanto ci hai messo a rispondere?" esclamò David.
"Scusa io... non trovavo il telefono" rispose piano, mentre sentiva la porta d'entrata chiudersi con un tonfo.
Era uscito.
Merda.
*
Tom aveva parlato con David, anche se non ricordava esattamente cosa si fossero detti; quello di cui era sicuro è che il manager li rivoleva indietro, ora e subito. Al più tardi, domani.
Tom ricordava di essere riuscito a convincerlo per il giorno seguente.
Poi aveva chiuso la telefonata e si era gettato all’inseguimento di suo fratello che, con sua grande sorpresa, non era andato poi molto lontano.
Una volta uscito dalla porta, Tom ci era inciampato quasi sopra.
Bill era lì, raggomitolato davanti alla porta e guardava la neve cadere sulla strada isolata.
”Bill?”
Non aveva risposto.
Tom aveva notato immediatamente il cambiamento nei suoi occhi. Avrebbe dovuto parlargli, ma non c’era riuscito. Era rimasto lì in piedi a guardare suo fratello che probabilmente era tanto dispiaciuto per quello che aveva appena detto. Lo era sempre.
Tom non aveva trovato il coraggio. Erano così rari i momenti in cui Bill era di nuovo Bill che – anche se saltavano fuori all’improvviso, quando meno ne avevi bisogno – lui non ce la faceva ad ignorarli. Così aveva fatto finta che non avessero appena litigato, che non avesse rischiato di inchiodarlo su quel letto e tirargliele come mai aveva fatto in vita sua. Aveva sospirato e gli si era seduto accanto, spiegandogli che non avevano più tempo, che David li voleva ad Amburgo entro domani.
Bill aveva annuito e si era appoggiato contro la sua spalla, senza un suono.
Tutto a posto.
Tutto passato.
Di nuovo.
*
"Tomi" Bill mugolò di nuovo. Ancora più lamentosamente.
Tom strinse la presa su di lui e cercò di abbracciarlo stretto. Gli affondò il viso nei capelli sudati e chiuse gli occhi. "Sta buono, sono qui."
Tom non riusciva più a riaddormentarsi da quando Bill si era svegliato vomitando e nel correre in bagno aveva sbattuto la testa.
Tom aveva provato a riposarsi ma non ci riusciva. E se per caso i suoi occhi si chiudevano era Bill a svegliarlo, lamentandosi perché non si sentiva bene.
"Mi sento male."
"Lo so, Bill."
Il moro si mosse, Tom serrò la presa sui suoi polsi per evitare che si agitasse. Gli scostò i capelli dal collo e lo baciò piano. "Cerca di rilassarti."
"Non passa, Tom, non passa" cantilenò Bill, rannicchiandosi tra le braccia del fratello.
"Passerà" mormorò Tom, come aveva già mormorato milioni di volte.
Nel silenzio, sentì Bill singhiozzare.
"Bill..."
"Fa male..." miagolò. "Ne ho bisogno."
Tom gli baciò una spalla nuda. Bill indossava una delle sue magliette gigantesche e nell'agitarsi, si era quasi spogliato. Stava tremando.
Il rasta aveva sperato che le crisi diminuissero e invece non facevano che peggiorare. Non si era permesso di contare quanto tempo trascorresse tra l'una e l'altra ma sospettava che i momenti i cui Bill era tranquillo fossero sempre più brevi.
"Ne ho bisogno," mormorò di nuovo Bill. Cercò di liberarsi ma Tom aveva imparato e lo teneva stretto a sé. Una parte di lui si illudeva ancora che il calore del proprio corpo potesse sedare le crisi del fratello. "Se esco forse posso trovarne un po'... solo un po'."
"Shh..." Tom faticava a tenere gli occhi aperti. Era stanco. "Va tutto bene."
"Ne ho bisogno, cazzo!"
"No"
"SI, TI DICO!" Bill sbraitò all'improvviso. Prese ad agitarsi più ferocemente. Si inarcò, facendo leva sulle gambe nel tentativo di divincolarsi dalle braccia del fratello che si piegò a riccio per assorbire le spinte. "Lasciami an..da...REEEEE!"
