Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.
Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
05. Sacred
Per tutto il tragitto Tom non aveva voluto permettere a Fabian di sollevarlo dal peso di suo fratello. Bill era cosciente, se si potevano definire coscienza i mugolii lamentosi che emetteva ad intermittenza. Ogni tanto chiamava Tom, ogni tanto sua madre ma sembrava non rendersi conto di cosa fosse successo o di dove si trovasse.
"Andrà tutto bene Bill" cercava di rassicurarlo Tom, con il fiato corto. "Sono qui con te, adesso. Ce ne andiamo a casa"
Al suono della sua voce Bill voltava la testa e lo guardava, ma i suoi occhi febbricitanti erano spenti e lontani come se non lo vedesse nemmeno.
"Vieni, è da questa parte" Fabian li scortò attraverso una porta e su per due rampe di scale strettissime. Aprì la porta a Tom e gli fece cenno di proseguire diritto.
Tom adagiò il gemello sul grande letto in fondo alla stanza. Bill per un attimo sembrò riconoscerlo, ma poi ricadde nuovamente nel suo stato di semi-coscienza. Tom gli tolse le scarpe e si premurò di coprirlo con il lenzuolo. "Sta tranquillo" gli ripetè, accarezzandogli la fronte bollente. Rimase accosciato accanto a letto per qualche minuto, scostando i capelli dal viso di Bill e attendendo che si calmasse almeno un po'. Bill continuava a mormorare senza sosta. Ogni tanto Tom riconosceva un nome o una parola, ma per il resto erano solo farfugliamenti che però Bill pronunciava ad occhi completamente aperti. A volte fissando il soffitto: sembrava una crisi estatica. Vederlo così lo terrorizzava.
"Ha la febbre altissima" mormorò, appoggiandogli di nuovo una mano sulla fronte. Tom non sapeva cosa diavolo fare. Forse avrebbe dovuto chiamare l'ambulanza, ma avrebbe finito con l'attirare su di sè l'attenzione dei media.
"Non preoccuparti, è normale" s'intromise Fabian che era rimasto in piedi dietro di lui tutto quanto il tempo. "Sono gli effetti della cocaina. Si riprenderà in un paio d'ore"
La notizia arrivò a Tom con qualche secondo di ritardo, prima dovette ricordarsi che esisteva anche quell'uomo. Poi dovette decifrare quello che l'uomo aveva detto. Si voltò verso di lui, una mano sempre stretta intorno a quella senza pace di Bill.
"Mio fratello non si fà di cocaina" esclamò, lo sguardo serio oltre la tesa del cappellino.
Fabian osservò ancora una volta quanto i lineamenti di quel ragazzo fossero identici a quelli di René. Il suo viso era diventato ipnotico. "E' evidente che ci sono cose che non sai di tuo fratello" gli rispose, calmo.
"E tu cosa ne sai di Bill? Chi cazzo sei?"
"Innanzi tutto lo conosco come René" Fabian cominciava a prenderci gusto. Man mano che gli rivelava informazioni, Tom si irrigidiva. I tratti si facevano più duri, la mascella più marcata. Fabian pensò che fosse estremamente attraente. "E divide quel letto con me, di solito"
Tom scattò in piedi e lo afferrò per il bavero della camicia in un unico, fluido movimento che Fabian non fece in tempo a vedere. Lo sbattè contro il muro violentemente e ce lo tenne attaccato, sfruttando la propria altezza. "Hai messo le mani addosso a mio fratello?" ringhiò.
Fabian sorrise divertito. Quel ragazzino sull'orlo della malnutrizione aveva tirato fuori dal nulla la forza di sollevarlo quasi di peso. "Anche lui le ha messe addosso a me. E' stato uno scambio piuttosto reciproco di favori, sai? Si è guadagnato molto bene la mia ospitalità--"
Tom lo colpì in pieno viso. Forte. Con cattiveria. Come non aveva mai fatto in vita sua. Gli era capitato altre volte di ritrovarsi in una rissa, di essere costretto a spintonare la gente o di tirare qualche manata, ma era un ragazzino ed era a scuola: si era trattato di eccessi di testosterone sfogati in maniera assolutamente goffa e quasi non intenzionale. Fino ad allora, Tom non aveva mai voluto veramente fare del male a qualcuno. Era un tipo pacifico.
In quel momento, però, distinse chiaramente il proprio desiderio di devastare quell'uomo procurandogli possibilmente ferite permanenti. Sentì la rabbia montargli dallo stomaco e arrivargli alla testa mentre lo colpiva di nuovo, più duramente. Tirò indietro il braccio mentre lo teneva ancora stretto per la maglietta, quindi abbattè il pugno sul naso di Fabian. "FIGLIO DI PUTTANA!" Sentì il rumore della testa dell'uomo che sbatteva contro il muro e lo vide scivolare seduto sul pavimento.
Tom si strinse il pugno con l'altra mano, mentre un dolore sordo e pulsante gli saliva su fino al gomito destro. "Cazzo..." si morse un labbro, cercando di mantenere un minimo di serietà, ma la mano gli faceva un male pazzesco. Provò ad aprirla e chiuderla per vedere se c'era qualche osso rotto ma sembrava tutto okay.
"Cristo, ragazzino... sei impazzito?" Fabian si contorceva sul pavimento, una mano sul naso che perdeva sangue.
"CHIUDI LA BOCCA" sibilò Tom, tralasciando la mano ferita e tornando a dedicare attenzione all'oggetto del suo odio profondo. Nessuno poteva toccare suo fratello. In nessun modo. Il pensiero si formò inconsciamente nella sua testa e divenne chiaro e lampante così all'improvviso che Tom si ritrovò ad arrossire. Era geloso di Bill. E non c'erano dubbi sulla motivazione: non sopportava l'idea che qualcuno potesse avere da Bill quello che lui aveva avuto quella stessa sera. Tom chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Dio, che casino...
Fabian lo guardò storto. Estrasse un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e prese a tamponarsi il naso mentre si rialzava goffamente. Tom sollevò di nuovo minacciosamente la mano - che per inciso gli faceva un male da pazzi - ma Fabian lo ignorò, più interessato ai suoi lineamenti perfetti che non a lui e a suo fratello.
In quello stesso istante, il suo cellulare prese a squillare. "Pronto?" guardò un'altra volta Tom, che però era tornato al capezzale di suo fratello, quindi gli volse la schiena. "Sì... no. Non in così poco tempo. Cristo, Karl! Non ho una fottuta piantagione, ok? Devi darmi tempo!"
Tom ascoltò vagamente la conversazione mentre accarezzava il viso di Bill che si era addormentato. La temperatura stava scendendo e anche il respiro si era fatto più calmo e regolare. Cocaina. Era davvero l'uso di droga ad avergli procurato lo svenimento e quella febbre improvvisa?
Nel sonno Bill si mosse leggermente e Tom si chiese com'era potuto succedere in sole tre settimane che suo fratello facesse tanti errori tutti quanti insieme. La fuga, la droga..... quell'uomo. La rabbia era sbollita e la stanchezza aveva preso il suo posto, tutto ciò che vedeva ora era suo fratello, i suoi lineamenti addolciti dal sonno tranquillo. Voleva solo portarlo via e sentirsi meno in colpa.
"Ragazzino?"
Tom volse lo sguardo obliquo sul padrone di casa. "Che cosa c'è? I tuoi spacciatori si sono ammutinati?"
Fabian serrò le labbra per un istante. C'era ancora una striscia rossa di sangue rappresso tra la narice sinistra e la sua bocca. "Non muoverlo finchè non si riprende. Deve dormire" spiegò, sbrigativo. "Dagli da bere quando si sveglia"
"Ce ne andremo, quando si sveglia" replicò Tom, astioso.
Fabian lo guardò intensamente per qualche istante. Nei suoi occhi non c'era nessun tipo di tenerezza, nè di comprensione, soltanto una vena di fastidio. Tom non sapeva se dipendesse dalla lite o dalla sua comparsa. Si aspettò che replicasse, ma Fabian se ne andò senza dire una parola.
"Tom?"
Il chitarrista si voltò, la voce di Bill era soltanto un sussurro molto rauco. Gli accarezzò una guancia e il fratello socchiuse gli occhi. "Dovresti riposarti"
Bill annuì. Tutto ad un tratto sembrava stanchissimo. "Credo di avere molto sonno"
"Allora dormi. Io sono qui"
"Tom?"
"Sì?"
"Mi sei mancato"
"Anche tu"
Bill sorrise, poi chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.
Tom era rimasto insieme a Bill fino a che non era stato sicuro che stesse dormendo, quindi si era alzato sempre chiudendo e aprendo il pugno nel tentativo di recuperare la funzionalità della propria mano destra. Dopotutto era il caso che andasse a farsi vedere.
Aveva girovagato a lungo per la casa, solo per il gusto di curiosare nei cassetti di Fabian.
Il tipo era pieno di bei vestiti di marca e di oggetti d'arredamento che aveva visto soltanto nelle riviste di sua madre. A giudicare dal suo impianto stereo e dal televisore al plasma, i soldi dovevano uscirgli dalle orecchie.
Si sedette sul divano di pelle e con un gesto secco e nervoso gettò a terra tutto ciò che c'era sul tavolo di fronte a lui. Una di quelle orrende statuette astratte in ceramica si disintegrò spargendo frammenti bianchi su tutto il parquet. "Stronzo..." mormorò a bassa voce.
