Personaggi: Bill, Tom
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
File 003
Le telecamere di sorveglianza sulla recinzione si spostavano ogni quattro minuti.
Attese che quella più vicina a lui emettesse il basso ronzio che ne indicava il cambio di posizione, quindi lanciò la corda col rampino e pregò tutte le Divinità che sua madre gli aveva inculcato a forza nel cervello perché le sue gambe si mettessero d'accordo con le sue braccia e lo aiutassero - in allegra collaborazione - a superare il muro di quattro metri.
Un minuto al metro.
Coraggio Tom, è un'impresa fattibile – si ritrovò a pensare.
Decise che aveva una pessima capacità di giudizio quando, due minuti dopo, si ritrovò ad aver fatto si e no un metro e le sue mani minacciavano già di tradirlo. Non cominciava affatto bene.
Lanciò un'occhiata alla telecamera, che puntava dritta da un'altra parte. Inspirò, espirò, guardò male la corda e il muro, quindi - scoperto che essi avevano poco a che fare con la sua goffaggine, strinse i denti e proseguì.
Era a qualche centimetro dalla cima del muro quando sentì lo scatto e il ronzio della telecamera.
"Merda!"
Fece forza sulle mani e raschiò comicamente il muro con i piedi; poi, forse spinto da qualche forza celeste - o più propriamente da una botta di culo - riuscì a darsi la spinta giusta per superare il muro e cadere direttamente di testa dall'altra parte.
Mentre la telecamera inquadrava la zona dove qualche istante prima si trovava lui, Tom era intento a slegare i propri arti che si erano quasi uniti in un bel fiocchetto durante la caduta.
Scosse la testa, ancora un po' scombussolato, quindi recuperò lo zaino e si guardò intorno. Era tutto quanto come gli era stato detto. Dalla recinzione al palazzo, c'erano soltanto un centinaio di metri. Niente soldati armati a pattugliare, soltanto telecamere poste sul palazzo a quattro altezze diverse, che si spostavano con movimento alternato, coprendo tutta la zona.
Tom si mise in posizione.
Le telecamere si muovevano tutte contemporaneamente, coprendo una la zona dell'altra, e viceversa; nel movimento, però, si formava una zona cieca di qualche secondo. Doveva solo muoversi nel momento esatto in cui essa si formava. Era praticamente un suicido considerando quant'era coordinato, ma la botta in testa doveva averlo completamente rincretinito perché non ci pensò nemmeno un secondo prima di lanciarsi.
Le telecamere si mossero, tutte quante insieme.
Il ronzio partì dalla base per espandersi fino alla cima. Tom contò mentalmente, sperando di ricordarsi il numero esatto di secondi, e quindi si mise a correre, stringendo i pugni. Quando toccò il palazzo con entrambe le mani tese in avanti, quasi si aspettò che scattassero gli allarmi, ma non successe niente.
"Ce l'ho fatta!" Esclamò sconvolto.
A quel punto, si aspettò di nuovo che gli allarmi scattassero: perché succedeva sempre così nei film. Le ultime parole famose.
E invece niente.
Percorse tutta la base del palazzo, stando appiccicato al muro, finché non raggiunse una porta laterale, assolutamente anonima. La porta, che all'uscita di emergenza di un centro commerciale aveva da invidiare solo il maniglione antipanico, era di ferro e smaltata di un azzurro elettrico quasi accecante. Non aveva la serratura, ma lungo tutta la cornice c'erano cavi che andavano a collegarsi al lettore di card sul muro lì di fianco.
Tom s'inginocchiò a terra per tirare fuori dallo zaino un aggeggio di cui ignorava il funzionamento. Una sorta di bussolotto che pesava come un macigno, dal quale pendeva un numero incalcolabile di fili colorati.
Era stato David a darglielo.
In quel momento, nel momento esatto in cui quell’uomo gli aveva consegnato il magico apparecchio decantandone la capacità di aprire qualunque porta elettronica, Tom l’aveva trovata un’idea grandiosa.
