Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
02. On the edge

Il locale era aperto da meno di due ore, ma era già pieno di gente.
Ogni sera la folla sembrava aumentare. Centinaia di persone si assiepavano all'entrata attendendo che il buttafuori permettesse loro di entrare. Una dopo l'altra sciamavano lungo il corridoio che immetteva nella sala centrale, un budello non più largo di un metro dipinto di un rosso vivo e luccicante.
Allora la musica forte e coinvolgente sembrava esplodere dalle casse e travolgere quelli appena arrivati. Se stavi fermo, lì sulle scale, ti sembrava quasi di vederla quell'onda di vibrazioni riempire le due sale, liquefarsi tra le colonne del primo piano e scivolare giù, come una cascata sulla gente che ballava. Il pavimento vibrava sotto ai tuoi piedi e sentivi i bassi in gola, giù fino allo stomaco.
A volte rimaneva in piedi a fissare il movimento ritmico e continuo di quella massa di corpi che si agitava sotto di lui, era come stare di notte di fronte all'oceano.
La potenza della musica, la potenza del movimento, tutto si tramutava in energia e gli sembrava di sentirla attraverso la pelle e sotto le unghie. Chiudeva gli occhi e non rimaneva più niente se non quella forza calda, ritmica e primordiale che spazzava via tutto ciò che era stato e tutto ciò che era, che lo strascinava giù e lo ancorava. Quella stessa sensazione, più forte e più viva, l'aveva provata sul palco, durante i concerti. Erano passate soltanto tre settimane dall'ultima volta, eppure sembrava un'altra vita.
Sentì il tocco caldo e famigliare della sua mano che gli accarezzava un fianco e scivolava discreta sotto la sua maglietta. Si appoggiò all'indietro, con gli occhi ancora chiusi e inspirò il profumo forte del ragazzo dietro di lui.
"Dov'eri finito? Ti ho cercato per ore" gli sussurrò all'orecchio. La sua voce era bassa e calda, la pronuncia tedesca un po' incerta e resa insolita dal suo accento russo.
Bill portò il bicchiere vuoto alle labbra e morse il bordo di plastica. Lanciò un'occhiata di lato, con un mezzo sorriso. "Dovresti stare attento alle tue cose, Fabian" rispose, gli piaceva sentire il suono ruvido del piercing contro il bicchiere. "Sei sempre così disordinato!"
Fabian lo baciò piano sull'orecchio, la sua mano s'insinuò lenta oltre la cintura dei pantaloni di Bill ma il ragazzo gli impedì di andare oltre bloccandogli il polso. "E' ancora presto" spiegò con voce decisa. "La serata è appena iniziata"
L'altro espirò, ma sembrò divertito dalla risposta. Seguì Bill al piano inferiore, passandogli un braccio intorno alla vita mentre scendevano le scale. Qualcuno dai tavoli gli rivolse un cenno di saluto, altri lo chiamarono per nome. Il ragazzo salutò tutti affabilmente, accanto a lui Bill sorrideva com'era stato allenato a fare per tutta la sua vita. Una bella bambola dalla pelle serica, che elargiva sguardi ambigui intorno a sè.
Sentì la presa di Fabian farsi più stretta mentre lo trascinava nel privè. Al basso tavolino nero e lucido sedevano cinque persone: quattro giovani uomini e una ragazzina più o meno della sua età che aveva più pelle scoperta di quanta ne nascondesse. Si scambiarono uno sguardo che nessuno dei due riuscì a decifrare, ma fu solo un istante. "René, lascia che ti presenti ai miei amici" stava dicendo Fabian.
Bill tornò a sorridere dolcemente verso i presenti. Nessuna esitazione nel reagire al suo nuovo, falso nome, quello che si era scelto per cancellare il vecchio se stesso definitivamente. "Buonasera. Vi state divertendo?" chiese.
"Fabian ci aveva detto che eri molto attraente, René, ma non ti ha reso giustizia" disse uno dei quattro toccandogli una mano brevemente.
Bill dedicò a Fabian uno sguardo intenerito. "Fabian mi lusinga sempre troppo"
"Mi piace viziarlo" chiosò Fabian. Bill sentì la sua mano sul sedere, si irrigidì leggermente ma riuscì a mascherare la cosa con un altro di quei sorrisi al miele. "Vogliamo sederci?"