Era colpa di quell'uomo se adesso suo fratello era disteso in un letto e non era nemmeno del tutto cosciente, se aveva iniziato a fare uso di droghe, se...
Il telefono prese a squillare, interrompendo la sequela di invettive che si era già preparato. Aveva così tanta rabbia repressa che continuava a tornare a galla che avrebbe potuto ucciderlo a distanza solo con le offese. "Pronto?" rispose stancamente, appoggiandosi allo schienale.
"Tom, sono Saki"
Nelle ultime cinque ore la sua vita era stata un film. Suo fratello disperso, scene madri di fronte ad un taxi in partenza, un locale quasi a luci rosse, un ambiguo spacciatore di droga, lui che partiva per ritrovare il fratello mentendo spudoratamente ai suoi amici, a sua madre, al suo manager: la voce di Saki lo aveva riportato alla realtà. Era una specie di ancora, la prova che il suo mondo era stato normale almeno in passato. "Ciao Saki" mormorò. Era felice, ma molto stanco.
"Dove diavolo sei? Lo sai che ore sono? Potevi abbassarti a telefonare appena arrivato, ti pare?"
Tom guardò l'orologio: le 8 del mattino. Fece una smorfia colpevole. Si rese conto che non aveva avvertito la sua guardia del corpo che era riuscito ad arrivare a Monaco sano e salvo. Saki doveva aver passato l'intera nottata a chiedersi se non aveva lasciato che Tom sparisse esattamente come il gemello. "Ehm... ti chiedo scusa. E' stata una nottata terribile"
"Hai trovato Bill?"
"Sì"
"E sta bene?"
Tom esitò qualche istante, cercando di decidere in fretta cosa dovesse dire e cosa no. In fondo poteva stare in silenzio adesso, ma avrebbe avuto bisogno di un appoggio una volta tornato a casa. Almeno una persona adulta che potesse dargli un mano. Lo sguardo gli cadde sulla forma addormentata di Bill e non se la sentì di aprire bocca: in fondo non aveva ancora parlato con lui. C'era sempre tempo per coinvolgere Saki. "Sta bene" mentì. "Ora sta dormendo. Lì va tutto bene?"
"No, affatto. David non è contento di questa tua vacanza, Tom. Ha chiamato Andreas almeno dodici volte solo ieri sera perchè non è affatto convinto che tu sia lì da lui. E Peter lo sta facendo martire per via di tutte le interviste che state saltando. Devi riportare Bill a casa, dovete tornare entrambi e riprendere la vostra vita"
"Sì, lo so"
"Quanto pensi ti ci vorrà? Non credo che David se ne starà tranquillo ancora per molto"
Tom espirò, si passò una mano sugli occhi. Era stanco, non dormiva da 12 ore e il suo cervello gli stava mandando segnali inequivocabili: stenditi e dormi. Io qui non reggo più.
"Appena si sveglia lo metto sul primo volo per Berlino" rispose, sperando che Bill si facesse convincere.
"Bene. Ci sentiamo fra qualche ora"
Tom annuì, anche se l'uomo non poteva vederlo. "Ciao".
Il chitarrista rimase a lungo seduto, il cellulare tra le mani e la testa china a fissare il pavimento. Si rese conto che non aveva idea di come procedere da qui in avanti: dovevano tornare indietro, d'accordo, ma non era detto che Bill volesse. E poi era successo di tutto in quelle maledette tre settimane! E la questione che aveva scatenato l'intera sequenza? Che Bill lo amava e non poteva vivere in un posto in cui c'era anche lui? Quella non avevano avuto tempo di risolverla ed era ancora totalmente aperta. "Sì, certo Tom. Peccato che tu lo abbia limonato meno di due ore fa" mormorò a sè stesso. "Questo ha reso sicuramente tutto molto più semplice. Bravo!"
In quel momento, un rumore alle sue spalle lo fece girare. Bill era in piedi, appoggiato all'arcata che divideva la zona notte da quella giorno. Il ragazzo era spettinato e pallidissimo. Gli occhi, ancora truccati, non erano più lucidi di febbre ma gonfi e arrossati. Si guardava intorno spaesato, come se faticasse a capire dove si trovava.
"Tom?" mormorò in un mugolio lamentoso e debole. Socchiuse gli occhi, la testa gli faceva male.
"Hey" Tom sorrise dolcemente. Si alzò in fretta e gli si avvicinò. Avrebbe voluto abbracciarlo ma qualcosa gli disse di non farlo. Si limitò ad accarezzargli un braccio. "Come ti senti?"
Bill si strinse nelle piccole spalle. "Ho visto giorni migliori"
"Vuoi mangiare qualcosa?"
Il cantante scosse la testa. "No, ho la nausea"
Tom lo scortò solenne verso il divano, camminandogli a tre passi di distanza nel terrore di essere invadente o di far cose che Bill non avrebbe apprezzato. Era dura non stargli vicino, quando avrebbe voluto stringerlo forte tra le braccia e dirgli quanto gli era mancato. Si sedette vicino a lui e gli sorrise di nuovo. Incapace di trattenersi allungò una mano verso di lui e gli scostò qualche ciuffo dal viso, guardandolo come se non credesse ancora di averlo ritrovato. Bill non si scostò, ma era palese che non fosse a suo agio. "Dove..." si interruppe per cercare parole che stavano annegando nell'ovatta della sua testa. "... dove ti sei sistemato?"
"Ho una stanza al Coven Hotel" rispose prontamente Tom. Quella era una domanda facile, di cui sapeva la risposta. Era un'altra cosa normale a cui aggrapparsi prima che la discussione diventasse insostenibile, gli dava l'illusione che non lo sarebbe mai diventata. "E' qui vicino"
Bill non rispose. Tirò le gambe sul divano e le strinse al petto.
"Beh in effetti non ci ho mai passato la notte. Sono venuto direttamente qui" riprese Tom.
Altro silenzio.
Il chitarrista si sistemò il cappellino imbarazzato. Aveva sciolto la coda di dreads che ora gli scendevano morbidi sul collo. Si schiarì la voce. "Quando... sei pronto, possiamo andare" mormorò piano. "Prenderemo il primo aereo per Berlino. Siamo ancora tutti lì. Ma non c'è fretta, eh! Cioè, prenditi il tempo che vuoi, non abbiamo orari"
Bill lasciò che finisse, per una volta sembrava che fosse lui a capire prima dell'altro gemello come stavano effettivamente le cose. "Tom..." iniziò, con tono paziente. "Io non posso tornare".
"Perchè?"
"Lo sai perchè"
Tom aprì e chiuse la bocca un paio di volte, sfuggendo lo sguardo di Bill ogni volta che ondeggiava la testa e per caso lo incrociava. "Sentì, se è per quella..... cosa, possiamo parlarne. Insieme, però! A casa! Non hai bisogno di--"
Bill si alzò in piedi di scatto, innervosito. "Quella cosa... " mimò le virgolette "Sono io!"
"No. Non sei tu" mormorò Tom.
Bill roteò gli occhi al cielo, le mani sui fianchi come faceva di solito quando era nervoso e stava diventando isterico. "Ascolta, tu che vieni qui a salvarmi e mi tieni la mano durante la notte.. è tutto molto bello ma non siamo in una canzone, d'accordo? Non ... Tom, non è cambiato niente da quando me ne sono andato!"
"Qualcosa è cambiato, invece!" Tom lo fissò con gli occhi tondi e dolcissimi. Pensò a quello che aveva sentito la sera prima: le parole gli erano uscite naturali, prima ancora che il concetto espresso si fosse concretizzato.
Bill però era troppo concentrato su se stesso per notarlo. "Io non posso tornare" ripetè cocciuto.
"Ma Bill.."
"No" insistette il gemello.
"E allora cosa diavolo vuoi fare?" Tom si alzò così all'improvviso che il fratello sussultò. "Credi che scappare sia una soluzione?"
"Io non sto scappando!"
"Ah no?" chiese ironico Tom, un sopracciglio sollevato. Allargò le braccia indicando l'intera stanza. "Lasciare la band, cambiare città, vita, nome!.... tutto questo come me lo chiami? Sei scappato! Ecco cosa! Mi hai buttato in faccia la tua verità scomoda e poi te ne sei andato, lasciando me a convincerci!"
Bill spalancò la bocca, incredulo. Gli occhi gli divennero enormi e se la situazione non fosse stata seria, sarebbe sembrato molto comico. "Come puoi dirmi..... CREDI DI ESSERE TU LA VITTIMA IN TUTTO QUESTO?" gridò. "CREDI DI STARE PEGGIO DI ME?"
"Io non sono scappato" puntualizzò il biondo.
"TU NON C'ENTRI NIENTE" replicò Bill. "QUESTA E' UNA COSA CHE RIGUARDA SOLTANTO ME"
"No, Bill. E' una cosa che riguarda entrambi" mormorò Tom, piano. "Non puoi pensare che io conviva con quel che mi hai detto"
"E ALLORA DIMENTICA!" sbraitò Tom. "Per te non cambia niente. Tu non lo sai cosa vuol dire stare male come lo sono stato io con te!"
"E pensi che mi faccia piacere sapere che te ne sei andato per colpa mia? Cristo, Bill, possibile che tu non te ne renda conto?"
