Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
11. Are you gonna be my girl?

Tom aveva passato l'intera mattinata a cazzeggiare per la casa senza sapere bene che cosa fare.
Dopo essersi reso conto che tutto ciò che c'era di commestibile in casa era una confezione di gallette di riso andate a male nell'anno in cui i Tokio Hotel erano ancora i Devilish, Tom aveva decretato che fosse il caso di fare la spesa. Il problema era che non se la sentiva di uscire neanche per cinque minuti: se Bill si fosse svegliato di nuovo sentendosi male voleva essere lì. Così aveva finito per attaccarsi al telefono e chiamare il minuscolo supermercato a conduzione familiare che c'era in fondo alla strada. Pessima idea. La vecchia signora che lo gestiva - Dio mio, ma era ancora viva? Quanti anni aveva? Cento? - si era resa conto che al telefono era Tom Kaultiz, quell'angioletto biondo tanto carino, ma sì il figlio di Simone... sì, sì il gemellino e come sta tuo fratello? e tuo padre? e il patrigno? e il cugino di secondo grado figlio del terzo fratello di tua madre..... insomma, solo quando Tom era riuscito a farla star zitta, aveva anche avuto il tempo di ordinare del cibo chiedendo che glielo portassero a casa.
Dopo la terribile telefonata, però, non gli era rimasto molto altro da fare. La televisione spazzatura del lunedì mattina era divertente solo se poteva riderci sopra con Georg che anche mentre si stava soffocando con le Pringles pensava a non spettinarsi.
Aveva sbuffato per un po' in giro per il salotto, svaccandosi prima sul divano e poi sulle poltrone, quindi aveva deciso di recarsi nella vecchia stanza sua e di Bill per distrarsi un po'. Nell'attraversare il corridoio aveva gettato un occhio a suo fratello che sembrava dormire tranquillo.
La loro vecchia camera era enorme. Sua madre aveva sempre avuto tanta paura che non avessero abbastanza spazio vitale, il che era ridicolo perchè a loro due non era mai servito veramente. E non avevano mai sentito davvero l'intruisione l'uno nello spazio dell'altro. Avevano sempre finto benissimo, però. Era sempre sembrato molto opportuno che litigassero di tanto in tanto, che si azzuffassero per cose stupide come facevano i bambini dei vicini. Così, quando si annoiavano, Bill iniziava ad urlare che Tom aveva preso le sue cose e Tom si difendeva urlando più forte. Il moro allora faceva la sua grande uscita sbattendo la porta - era sempre stato una diva - urlando che non aveva più un fratello e che voleva una stanza tutta sua priva di estranei. Lui spalancava la porta, gli urlava dietro "Anche io!", quindi la chiudeva di nuovo sbattendola. Era allora che sua madre interveniva a placarli, e le ci voleva poco visto che non erano affatto arrabbiati, e a loro sembrava di avere una famiglia normale. Bill per un po' continuava a fare l'offeso, ma poi finiva col dormire insieme a lui, ranicchiato sul suo stesso cuscino a ridacchiare di come fosse stato divertente far finta di odiarsi.
Tom non potè fare a meno di pensare, con una brutta sensazione allo stomaco, che l'ultima volta che lui e Bill avevano diviso un letto aveva toccato suo fratello in un modo in cui non avrebbe mai dovuto. Il nodo che aveva tra le budella si strinse quando si rese conto che - nella sua testa - quella frase era sempre seguita dal ricordo devastante di quanto gli fosse piaciuto.
Tom scosse la testa ed entrò in camera, c'era odore di chiuso ma era esattamente come l'avevano lasciata qualche anno prima. Il letto di Bill sulla destra e il suo sulla sinistra. In mezzo due tappeti e lo spazio per due cassapanche che avevano contenuto prima i loro giochi, poi i loro libri e infine i suoi giornali porno e la quantità anormale di chincaglieria che Bill era solito portare addosso ogni volta che usciva di casa anche per ritirare il cinese dal take away. Tom sorrise, quindi lasciò vagare lo sguardo per la stanza, ricordando ogni attimo di ogni giorno che aveva passato là dentro con Bill. Sulla parete c'era ancora il poster di Nena. Il rasta ripensava ancora con terrore alle dodici ore di fila sotto la pioggia scrosciante per stare in piedi pigiato sottopalco da un gruppo di scimmie urlatrici adoranti che innegiavano "Nena! Nena!" come fosse il messia. E la cosa peggiore era stato voltarsi e vedere che anche suo fratello lì di fianco si dimenava come un ossesso cantando a squarciagola canzoni di dubbio gusto e agitando le braccia come un invasato in preda ad un esorcismo pesante. E lui lì, in quel mare di galline (suo fratello compreso), per un'ora e mezzo di agonia musicale. Ma poi Bill era stato così esaltato, così entusiasta, così euforico e felice che ne era valsa senza dubbio la pena.