Bill annuì e sperò, come quasi ogni sera, che le strisce bianche apparissero presto sul tavolo.

Era ancora notte fonda.
Disteso sul divano di pelle, con la testa a rovescio, Bill riusciva a scorgere il quarto di luna dalla porta aperta del locale. Ormai il flusso di gente era rallentato e quasi tutti quelli che erano già dentro stavano ballando o erano collassati sulle poltrone.
Rise, stupidamente. Non sapeva perchè, ma era estremamente felice. Gli piaceva quel momento della notte, in cui aveva tirato su così tanta coca che il cervello sembrava quasi aprirsi e i suoi sensi si ampliavano a dismisura. Gli sembrava di avere decine di sensori che partivano dal suo corpo e raggiungevano ogni angolo di quel locale.
I suoni gli arrivavano più distinti, le carezze più morbide, gli odori erano un mondo nuovo e quasi inebriante. Il tempo poi, non aveva più significato. Poteva ballare per ore senza fermarsi, girare e girare e girare senza che gli venisse voglia di vomitare. Non c'era stanchezza. Non c'era dolore.
In quei momenti il ricordo di Tom diventava soltanto una parte di passato che poteva infilare in un cassetto della sua memoria e lasciar ammuffire senza che il suo cuore si stringesse e gli facesse venir voglia di tornare indietro.
"Scotti..." la voce di Fabian gli giunse molto vicina, come se gli stesse sussurrando all'orecchio. Piegò anche la spalla, ridacchiando, come se gli avesse fatto il solletico ma il ragazzo era dietro di lui e gli stava solo toccando la fronte con la mano. "E' meglio se rientramo a casa"
Bill si piegò in posizione fetale e si schiantò di nuovo dal ridere.
"Sei completamente andato" constatò Fabian, trovando la cosa stranamente divertente.
"Completamente" ripetè Bill. Poi si tirò su in ginocchio, scivolando liquido lungo lo schienale del divano e gli appoggiò le mani sulle spalle. "Lo sai qual'è la cosa bella?"
"No" Fabian sorrise, le sue pupille erano dilatate quanto quelle di Bill.
Il giovane cantante ridacchiò. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e gli mostrò una pillola sulla punta dell'indice. "Ho ancora questa!" sussurrò, con aria da complotto. Quindi rise di nuovo.
"Sei pazzo, ragazzino!"
Bill stava già annuendo. "Già" disse con aria improvvisamente solenne. Poi si infilò la pasticca in bocca e gli rise in faccia, con la pasticca tra i denti. Socchiuse gli occhi e si chinò in avanti, baciandolo sulle labbra. La pasticca scivolò piano nella bocca di Fabian per poi tornare in quella di Bill che la inghiottì con un mezzo sorriso.
L'appartamento di Fabian si trovava proprio sopra il locale. Un attico open space arredato con soldi sui cui Bill si era imposto di non indagare. I due si trascinarono oltre la porta inciampando ogni passo e ridendo. Ogni sera finiva in quel modo. E ogni sera sembrava diventare più facile.
Fabian si tolse la giacca, la gettò a casaccio dietro di sè e infilò ancora una volta le mani sotto la maglia di Bill che aveva ripreso a baciarlo. Gli accarezzò la schiena, quindi tentò di slacciare la cintura ma Bill si ritrasse. "Cosa stai facendo?"
"Secondo te?"
Il ragazzino smise di ridere. "Lo sai quali sono le regole"
"Renè..."
"No!" insistette il ragazzino.
"Andiamo!"
Fabian ci provò di nuovo, ma Bill prese a picchiarlo sulla testa, urlando isterico. "STAMMI LONTANO! E' CHIARO?!?!?" Riuscì a liberarsi, anche perchè l'altro non stava più cercando di toccarlo, e fece qualche passo indietro con aria rabbiosa.
Fabian sollevò entrambe le braccia in un gesto di resa. "Va bene, fai il cazzo che vuoi! Sei suonato!"
Bill rimase a fissarlo, stringendosi da solo fino a che non fu sicuro che Fabian era dall'altra parte del letto. Quindi vi salì anche lui e si ranicchiò in un angolino.

"Tom, si può?" Georg si affacciò in camera del chitarrista e scrutò all'interno.