Il cantante strinse i pugni come cercando di trattenersi, ma tanto non c'era mai riuscito. Confuso e nel panico non notò la vena di tristezza negli occhi del fratello e non registrò le parole che aveva appena pronunciato. La realtà che c'era al loro interno. Se solo si fosse sforzato di decentrare la propria attenzione e di focalizzarla sul fratello, per una volta, avrebbe capito che Tom stava provando qualcosa. E che, quel qualcosa, era maledettamente simile a quello che lui stesso gli aveva confessato. "Questa discussione non ha alcun senso, Tom" esclamò alla fine, gelido. "E io non tornerò indietro a soffrire in silenzio solo perchè tu possa sentirti a tuo agio con la tua coscienza"
La rabbia, sorda, gli montò dal fondo dello stomaco. "E CHE CAZZO VUOI FARE, SENTIAMO?" urlò Tom per la prima volta quella mattina. "RIMANERE IN QUESTO POSTO DI MERDA A FARE CHE COSA? A LAVORARE PER QUEL TIPO? E CHE LAVORO FAI PER LUI, BILL, DIMMELO UN PO'! QUANTO TI PAGA PER ESSERE LA SUA PUTTANA?"
Tom si rese conto di quello che aveva detto solo dopo che l'ultima parola ebbe rieccheggiato - precisa e netta - per tutta la stanza. L'intera frase rimase sospesa nell'aria, quasi visibile, perchè sia lui che Bill potessero leggerla e rileggerla più volte.
Tom abbassò la testa, affranto. Non era così che doveva andare. "Scusami, io..."
"Sei soltanto uno stronzo..." mormorò Bill.
"Bill!" cercò di fermarlo per un braccio, ma Bill si divincolò. "Bill! Aspetta! Non so cosa mi è preso, non volevo..."
"Non volevi neanche ieri sera?" Bill lo guardò dritto negli occhi, la voce ferma ma incredibilmente malinconica.
Tom rimase in silenzio, sorpreso e incapace di dire qualsiasi cosa.
"Pensavi che non lo ricordassi, vero?" Bill sorrise, triste. "Ricordo sempre tutto. E' una maledizione"
Tom non credeva di potersi sentire peggio di come si era sentito tre settimane prima. Era convinto di aver toccato il fondo, invece Bill gli aveva dato una vanga con cui scavare.
Non poteva dirgli quello che gli era passato per la testa, perchè non ci aveva riflettuto e - dopotutto - neanche ci credeva. Era geloso di Bill, ma cedere alla tormenta di ormoni che lo travolgeva ogni volta che il suo gemello muoveva i fianchi non era giusto. Almeno credeva, non lo sapeva nemmeno lui! Voleva soltanto che Bill tornasse indietro, tutto il resto poteva aspettare.
"E' per evitare che accadesse che me ne sono andato" mormorò Bill, prima di sparire dietro la porta del bagno. "Ora sarà ancora più difficile"
Tom osservò la porta chiudersi, senza riuscire a muovere un muscolo. Sentì Bill appoggiarsi alla porta e scivolare in terra, quasi percepì il calore del suo corpo attraverso il legno. Appoggiò una mano là dove sarebbe stata la sua testa. "Bill, per favore..."
"Vattene Tom" mormorò il cantante, con la testa tra le mani. "Vattene"
Tom non aveva neanche disfatto la valigia e ora stava prendendo disposizioni per rimetterla su un taxi e tornarsene a Berlino.
Era rientrato in albergo con il viso così scuro che uno dei consierge lo aveva fermato per chiedergli se qualcosa non andava e se poteva fare qualcosa per lui.
"Può recuperare mio fratello da un maniaco sessuale?" gli aveva chiesto Tom, senza neanche fermarsi. Aveva superato l'uomo a grandi falcate, con quelle gambe lunghissime e se l'era lasciato alle spalle con la faccia sconvolta e un po' confusa.
Non era mai stato tanto arrabbiato da che avesse memoria. L'impeto di amore incontrollato che lo aveva devastato la sera precedente alla vista di suo fratello febbricitante si era esaurito nel giro di cinque minuti. Per non parlare della crisi ormonale: i suoi ormoni erano tornati tutti buoni nei ranghi e non si sarebbero fatti coinvolgere di nuovo in storie torbide con gemelli impazziti! Mai più!
Scardinò la porta della sua camera d'albergo, entrò e la sbatacchiò per richiuderla, gettandosi disteso sul letto direttamente dalla soglia: era abbastanza lungo e il letto abbastanza vicino per fare una cosa simile. Rimase immobile a quattro di bastoni per un tempo infinito. Le pesanti tende di raso erano ancora tirate, c'era odore di chiuso come se nessuno fosse passato a pulire, ma non gli importava.
La discussione con suo fratello si stava replicando alla perfezione nella sua testa. La voce, il movimento delle mani, le sue espressioni erano tutte ben chiare nella sua testa e questo gli rendeva molto difficile dimenticarsi l'intera sequenza di eventi.
"Aarrrrrrgh", si premette il cuscino sulla testa mentre ringhiava improperi in tutte le lingue che (non) conosceva: le parolacce imparate ad ogni nuova tappa dell'ultimo tour cominciavano a risultare utili dopotutto.
Che cosa pretendeva Bill da lui? Che lo lasciasse con Fabian? Che se ne fregasse di che fine faceva e se ne tornasse a Berlino come se nulla fosse? "Come diavolo pui pensare che io faccia una cosa simile?" strillò Tom all'improvviso lanciando il cuscino per aria. "Deficente!"
Dodici ore.
Bill le aveva contate tutte, una per una, disteso sul pavimento dell'appartamento di Fabian.
Aveva fissato il soffitto e il sole che saliva e tramontava su di esso, senza mai muoversi. Se avesse potuto non avrebbe neanche respirato. Monaco si era svegliata piano oltre le finestre, aveva sentito i suoi rumori in lontananza. Era tutto così irreale. Tom sembrava uscito da quella stanza in una vita precedente: aveva annusato le tracce del suo profumo finchè non era svanito. Bill avrebbe potuto riconoscere quell'odore fra un milione di altri, il misto di sapone e di shampoo e un pizzico di sudore. Tom sapeva di buono e di naturale. A Bill era sempre piaciuto farsi abbracciare da suo fratello e nascodergli il viso nel collo dove l'odore era più forte. Quando erano piccoli quell'odore era stato l'odore di casa, aveva evocato il concetto stesso di protezione. Adesso rievocava i baci che si erano scambiati sul palco, la sensazione di eccitazione che lo aveva pervaso.
Si era chiesto perchè Tom non lo avesse respinto, perchè avesse ceduto alle sue lusinghe e la risposta era arrivata quasi automatica. Tom gli voleva bene. Ed era un tipo facile all'eccitazione. Se aveva provato anche solo la metà di ciò che aveva provato lui nel rivederlo, allora aveva avuto il desiderio impellente di abbracciarlo, di stringerlo, di.... non lo sapeva neanche lui. Tom doveva essersi confuso: il ballo, il calore, la vicinanza di un altro corpo che conosceva e che amava, dovevano avergli dato alla testa e quando Bill lo aveva baciato si era lasciato andare. Tutto qui. Niente risvolti. Era inutile sperare al miracolo, ed era anche dannoso: non poteva illudersi di qualcosa perchè poi avrebbe dovuto convivere con la disillusione.
Era per questo che lo aveva mandato via, per non soffirire. Per non costringerlo a pronunciare parole che dalla sua bocca non voleva sentire, mai. Per nessuna ragione al mondo. Preferiva sognare, dimenticare, inventare perfino, piuttosto che sentirlo dire che era stato uno sbaglio.
Osservò la luce giocare attraverso le dita delle sue mani aperte. Briciole di sole gli arrivarono sulla faccia, costringendolo a chiudere gli occhi: non c'era bisogno di immaginare cosa sarebbe successo se..... tanto Tom se n'era andato e non aveva alcun motivo di tornare.
Lui non voleva che tornasse.
La serratura della porta scattò all'improvviso, ma Bill non si mosse. Fabian lo trovò che fissava le sue mani con aria vacua. "Ti sei fatto di nuovo?" chiese secco.
Bill non rispose.
"Renè.... Bill" si corresse l'uomo. "Mi stai ascoltando?"
Il cantante abbassò le mani piano e piegò la testa all'indietro fino a che le ginocchia di Fabian - fermo a pochi passi da lui - non entrarono nel suo campo visivo. Il padrone del DHN aveva il viso tirato e lo sguardo cupo.
"Allora? Di cosa sei fatto?"
"Di niente" rispose Bill. Il sorriso gli si allargò sulle labbra magre. "Oppure di luce, decidi tu"
Fabian scosse la testa, mentre si toglieva la giacca.
Bill rotolò sulla pancia, quindi si tirò indietro lentamente per alzarsi in piedi.
"Sei vestito come ieri sera? Non ti sei neanche pettinato, guarda in che stato sei" commentò Fabian, versandosi da bere.
"Aspettavo che rientrassi" si giustificò il ragazzino. Gli si spalmò addosso, lanciandogli le braccia al collo e sporgendosi per essere baciato. "C'è ancora tempo prima di cena"
Fabian sembrò apprezzare e sorrise per la prima volta. "Pensavo che te ne saresti andato con tuo fratello, Bill" mormorò, mordendogli il labbro inferiore.
"Mi chiamo René".
Fabian roteò gli occhi al cielo. "Come vuoi" concesse. "Allora, perchè sei ancora qui?"