"Basta Bill!" Ringhiò alla fine il rasta, esasperato. Si sollevò sulle ginocchia e quando suo fratello tentò di alzarsi lo scaraventò di nuovo sul materasso e salì a cavalcioni su di lui, tenendolo inchiodato per i polsi. "Smettila! Non risolvi niente a fare così"
"IO.STO.MALE!" L'urlo gli uscì roco e soffocato. Bill si spinse in avanti, tentando di liberarsi, Tom vide le vene del suo collo tendersi disperatamente. "Sto male..."
Tom sospirò, guardandolo stancamente.
"Non resisto più," singhiozzò il cantante, tirando su col naso.
L'altalenarsi dei suoi stati emotivi era quasi inquietante. A volte sembrava pronto a smembrare Tom a mani nude; altre volte sembrava così fragile e indifeso che non potevi fare nient'altro che abbracciarlo e ti si spezzava il cuore a sentirlo piangere. "Tomi..."
Tom si piegò in avanti, senza lasciarlo andare. Appoggiò la fronte alla sua con un sospiro. "Lo so che stai male," mormorò, gli occhi chiusi. Fece scorrere il naso su quello di Bill, teneramente.
Sentiva il respiro concitato di suo fratello sopra le labbra e il suo tremare quasi impercettibile attraverso la pelle sudata.
Si spostò a disagio, incapace di controllare le proprie reazioni ogni volta che il corpo di Bill era tra le sue braccia.
Bill scivolò sotto di lui, divaricando leggermente le gambe. Spalancò gli occhi velati nei suoi e Tom si perse per un istante nelle pupille scure e dilatate.
"Tomi.." mormorò di nuovo Bill, premendo il naso contro il suo.
E poi le labbra, piano.
Il biondo ringhiò, senza volerlo, quando Bill si inarcò, strusciandosi lentamente tra le sue gambe. Lo guardava in maniera tanto seria da mettere quasi paura.
E a quel punto Tom capì che forse poteva essere una soluzione.
*
Qualche ora dopo, Tom osservava suo fratello addormentato e tirava un sospiro di sollievo. Quella era stata decisamente una soluzione. Le crisi di astinenza che Bill aveva avuto durante l'ultimo giorno erano state sfiancanti, ma per qualche motivo Tom sapeva che non potevano essere ancora tanto gravi da non poter essere superate.
Così, quella che si era resa necessaria era una distrazione.
Qualcosa che potesse distogliere l'attenzione di Bill dal dolore, dallo stato di confusione... da quel bisogno che il suo corpo lo informava erroneamente di avere.
E il sesso era una distrazione gloriosa.
Si tirò su dal letto, facendo molta attenzione a non svegliare Bill e uscì dalla stanza camminando all'indietro, tenendolo sotto controllo.
Una volta arrivato in cucina, infilò nel frigorifero alla ricerca di un po' di cibo. Era stravolto e non poteva negarlo. Neanche il SexGott poteva resistere a lungo facendo sesso a fasi alterne di poche ore e non dormendo quasi niente.
Era un miracolo se riusciva ancora a tenersi in piedi.
Addentò il panino al tonno che si era così amorevolmente preparato all'ora di cena, questo prima che Bill gli saltasse addosso di nuovo, costringendolo a lasciarlo a sciuparsi in frigo.
Tom osservò i due strati di pane, impiastricciati con quello che una volta era tonno e adesso era una poltiglia rosa. Non importava.
Osservò il nuovo giorno ricoprire la città di luce arancione attraverso la finestra, e si chiese da dove gli provenisse tutta quella vena romantica.
Sospirò.
Non aveva più molta forza.
*
Alla fine David mandò Saki a prenderli, non con l’auto della casa discografica ma con il SUV personale della guardia del corpo.
Saki arrivò verso le undici e parcheggiò sul retro, annunciando il proprio arrivo con una specie di richiamo da orso. Bill spalancò la porta e passò oltre, tirandosi dietro quel piccolo bagaglio a mano che si ostinava a chiamare borsa da passeggio.