Prima che i ricordi lo travolgessero fino a farlo perdere in un mare di melassa e malinconia, qualcuno suonò il campanello.
Tom si precipitò alla porta per scoprire che quel qualcuno era una sventola di un metro e settanta con i capelli lunghi e biondi inguainata in un paio di jeans aderenti che la fasciavano come una seconda pelle. A Tom bastarono cinque secondi per farle una radiografia completa e stabilirne, con assoluta certezza, l'assoluta appetibilità. Era alta, bionda, tanta e tatticamente abbigliata in modo tale da non congelare e lasciar intravedere tutte le sue generose forme. Avrebbe anche potuto saltarle addosso lì, sulla veranda di casa.
"Salve! Vengo dal supermercato..." si presentò la ragazza, agitando le mani convulsamente in una direzione molto vaga. Alle sue spalle, parcheggiato sul vialetto, c'era un vecchio pick-up che doveva servirle a fare le consegne in giro. Tom la osservò un po' stupito, si era aspettato una vecchia, non quel pezzo di figliola. Sbattè un po' le palpebre senza riuscire a dire una parola. La ragazza dovette rendersene conto e dovette capire anche il motivo perchè sorrise. "Hai parlato con mia nonna"
"Oh, la signora certo..." annuì Tom, in modo molto intelligente. Tossì con finta nonchalance cercando di assumere un tono da uomo vissuto.
La ragazza continuò a sorridere. Era scesa dal furgone senza cappotto e ora continuava a saltellare sul posto per riscaldarsi. Aveva le guance rosse come due mele mature. "Comunque piacere, io sono Ima" tese la mano.
"Tom" si affrettò a rispondere il chitarrista, ancora vagamente anestetizzato dagli occhi azzurri della ragazza.
"Beh.. ehm.. porto dentro le tue cose?" suggerì lei, dopo aver atteso invano qualche istante che il ragazzo proseguisse la conversazione.
"Sì certo, ti dò una mano"
Tom la seguì sul retro del pick-up dove c'era la sua spesa. Tirò su due borse, cercando poi di nascondere l'ernia che gli era appena uscita. Ima, di fianco a lui, ne tirò su quattro come se fossero state piene di carta velina. "Hai ordinato un sacco di cose. Starai qui molto?"
"No" Tom le arrancò dietro, rientrando in casa. "Soltanto un paio di giorni"
Ima posò le borse sul tavolo di cucina e le osservò, con un'alzata di sopracciglia. "E' un bel po' di roba da finire in così poco tempo" constatò.
Libero dal peso increscioso delle borse che non gli permettevano di sfoderare quella che lui chiamava famigliarmente la Kaulitzosità, vale a dire il suo charme naturale di famiglia, Tom dedicò alla sua ospite un sorriso magnetico, con l'occhio ambrato che la guardava dal basso verso l'alto e la lingua pronta a giocare col piercing ad ogni pausa tra una parola e l'altra. "Sono uno che ha sempre bisogno di energia"
Lei colse l'allusione e gli sorrise, le lunghe ciglia sbatterono leziosamente. "Capisco" fece schioccare le labbra, guardandosi intorno. "E come mai sei tornato a Magdeburg da solo? Non dovresti essere in giro con la band?"
Tom era troppo occupato a registrare le misure del corpo di fronte a lui, al fatto che la curva dei seni scivolasse con proporzione quasi matematica nel busto e quindi si restringesse in un delizioso vitino di vespa e in una pancia altrettanto deliziosamente piatta per rendersi conto che Ima era convinta che lui si trovasse lì da solo. Pertanto non la contraddisse. "Oh, è soltanto una minuscola vacanza" rispose, stringendosi nelle spalle. "Avevo bisogno di staccare un po'. Il tour è stato piuttosto faticoso"
"Ci credo. Avete fatto un sacco di date!" esclamò Ima. Quindi iniziò a togliere le cose dalle buste che avevano appena riportato in casa. "Ti dò una mano, vuoi?"