Bill premette le labbra contro le sue e approfondì il bacio, cercando la lingua di Fabian. L'uomo lo strinse a sè, lasciando il bicchiere sul primo mobile che riuscì a trovare.
"Dovevo andare?" chiese Bill.
"Tuo fratello sembrava tenerci"
Bill ebbe una fitta allo stomaco. Annegò il viso di Tom in un altro bacio. Sapore di alcool. "Smetti di parlare di lui. Ci sono altre cose che possiamo fare, no?"
Il sorriso di Fabian si fece lupesco. Lo tirò su di peso e Bill intrecciò le gambe dietro la sua schiena. Fabian lo adagiò piano sul letto, allungandosi lentamente su di lui. Era un uomo piuttosto alto, con folti capelli neri e gli occhi scurissimi. Quando parlava, le sue origini russe erano evidenti nell'accento tagliente e nella costruzione strana delle sue frasi. Ogni tanto, durante le notti in cui non riuscivano a dormire, Fabian gli insegnava qualche parola nella sua lingua e Bill provava a ripeterla inutilmente. Quando Bill non riusciva a pronunciare una sillaba ci si intestardiva sopra e si arrabbiava, perchè non amava essere scarso in qualcosa.
Per questo aveva smesso di suonare la chitarra e il piano. Aveva smesso di fare qualsiasi cosa che non gli riuscisse alla perfezione. Cantare ti riusciva. Nella testa risuonò una voce diversa eppure così simile alla sua. Quella di Tom.
Bill chiuse gli occhi, si strinse a Fabian che lo stava accarezzando delicatamente. Il suo corpo non aveva mai suscitato troppo interesse in Bill: certo era bello, ma niente di più. Non c'era quell'attrazione ripugnante e irresistibile che sentiva per il corpo di Tom.
Perso nelle sue considerazioni personali, Bill ritornò alla realtà quando l'uomo sopra di lui gli sbottonò i jeans strettissimi.
"Fabian..."
"Hmm?" La sua mano era scivolata nei pantaloni di Bill, lenta e calda. Bill inarcò la schiena, mugolò lamentoso contro il collo dell'uomo che prese quell'uggiolio per un sospiro di piacere. Lo accarezzò, ancora più lentamente, lo sentì tendersi.
Bill lo fermò stringendogli un polso. "No" mormorò piano, aprendo gli occhi.
"Non fare il prezioso. Hai cominciato tu" gli fece notare Fabian, sollevandogli la maglietta e baciandogli il petto.
Bill si divincolò, senza riuscire a liberarsi. Tirò giù la maglietta e Fabian tornò a dedicare tutta la sua attenzione al collo. "Cerca di rilassarti..." Bill sentì i suoi denti morderlo piano sul collo e la lingua leccare quella piccola ferita. "...sei troppo teso."
Lo stomaco di Bill si contorse. La paura, forte, lo prese alla gola mozzandogli il respiro. Le carezze di Fabian avevano tutto un altro sapore adesso: non erano mai state così.
Era troppo deciso.
Lo assalì la consapevolezza terrificante che in realtà non voleva affatto fare sesso con lui, che non voleva essere toccato in quel modo che.... no! no! "NO!" gridò, stringendo il polso di Fabian fino a conficcargli le unghie nella pelle. "Lasciami!"
"Che cosa?" Fabian sollevò la testa, la mano ancora nei pantaloni di Bill.
"Non voglio farlo"
Gli occhi di Fabian erano un po' torbidi, poco lucidi. "Ne abbiamo già parlato, Renè" commentò. "Ho avuto fin troppa pazienza"
"Non mi interessa! Io non voglio!" ripetè Bill. Cercò di divincolarsi ancora una volta, ma Fabian gli inchiodò le braccia al materasso. "LASCIAMI ANDARE!"
L'altro sbuffò spazientito. "Renè questi capricci ti costeranno" lo avvertì. "Così rendi tutto molto più difficile per te!"
"Lasciami andare!" ripetè Bill, cercando di suonare arrabbiato. In realtà quello che ne uscì fuori fu un mugolio un po' più acuto degli altri mentre Bill tentava ancora una volta di divincolarsi dalla stretta ferrea del suo amante.
Il russo prese ad ignorarlo. Trattenne i polsi di Bill con la sola mano sinistra e riprese a spogliarlo con la destra, incurante del fatto che il cantante si stesse dimenando come un'anguilla: fintanto che ci stava seduto sopra c'era ben poco che Bill potesse fare per liberarsi. "Non sarà così male" gli stava dicendo.
Bill fece un ennesimo tentativo. Cercò di inarcare la schiena, ma ottenne soltanto l'effetto contrario di strusciare i propri fianchi contro quelli di Fabian, che sorrise.
"Fabian, ti prego..." mormorò Bill.
Gli occhi del russo lo fissarono al di sotto della linea dei suoi pantaloni calati ormai fin sotto il sedere. Occhi da gatto, obliqui e leggermente orientali. Occhi bellissimi se sorrideva, ma devastanti se decideva di essere cattivo. "Non pregarmi, non ti serve a niente" esclamò, con quel suo modo cavernoso di pronunciare le vocali. "Questo sarà il tuo modo per ripagarmi di tutto ciò che ho fatto per te"
Fabian si chinò sulla sua pancia e gli baciò l'ombelico. Bill strattonò di nuovo, ma il russo serrò la presa sui suoi polsi.
"Mi fai male!"
"Falla finita"
Fabian scivolò su di lui, lentamente. Bill approfittò dello spostamento e con le gambe semi libere sollevò le ginocchia, colpendo il russo all'altezza dello stomaco. Fabian si piegò su se stesso e lasciò la presa. Il cantante iniziò a divincolarsi per sfruttare l'attimo di distrazione ma non fu abbastanza veloce.
"MALEDETTO!"
Fabian lo colpì all'improvviso e con forza. Un pugno in piena faccia, senza restrizioni, sferrato per fare male. La testa di Bill si piegò all'indietro per l'urto. "Sei un cazzo di ragazzino di merda!" ringhiò Fabian. Bill sentì fischiare il secondo pugno prima ancora di essersi ripreso dal primo, la mano del russo lo colpì sul collo, togliendogli quasi il respiro. "Avrei dovuto lasciarti crepare in mezzo alla strada!"
Bill si ripiegò su se stesso senza neanche rendersi conto che Fabian si era alzato da lui e il terzo colpo lo prese alla schiena. Il cantante cacciò un urlo dei suoi e si allontanò gattonando. Raggiunse la fine del letto senza vederla e cadde in terra con un tonfo sordo.
"Vattene di qui!" gli urlò dietro Fabian, furibondo.
Bill stava scuotendo la testa, sconvolto. "Ti prego Fabian non puoi mandarmi via" la sua voce era roca e lui sull'orlo delle lacrime. Raggomitolato sul pavimento guardava l'uomo terrorizzato. "Non so dove andare"
"Questi sono cazzi tuoi"
"Ti prego..."
"Ti voglio fuori di qui entro un quarto d'ora"
Bill vide l'ombra di Fabian avvicinarsi a lui, si schermò la testa con le mani ma il colpo non arrivò. Sentì la porta chiudersi e non ebbe il coraggio di guardare.
Quando bussarono, Tom era ancora disteso sul letto. David lo aveva chiamato tre volte, Andreas almeno dodici urlandogli improperi in tutte le lingue che conosceva (ed erano quattro) dicendogli che non ne poteva più di lui, del suo gemello e di quel rompiballe del loro manager, il quale non credeva ad una sola delle parole che gli aveva detto. Tom gli aveva spiegato la situazione - beh, non tutta ovvio - e l'amico gli aveva detto di cavarsela da solo. Aveva riattaccato per richiamare subito dopo e dirgli che mandava al diavolo lui e quel demente di suo fratello ma che sarebbe arrivato a Monaco il mattino seguente per dargli una mano. Poi era stata la volta di sua madre, del suo patrigno, quindi Gustav e George in coppia come Gianni e Pinotto e di nuovo David. L'ultimo della lista era stato Saki al quale aveva dovuto mentire più che agli altri, dirgli che stava per tornare e che no, non sapeva l'ora esatta e che sì, certo, Bill stava bene ma ora era in bagno e non poteva salutarlo, e mi raccomando che non avvertisse ancora David perchè suo fratello non voleva.
Il risultato era che lui non sapeva cosa diavolo fare, Saki pensava che stesse per tornare indietro e suo fratello non si era fatto sentire per niente. Lui, dal canto suo, avrebbe preferito poter entrare in letargo lì su quel letto e dormire per sempre piuttosto che trovare la forza di alzarsi e affrontare la situazione.
"Chi è?" chiese scortese, ancora disteso sul materasso con un braccio sugli occhi. Bussarono di nuovo.
Tom sospirò. Con un colpo d'anca si tirò su a sedere. Quando aprì la porta, suo fratello era in mezzo al corridoio e tirava su col naso.
Aveva il trucco sfatto dal pianto e i capelli in disordine, gli occhi grandi, rossi e impauriti come se fosse scappato da qualcosa di terrificante. Si stringeva nelle spalle, accarezzandosi un braccio con fare imbarazzato. Dietro di lui c'erano le sue due enormi valigie. La sua maglia era tutta storta e gli pendeva asimmetrica da una spalla, aveva la cintura ancora slacciata.
"Tomi..." cominciò a piangere prima ancora di aver pronunciato per interno il nome del gemello. "Posso entrare?"