Saki si spostò appena in tempo per non essere travolto, lanciò un’occhiata interrogativa a Tom che scosse la testa e quindi caricarono le valige sull’automezzo.
Tom apprezzava il fatto che David non li avesse recuperati in pompa magna, ma piuttosto nel modo più amichevole possibile; peccato che questo non fosse abbastanza. Bill non voleva tornare e aveva adottato l’unico sistema che conosceva per farlo sapere al mondo: battere i piedi e mettere il broncio.
Lo aveva sempre fatto, ma ora riusciva ad essere anche peggio.
Non disse una sola parola per tutto il viaggio e per quanto lui e Saki si impegnarono ad alleggerire l’atmosfera, non riuscirono a cambiare la situazione.
Una volta arrivati, Bill prese la sua borsa, lasciò le valigie agli altri due e si chiuse in camera senza dire una parola, incurante del piccolo comitato di benvenuto che lo attendeva.
Georg, Gustav e un allibito David rimasero in mezzo al salotto con la mano ancora alzata per salutarlo.
Tom se li ritrovò davanti così e alzò un sopracciglio.
”Dimmi che quella camminata e quello sguardo non significano che dovrò convivere con un cantante isterico e convincerlo a fare tutte le interviste che ho programmato per lui la prossima settimana.”
”Vuoi la verità, oppure una pietosa bugia?”
David lo guardò direttamente negli occhi per qualche istante, poi espirò aiutandolo a portare dentro due delle tre valigie che aveva per le mani. “Voglio andare in pensione.” sibilò.
Bill aveva avuto una crisi.
Era stato tremendo all’inizio e Tom aveva avuto paura: di non farcela, di perderlo, di fargli ancora più male. C’era stato un momento durante la notte in cui era convinto che non potesse finire bene. Forse, quando il sole sarebbe sorto, avrebbero trovato suo fratello in terra agonizzante e lui così spaventato da non ricordarsi neanche il suo nome. E poi c’era stato l’orgoglio di gemello: lui doveva poter fare qualcosa per Bill, era la sua metà. Nessuno su quel fottuto pianeta conosceva suo fratello meglio di lui.
Questo doveva pur significare qualcosa.
Poi la crisi era passata e di lei, nel corpo e nella mente di Bill, non era rimasta più traccia.
Tom aveva ormai imparato che il dolore di Bill non aveva memoria e che lui era il solo, in quella casa, che ad ogni nuova crisi, si ricordava di quanto suo fratello avesse sofferto la volta precedente.
Per Bill il dolore era sempre il più forte mai avuto, il bisogno più impellente, la disperazione massima.
E ogni nuova ondata di quello schifo portava con sé un nuovo cambio d’umore.
La dolcezza di suo fratello ormai non faceva capolino che poche volte.
Più passava il tempo, e meno sembrava restare di lui. Ondeggiava tra picchi di gioia assurda in cui ogni cosa sembrava meravigliosa e baratri di disperazione in cui piangeva sconvolto rannicchiandosi in posizione fetale e rifiutando qualsiasi tipo d'aiuto fino a portarlo all'esasperazione.
Tom non aveva idea di come entrare in contatto con lui, se non fisicamente.
Se non stringendolo forte a sé e sperando che questo fosse sufficiente.
La speranza non poteva ripulirgli l’organismo, ma forse poteva aiutarlo a credere di potercela fare.
In tutto questo, non avevano mai parlato di cocaina. Tom sentiva di dover affrontare l'argomento, ma non riusciva a trovare il modo di farlo. Quando Bill era tranquillo gli sembrava fuori luogo e quando Bill non lo era, diventava impossibile parlarci. Eppure c'erano cose che doveva sapere.
Se ne sentisse ancora il bisogno, ad esempio.
Questa era una cosa che lo stava tormentando da parecchio, ormai, ed era quasi convinto che il vagolare senza sosta di Bill per tutta la casa fosse seriamente legato alla faccenda.