"Grazie, sei molto gentile" Tom avrebbe lasciato tutto sul tavolo senza tanti complimenti, ma pensò che fosse carino mettersi a riordinare con lei. "Sei una nostra fan?"
Sembrava che un qualche istinto femminile la stesse guidando in qualche modo perchè Ima riusciva a trovare gli armadietti giusti quasi al primo colpo. "Chi non lo è da queste parti?" sorrise e la stanza sembrò illuminarsi di gloss. "Sapevi che quando avete vinto quel premio due mesi fa tutto il quartiere aveva le vostre bandiere alle finestre come durante la festa del patrono?"
"Dici sul serio?" Tom infilò le due scatole di cereali nel primo posto che trovò libero, senza controllare come e dove le infilava.
"Già. La gente è impazzita" confermò Ima, piegando una delle buste. "C'erano ragazzine urlanti ovunque"
"Quelle ci sono sempre. Vuoi qualcosa da bere? Abbiamo....." Tom controllò nelle buste ancora piene "... coca, aranciata, latte e... non avevo ordinato anche della birra?"
"Sì, è qui" Ima recuperò abilmente due bottiglie di birra rigorosamente tedesca. "Apribottiglie?"
Tom ne arraffò uno dal cassetto del tavolo e le aprì entrambe. Le sollevarono l'una verso l'altra come a brindare, quindi bevvero un sorso guardandosi di sottecchi e sorridendo.
Col cervello ottenebrato dalla sorpresa, dagli occhi azzurri di Ima e ora anche dalla birra, Tom si dimenticò di avere un fratello che stava male. E, soprattutto, si dimenticò di avere un fratello per il quale provava della tenerezza e una forte attrazione fisica. Si dimenticò, anzi non si accorse, che aveva un fratello in piedi nel corridoio che poteva vederlo flirtare con la fattorina del supermercato in fondo alla strada.
Ima rimase in quella cucina per almeno mezz'ora, e per tutto il tempo i suoi grandi occhioni azzurri rimasero fissi in quelli di Tom. La ragazza era molto carina e molto socievole, cosa che sollevava Tom dal peso di dover intavolare da solo una discussione e doverla portare avanti anche per diversi minuti di fronte ad un musetto imbarazzato dal quale uscivano soltanto pigolii appena percettibili. Odiava le ragazze troppo timide: erano faticose.
Ima invece era particolarmente pratica: rideva quando doveva ridere, era simpatica, non sembrava aver alcun timore reverenziale di lui (il che l'avrebbe resa ancora più simpatica una volta che sarebbero arrivati al dunque) e sembrava pensare esattamente quello che pensava lui, cosa che rendeva l'intero approccio molto semplice.
Il cervello del chitarrista si era sviluppato in modo peculiare nel corso del tempo e aveva imparato a tagliare fuori ogni pensiero che non fosse precisamente collegato a ciò che stava facendo in un certo istante della sua vita. Così, mentre stava parlando con Ima, Tom non pensava a nient'altro che a portare avanti la discussione. E visto che il suo cervello aveva delle priorità ben precise, era già settato su invitala a cena e fattela. Questo senza mettere in conto gli ultimi sviluppi della sua vita. Bill avrebbe detto che non ragionava affatto col cervello, e forse era anche vero.
Prima che potesse fare qualunque mossa, però, fu lei ad alzarsi dal tavolo. "Mio Dio ma è tardissimo! Ho ancora altre quattro consegne" esclamò agitata, lanciando occhiate all'orologio da parete nella cucina. "Scusami, ma devo proprio andare..."
Tom era talmente scombussolato nel veder infranti così all'improvviso i suoi sogni di conquista che non riuscì a proferire parola. Rimase a guardarla imbambolato mentre si alzava anche lui.
"Ti lascio il mio numero" esclamò Ima, poco prima di uscire, scribacchiando frettolosamente le cifre sul retro del suo scontrino. "Chiamami, capito?" Ed era sparita, il pick-up già messo in moto. Tom rimase imbambolato di fronte alla porta con il biglietto in mano fino a che lei non fu partita, quindi tornò in cucina un po' ingobbito, ficcandosi distrattamente il numero di telefono in tasca.

"Chi diavolo è?"
La voce di suo fratello era così gelida che avrebbe potuto congelarlo lì dove stava. La frase gli passò accanto come una freccia, gli devastò le orecchie nonostante fosse molto pacata e quindi si conficcò nel muro alle sue spalle più o meno nel punto in cui qualche istante prima era stata seduta Ima.