Per tutto il tragitto Tom non aveva voluto permettere a Fabian di sollevarlo dal peso di suo fratello. Bill era cosciente, se si potevano definire coscienza i mugolii lamentosi che emetteva ad intermittenza. Ogni tanto chiamava Tom, ogni tanto sua madre ma sembrava non rendersi conto di cosa fosse successo o di dove si trovasse.
"Andrà tutto bene Bill" cercava di rassicurarlo Tom, con il fiato corto. "Sono qui con te, adesso. Ce ne andiamo a casa"
Al suono della sua voce Bill voltava la testa e lo guardava, ma i suoi occhi febbricitanti erano spenti e lontani come se non lo vedesse nemmeno.
"Vieni, è da questa parte" Fabian li scortò attraverso una porta e su per due rampe di scale strettissime. Aprì la porta a Tom e gli fece cenno di proseguire diritto.
Tom adagiò il gemello sul grande letto in fondo alla stanza. Bill per un attimo sembrò riconoscerlo, ma poi ricadde nuovamente nel suo stato di semi-coscienza. Tom gli tolse le scarpe e si premurò di coprirlo con il lenzuolo. "Sta tranquillo" gli ripetè, accarezzandogli la fronte bollente. Rimase accosciato accanto a letto per qualche minuto, scostando i capelli dal viso di Bill e attendendo che si calmasse almeno un po'. Bill continuava a mormorare senza sosta. Ogni tanto Tom riconosceva un nome o una parola, ma per il resto erano solo farfugliamenti che però Bill pronunciava ad occhi completamente aperti. A volte fissando il soffitto: sembrava una crisi estatica. Vederlo così lo terrorizzava.
"Ha la febbre altissima" mormorò, appoggiandogli di nuovo una mano sulla fronte. Tom non sapeva cosa diavolo fare. Forse avrebbe dovuto chiamare l'ambulanza, ma avrebbe finito con l'attirare su di sè l'attenzione dei media.
"Non preoccuparti, è normale" s'intromise Fabian che era rimasto in piedi dietro di lui tutto quanto il tempo. "Sono gli effetti della cocaina. Si riprenderà in un paio d'ore"
La notizia arrivò a Tom con qualche secondo di ritardo, prima dovette ricordarsi che esisteva anche quell'uomo. Poi dovette decifrare quello che l'uomo aveva detto. Si voltò verso di lui, una mano sempre stretta intorno a quella senza pace di Bill.
"Mio fratello non si fà di cocaina" esclamò, lo sguardo serio oltre la tesa del cappellino.
Fabian osservò ancora una volta quanto i lineamenti di quel ragazzo fossero identici a quelli di René. Il suo viso era diventato ipnotico. "E' evidente che ci sono cose che non sai di tuo fratello" gli rispose, calmo.
"E tu cosa ne sai di Bill? Chi cazzo sei?"
"Innanzi tutto lo conosco come René" Fabian cominciava a prenderci gusto. Man mano che gli rivelava informazioni, Tom si irrigidiva. I tratti si facevano più duri, la mascella più marcata. Fabian pensò che fosse estremamente attraente. "E divide quel letto con me, di solito"
Tom scattò in piedi e lo afferrò per il bavero della camicia in un unico, fluido movimento che Fabian non fece in tempo a vedere. Lo sbattè contro il muro violentemente e ce lo tenne attaccato, sfruttando la propria altezza. "Hai messo le mani addosso a mio fratello?" ringhiò.
Fabian sorrise divertito. Quel ragazzino sull'orlo della malnutrizione aveva tirato fuori dal nulla la forza di sollevarlo quasi di peso. "Anche lui le ha messe addosso a me. E' stato uno scambio piuttosto reciproco di favori, sai? Si è guadagnato molto bene la mia ospitalità--"
Tom lo colpì in pieno viso. Forte. Con cattiveria. Come non aveva mai fatto in vita sua. Gli era capitato altre volte di ritrovarsi in una rissa, di essere costretto a spintonare la gente o di tirare qualche manata, ma era un ragazzino ed era a scuola: si era trattato di eccessi di testosterone sfogati in maniera assolutamente goffa e quasi non intenzionale. Fino ad allora, Tom non aveva mai voluto veramente fare del male a qualcuno. Era un tipo pacifico.
In quel momento, però, distinse chiaramente il proprio desiderio di devastare quell'uomo procurandogli possibilmente ferite permanenti. Sentì la rabbia montargli dallo stomaco e arrivargli alla testa mentre lo colpiva di nuovo, più duramente. Tirò indietro il braccio mentre lo teneva ancora stretto per la maglietta, quindi abbattè il pugno sul naso di Fabian. "FIGLIO DI PUTTANA!" Sentì il rumore della testa dell'uomo che sbatteva contro il muro e lo vide scivolare seduto sul pavimento.
Tom si strinse il pugno con l'altra mano, mentre un dolore sordo e pulsante gli saliva su fino al gomito destro. "Cazzo..." si morse un labbro, cercando di mantenere un minimo di serietà, ma la mano gli faceva un male pazzesco. Provò ad aprirla e chiuderla per vedere se c'era qualche osso rotto ma sembrava tutto okay.
"Cristo, ragazzino... sei impazzito?" Fabian si contorceva sul pavimento, una mano sul naso che perdeva sangue.
"CHIUDI LA BOCCA" sibilò Tom, tralasciando la mano ferita e tornando a dedicare attenzione all'oggetto del suo odio profondo. Nessuno poteva toccare suo fratello. In nessun modo. Il pensiero si formò inconsciamente nella sua testa e divenne chiaro e lampante così all'improvviso che Tom si ritrovò ad arrossire. Era geloso di Bill. E non c'erano dubbi sulla motivazione: non sopportava l'idea che qualcuno potesse avere da Bill quello che lui aveva avuto quella stessa sera. Tom chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Dio, che casino...
Fabian lo guardò storto. Estrasse un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e prese a tamponarsi il naso mentre si rialzava goffamente. Tom sollevò di nuovo minacciosamente la mano - che per inciso gli faceva un male da pazzi - ma Fabian lo ignorò, più interessato ai suoi lineamenti perfetti che non a lui e a suo fratello.
In quello stesso istante, il suo cellulare prese a squillare. "Pronto?" guardò un'altra volta Tom, che però era tornato al capezzale di suo fratello, quindi gli volse la schiena. "Sì... no. Non in così poco tempo. Cristo, Karl! Non ho una fottuta piantagione, ok? Devi darmi tempo!"
Tom ascoltò vagamente la conversazione mentre accarezzava il viso di Bill che si era addormentato. La temperatura stava scendendo e anche il respiro si era fatto più calmo e regolare. Cocaina. Era davvero l'uso di droga ad avergli procurato lo svenimento e quella febbre improvvisa?
Nel sonno Bill si mosse leggermente e Tom si chiese com'era potuto succedere in sole tre settimane che suo fratello facesse tanti errori tutti quanti insieme. La fuga, la droga..... quell'uomo. La rabbia era sbollita e la stanchezza aveva preso il suo posto, tutto ciò che vedeva ora era suo fratello, i suoi lineamenti addolciti dal sonno tranquillo. Voleva solo portarlo via e sentirsi meno in colpa.
"Ragazzino?"
Tom volse lo sguardo obliquo sul padrone di casa. "Che cosa c'è? I tuoi spacciatori si sono ammutinati?"
Fabian serrò le labbra per un istante. C'era ancora una striscia rossa di sangue rappresso tra la narice sinistra e la sua bocca. "Non muoverlo finchè non si riprende. Deve dormire" spiegò, sbrigativo. "Dagli da bere quando si sveglia"
"Ce ne andremo, quando si sveglia" replicò Tom, astioso.
Fabian lo guardò intensamente per qualche istante. Nei suoi occhi non c'era nessun tipo di tenerezza, nè di comprensione, soltanto una vena di fastidio. Tom non sapeva se dipendesse dalla lite o dalla sua comparsa. Si aspettò che replicasse, ma Fabian se ne andò senza dire una parola.
"Tom?"
Il chitarrista si voltò, la voce di Bill era soltanto un sussurro molto rauco. Gli accarezzò una guancia e il fratello socchiuse gli occhi. "Dovresti riposarti"
Bill annuì. Tutto ad un tratto sembrava stanchissimo. "Credo di avere molto sonno"
"Allora dormi. Io sono qui"
"Tom?"
"Sì?"
"Mi sei mancato"
"Anche tu"
Bill sorrise, poi chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.
Tom era rimasto insieme a Bill fino a che non era stato sicuro che stesse dormendo, quindi si era alzato sempre chiudendo e aprendo il pugno nel tentativo di recuperare la funzionalità della propria mano destra. Dopotutto era il caso che andasse a farsi vedere.
Aveva girovagato a lungo per la casa, solo per il gusto di curiosare nei cassetti di Fabian.
Il tipo era pieno di bei vestiti di marca e di oggetti d'arredamento che aveva visto soltanto nelle riviste di sua madre. A giudicare dal suo impianto stereo e dal televisore al plasma, i soldi dovevano uscirgli dalle orecchie.
Si sedette sul divano di pelle e con un gesto secco e nervoso gettò a terra tutto ciò che c'era sul tavolo di fronte a lui. Una di quelle orrende statuette astratte in ceramica si disintegrò spargendo frammenti bianchi su tutto il parquet. "Stronzo..." mormorò a bassa voce.