Adesso che quella fantomatica porta elettronica ce l’aveva davanti e non aveva idea di quale filo andasse dove, beh… aveva una mezza idea di dove avrebbe voluto infilarglielo, quel bussolotto.
*
David vive fuori dal mondo.
Secondo gli ultimi standard, la sua non è neanche una casa; e vista la sua convinzione a non utilizzare nessun tipo di dispositivo elettronico, i ladri continuano ad entrargli dalle finestre.
David comunque non possiede niente che valga la pena di essere rubato, per cui di solito si limitano a devastargli tutto ciò che è abbastanza fragile per essere mandato in mille pezzi.
Tom spinge piano la porta e si affaccia cautamente all'interno: il salotto è illuminato da vecchie abat-jour a lampadina di quel tipo che è caduto in disuso quando le centrali elettriche sono collassate - ai tempi di suo nonno, se non ricorda male.
Tom non ha idea di come possano funzionare.
"Oh, uno dei Trumper!" Esclama una voce senza corpo proveniente da qualche parte oltre una catasta di libri che arriva fino al soffitto.
"Signor Jost?" Chiama Tom educatamente, facendo un passo all'interno e chiudendosi la porta alle spalle.
La piccola casa ha due stanze soltanto e un soppalco buio di cui Tom ignora da sempre il contenuto.
"In carne ed ossa, ragazzo!" Esclama l'uomo, venendo fuori dal suo nascondiglio. E' coperto di polvere dalla testa ai piedi. Soltanto gli occhi rotondi, di un azzurro accecante, spuntano dal nero intorno al viso. "E sono anche uno degli ultimi rimasti! Qua tutti non fanno che sostituirsi parti meccaniche!"
Tom appoggia lo zaino per terra, come fa di solito. "In certi casi i mecha-innesti migliorano il tenore di vita," azzarda. A Gordon hanno impiantato una gamba meccanica dopo che quel carro da trasporto si è rovesciato disintegrandogli una rotula. Se non lo avessero rimesso a nuovo con quel pezzo d'acciaio, sarebbero stati guai seri per lui, sua madre e suo fratello.
"Bah!" Esclama l'uomo, agitando convulsamente le mani. "Finiranno per essere tutti quanti dei robot, te lo dico io! La razza umana non durerà un'altra generazione!"
Tom preferisce non proseguire quella conversazione: sa quanto Jost sia contro gli innesti biomeccanici, anche se non ha mai capito perchè. S'infila le mani nelle tasche degli enormi pantaloni di jeans e osserva David che va avanti e indietro per la stanza, rimettendo a posto libri apparentemente a casaccio.
Passano cinque minuti buoni prima che gli rivolga di nuovo la parola da dietro il bancone del cucinotto. "Allora," esclama, mentre versa del succo d'arancia in due bicchieri che hanno senza dubbio visto giorni migliori. "Quale gemello sei tu? Non ho mai imparato a riconoscervi."
Tom fa un mezzo sorriso. "Sono Tom, signore. Bill non entrerebbe mai qui dentro. Senza offesa, ma c'è troppa polvere e lui è..."
"Schizzinoso. Sì, me lo ricordo." David annuisce con convinzione, più a se stesso che al suo giovane ospite. Ricorda quel ragazzino che sta ben attento a come e dove si siede. "Quindi tu sei quello a cui piace la scienza."
"Sì"
"E cosa ti porta qui stavolta?" Chiede l'uomo. "Temo di non avere più preziosissimi esemplari di laser disc da farti distruggere."
Tom diventa completamente rosso. "Quello fu un incidente, signor Jost"
"Già, certo," David annuisce di nuovo, molto interessato alla bevanda nel suo bicchiere.
"Ehm..." Tom tossisce, cercando di riportarlo al presente. Quell'uomo è un genio, ma ha dei momenti di buio molto frequenti. "Signor Jost?"