Tom sospirò, seduto sul rientro della finestra con la sua decima tazza di caffè.
Era uno di quei momenti in cui Bill era intrattabile.
"Bill, ti prego vuoi sederti?" Esclamò alla fine, sollevando la testa dal libro che si era costretto a leggere per fare finta di non vedere suo fratello agitarsi e dover interagire con lui. Aveva bisogno di staccare il cervello di tanto in tanto e poi, assecondarlo ogni volta che se ne saltava fuori con una nuova paranoia era improponibile.
"Sono stanco di starmene chiuso in casa," protestò il moro, fermandosi in mezzo alla stanza e mettendosi le mani sui fianchi. "Non ne posso più. Mi annoio."
"Siamo usciti ieri a fare una passeggiata," gli fece notare Tom. "Non è che ci sia granché da fare a Magdeburg, ti ricordo."
E poi, sinceramente, non voleva ripetere l'esperienza di dover trascinare via suo fratello scoppiato improvvisamente in lacrime che urlava in mezzo alla gente.
Era stato imbarazzante, nonché estremamente destabilizzante.
Il moro emise un suono infastidito, quella specie di sibilo che doveva sottolineare il suo assoluto disappunto riguardo a ciò che aveva appena udito. "Io intendevo la sera, Tomi" commentò, come se stesse spiegando la questione ad un completo idiota. "Voglio andare a ballare."
Tom chiuse lentamente il suo libro e sospirò. "Non credo che sia una buona idea"
"Oh andiamo!" Continuò Bill. C'era sempre un tono lagnoso nel suo modo di chiedere le cose, soprattutto quando si rendeva conto che suo fratello avrebbe potuto cedere se insisteva nel modo giusto. Gli si avvicinò di qualche passo e si inginocchiò di fronte a lui sul divano. "Sarà divertente!"
"Bill, seriamente. Non è il caso," provò ancora il rasta. "Se per qualche motivo ricominci a sentirti male..."
"Ma sto bene!" Lo interruppe il moro, saltellando leggermente sul posto.
"Stai bene solo da qualche ora. Non mi sembra abbastanza per-"
"Tom ti prego! Sto bene, dico sul serio!" Continuò il moro.
Tom lo guardò negli occhi, ma aveva imparato a non fidarsi della falsa sensazione di fiducia che trasmettevano. Bill era bravo a mentire e lui era così stanco che non era ben sicuro di poter vedere oltre i suoi inganni questa volta.
"Tomi..?" Tentò ancora Bill, facendosi adorabilmente dolce. "Che ne dici, eh? Soltanto qualche ora... giusto per divertirci un po'."
Tom non rispose. Bill poggiò le mani sulle sue gambe e si tirò su quel tanto che bastava per arrivare all'altezza del suo viso.
"Bill..." lo avvertì il rasta.
Suo fratello ignorò il richiamo e gli prese il viso tra le mani baciandolo lentamente, come aveva imparato a fare quando voleva qualcosa di particolare. Ci era voluto poco perchè capisse come funzionavano i bottoni di Tom.
E questo Tom ancora non lo aveva digerito.
"Non succederà niente," mormorò il moro, la lingua che accarezzava dolcemente le labbra di Tom.
"Ascolta, non..."
Bill catturò di nuovo la sua bocca e si allungò languido su di lui. Lasciò scivolare i baci sul mento e sul collo di Tom, fin sotto il lobo dell'orecchio. "Sarà divertente..." sussurrò ancora. E quelle due parole suonarono nella testa del biondo come se avessero avuto tutt'altro significato.
Avrebbe potuto staccare la spina della propria coscienza e lasciarsi andare in quel bacio, al calore del corpo di Bill contro il suo e dargliela vinta. In fondo era successo tante di quelle volte in così poco tempo che aveva decisamente perso il conto.
Bill otteneva tutto ciò che voleva in quel modo; e forse Tom avrebbe dovuto riflettere su quel comportamento ma aveva pur sempre diciotto anni e tutto quello a cui riusciva a pensare quando suo fratello gli si scioglieva languido nel letto era che non gli importava assolutamente di nient'altro, fosse andata a fuoco la casa.