Era colpa di quell'uomo se adesso suo fratello era disteso in un letto e non era nemmeno del tutto cosciente, se aveva iniziato a fare uso di droghe, se...
Il telefono prese a squillare, interrompendo la sequela di invettive che si era già preparato. Aveva così tanta rabbia repressa che continuava a tornare a galla che avrebbe potuto ucciderlo a distanza solo con le offese. "Pronto?" rispose stancamente, appoggiandosi allo schienale.
"Tom, sono Saki"
Nelle ultime cinque ore la sua vita era stata un film. Suo fratello disperso, scene madri di fronte ad un taxi in partenza, un locale quasi a luci rosse, un ambiguo spacciatore di droga, lui che partiva per ritrovare il fratello mentendo spudoratamente ai suoi amici, a sua madre, al suo manager: la voce di Saki lo aveva riportato alla realtà. Era una specie di ancora, la prova che il suo mondo era stato normale almeno in passato. "Ciao Saki" mormorò. Era felice, ma molto stanco.
"Dove diavolo sei? Lo sai che ore sono? Potevi abbassarti a telefonare appena arrivato, ti pare?"
Tom guardò l'orologio: le 8 del mattino. Fece una smorfia colpevole. Si rese conto che non aveva avvertito la sua guardia del corpo che era riuscito ad arrivare a Monaco sano e salvo. Saki doveva aver passato l'intera nottata a chiedersi se non aveva lasciato che Tom sparisse esattamente come il gemello. "Ehm... ti chiedo scusa. E' stata una nottata terribile"
"Hai trovato Bill?"
"Sì"
"E sta bene?"
Tom esitò qualche istante, cercando di decidere in fretta cosa dovesse dire e cosa no. In fondo poteva stare in silenzio adesso, ma avrebbe avuto bisogno di un appoggio una volta tornato a casa. Almeno una persona adulta che potesse dargli un mano. Lo sguardo gli cadde sulla forma addormentata di Bill e non se la sentì di aprire bocca: in fondo non aveva ancora parlato con lui. C'era sempre tempo per coinvolgere Saki. "Sta bene" mentì. "Ora sta dormendo. Lì va tutto bene?"
"No, affatto. David non è contento di questa tua vacanza, Tom. Ha chiamato Andreas almeno dodici volte solo ieri sera perchè non è affatto convinto che tu sia lì da lui. E Peter lo sta facendo martire per via di tutte le interviste che state saltando. Devi riportare Bill a casa, dovete tornare entrambi e riprendere la vostra vita"
"Sì, lo so"
"Quanto pensi ti ci vorrà? Non credo che David se ne starà tranquillo ancora per molto"
Tom espirò, si passò una mano sugli occhi. Era stanco, non dormiva da 12 ore e il suo cervello gli stava mandando segnali inequivocabili: stenditi e dormi. Io qui non reggo più.
"Appena si sveglia lo metto sul primo volo per Berlino" rispose, sperando che Bill si facesse convincere.
"Bene. Ci sentiamo fra qualche ora"
Tom annuì, anche se l'uomo non poteva vederlo. "Ciao".
Il chitarrista rimase a lungo seduto, il cellulare tra le mani e la testa china a fissare il pavimento. Si rese conto che non aveva idea di come procedere da qui in avanti: dovevano tornare indietro, d'accordo, ma non era detto che Bill volesse. E poi era successo di tutto in quelle maledette tre settimane! E la questione che aveva scatenato l'intera sequenza? Che Bill lo amava e non poteva vivere in un posto in cui c'era anche lui? Quella non avevano avuto tempo di risolverla ed era ancora totalmente aperta. "Sì, certo Tom. Peccato che tu lo abbia limonato meno di due ore fa" mormorò a sè stesso. "Questo ha reso sicuramente tutto molto più semplice. Bravo!"
In quel momento, un rumore alle sue spalle lo fece girare. Bill era in piedi, appoggiato all'arcata che divideva la zona notte da quella giorno. Il ragazzo era spettinato e pallidissimo. Gli occhi, ancora truccati, non erano più lucidi di febbre ma gonfi e arrossati. Si guardava intorno spaesato, come se faticasse a capire dove si trovava.
"Tom?" mormorò in un mugolio lamentoso e debole. Socchiuse gli occhi, la testa gli faceva male.
"Hey" Tom sorrise dolcemente. Si alzò in fretta e gli si avvicinò. Avrebbe voluto abbracciarlo ma qualcosa gli disse di non farlo. Si limitò ad accarezzargli un braccio. "Come ti senti?"
Bill si strinse nelle piccole spalle. "Ho visto giorni migliori"
"Vuoi mangiare qualcosa?"
Il cantante scosse la testa. "No, ho la nausea"
Tom lo scortò solenne verso il divano, camminandogli a tre passi di distanza nel terrore di essere invadente o di far cose che Bill non avrebbe apprezzato. Era dura non stargli vicino, quando avrebbe voluto stringerlo forte tra le braccia e dirgli quanto gli era mancato. Si sedette vicino a lui e gli sorrise di nuovo. Incapace di trattenersi allungò una mano verso di lui e gli scostò qualche ciuffo dal viso, guardandolo come se non credesse ancora di averlo ritrovato. Bill non si scostò, ma era palese che non fosse a suo agio. "Dove..." si interruppe per cercare parole che stavano annegando nell'ovatta della sua testa. "... dove ti sei sistemato?"
"Ho una stanza al Coven Hotel" rispose prontamente Tom. Quella era una domanda facile, di cui sapeva la risposta. Era un'altra cosa normale a cui aggrapparsi prima che la discussione diventasse insostenibile, gli dava l'illusione che non lo sarebbe mai diventata. "E' qui vicino"
Bill non rispose. Tirò le gambe sul divano e le strinse al petto.
"Beh in effetti non ci ho mai passato la notte. Sono venuto direttamente qui" riprese Tom.
Altro silenzio.
Il chitarrista si sistemò il cappellino imbarazzato. Aveva sciolto la coda di dreads che ora gli scendevano morbidi sul collo. Si schiarì la voce. "Quando... sei pronto, possiamo andare" mormorò piano. "Prenderemo il primo aereo per Berlino. Siamo ancora tutti lì. Ma non c'è fretta, eh! Cioè, prenditi il tempo che vuoi, non abbiamo orari"
Bill lasciò che finisse, per una volta sembrava che fosse lui a capire prima dell'altro gemello come stavano effettivamente le cose. "Tom..." iniziò, con tono paziente. "Io non posso tornare".
"Perchè?"
"Lo sai perchè"
Tom aprì e chiuse la bocca un paio di volte, sfuggendo lo sguardo di Bill ogni volta che ondeggiava la testa e per caso lo incrociava. "Sentì, se è per quella..... cosa, possiamo parlarne. Insieme, però! A casa! Non hai bisogno di--"
Bill si alzò in piedi di scatto, innervosito. "Quella cosa... " mimò le virgolette "Sono io!"
"No. Non sei tu" mormorò Tom.
Bill roteò gli occhi al cielo, le mani sui fianchi come faceva di solito quando era nervoso e stava diventando isterico. "Ascolta, tu che vieni qui a salvarmi e mi tieni la mano durante la notte.. è tutto molto bello ma non siamo in una canzone, d'accordo? Non ... Tom, non è cambiato niente da quando me ne sono andato!"
"Qualcosa è cambiato, invece!" Tom lo fissò con gli occhi tondi e dolcissimi. Pensò a quello che aveva sentito la sera prima: le parole gli erano uscite naturali, prima ancora che il concetto espresso si fosse concretizzato.
Bill però era troppo concentrato su se stesso per notarlo. "Io non posso tornare" ripetè cocciuto.
"Ma Bill.."
"No" insistette il gemello.
"E allora cosa diavolo vuoi fare?" Tom si alzò così all'improvviso che il fratello sussultò. "Credi che scappare sia una soluzione?"
"Io non sto scappando!"
"Ah no?" chiese ironico Tom, un sopracciglio sollevato. Allargò le braccia indicando l'intera stanza. "Lasciare la band, cambiare città, vita, nome!.... tutto questo come me lo chiami? Sei scappato! Ecco cosa! Mi hai buttato in faccia la tua verità scomoda e poi te ne sei andato, lasciando me a convincerci!"
Bill spalancò la bocca, incredulo. Gli occhi gli divennero enormi e se la situazione non fosse stata seria, sarebbe sembrato molto comico. "Come puoi dirmi..... CREDI DI ESSERE TU LA VITTIMA IN TUTTO QUESTO?" gridò. "CREDI DI STARE PEGGIO DI ME?"
"Io non sono scappato" puntualizzò il biondo.
"TU NON C'ENTRI NIENTE" replicò Bill. "QUESTA E' UNA COSA CHE RIGUARDA SOLTANTO ME"
"No, Bill. E' una cosa che riguarda entrambi" mormorò Tom, piano. "Non puoi pensare che io conviva con quel che mi hai detto"
"E ALLORA DIMENTICA!" sbraitò Tom. "Per te non cambia niente. Tu non lo sai cosa vuol dire stare male come lo sono stato io con te!"
"E pensi che mi faccia piacere sapere che te ne sei andato per colpa mia? Cristo, Bill, possibile che tu non te ne renda conto?"