David solleva di scatto lo sguardo e lo fissa per qualche istante come se non capisse assolutamente perchè ce l'abbia davanti, poi la memoria sembra di nuovo baluginare nelle sue pupille. "Mi sono distratto ancora," esclama, bevendo un sorso. "Sono i miasmi di questa città, mi stanno bruciando i neuroni."
"Già, i miasmi..." Tom solleva un sopracciglio, poco convinto. E' quasi certo che più che i miasmi sia il narghilé che c'è nel salottino a scombinargli le facoltà intellettive. "Comunque sia, io sono qui perchè dovrei farle delle domande."
"Oh, e su cosa?" David reclina la testa per buttar giù le ultime gocce. Indica il bicchiere del biondo. "Bevi il tuo succo d'arancia, avanti. La vitamina C fa ancora bene in questo secolo."
Tom si affretta ad ubbidire. Beve un sorso, poi riappoggia il bicchiere e fa per aprire bocca e porre la sua prima domanda ma David gli indica di nuovo il succo d'arancia. "Vitamina C," ripete.
Si rimette a girare per la stanza, raccogliendo libri da una parte e appoggiandoli in terra dall'altra.
"Le arance sono ancora commestibili, lo sapevi?" Chiede, tra un piegamento e l'altro. "Ma la gente si guarda bene dal mangiarle..."
"Hanno rapito mio fratello," esordisce all'improvviso Tom, facendosi serio. I convenevoli sono durati abbastanza.
David smette di trafficare in giro per la stanza. Rimane piegato a metà di un movimento e non si volta. "Chi?" chiede, guardingo.
"La Corporazione."
David sembra incupirsi. "Questa è un'accusa molto grave, ragazzo. Sei sicuro di quello che dici?"
"Sì" La risposta di Tom è netta e precisa, non un'ombra di esitazione nella sua voce. Si ricorda bene quella notte di tre mesi fa in cui hanno trascinato via suo fratello in lacrime. Da allora non l'ha più visto e lui è certo che quegli uomini provenissero dalla sede centrale del loro governo.
"Che cosa te lo fa pensare?" Chiede Jost.
"Quale altra istituzione governativa fa irruzione nelle case e porta via la gente innocente?"
David scatta verso di lui e gli tappa la bocca con la mano. Si guarda intorno con gli occhi sgranati, quasi tema l'assalto da un momento all'altro. "Non dirlo mai più, Tom. Mai più," esclama, prendendogli sconvolto il viso tra le mani. "Anche i muri hanno le orecchie. Tienilo a mente."
Tom annuisce, spaventato.
David lo lascia andare lentamente, e non stacca gli occhi da lui finché non è sicuro che il ragazzino non lo ripeterà. "Dovresti essere più cauto."
"Mi dispiace"
"Un mi dispiace non ti salverà la vita se vengono a sapere quello che pensi di loro," lo ammonisce l'uomo con occhi severi; poi il suo sguardo si addolcisce un po', mentre si siede su una poltrona e fa segno a Tom di fare lo stesso. "Quand'è successo?" chiede infine.
"Tre mesi fa," risponde e poi, quasi inconsciamente beve dal bicchiere anche se l'uomo non lo ha minacciato per farglielo fare. "Non sono riuscito a fermarli."
David scuote la testa. "Dubito che ci saresti mai riuscito," esclama.
"Non si stupisce che sia successo?"
"Dovrei?" Chiede di rimando l'uomo. "Tuo fratello non è il primo. Negli ultimi mesi hanno portato via ragazzini da ogni parte della città."
"Perchè la polizia non fa niente?"
David si limita a guardarlo e Tom si sente immediatamente molto stupido.
Lo ha scoperto a spese di Gordon che la polizia non esiste da quando la Corporazione è salita al governo. Tutto è controllato dall'esercito. E se è stata la Corp ha rapire suo fratello, allora non c'è niente che la polizia possa fare. "Perchè lo hanno portato via?"
David rimane a lungo in silenzio, fissando il vuoto. "Non lo so," risponde infine.