Tom si girò molto lentamente e controllò in che stato fosse Bill: la situazione non era affatto buona. Suo fratello era appoggiato con un fianco allo stipite della porta, le braccia incrociate all'altezza dello sterno e gli occhi infuocati nonostante il colorito verdognolo della sua pelle.
Conosceva sia la posa che lo sguardo, significavano morte e distruzione. Soprattutto per lui.
"Come ti senti?" buttò lì, cercando di evitare la domada.
"Ti ho chiesto chi è" ripetè Bill.
Tom sospirò. "E' la ragazza che lavora nel supermarket in fondo alla strada. Ci ha portato la spesa che ho ordinato per telefono" rispose. "Non volevo uscire, così me la sono fatta portare a casa"
Un ghigno ironico e incattivito increspò le belle labbra di Bill. "Lei o la spesa?" sputò acido.
Il chitarrista roteò gli occhi al cielo. "Era soltanto la ragazza del negozio!" commentò esasperato, le braccia lungo i fianchi.
"Da quando i fattorini si fermano per il caffè? Non aveva niente da fare?" gli occhi di Bill si erano fatti sempre più scuri e aveva la mascella tesa. Il trucco era di nuovo perfetto, suo fratello doveva essersi struccato e ritruccato di nuovo non appena sceso dal letto.
"E' rimasta qui solo una decina di minuti--"
"Mezz'ora!"
"D'accordo mezz'ora. Mi ha aiutato a rimettere a posto le cose, tutto qui!" tentò di spiegare Tom, anche se sapeva che non sarebbe servito a niente. Il cantante si era convinto di una cosa e non ci sarebbe stato modo di convincerlo del contrario visto che partiva dal presupposto di avere ragione.
"Oh ma che carina!" esclamò ironico Bill, allargando le braccia e agitandole in maniera isterica come solo lui sapeva fare.
"E' stata solo molto gentile" Tom cercò di mantenere la calma.
"Aveva anche altri servizi inclusi nel prezzo?" insistette il cantante, sempre più irritato. "Non so, potevi farla entrare in camera già che c'eri"
Il sospirò di Tom fu quasi una presenza fisica nella stanza. Contò fino ad un numero indecentemente alto mentre suo fratello quasi prendeva fuoco per l'isteria di fronte ai suoi occhi. "Perchè fai così? Ci ha solo portato la spesa!"
"Si vede che era abbastanza perchè tu ci flirtassi!"
"Non stavo flirtando!"
Bill sollevò un sopracciglio, due piccole rughe si formarono sopra il suo occhio destro. "Ti ho quasi visto sbavare qualche minuto fa. Dì che non te la saresti fatta lì dov'era, sul tavolo della cucina!"
"Sei impazzito per caso?" Tom sgranò gli occhi, sinceramente incredulo. Ok, magari ci aveva fatto un pensierino. Magari quel pensierino era stato un tantino indecente e c'era di mezzo una qualche scena porno, ma perchè reagire in quel modo!? Non aveva fatto niente per la miseria. Era stato bravissimo. "Bill, era solo una cazzo di tipa che porta la spesa!"
"Ti ha dato il numero di telefono!" lo accusò Bill, serissimo.
"Infatti. Me lo ha dato LEI. Io non le ho chiesto niente!"
Il cantante indicò la tasca dei suoi pantaloni. "Te lo sei messo in tasca!"
Tom si frugò nei pantaloni notando che effettivamente il pezzetto di carta incriminato si trovava proprio lì. "E' stato un riflesso condizionato, non ce l'ho messo di proposito"
Bill non aveva pazienza. Non ne aveva mai avuta. La pretendeva dal resto del mondo che lo circondava come una cosa dovuta, ma lui non era capace di dispensarla. La sua pazienza era Tom. E ora quella suddetta pazienza era lì davanti a lui a tentare di difendere l'indifendibile. "Non dire stronzate!" sbottò il moro, continuando ad indicarlo come se avesse compiuto l'atto più indegno mai compiuto da essere umano. "La verità è che quando vedi una ragazza non capisci più niente!"
"Beh questo è vero, ma cosa c'entra?"
"Ero nella stanza accanto!" esclamò il moro sconvolto, gli occhioni ambrati spalancati sul fratello degenere. "Come potevi anche solo PENSARE di fartela se ero a due passi da te! Non te ne frega proprio niente??!"