Solo che uscire e andare in un locale era troppo rischioso.
Così, si sforzò di allontanarlo da sé e di fargli aprire gli occhi. "Bill, per favore," esclamò, senza farsi intenerire dal broncino che comparve sulle labbra di suo fratello. "Non farmelo ripetere."
Quando Bill si rese conto che suo fratello lo aveva detto sul serio, la sua espressione deliziosa si trasformò in una smorfia. "Tom!" Esclamò, inviperito. Quindi si tirò su in piedi di scatto e puntò un piede a terra. "Non puoi impedirmi di uscire!"
"Oh sì che posso," replicò Tom, senza nemmeno tentare con le buone. Sapeva per esperienza che quando suo fratello iniziava con quell'atteggiamento, farlo ragionare era tutto tempo sprecato.
A Bill non piaceva che qualcuno gli dicesse cosa fare. Non gli era mai piaciuto. Le sue più grandi litigate con David le aveva fatte per questo motivo. "Questo lo vedremo!" Strepitò.
Gli lanciò un'occhiata fulminante quindi si diresse a grandi passi verso la sua stanza e la sua valigia.
"Dove diavolo stai andando?" Saltò su Tom, subito dietro di lui. Dio, se odiava gli scatti isterici! Erano quelli i momenti in cui la sua prima reazione era quella di sbatterlo contro il muro e tirargliele tante e poi tante da fargli la faccia gonfia.
"Dove mi pare!" Ribatté Bill, la sua voce che schizzava di un'ottava. Spalancò la porta della stanza con stizza e si gettò con foga sulla valigia, buttando abiti da tutte le parti.
Tom lo seguì a ruota e lo afferrò per un polso. "Tu non vai da nessuna parte!"
"Prova ad impedirmelo!" Lo sfidò il moro. Cercò di liberare il braccio con uno strattone ma non ci riuscì. "Tom lasciami immediatamente!"
"No!"
"Voglio uscire!" Insistette il cantante, col tono di chi pensa che questo basti a fargli ottenere il permesso. Bill voleva e quindi otteneva, era sempre stato così in fondo.
"Non puoi fare sempre come ti pare!" replicò Tom, senza lasciare la presa. "La devi finire di comportarti in questo modo!" Lo strattonò così forte che finì per tirarlo via dalla valigia e farlo inciampare all'indietro. Bill sbatté la testa contro il muro alle sue spalle e non finì in terra solo perchè c'era Tom a reggerlo.
"AHIA!" Bill glielo urlò direttamente in faccia, con un'espressione così piena di odio da spaventarlo. "Cazzo! Mi hai fatto male!"
Tom si morse un labbro, preoccupato: non aveva avuto intenzione di reagire in quel modo. Inconsciamente gli lasciò andare il braccio e Bill se lo riprese come se gli fosse stato sottratto fino a quel momento. "Scusami, io..."
"Vaffanculo Tom!" Lo aggredì Bill, massaggiandosi il polso. E quando Tom allungò una mano per accarezzarlo si ritrasse. "NON MI TOCCARE!"
"Bill, mi dispiace!"
"No che non ti dispiace," replicò di scatto il moro. "Tu vuoi tenermi qua dentro ad ammuffire. A te non frega niente di me!"
"Adesso sono io che me ne frego?!" scattò il biondo, infastidito. "Chi è stato qui con te tutto il tempo?"
"Vuoi rinfacciarmelo? Sei meschino!" Bill si massaggiava ancora il polso, sull'orlo delle lacrime. "Lo sai che ho bisogno di uscire, lo sai! E mi hai fatto male! E adesso ti metti anche ad urlarmi contro. Io ti odio!"
"Bill piantala di dire stronzate!" Sibilò Tom. Non era più disposto a stare a sentire quelle idiozie paranoiche. Non ne poteva più di stare lì a farsi offendere gratuitamente.
"Io uscirò stasera!"