Il cantante strinse i pugni come cercando di trattenersi, ma tanto non c'era mai riuscito. Confuso e nel panico non notò la vena di tristezza negli occhi del fratello e non registrò le parole che aveva appena pronunciato. La realtà che c'era al loro interno. Se solo si fosse sforzato di decentrare la propria attenzione e di focalizzarla sul fratello, per una volta, avrebbe capito che Tom stava provando qualcosa. E che, quel qualcosa, era maledettamente simile a quello che lui stesso gli aveva confessato. "Questa discussione non ha alcun senso, Tom" esclamò alla fine, gelido. "E io non tornerò indietro a soffrire in silenzio solo perchè tu possa sentirti a tuo agio con la tua coscienza"
La rabbia, sorda, gli montò dal fondo dello stomaco. "E CHE CAZZO VUOI FARE, SENTIAMO?" urlò Tom per la prima volta quella mattina. "RIMANERE IN QUESTO POSTO DI MERDA A FARE CHE COSA? A LAVORARE PER QUEL TIPO? E CHE LAVORO FAI PER LUI, BILL, DIMMELO UN PO'! QUANTO TI PAGA PER ESSERE LA SUA PUTTANA?"
Tom si rese conto di quello che aveva detto solo dopo che l'ultima parola ebbe rieccheggiato - precisa e netta - per tutta la stanza. L'intera frase rimase sospesa nell'aria, quasi visibile, perchè sia lui che Bill potessero leggerla e rileggerla più volte.
Tom abbassò la testa, affranto. Non era così che doveva andare. "Scusami, io..."
"Sei soltanto uno stronzo..." mormorò Bill.
"Bill!" cercò di fermarlo per un braccio, ma Bill si divincolò. "Bill! Aspetta! Non so cosa mi è preso, non volevo..."
"Non volevi neanche ieri sera?" Bill lo guardò dritto negli occhi, la voce ferma ma incredibilmente malinconica.
Tom rimase in silenzio, sorpreso e incapace di dire qualsiasi cosa.
"Pensavi che non lo ricordassi, vero?" Bill sorrise, triste. "Ricordo sempre tutto. E' una maledizione"
Tom non credeva di potersi sentire peggio di come si era sentito tre settimane prima. Era convinto di aver toccato il fondo, invece Bill gli aveva dato una vanga con cui scavare.
Non poteva dirgli quello che gli era passato per la testa, perchè non ci aveva riflettuto e - dopotutto - neanche ci credeva. Era geloso di Bill, ma cedere alla tormenta di ormoni che lo travolgeva ogni volta che il suo gemello muoveva i fianchi non era giusto. Almeno credeva, non lo sapeva nemmeno lui! Voleva soltanto che Bill tornasse indietro, tutto il resto poteva aspettare.
"E' per evitare che accadesse che me ne sono andato" mormorò Bill, prima di sparire dietro la porta del bagno. "Ora sarà ancora più difficile"
Tom osservò la porta chiudersi, senza riuscire a muovere un muscolo. Sentì Bill appoggiarsi alla porta e scivolare in terra, quasi percepì il calore del suo corpo attraverso il legno. Appoggiò una mano là dove sarebbe stata la sua testa. "Bill, per favore..."
"Vattene Tom" mormorò il cantante, con la testa tra le mani. "Vattene"
Tom non aveva neanche disfatto la valigia e ora stava prendendo disposizioni per rimetterla su un taxi e tornarsene a Berlino.
Era rientrato in albergo con il viso così scuro che uno dei consierge lo aveva fermato per chiedergli se qualcosa non andava e se poteva fare qualcosa per lui.
"Può recuperare mio fratello da un maniaco sessuale?" gli aveva chiesto Tom, senza neanche fermarsi. Aveva superato l'uomo a grandi falcate, con quelle gambe lunghissime e se l'era lasciato alle spalle con la faccia sconvolta e un po' confusa.
Non era mai stato tanto arrabbiato da che avesse memoria. L'impeto di amore incontrollato che lo aveva devastato la sera precedente alla vista di suo fratello febbricitante si era esaurito nel giro di cinque minuti. Per non parlare della crisi ormonale: i suoi ormoni erano tornati tutti buoni nei ranghi e non si sarebbero fatti coinvolgere di nuovo in storie torbide con gemelli impazziti! Mai più!
Scardinò la porta della sua camera d'albergo, entrò e la sbatacchiò per richiuderla, gettandosi disteso sul letto direttamente dalla soglia: era abbastanza lungo e il letto abbastanza vicino per fare una cosa simile. Rimase immobile a quattro di bastoni per un tempo infinito. Le pesanti tende di raso erano ancora tirate, c'era odore di chiuso come se nessuno fosse passato a pulire, ma non gli importava.
La discussione con suo fratello si stava replicando alla perfezione nella sua testa. La voce, il movimento delle mani, le sue espressioni erano tutte ben chiare nella sua testa e questo gli rendeva molto difficile dimenticarsi l'intera sequenza di eventi.
"Aarrrrrrgh", si premette il cuscino sulla testa mentre ringhiava improperi in tutte le lingue che (non) conosceva: le parolacce imparate ad ogni nuova tappa dell'ultimo tour cominciavano a risultare utili dopotutto.
Che cosa pretendeva Bill da lui? Che lo lasciasse con Fabian? Che se ne fregasse di che fine faceva e se ne tornasse a Berlino come se nulla fosse? "Come diavolo pui pensare che io faccia una cosa simile?" strillò Tom all'improvviso lanciando il cuscino per aria. "Deficente!"
Dodici ore.
Bill le aveva contate tutte, una per una, disteso sul pavimento dell'appartamento di Fabian.
Aveva fissato il soffitto e il sole che saliva e tramontava su di esso, senza mai muoversi. Se avesse potuto non avrebbe neanche respirato. Monaco si era svegliata piano oltre le finestre, aveva sentito i suoi rumori in lontananza. Era tutto così irreale. Tom sembrava uscito da quella stanza in una vita precedente: aveva annusato le tracce del suo profumo finchè non era svanito. Bill avrebbe potuto riconoscere quell'odore fra un milione di altri, il misto di sapone e di shampoo e un pizzico di sudore. Tom sapeva di buono e di naturale. A Bill era sempre piaciuto farsi abbracciare da suo fratello e nascodergli il viso nel collo dove l'odore era più forte. Quando erano piccoli quell'odore era stato l'odore di casa, aveva evocato il concetto stesso di protezione. Adesso rievocava i baci che si erano scambiati sul palco, la sensazione di eccitazione che lo aveva pervaso.
Si era chiesto perchè Tom non lo avesse respinto, perchè avesse ceduto alle sue lusinghe e la risposta era arrivata quasi automatica. Tom gli voleva bene. Ed era un tipo facile all'eccitazione. Se aveva provato anche solo la metà di ciò che aveva provato lui nel rivederlo, allora aveva avuto il desiderio impellente di abbracciarlo, di stringerlo, di.... non lo sapeva neanche lui. Tom doveva essersi confuso: il ballo, il calore, la vicinanza di un altro corpo che conosceva e che amava, dovevano avergli dato alla testa e quando Bill lo aveva baciato si era lasciato andare. Tutto qui. Niente risvolti. Era inutile sperare al miracolo, ed era anche dannoso: non poteva illudersi di qualcosa perchè poi avrebbe dovuto convivere con la disillusione.
Era per questo che lo aveva mandato via, per non soffirire. Per non costringerlo a pronunciare parole che dalla sua bocca non voleva sentire, mai. Per nessuna ragione al mondo. Preferiva sognare, dimenticare, inventare perfino, piuttosto che sentirlo dire che era stato uno sbaglio.
Osservò la luce giocare attraverso le dita delle sue mani aperte. Briciole di sole gli arrivarono sulla faccia, costringendolo a chiudere gli occhi: non c'era bisogno di immaginare cosa sarebbe successo se..... tanto Tom se n'era andato e non aveva alcun motivo di tornare.
Lui non voleva che tornasse.
La serratura della porta scattò all'improvviso, ma Bill non si mosse. Fabian lo trovò che fissava le sue mani con aria vacua. "Ti sei fatto di nuovo?" chiese secco.
Bill non rispose.
"Renè.... Bill" si corresse l'uomo. "Mi stai ascoltando?"
Il cantante abbassò le mani piano e piegò la testa all'indietro fino a che le ginocchia di Fabian - fermo a pochi passi da lui - non entrarono nel suo campo visivo. Il padrone del DHN aveva il viso tirato e lo sguardo cupo.
"Allora? Di cosa sei fatto?"
"Di niente" rispose Bill. Il sorriso gli si allargò sulle labbra magre. "Oppure di luce, decidi tu"
Fabian scosse la testa, mentre si toglieva la giacca.
Bill rotolò sulla pancia, quindi si tirò indietro lentamente per alzarsi in piedi.
"Sei vestito come ieri sera? Non ti sei neanche pettinato, guarda in che stato sei" commentò Fabian, versandosi da bere.
"Aspettavo che rientrassi" si giustificò il ragazzino. Gli si spalmò addosso, lanciandogli le braccia al collo e sporgendosi per essere baciato. "C'è ancora tempo prima di cena"
Fabian sembrò apprezzare e sorrise per la prima volta. "Pensavo che te ne saresti andato con tuo fratello, Bill" mormorò, mordendogli il labbro inferiore.
"Mi chiamo René".
Fabian roteò gli occhi al cielo. "Come vuoi" concesse. "Allora, perchè sei ancora qui?"
