Personaggi: Bill, Tom
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.

Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
File 007

Il Coprifuoco cittadino cadeva intorno alle sei, il che aveva permesso a Tom e a K di aggirarsi per le strade senza troppi problemi. Certo non c’era molta luce ancora, dal momento che il sole – quel che riusciva a filtrare, almeno – non era mai visibile prima delle dieci, ma se non altro non si rischiava di essere presi dalla polizia o, in alternativa, essere mangiati dalle cose.
Ora, dopo una nottata del genere, Tom non aveva trovato niente di meglio da fare che far colazione.
Solo che adesso, di fronte a un cappuccino e due brioche, si sentiva vagamente a disagio.
Non tanto per il cappuccino e le brioche, che erano anche buona considerato che il ripieno era probabilmente chimico e la pasta fatta con chissà cosa, quanto per K che gli sedeva accanto e guardava attentamente il proprio bicchiere di carta, come se ci stessero trasmettendo dentro qualche interessante programma satellitare.
Tom gli aveva prestato la sua maglia e lo aveva costretto a tirare su il cappuccio, in modo che nessuno potesse vederlo mentre se ne stavano seduti su quel muretto. Non era troppo sicuro di potersene andare in giro impunemente con un androide della Corporazione.
”Qualcosa non va?” Chiese il biondo, tanto per rompere il ghiaccio. Poi tornò a guardarsi i piedi che dondolavano giù dal muretto.
”No.”
Silenzio. Tom si schiarì la voce e inghiottì l’ultimo pezzo della prima brioche, poi fece due conti e finalmente il suo cervello s’involò là dov’era giusto che arrivasse. “E’ per il cappuccino! Tu non puoi bere!” Esclamò, colto da un’improvvisa quanto provvidenziale illuminazione divina.
Allungò una mano verso il bicchiere di carta ma non fece in tempo a raggiungerlo perché K lo allontanò dalla sua presa. “Certo che posso bere,” sembrò borbottare, punto sul vivo.
Tom osservò con occhi sgranati mentre l’androide-ma-che-razza-di-androide-era inclinava il bicchiere e si scolava il cappuccino come se niente fosse. Per qualche istante la scena si fermò così, con K ancora semi piegato all’indietro e Tom che lo fissava aspettandosi di vederlo esplodere per un corto circuito.
Ci fu un attimo di stasi, poi K prese a tossire, o a fare qualcosa di estremamente molto simile. Tom d’istinto iniziò a battergli sulla schiena come avrebbe fatto con un essere umano. Non si rese nemmeno conto che ciò che stava toccando non era composto di materiale duro e freddo. Le spalle di K erano morbide e calde, esattamente come le sue.
Un ultimo colpo di tosse.
E poi di nuovo il silenzio imbarazzante.
”T-tutto bene?” Si azzardò a chiedere Tom, guardandolo con un misto di sospetto e apprensione. Si aspettava sempre di vederlo esplodere. Non rovesciavi un bicchiere di cappuccino rovente sopra uno stereo senza conseguenze.
”Ora sì,” rispose l’androide.
Altro silenzio.
“Non avevo mai bevuto prima di adesso.”
”Allora è vero che non lo puoi fare!” Sbottò Tom. “Esploderai! Lo sapevo!”
”Esplodere?” Chiese l’androide. “No. Io posso bere e mangiare.”
”Questo non è possibile.”
K lo osservò molto attentamente per qualche istante, con il suo sguardo immobile. “Ho un intestino,” si premurò di fargli sapere.
”Oh.” Tom si prese del tempo per riflette su questa nuova informazione. Quando le rotelle del suo cervello, che a diciassette anni avevano già seri problemi ad incastrarsi fra loro, riuscirono a trovare una strada logica tra i meandri delle sue sinapsi, sul suo viso comparve una smorfia molto sentita. “Eeew, significa che…”
”Necessito di evacuare,” annuì K. “Ciò che entra deve uscire.”
”Perché dovresti mangiare? Sei una macchina!” esclamò Tom, sempre più sconvolto all’idea che quell’affare dovesse sedersi su un water di tanto in tanto.
”Io non sono una macchina,” esclamò l’androide. “Io sono K.”
Tom roteò gli occhi al cielo. Se glielo sentiva dire ancora una volta, avrebbe trovato una chiave inglese e lo avrebbe smontato personalmente, bullone dopo bullone. “D’accordo K, ma per quale motivo dovresti mangiare? Tu non ne hai bisogno.”
”Io posso mangiare.”
“Sì, ciao, eh!”
”Ciao. Dove vai?”