"No!" Ripeté cocciuto il biondo.
"Tom tu non puoi impedirmi di uscire!" Strepitò il cantante. "Tu non sei mia madre! Non sei nemmeno il mio ragazzo!.... Tu non sei niente!"
Qualcosa scattò nella testa di Tom e il suo cervello si spense definitivamente. Afferrò suo fratello per i polsi e lo spinse indietro, costringendolo a camminare. Bill si mise a strillare, agitandosi e minacciando di fare cose tremende ma lui non gli avrebbe permesso di fare un bel niente. "Chiudi quella cazzo di bocca, Bill!" gli ordinò, e lo costrinse sul letto salendogli sullo stomaco.
"Cosa diavolo credi di fare!?" Gli urlò Bill in faccia.
Tom gli inchiodò le braccia al materasso, guardandolo dritto negli occhi. E non c'era niente di tenero, solo il desiderio disperato di farlo stare zitto, di impedirgli di aprire ancora quella bocca e dire cattiverie. Voleva che la piantasse di fare così.
Fu il telefono a salvare lui e Bill, ad impedirgli di fare qualcosa di orribile.
Tom rimase immobile, sopra suo fratello, guardandolo con rabbia.
Lo sguardo di Bill ne conteneva altrettanta. Violenta. Incollerita. I suoi occhi erano quelli della bestia messa a terra, che non vuole arrendersi e l'idea che non avesse alcuna intenzione di ubbidirgli stava seriamente mettendo a dura prova i nervi di Tom.
Il telefono continuava a squillare.
"Forse dovresti rispondere," sibilò Bill, con un sorriso strafottente sul viso.
Tom non voleva lasciargli andare i polsi, o le gambe. Non voleva lasciarlo andare perchè potesse dichiararsi vincitore.
"Lasciami," continuò il cantante, strattonando.
Alla fine Tom fu costretto a cedere. La suoneria era quella di David e sapeva con estrema certezza che se non avesse risposto, il manager avrebbe finito per mandare qualcuno a recuperarli.
Molto lentamente, lasciò andare le braccia di Bill, mentre si portava una mano in tasca per recuperare il cellulare. "Pronto?" chiese, senza mai staccare gli occhi dal gemello.
Bill si tirò su di scatto e scalciò, disarcionandolo. Approfittò del fatto che fosse al telefono con David per gettare giù le lunghe gambe dal letto e correre via.
"Quanto ci hai messo a rispondere?" esclamò David.
"Scusa io... non trovavo il telefono" rispose piano, mentre sentiva la porta d'entrata chiudersi con un tonfo.
Era uscito.
Merda.
Tom aveva parlato con David, anche se non ricordava esattamente cosa si fossero detti; quello di cui era sicuro è che il manager li rivoleva indietro, ora e subito. Al più tardi, domani.
Tom ricordava di essere riuscito a convincerlo per il giorno seguente.
Poi aveva chiuso la telefonata e si era gettato all’inseguimento di suo fratello che, con sua grande sorpresa, non era andato poi molto lontano.
Una volta uscito dalla porta, Tom ci era inciampato quasi sopra.
Bill era lì, raggomitolato davanti alla porta e guardava la neve cadere sulla strada isolata.
”Bill?”
Non aveva risposto.
Tom aveva notato immediatamente il cambiamento nei suoi occhi. Avrebbe dovuto parlargli, ma non c’era riuscito. Era rimasto lì in piedi a guardare suo fratello che probabilmente era tanto dispiaciuto per quello che aveva appena detto. Lo era sempre.
Tom non aveva trovato il coraggio. Erano così rari i momenti in cui Bill era di nuovo Bill che – anche se saltavano fuori all’improvviso, quando meno ne avevi bisogno – lui non ce la faceva ad ignorarli. Così aveva fatto finta che non avessero appena litigato, che non avesse rischiato di inchiodarlo su quel letto e tirargliele come mai aveva fatto in vita sua. Aveva sospirato e gli si era seduto accanto, spiegandogli che non avevano più tempo, che David li voleva ad Amburgo entro domani.