Era tutto buio, le tende tirate e la luce spenta. Poteva a malapena scorgere l'ombra di Tom seduto sul letto. "Entra"
Georg aprì del tutto la porta e scivolò all'interno. Fece per mettere mano all'interruttore ma l'ordine di Tom arrivò stentoreo. "Non accendere la luce"
"D'accordo" il bassista avanzò tentoni, cercando di non inciampare. Raggiunse l'amico sul letto e si sedette accanto a lui. Tom teneva in mano la chitarra, di tanto in tanto pizzicava un paio di corde ma non sembrava troppo convinto. "Allora? Come va?"
"Come vuoi che vada?"
"David dice che forse dovresti uscire un po'"
"Io esco" puntualizzò Tom.
Georg sospirò. "Ma dovresti fare qualcosa di diverso dal cercare...beh... dal cercare Bill"
Tom mise la chitarra sulle ginocchia e la accarezzò lentamente. Era una vecchia chitarra acustica, la prima che sua padre gli aveva regalato perchè imparasse a suonarla. Era la stessa che usava sul palco quando era il momento di In Die Nacht. Tom si trovò a sfiorare con le dita un piccolo graffio che c'era intorno alla cassa: Bill come al solito era sceso dallo sgabello per prenderlo a calci, ma aveva calcolato male le distanze e aveva preso in pieno lo strumento. Ricordava che era stato un momento molto comico perchè suo fratello aveva perso l'equilibrio e aveva rischiato di sbattere il culo per terra mentre lui si era messo a ridere così forte che suonare era stato del tutto impossibile. La canzone era andata a puttane, ma la gente si era divertita da matti.
Sospirò, e posò la chitarra di fianco sul letto. "Non voglio iniziare a fregarmene" disse alla fine.
"Non sto dicendo questo, ma hai bisogno di distrarti" insistette Georg, sistemandosi i capelli dietro le spalle con quel suo distintivo tic nervoso. "Se non sei in giro al freddo a cercare Bill, sei qui dentro chiuso al buio. Non è questo che Bill vorrebbe"
"Georg, non è morto!" gli fece notare Tom.
Il bassista trattenne il respiro. Quella possibilità si era già fatta strada nella mente di tutti quanti loro, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo apertamente al gemello. "No, certo che no" disse, accondiscendente "Però ovunque sia non vorrebbe che tu smettessi di divertirti. Ti pare?"
Tom non rispose. Non sapeva più cosa pensare. Avevano cercato Bill ovunque fosse possibile cercarlo; nel corso delle ultime settimane avevano controllato le liste dei passeggeri delle compagnie aeree ogni giorno, David era in contatto con le banche ma la carta di credito di Bill non era più stata usata da quell'unica volta tre settimane prima. Nessuno lo aveva visto nè sentito. Si era volatilizzato. Tom pensò a sua madre in lacrime che li aveva raggiunti a Berlino, dove avevano affittato una casa, per stare più vicina alle squadre di ricerca e a lui. Ma lui non voleva il supporto di sua madre, non sopportava l'idea di guardarla negli occhi e nasconderle il fatto che se suo figlio - il suo adorato Bill - era sparito nel nulla lo aveva fatto per colpa sua.
"Perchè non vieni giù con noi? Stiamo facendo colazione" insistette Georg. "Un po' d'aria ti farà bene"
Tom si lasciò convincere dall'amico e lo seguì al piano di sotto.
Nella grande sala circolare, Gustav stava già mangiando. Sua madre era alla finestra, lo sguardo spento e gli occhi rossi come ormai si presentava ogni giorno. David, al solito, era al telefono e sembrava che stesse cercando di ridimensionare la situazione. "Sì, lo so. Me ne rendo conto ma stiamo facendo il possibile...." disse, mentre si aggirava per il cucinotto. Aveva l'aria stanca e Tom era sicuro che indossasse gli stessi vestiti da tre giorni. "... no, non abbiamo notizie. E no, Peter, non possono suonare senza Bill!"
Tom si sedette al tavolo e rimase in ascolto. Dall'altra parte del telefono Peter - uno dei loro produttori - stava urlando così forte che poteva quasi distinguere le parole anche da lì. "Non se ne parla nemmeno" rispose David. "So che è un problema, me ne rendo conto--sì, no, me ne rendo conto invece, ma non ho nessuna soluzione. Non posso mandare i ragazzi in scena in quel modo, non sono preparati. Peter cerca di ragionare... Merda!"
I ragazzi si voltarono per vederlo chiudere il telefono con uno scatto nervoso. "Quel bastardo ha riattaccato" si giustificò.