Bill premette le labbra contro le sue e approfondì il bacio, cercando la lingua di Fabian. L'uomo lo strinse a sè, lasciando il bicchiere sul primo mobile che riuscì a trovare.
"Dovevo andare?" chiese Bill.
"Tuo fratello sembrava tenerci"
Bill ebbe una fitta allo stomaco. Annegò il viso di Tom in un altro bacio. Sapore di alcool. "Smetti di parlare di lui. Ci sono altre cose che possiamo fare, no?"
Il sorriso di Fabian si fece lupesco. Lo tirò su di peso e Bill intrecciò le gambe dietro la sua schiena. Fabian lo adagiò piano sul letto, allungandosi lentamente su di lui. Era un uomo piuttosto alto, con folti capelli neri e gli occhi scurissimi. Quando parlava, le sue origini russe erano evidenti nell'accento tagliente e nella costruzione strana delle sue frasi. Ogni tanto, durante le notti in cui non riuscivano a dormire, Fabian gli insegnava qualche parola nella sua lingua e Bill provava a ripeterla inutilmente. Quando Bill non riusciva a pronunciare una sillaba ci si intestardiva sopra e si arrabbiava, perchè non amava essere scarso in qualcosa.
Per questo aveva smesso di suonare la chitarra e il piano. Aveva smesso di fare qualsiasi cosa che non gli riuscisse alla perfezione. Cantare ti riusciva. Nella testa risuonò una voce diversa eppure così simile alla sua. Quella di Tom.
Bill chiuse gli occhi, si strinse a Fabian che lo stava accarezzando delicatamente. Il suo corpo non aveva mai suscitato troppo interesse in Bill: certo era bello, ma niente di più. Non c'era quell'attrazione ripugnante e irresistibile che sentiva per il corpo di Tom.
Perso nelle sue considerazioni personali, Bill ritornò alla realtà quando l'uomo sopra di lui gli sbottonò i jeans strettissimi.
"Fabian..."
"Hmm?" La sua mano era scivolata nei pantaloni di Bill, lenta e calda. Bill inarcò la schiena, mugolò lamentoso contro il collo dell'uomo che prese quell'uggiolio per un sospiro di piacere. Lo accarezzò, ancora più lentamente, lo sentì tendersi.
Bill lo fermò stringendogli un polso. "No" mormorò piano, aprendo gli occhi.
"Non fare il prezioso. Hai cominciato tu" gli fece notare Fabian, sollevandogli la maglietta e baciandogli il petto.
Bill si divincolò, senza riuscire a liberarsi. Tirò giù la maglietta e Fabian tornò a dedicare tutta la sua attenzione al collo. "Cerca di rilassarti..." Bill sentì i suoi denti morderlo piano sul collo e la lingua leccare quella piccola ferita. "...sei troppo teso."
Lo stomaco di Bill si contorse. La paura, forte, lo prese alla gola mozzandogli il respiro. Le carezze di Fabian avevano tutto un altro sapore adesso: non erano mai state così.
Era troppo deciso.
Lo assalì la consapevolezza terrificante che in realtà non voleva affatto fare sesso con lui, che non voleva essere toccato in quel modo che.... no! no! "NO!" gridò, stringendo il polso di Fabian fino a conficcargli le unghie nella pelle. "Lasciami!"
"Che cosa?" Fabian sollevò la testa, la mano ancora nei pantaloni di Bill.
"Non voglio farlo"
Gli occhi di Fabian erano un po' torbidi, poco lucidi. "Ne abbiamo già parlato, Renè" commentò. "Ho avuto fin troppa pazienza"
"Non mi interessa! Io non voglio!" ripetè Bill. Cercò di divincolarsi ancora una volta, ma Fabian gli inchiodò le braccia al materasso. "LASCIAMI ANDARE!"
L'altro sbuffò spazientito. "Renè questi capricci ti costeranno" lo avvertì. "Così rendi tutto molto più difficile per te!"
"Lasciami andare!" ripetè Bill, cercando di suonare arrabbiato. In realtà quello che ne uscì fuori fu un mugolio un po' più acuto degli altri mentre Bill tentava ancora una volta di divincolarsi dalla stretta ferrea del suo amante.
Il russo prese ad ignorarlo. Trattenne i polsi di Bill con la sola mano sinistra e riprese a spogliarlo con la destra, incurante del fatto che il cantante si stesse dimenando come un'anguilla: fintanto che ci stava seduto sopra c'era ben poco che Bill potesse fare per liberarsi. "Non sarà così male" gli stava dicendo.
Bill fece un ennesimo tentativo. Cercò di inarcare la schiena, ma ottenne soltanto l'effetto contrario di strusciare i propri fianchi contro quelli di Fabian, che sorrise.
"Fabian, ti prego..." mormorò Bill.
Gli occhi del russo lo fissarono al di sotto della linea dei suoi pantaloni calati ormai fin sotto il sedere. Occhi da gatto, obliqui e leggermente orientali. Occhi bellissimi se sorrideva, ma devastanti se decideva di essere cattivo. "Non pregarmi, non ti serve a niente" esclamò, con quel suo modo cavernoso di pronunciare le vocali. "Questo sarà il tuo modo per ripagarmi di tutto ciò che ho fatto per te"
Fabian si chinò sulla sua pancia e gli baciò l'ombelico. Bill strattonò di nuovo, ma il russo serrò la presa sui suoi polsi.
"Mi fai male!"
"Falla finita"
Fabian scivolò su di lui, lentamente. Bill approfittò dello spostamento e con le gambe semi libere sollevò le ginocchia, colpendo il russo all'altezza dello stomaco. Fabian si piegò su se stesso e lasciò la presa. Il cantante iniziò a divincolarsi per sfruttare l'attimo di distrazione ma non fu abbastanza veloce.
"MALEDETTO!"
Fabian lo colpì all'improvviso e con forza. Un pugno in piena faccia, senza restrizioni, sferrato per fare male. La testa di Bill si piegò all'indietro per l'urto. "Sei un cazzo di ragazzino di merda!" ringhiò Fabian. Bill sentì fischiare il secondo pugno prima ancora di essersi ripreso dal primo, la mano del russo lo colpì sul collo, togliendogli quasi il respiro. "Avrei dovuto lasciarti crepare in mezzo alla strada!"
Bill si ripiegò su se stesso senza neanche rendersi conto che Fabian si era alzato da lui e il terzo colpo lo prese alla schiena. Il cantante cacciò un urlo dei suoi e si allontanò gattonando. Raggiunse la fine del letto senza vederla e cadde in terra con un tonfo sordo.
"Vattene di qui!" gli urlò dietro Fabian, furibondo.
Bill stava scuotendo la testa, sconvolto. "Ti prego Fabian non puoi mandarmi via" la sua voce era roca e lui sull'orlo delle lacrime. Raggomitolato sul pavimento guardava l'uomo terrorizzato. "Non so dove andare"
"Questi sono cazzi tuoi"
"Ti prego..."
"Ti voglio fuori di qui entro un quarto d'ora"
Bill vide l'ombra di Fabian avvicinarsi a lui, si schermò la testa con le mani ma il colpo non arrivò. Sentì la porta chiudersi e non ebbe il coraggio di guardare.
Quando bussarono, Tom era ancora disteso sul letto. David lo aveva chiamato tre volte, Andreas almeno dodici urlandogli improperi in tutte le lingue che conosceva (ed erano quattro) dicendogli che non ne poteva più di lui, del suo gemello e di quel rompiballe del loro manager, il quale non credeva ad una sola delle parole che gli aveva detto. Tom gli aveva spiegato la situazione - beh, non tutta ovvio - e l'amico gli aveva detto di cavarsela da solo. Aveva riattaccato per richiamare subito dopo e dirgli che mandava al diavolo lui e quel demente di suo fratello ma che sarebbe arrivato a Monaco il mattino seguente per dargli una mano. Poi era stata la volta di sua madre, del suo patrigno, quindi Gustav e George in coppia come Gianni e Pinotto e di nuovo David. L'ultimo della lista era stato Saki al quale aveva dovuto mentire più che agli altri, dirgli che stava per tornare e che no, non sapeva l'ora esatta e che sì, certo, Bill stava bene ma ora era in bagno e non poteva salutarlo, e mi raccomando che non avvertisse ancora David perchè suo fratello non voleva.
Il risultato era che lui non sapeva cosa diavolo fare, Saki pensava che stesse per tornare indietro e suo fratello non si era fatto sentire per niente. Lui, dal canto suo, avrebbe preferito poter entrare in letargo lì su quel letto e dormire per sempre piuttosto che trovare la forza di alzarsi e affrontare la situazione.
"Chi è?" chiese scortese, ancora disteso sul materasso con un braccio sugli occhi. Bussarono di nuovo.
Tom sospirò. Con un colpo d'anca si tirò su a sedere. Quando aprì la porta, suo fratello era in mezzo al corridoio e tirava su col naso.
Aveva il trucco sfatto dal pianto e i capelli in disordine, gli occhi grandi, rossi e impauriti come se fosse scappato da qualcosa di terrificante. Si stringeva nelle spalle, accarezzandosi un braccio con fare imbarazzato. Dietro di lui c'erano le sue due enormi valigie. La sua maglia era tutta storta e gli pendeva asimmetrica da una spalla, aveva la cintura ancora slacciata.
"Tomi..." cominciò a piangere prima ancora di aver pronunciato per interno il nome del gemello. "Posso entrare?"