Bill aveva annuito e si era appoggiato contro la sua spalla, senza un suono.
Tutto a posto.
Tutto passato.
Di nuovo.
"Tomi" Bill mugolò di nuovo. Ancora più lamentosamente.
Tom strinse la presa su di lui e cercò di abbracciarlo stretto. Gli affondò il viso nei capelli sudati e chiuse gli occhi. "Sta buono, sono qui."
Tom non riusciva più a riaddormentarsi da quando Bill si era svegliato vomitando e nel correre in bagno aveva sbattuto la testa.
Tom aveva provato a riposarsi ma non ci riusciva. E se per caso i suoi occhi si chiudevano era Bill a svegliarlo, lamentandosi perché non si sentiva bene.
"Mi sento male."
"Lo so, Bill."
Il moro si mosse, Tom serrò la presa sui suoi polsi per evitare che si agitasse. Gli scostò i capelli dal collo e lo baciò piano. "Cerca di rilassarti."
"Non passa, Tom, non passa" cantilenò Bill, rannicchiandosi tra le braccia del fratello.
"Passerà" mormorò Tom, come aveva già mormorato milioni di volte.
Nel silenzio, sentì Bill singhiozzare.
"Bill..."
"Fa male..." miagolò. "Ne ho bisogno."
Tom gli baciò una spalla nuda. Bill indossava una delle sue magliette gigantesche e nell'agitarsi, si era quasi spogliato. Stava tremando.
Il rasta aveva sperato che le crisi diminuissero e invece non facevano che peggiorare. Non si era permesso di contare quanto tempo trascorresse tra l'una e l'altra ma sospettava che i momenti i cui Bill era tranquillo fossero sempre più brevi.
"Ne ho bisogno," mormorò di nuovo Bill. Cercò di liberarsi ma Tom aveva imparato e lo teneva stretto a sé. Una parte di lui si illudeva ancora che il calore del proprio corpo potesse sedare le crisi del fratello. "Se esco forse posso trovarne un po'... solo un po'."
"Shh..." Tom faticava a tenere gli occhi aperti. Era stanco. "Va tutto bene."
"Ne ho bisogno, cazzo!"
"No"
"SI, TI DICO!" Bill sbraitò all'improvviso. Prese ad agitarsi più ferocemente. Si inarcò, facendo leva sulle gambe nel tentativo di divincolarsi dalle braccia del fratello che si piegò a riccio per assorbire le spinte. "Lasciami an..da...REEEEE!"
"Basta Bill!" Ringhiò alla fine il rasta, esasperato. Si sollevò sulle ginocchia e quando suo fratello tentò di alzarsi lo scaraventò di nuovo sul materasso e salì a cavalcioni su di lui, tenendolo inchiodato per i polsi. "Smettila! Non risolvi niente a fare così"
"IO.STO.MALE!" L'urlo gli uscì roco e soffocato. Bill si spinse in avanti, tentando di liberarsi, Tom vide le vene del suo collo tendersi disperatamente. "Sto male..."
Tom sospirò, guardandolo stancamente.
"Non resisto più," singhiozzò il cantante, tirando su col naso.
L'altalenarsi dei suoi stati emotivi era quasi inquietante. A volte sembrava pronto a smembrare Tom a mani nude; altre volte sembrava così fragile e indifeso che non potevi fare nient'altro che abbracciarlo e ti si spezzava il cuore a sentirlo piangere. "Tomi..."
Tom si piegò in avanti, senza lasciarlo andare. Appoggiò la fronte alla sua con un sospiro. "Lo so che stai male," mormorò, gli occhi chiusi. Fece scorrere il naso su quello di Bill, teneramente.
Sentiva il respiro concitato di suo fratello sopra le labbra e il suo tremare quasi impercettibile attraverso la pelle sudata.
Si spostò a disagio, incapace di controllare le proprie reazioni ogni volta che il corpo di Bill era tra le sue braccia.