Tom era incredulo. Davvero il cervello di suo fratello aveva passato limiti sconosciuti raggiungendo ragionamenti che non sarebbe mai stato in grado di afferrare. "Bill, non avevo intenzione di farmi nessuno!" esclamò. "Mi ha portato la spesa! Avevo fame!"
Bill non rispose, ma fece una cosa tremenda. Lo fissò dritto negli occhi e caricò quello sguardo di tutto il disappunto che gli riuscì di trovare. Non solo gli fece intendere che considerava quel comportamento indegno e assolutamente scorretto nei suoi confronti, ma si premurò di comunicargli - semplicemente guardandolo - che si sentiva mostruosamente ferito, che il suo cuore era andato in frantumi e che tutti quei pezzettini erano ora per terra, lì tra di loro. Serrò le labbra come a sfidarlo. Calpestali pure, sembrò dirgli. Tanto per te non conto un accidente.
Come Bill fosse riuscito a comunicargli tutto quello senza aprire la bocca, Tom non lo sapeva. Pensò anche che forse si stava immaginando tutto, che Bill si era solo zittito perchè non aveva più offese da tirargli. Niente cuori infranti, niente sentimenti feriti. Era solo zitto.
Eppure Tom sapeva, con assoluta, devastante certezza, che Bill provava tutte quelle cose. Non aveva idea di come suo fratello avesse potuto mettere insieme tanta paranoia in soli trenta minuti, ma c'era riuscito. Aveva battuto ogni record.
Il rasta ebbe la conferma di tutte le sue supposizioni quando Bill si staccò dal muro e si diresse verso il corridoio senza una parola. Tom fece in tempo a vedere il labbro stretto tra i denti e gli occhi appena lucidi.
"Bill, aspetta!" si gettò all'inseguimento e sentì il fratello aumentare il passo. "Bill!"
Il cantante entrò velocemente nella camera da letto, ma non riuscì a chiudere la porta alle sue spalle perchè Tom c'infilò un piede in mezzo quindi fece forza e la spalancò. Bill fece qualche passo indietro per non prenderla nel viso, quindi fissò lo sguardo sul pavimento come faceva sempre quando non aveva nessuna intenzione di parlare.
"Bill?"
Il moro non rispose.
Se c'era una cosa che odiava era suo fratello che si ostinava stizzoso a rimanere in silenzio, come se chiunque dovesse capire quello che gli passava per il cervello. D'accordo, lui era molto avvantaggiato perchè effettivamente capiva gran parte di quello che le sue rotelline elaboravano, ma questo non lo esimeva comunque dal dover parlare. Era semplicemente odioso che pretendesse da lui ogni soluzione, sempre, e nel momento opportuno.
Tom gli si avvicinò e gli prese il mento tra le dita, costringendolo a girarsi verso di lui. "Vuoi dirmi qual'è il vero problema?"
Bill scostò la testa, tornando a guardare il pavimento. "Non c'è nessun problema" sibilò.
"Certo, come no" Tom roteò gli occhi al cielo, riprendendo il conto da dove lo aveva interrotto qualche minuto prima. "Allora ti sei arrabbiato tanto per fare?"
"Vuoi farti la ragazza del supermercato? Fatti la ragazza del supermercato o quella del lattaio... o la fornaia" continuò suo fratello. E poi, con un filo di voce aggiunse "A me non importa niente"
Tom gli mise una mano sulla spalla, accarezzandolo senza sapere nemmeno bene perchè. In fondo si stava giustificando per qualcosa che non aveva nemmeno fatto. "Io non volevo farmi proprio nessuno. Mi dispiace se hai pensato che..."
"Ho visto come la guardavi!" sbottò all'improvviso Bill, tornando a guardarlo. E nella sua voce, nei suoi occhi, non c'era la stizza che il chitarrista si era aspettato di trovarci. C'era qualcos'altro. Qualcosa di più doloroso. "Il modo in cui... "
Bill strinse i denti, innervosito dalle parole che non volevano uscire. Espirò e si guardò intorno, ma poi finì per guardarlo, per incrociare gli occhi con quelli di Tom come se avesse disperatamente bisogno di farlo. "C'era una luce particolare, come un brillio nel tuo sguardo. C'è sempre, ogni volta. E'...il tuo desiderio il....Dio, Tom!" le lacrime che aspettavano dall'inizio di quella discussione finalmente uscirono fuori e gli scivolarono lungo le guance pallide. Quello che disse fu solo un sussurro, una specie di sospiro che gli uscì dalle labbra ma Tom lo sentì così bene che il cuore gli si strinse al punto da fargli male "Non hai mai guardato me in quel modo. Neanche due sere fa. "
Il chitarrista rimase immobile a guardarlo con le labbra leggermente aperte. Non sapeva cosa dire, era devastato. Era già abbastanza complicato dover gestire se stesso e suo fratello in crisi d'astinenza per potersi porre anche questioni su come dovesse guardare Bill e su cosa ci fosse di diverso tra quello sguardo e gli altri sguardi.