"Sapeva che portavano via i ragazzini, no? Qualcuno dovrà pur avere un’idea del perché!" Sbotta Tom, perdendo la pazienza.
David scuote la testa, recupera i bicchieri goffamente e li infila nel lavandino dove ci sono piatti probabilmente da quindici giorni. "Parlavano di reclutamento," si stringe nelle spalle. "Cercano sempre nuovi soldati."
"Mio fratello non può fare il soldato." Tom si ritrova a dirlo quasi ridendo. Nessuno sano di mente penserebbe mai a portare via lui o suo fratello per costringerli a forza nell'esercito. Bill pesa addirittura quattro chili meno di lui e gli viene l'ernia solo a sollevare lo zaino di scuola.
“Questo è irrilevante,” sussurra David che si è perso di nuovo. Il suo sguardo è fisso nel vuoto e non ha nessuna espressione individuabile. A volte Tom ha paura che si spenga come il vecchio frullatore a ioni di sua madre che ha la tendenza ha perdere contatti con tutto il mondo che lo circonda proprio mentre sta tritando la frutta a pezzettini sottili. Un attimo è lì che ronza, l’attimo dopo è morto, con la spina ancora attaccata e tutto.
”Non mi importa del perché, comunque,” esclama alla fine il ragazzino. “Io rivoglio mio fratello indietro.”
David alza lo sguardo soltanto un istante e poi lo volge altrove; riprende a rimettere a posto i suoi libri ma non commenta le ultime parole di Tom.
”Signor Jost?”
L’uomo sospira. “Mi dispiace, ragazzo. Io non so come aiutarti.”
”Lei sa un sacco di cose,” insiste Tom, “lei conosce la Corp!”
David si volta di scatto. "Chi te lo ha detto?" Chiede.
Tom quasi sobbalza. Gli scatti d'umore di quell'uomo sono preoccupanti. "Nessuno me lo ha detto," replica anche un po' infastidito. "Si dice in giro."
"Si dice in giro," ripete David, con una smorfia disgustata. "Se ti dicessero in giro che i topi mangiano i gatti, crederesti anche a quello."
Tom aveva in mente tre o quattro vicoli di Berl in cui c'erano nuguli di ratti in grado di spolpare intere mandrie di vacche se volevano, ma pensò fosse meglio non istigare ulteriormente la follia di quell'uomo. "In ogni caso lei sa come funzionano le serratura elettroniche. Potrebbe aiutarmi ad entrare in uno dei loro palazzi."
David spalanca così tanto gli occhi azzurri che Tom teme gli cadano dalle orbite. E' già pronto ad assistere a tutta la scena, a vederli rotolare sul pavimento polveroso fino ai suoi piedi che calzano scarpe da ginnastia così rotonde da sembrare troppo grandi per lui.
"Dimmi che non hai detto quello che hai detto," lo prega l'uomo.
"Cos'ho detto?" Chiede Tom allarmato, guardandosi anche un po' in giro.
David inizia ad aggirarsi per quello sgabuzzino che chiama casa e tira tutte le tende, calando la stanzina nella penombra. "Tu non puoi entrare là dentro!" Bisbiglia, con fare cospiratorio.
"Io devo entrare là dentro. Ci tengono mio fratello", Tom ci tiene a precisare i concetti perché la tenuta della memoria di David lascia un po' a desiderare.
"Ci sono centinaia di posti in cui potrebbero tenerlo," insiste l'uomo. "Non lo troverai mai andando alla cieca. Ti troveranno prima ancora che-"
"Ho un nome," lo interrompe Tom. "Dreig."
"Il generale Dreig?"
Tom annuisce. "Questo è quello che hanno detto, ha una vaga idea di chi sia?"
Il viso di David si fa un po' più scuro, per un attimo sembra guardare altrove. Poi si riscuote e lo guarda ma i suoi occhi non lo vedono del tutto. "E' un pezzo grosso dell'esercito," esala. Quindi scuote di nuovo la testa. "E' una follia. Non puoi pensare di farcela."