Bill scivolò sotto di lui, divaricando leggermente le gambe. Spalancò gli occhi velati nei suoi e Tom si perse per un istante nelle pupille scure e dilatate.
"Tomi.." mormorò di nuovo Bill, premendo il naso contro il suo.
E poi le labbra, piano.
Il biondo ringhiò, senza volerlo, quando Bill si inarcò, strusciandosi lentamente tra le sue gambe. Lo guardava in maniera tanto seria da mettere quasi paura.
E a quel punto Tom capì che forse poteva essere una soluzione.
Qualche ora dopo, Tom osservava suo fratello addormentato e tirava un sospiro di sollievo. Quella era stata decisamente una soluzione. Le crisi di astinenza che Bill aveva avuto durante l'ultimo giorno erano state sfiancanti, ma per qualche motivo Tom sapeva che non potevano essere ancora tanto gravi da non poter essere superate.
Così, quella che si era resa necessaria era una distrazione.
Qualcosa che potesse distogliere l'attenzione di Bill dal dolore, dallo stato di confusione... da quel bisogno che il suo corpo lo informava erroneamente di avere.
E il sesso era una distrazione gloriosa.
Si tirò su dal letto, facendo molta attenzione a non svegliare Bill e uscì dalla stanza camminando all'indietro, tenendolo sotto controllo.
Una volta arrivato in cucina, infilò nel frigorifero alla ricerca di un po' di cibo. Era stravolto e non poteva negarlo. Neanche il SexGott poteva resistere a lungo facendo sesso a fasi alterne di poche ore e non dormendo quasi niente.
Era un miracolo se riusciva ancora a tenersi in piedi.
Addentò il panino al tonno che si era così amorevolmente preparato all'ora di cena, questo prima che Bill gli saltasse addosso di nuovo, costringendolo a lasciarlo a sciuparsi in frigo.
Tom osservò i due strati di pane, impiastricciati con quello che una volta era tonno e adesso era una poltiglia rosa. Non importava.
Osservò il nuovo giorno ricoprire la città di luce arancione attraverso la finestra, e si chiese da dove gli provenisse tutta quella vena romantica.
Sospirò.
Non aveva più molta forza.
Alla fine David mandò Saki a prenderli, non con l’auto della casa discografica ma con il SUV personale della guardia del corpo.
Saki arrivò verso le undici e parcheggiò sul retro, annunciando il proprio arrivo con una specie di richiamo da orso. Bill spalancò la porta e passò oltre, tirandosi dietro quel piccolo bagaglio a mano che si ostinava a chiamare borsa da passeggio.
Saki si spostò appena in tempo per non essere travolto, lanciò un’occhiata interrogativa a Tom che scosse la testa e quindi caricarono le valige sull’automezzo.
Tom apprezzava il fatto che David non li avesse recuperati in pompa magna, ma piuttosto nel modo più amichevole possibile; peccato che questo non fosse abbastanza. Bill non voleva tornare e aveva adottato l’unico sistema che conosceva per farlo sapere al mondo: battere i piedi e mettere il broncio.
Lo aveva sempre fatto, ma ora riusciva ad essere anche peggio.
Non disse una sola parola per tutto il viaggio e per quanto lui e Saki si impegnarono ad alleggerire l’atmosfera, non riuscirono a cambiare la situazione.
Una volta arrivati, Bill prese la sua borsa, lasciò le valigie agli altri due e si chiuse in camera senza dire una parola, incurante del piccolo comitato di benvenuto che lo attendeva.
Georg, Gustav e un allibito David rimasero in mezzo al salotto con la mano ancora alzata per salutarlo.
Tom se li ritrovò davanti così e alzò un sopracciglio.
”Dimmi che quella camminata e quello sguardo non significano che dovrò convivere con un cantante isterico e convincerlo a fare tutte le interviste che ho programmato per lui la prossima settimana.”
”Vuoi la verità, oppure una pietosa bugia?”
David lo guardò direttamente negli occhi per qualche istante, poi espirò aiutandolo a portare dentro due delle tre valigie che aveva per le mani. “Voglio andare in pensione.” sibilò.