"Bill... di cosa stai parlando?"
"DI LEI!" singhiozzò il cantante, indicando col braccio teso come se Ima fosse stata ancora nell'altra stanza. "Di lei e di tutte quelle come lei!"
Tom brancolava sempre di più nel buio. Il suo cervello tentava di capire, si sforzava davvero, ma tutto ciò che vedeva era suo fratello in lacrime e non era riuscito ancora bene ad afferrarne il motivo. Tentò di avvicinarsi a Bill, ma il cantante si ritrasse, ondeggiando la testa a destra e a sinistra.
"Bill... calmati"
Bill scosse di nuovo la testa. "E' per questo che non hai voluto andare oltre in albergo" Alzò lo sguardo su di lui, gli occhi lucidi e feriti e intensi e dolci e un milione di altre cose che stesero Tom sul pavimento. Era inquietante quanto potesse esprimere suo fratello semplicemente con uno sguardo. "Non lo farai mai, perchè sono un ragazzo"
E finalmente la tendina sugli occhi di Tom scivolò a terra. All'improvviso il problema si dipanò di fronte a lui perfettamente chiaro e lampante. "E' questo che pensi?" gli chiese. La sua voce fu così tagliente che Bill perse parte della sua drammaticità. Deglutì e tirò su col naso, riacquistando un po' di calma. "E' solo che se ti piacciono le ragazze, io non posso farci niente"
"Non è questo il punto, maledizione!"
"Non c'era motivo perchè tu ti fermassi" Bill portò avanti le proprie convinzioni. "Se lo hai fatto... è solo perchè il mio corpo non ti piace. Se io fossi una don--"
Fu allora che Tom si arrabbiò. Qualcosa, dal fondo delle dita dei piedi gli salì fino alla gola e lo fece esplodere."Cristo Santo Bill!" gridò. "Sei mio fratello gemello! Cosa cazzo vuoi che mi importi di tutto il resto! Credi forse che in questo fottutissimo frangente conti davvero qualcosa se sei maschio o femmina?"
"A me importa" mormorò Bill, forse un po' sconvolto dalla reazione di Tom che sembrava davvero irritato. Era difficile che suo fratello urlasse in quel modo, era difficile che non tentasse di ragionare parlando pacatamente. Bill non era abituato a sentirsi urlare contro, di solito era lui a gridare.
"Perchè?" esclamò esasperato il chitarrista.
"Perchè non voglio perderti per qualcosa che non posso controllare!" esclamò Bill, scoppiando di nuovo a piangere. "Perchè non voglio farti schifo!"
"Quando la pianterai di dire stronzate?" Tom si avventò su suo fratello con tanta ferocia che Bill si spaventò. Si coprì la testa con le mani temendo, all'improvviso, che gli avrebbe fatto del male.
Tom gli afferrò stretti i polsi, quasi torcendoli perchè Bill si dimenava. "Tom!" piagnucolò impaurito "Cosa stai facendo! Lasciami! Mi fai male!"
Il chitarrista lo scaraventò di peso sul letto e si sedette su di lui, tenendogli le mani alte sopra la testa. "Mi piacciono le donne, è vero" mormorò, guardandolo dritto negli occhi. "Ma mi piaci anche tu"
"Tomi..."
"E se c'è una cosa che ho capito in tutto questo stramaledetto casino è che quello che è successo tra me e te negli ultimi due giorni, beh..... beh qualunque cosa sia va oltre ogni cazzo di definizione, oltre il sesso, oltre me e te" Tom prese fiato. Si chinò su di lui e gli respirò piano sulle labbra. "E se non sono andato oltre è soltanto perchè avevo una paura fottuta di farti male"
"Solo per questo?" mormorò Bill, timidamente.
Tom lo baciò piano sulle labbra, chiudendo gli occhi. "Solo per questo"

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