"Qualche problema?" Tom stava mangiando svogliatamente una brioche. Non sapeva neanche come fosse finita davanti a lui insieme alla tazza di latte e cacao. Doveva averci pensato quell'angelo di Georg.
David annuì, passandosi una mano tra i capelli. "Questa storia di Bill ci sta mettendo nei casini. Abbiamo già saltato quattro interviste e due serate. Il tuor inizierà dopo natale e noi non abbiamo il cantante, Peter sta andando fuori di testa"
"Bill sarà qui per allora" disse Tom convinto. Gustav infilò la testa nella tazza, lavandosene le mani. Georg inspirò ma non disse niente e neanche David ebbe il coraggio di replicare. Tom li guardò uno per uno, sfidandoli a contraddirlo. "Bill sarà qui" ripetè.
"D'accordo, ma finchè non lo troviamo devo evitare che Peter mi sbrani vivo" concluse David. "Avete un'apparizione sul canale musicale, stasera. Dovrete esibirvi. Peter dice che non è possibile rimandare anche questa"
"Non possiamo" borbottò Gustav, pulendosi le labbra. "Chi canterà?"
David si sedette al tavolo e guardò Tom dritto negli occhi, senza dire una parola.
"Non se ne parla neanche!" saltò su il ragazzino, inorridito. "Ti ha dato di volta il cervello, per caso?"
"Tom ascolta..." David tentò di mantenere la calma. Sapeva per esperienza che tra il convincere un adolescente a fare qualcosa e il convincerlo a non farla per nessuna ragione al mondo c'era soltanto una linea sottile. Doveva dire le parole giuste. "... Bill è il tuo gemello. Avete una voce simile"
"Palle! La mia è più bassa di un paio di toni!"
David sorrise, pensando di essere sulla buona strada. "Questo non è un problema! Abbasseremo tutto alla tua tonalità"
Tom stava già scuotendo la testa. "David, io non ho mai cantato. Mai! E non voglio nemmeno farlo... è Bill quello che canta!"
"Lo so, ma Bill non c'è adesso. Lo so che per te è un sacrificio, ma è necessario per--"
"No" Tom lo fissò deciso. "Nè ora nè mai"
"Tom..."
"David, quelle sono canzoni per mio fratello. Io non sono allenato, non so nemmeno da che parte cominciare! E poi cosa diremo alla gente? Come giustificheremo l'assenza di Bill?"
"Il nostro ufficio stampa si sta già occupando di questo. Bill ha avuto un esaurimento nervoso ed è in cura dai migliori medici qui a Berlino, ecco perchè siamo rimasti tutti qui in questo periodo. Per dargli supporto."
Il viso di Tom trasfigurò. Era rimasto così tanto chiuso nella sua stanza che non si era reso conto di cosa stesse succedendo intorno a sè. L'unica cosa che il suo cervello aveva registrato nelle ultime tre settimane era l'assenza di Bill. Nient'altro. Improvvisamente scopriva che la macchina dei Tokio Hotel si era già rimessa in moto: trovare Bill era una questione primaria, ma solo in funzione delle prossime esibizioni. Si erano tutti preoccupati di trovare una giustificazione convincente perchè la loro fama non ne risentisse. Bill si era sentito poco bene, stiamo qui soltanto per supportarlo. Va tutto bene, gente! Abbiamo tutto sotto controllo. "CHE CAZZATA!" la rabbia montò su così forte che non fu più in grado di controllarla. Era stato in silenzio fino a quel momento, ma anche lui aveva i suoi limiti. "E QUESTO CHE AVETE DETTO ALLA GENTE?"
"Tom non potevamo fare altrimenti! Pensa al casino che sarebbe successo se avessimo detto che se n'è andato e che non abbiamo idea di dove sia!" replicò David. "Già adesso alludono allo scioglimento, state perdendo credibilità"
"E chi se ne frega non ce lo metti?" commentò Tom. "Cosa vuoi che m'importi della band e dei concerti se non troviamo Bill?!?"
Sul viso di David apparve un'espressione strana, che Tom interpretò come di sufficenza, come se pensasse che lui non poteva capire quanto fosse importante continuare ad esibirsi. "Mi rendo conto che per te sia una situazione difficile Tom---"
"E ALLORA PIANTALA DI PENSARE A COME FARE A MENO DI BILL! ESCI DI QUI E CONTINUA A CERCARLO!" gridò incattivito, i dreads gli ondeggiarono dietro le spalle come fruste. "Perchè io non andrò a quella trasmissione, nè da nessun altra parte fino a che non salterà fuori cosa gli è successo!"