Tom sospirò. “Scemo io che continuo a starti dietro,” borbottò tra sé e sé, scuotendo la testa mentre K lo osservava con aria curiosa. “Ad ogni modo, hai detto che puoi recuperare le informazioni che cerco.”
K annuì. “Sono in collegamento con la rete della Corporazione. Se i dati sono caricati, io posso leggerli. Come si chiama la persona che cerchi?”
Tom strinse le mani intorno al bicchiere. Da quando Bill era stato rapito, non pronunciava volentieri il suo nome per le altre persone. L’ultima volta lo aveva fatto per David e poi basta. Il nome di Bill erano quattro lettere che custodiva gelosamente solo per se stesso, come se pronunciandolo potesse dare via un po’ di suo fratello.
Dopotutto, il nome era tutto ciò che gli rimaneva, al momento.
”Si chiama Bill,” rispose alla fine. “Bill Trumper.”
K annuì brevemente e i suoi occhi si fissarono su Tom come se lo stesse guardando molto intensamente. Per un istante il biondo s'immaginò centinaia di migliaia di chip nella testa dell'androide che elaboravano una dietro l'altra le informazioni recuperate dalla rete. In un attimo di estrema fantasia si chiese pure dove avessero ficcato il modem, dal momento che lo spessore di K era piuttosto esiguo.
Tom aveva trovato quattro o cinque posti plausibili in cui potesse trovarsi, più un sesto altamente indecente a cui francamente non voleva affatto pensare, quando K tornò ad avere uno sguardo più vivo.
“Non ci sono informazioni su Bill Trumper,” disse alla fine.
Tom si rese conto che sarebbe stato assurdo trovarne dal momento che suo fratello era stato rapito; difficilmente mettevi l’annuncio in rete se ti capitava di sottrarre a forza dalla sua casa un ragazzino di diciassette anni. Questo lo riportava di nuovo al punto di partenza: nessuna informazione, nessun posto dove cercarla e, adesso un’ingombrante macchina semi-umanoide alta un metro e ottantacinque che non sapeva dove mettere.
Dubitava fortemente che sua madre lo avrebbe voluto nel ripostiglio. E soprattutto, conoscendo K quel poco che lo conosceva, dubitava che avrebbe accettato di dormire con la scopa elettrica.
“Ho un archivio fotografico,” offrì l’androide. “Che aspetto ha Bill Trumper? Hai una sua fotografia?”
“Non ce n’è bisogno: è uguale a me, siamo gemelli.”
“Stai fermo,” gli intimò K, prendendogli la testa tra le mani e posizionandola in modo tale che fosse esattamente di fronte a lui. Poggiò i palmi delle mani sul volto di Tom e vi lasciò scorrere sopra le dita mentre i suoi occhi tornavano nuovamente fissi.
Tom s’immobilizzò trattenendo perfino il fiato tanto per essere tranquillo. Non aveva idea di cosa K stesse facendo ma non voleva diventare il protagonista di una di quelle tragedie da telegiornale della sera in cui un androide si innervosiva per un qualche movimento brusco e cominciava a sparare raggi laser a caso. Anche se, c’era da ripeterselo in testa più e più volte, gli androidi della televisione non erano mai belli come K e on avevano la pelle, soprattutto.
Non calda e morbida come quella.
“La tua temperatura si sta alzando,” arrivò la voce di K, ancora una volta per niente metallica. I suoi occhi erano ancora fissi, però, e continuava ad accarezzargli il viso con una lentezza esasperante.
“Eh?” Fu l’intelligente intercalare di Tom.
“Alterazione della temperatura, aumento del battito cardiaco, sudorazione eccessiva: sintomi di uno stato di eccitazione,” spiegò meglio l’androide. “Paura, Ansia, Eccitazione sessuale.”
Tom quasi si soffocò, iniziando a tossire miseramente proprio mentre K allontanava le mani e si sedeva, senza nemmeno uno di quei ronzii meccanici da ingranaggio delle scale mobili. “Ehm… trovato niente?” Chiese il ragazzo, dissimulando amabilmente l’alterazione della voce, ma soprattutto quella del sangue che stava migrando a sud senza permesso scritto.
“Sto controllando. Il database comprende milioni di fotografie.”
Tom rimase pazientemente in attesa, dimostrandosi occupatissimo nelle più svariate mansioni di utilità pubblica, come ad esempio pulirsi le unghie o spolverarsi la maglietta, che era ormai un ritrovo per macchie di terra, grasso e unto. Alla fine K si voltò verso di lui con un laconico, quanto incolore: "L'ho trovato."
Il cuore di Tom aumentò i battiti in maniera furiosa, tanto che se lo sentì nelle orecchie. "Dov'é?"

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