Tom si gettò in strada con foga rabbiosa.
Le guardie del corpo avevano provato a fermarlo ma a dispetto della corporatura fragile che condivideva con il fratello si era aperto la strada a spallate e nessuno era riuscito ad impedirgli di uscire. Saki gli aveva gridato dietro, Tom se lo sentiva alle spalle ora che tentava di tenere il suo passo, di correre veloce quanto lui.
"Tom fermati!" l'uomo lasciò perdere l'auricolare che continuava a cadergli dall'orecchio.
Tom si mise a correre ancora più veloce, il cuore in petto gli stava scoppiando: non era mai stato un grande atleta.
"Tom aspetta! Vieni qua!" la voce di Saki era forte, decisa. In tutti gli anni che si era occupato di lui e di suo fratello non aveva mai chiesto loro qualcosa, lo aveva sempre ordinato. Affettuoso, ma autoritario. Era il polso di ferro che era mancato a David e a sua madre.
Tom svoltò l'angolo, schivò un gruppo di persone che erano ferme proprio lì dietro a parlare e girò su se stesso per mantenere l'equilibrio. Quasi inciampò nei suoi pantaloni enormi e fece un grande sforzo per non finire lungo disteso in mezzo di strada.
Strinse i denti e continuò a correre, la testa vuota. Rabbia, rabbia che gli saliva da dentro e lo prendeva alla gola. Gli sembrava quasi di soffocare.
"TOM!" Saki era sempre più vicino. Si faceva spazio con la sola imponenza del corpo, la gente lo lasciava passare. Tom non avrebbe retto a lungo e il grido della guardia del corpo gli mandò un brivido giù lungo la schiena evocando ricordi che faticava a cancellare.
C'era stata una volta in cui l'entusiasmo gli aveva dato alla testa ed era sfuggito al controllo di Saki, superando la barriera dei bodyguard mentre attraversavano un corridoio umano per entrare in una stazione televisiva. Una volta in mezzo alla folla, le ragazze lo avevano quasi fatto a pezzi. Era stata l'esperienza più traumatica che gli fosse mai capitata, ricordava lo sguardo terrorizzato di Bill che osservava la scena dal suo nido protetto, con le mani sulla bocca; ma ricordava ancora meglio la ramanzina che Saki gli aveva fatto nei camerini. Se la sognava ancora la notte.....
E ora eccolo di nuovo a disubbidire alle regole.
"Tom fermati! O giuro che te la faccio pagare!" abbaiò l'uomo alle sue spalle. "ATTENTO!"
Tom avrebbe potuto ripetere la sequenza di eventi come se si fossero svolti singolarmente, a distanza di dieci minuti uno dall'altro invece che tutti contemporanemente. La sua mente li aveva separati e catalogati, anche se non sapeva bene in che ordine.
Ricordava di aver evitato una madre con una carrozzina ma di non aver assolutamente visto la strada. All'improvviso le auto e la doppia corsia erano apparsi di fronte ai suoi occhi: lo schema successivo di un videogioco che si caricava con qualche istante di ritardo. Il ginocchio si era piegato sullo stridio dei freni da qualche parte alla sua destra e poi lo schianto forte e metallico, un clacson che suonava.
Il mondo si era capovolto una, due, tre volte, poi il rumore della stoffa che si strappava e la testata forte sull'asfalto. Aveva il viso bagnato.

Bill si alzò di scatto, boccheggiando.
Sembrava che all'improvviso non ci fosse più aria. Ci volle qualche secondo perchè si rendesse conto di dov'era e di chi era. Recuperò coscienza di sè soltanto un pezzo alla volta.
La testa girava, un dolore confuso all'altezza della nuca gli impediva di focalizzare. Perfino gli occhi sembravano pesanti e stanchi, vedeva tutto appannato. Si portò una mano al petto, mentre il cuore gli martellava forte fin dentro le orecchie. "Tomi..." mormorò.
Era già successo altre volte: un presentimento, come una scarica elettrica direttamente nel cervello. E una nube scura che occupava tutti i suoi pensieri. Tom. Gli era successo qualcosa.
"René? Che succede?" Fabian, disteso nel letto di fianco a lui si era svegliato sentendo tutto quel trambusto. La sua voce era leggermente impastata dall'alcol e dalle droghe, non aveva quasi dormito. "René?"
Bill non lo stava ascoltando. Guardava dritto davanti a sè, in attesa di riprendere il controllo. Il cuore continuava a battere forte, così forte che ebbe paura potesse frantumarsi contro il suo torace.
Quando erano piccoli il legame che li univa era stato estramemente forte, quasi soprannaturale. Si capivano ai limiti della telepatia, perfino la madre a volte si stupiva.
Si diceva che fosse perchè i bambini sono estramente sensibili e percepiscono i legami invisibili con molta più facilità; i loro canali ricettivi sono più aperti. Con la crescita i canali tendono a chiudersi e le percezioni a restringersi. Questo era successo anche a loro. Certo si capivano al volo anche adesso, ma il loro modo di sentirsi si era modificato col tempo. Quello che ne era rimasto dalla loro infanzia era la capacità di percepire, come un brivido, se l'altro stava male o provava una situazione di disagio. Bill però non sapeva esattamente cosa fosse accaduto, nè la gravità dell'evento.
Che Tom si sbucciasse un ginocchio o venisse investito da un'auto, la sensazione era sempre la stessa: da qualche parte il suo gemello aveva provato dolore. Per un minuto, per un'ora, non importava.
"Renè?" Fabian lo chiamò ancora.
Bill si riscosse e lo guardò, come accorgendosi solo in quel momento che si trovava lì anche lui. Lo fissò stranito, poi scosse la testa: quell'emicrania era terribile.
Fabian interpretò lo stato confusionale e le pupille leggermente dilatate come un effetto collaterale della cocaina e sospirò comprensivo. "Vieni qua, non è niente" gli fece cenno di avvicinarsi e quando Bill non si mosse, lo tirò a sè circondadogli il busto.
"Io non..."
"Va tutto bene. E' normale" cercò di tranquillizzarlo, accarezzandogli distrattamente un fianco.
Bill continuava a guardarsi intorno stranito. Sapeva di dover far qualcosa, ma il cervello andava così a rilento, ogni pensiero sembrava imbevuto nella melassa ora che l'effetto della droga si era esaurito. Solo qualche ora prima si era sentito così in vita da poter spaccare il mondo e adesso faceva fatica anche a mettere insieme le quattro lettere che componevano il suo nome. Intanto Fabian continuava a parlare e a rassicurarlo con un luogo comune dietro l'altro. Bill percepiva soltanto frammenti delle sue frasi. "... e vedrai che stasera ti sentirai ancora meglio. E' sempre così i primi tempi" stava dicendo.
"Tomi..." mormorò il ragazzino.
"Come?"
Bill sollevò lo sguardo su Fabian al suono della sua voce, come se si fosse dimenticato nuovamente della sua presenza e non si fosse aspettato quel suono. "Io... devo telefonare!" esclamò alla fine, mentre la nebbia si dissipava nel suo cervello. "Devo telefonare!"
Tentò di districarsi goffamente dall'abbraccio di Fabian e quando non ci riuscì immediatamente lo scostò infastidito. "Lasciami andare!" sibilò, anche se in realtà l'altro ragazzo non lo stava affatto trattenendo.
"Okay, d'accordo" Fabian rise, arruffandosi i capelli mentre sbadigliava. "Cos'è tutta questa fretta?"
Bill camminò a quattro zampe sul materasso e si lasciò andare giù dal letto. Indossava ancora i jeans della sera prima e non ricordava perchè avesse dormito vestito. "Un telefono! Cristo, Fabian! Perchè non c'è un cazzo di telefono in questo posto?"
"René ti vuoi dare una calmata?"
"NO!" urlò isterico Bill. "Voglio un telefono! Ora!"
Fabian si allungò sul letto e raggiunse il comodino afferrando un cordless di lucida plastica nera. Lo tirò su e lo agitò in direzione di Bill, che si aggirava ancora per la stanza in preda all'isteria.
Bill afferrò il telefono con entrambe le mani e iniziò a digitare il numero di telefono ad una velocità impressionante. Fabian lo guardava incuriosito.
La linea suonò libera. Due squilli, poi la comunicazione che s'inseriva. "Pronto?"
Il cuore di Bill rallentò i battiti.

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