"Non sono venuto qui a chiederle se posso andare o meno ma solo se è disposto a darmi una mano," precisa il ragazzino. "Allora, le sa aprire oppure no le serrature elettroniche?"
David non dice niente, lo guarda e basta. Tom lascia che lo trapassi da parte a parte con quello sguardo brillante, che sembra sempre sintonizzato altrove. Poi l'uomo si muove e rovista all'interno di un armadio che contiene più di quanto sia possibile; ci sono cavi e prese elettriche che spuntando da tutte le parti. Tom nota perfino la tastiera di un vecchio computer appoggiata di fianco: è qualcosa che risale a chissà quanto tempo prima, Tom non si ricorda quando i computer avevano ancora bisogno di averne una.
"Userai questo," esclama David, mostrandogli un bussolotto dal quale pende una miriade di fili.
"Che roba è?"
"Cosa sarà mai secondo te?" Sbotta David.
"Cosa vuole che ne sappia? E' lei il genio dell'elettronica!" Replica Tom, punto sul vivo. "Per me quel coso è un bussolotto pieno di fili."
David tossisce, leggermente. "In effetti, è essenzialmente questo," ammette, imbarazzato. "Però puoi usarlo per aprire le porte elettroniche."
"Ce lo tiro contro?"
*
In effetti contro alla porta, il bussolotto ce lo aveva tirato ma non era servito poi a molto.
Quello era rimbalzato fastidiosamente contro la porta per poi rotolare di nuovo indietro verso di lui che era accucciato per terra. La serratura elettronica, naturalmente, era ancora lì e sembrava quasi farsi beffe di lui.
Tom non poteva rassegnarsi perché ne sarebbe andato del suo orgoglio personale, però aveva una gran voglia di abbrutirsi come un selvaggio contro quell'inutile apparecchio, datogli da un inutile uomo fuori di testa che sarebbe dovuto servire ad aprire un'inutile serratura elettronica di un inutile palazzo. Il tutto per andare a salvare un inutile fratello.
Così prese una decisione molto matura.
Si tirò su in piedi, il bussolotto in una mano, e si schiarì la gola con fare molto compunto. "Maledetto inutile aggeggio!" Prese a sbraitare, "Quando ti riporterò da quell'inutile di un David gli dirò che eri del tutto inutile per aprire quest'inutile porta, di questo inutile palazzo! E se non mi servissi per andare a prendere quell'inutile di mio fratello, ti assicuro che ti infilerei nel primo cestino!"
Tom sospirò: ora si sentiva meglio. A guardarlo meglio, il bussolotto spettinato dalle sue urla non era poi così criptico. E ora si ricordava anche le parole di David che fino a qualche istante prima avevano assunto il tono e l'armonia di un discorso sui massimi sistemi in aramaico antico. C'era un numero incalcolabile di fili neri che, stando a David, non servivano a niente tranne che ad aprire involontariamente tutti i garage del vicinato.
Poi c'erano i fili rossi, che lui non doveva toccare (ancora per quella storia dei Laser Disc).
E infine c'erano i verdi, che sarebbero serviti allo scopo.
Tom non era proprio sicuro che si trattasse dei fili verdi ma, dal momento che non aveva nessuno a cui chiederlo, avrebbe dovuto fare di testa sua. E poi c'erano più fili verdi che gialli e questo doveva essere un ottimo motivo per preferirli. In più il giallo faceva schifo.
Si avvicinò alla serratura e smontò accuratamente lo sportello di protezione che ospitava la pulsantiera. Sistemò i cavi come David gli aveva riferito mediante l'uso di un'innovazione futuristica quale la lavagna a pennarello, quindi premette l'unico tasto presente sul bussolotto e attese.
Vide i numeri delle combinazioni susseguirsi ad una velocità surreale, finché uno dopo l'altro non si fermarono, formando il codice di apertura.
La serratura emise un beep di via libera, quindi la porta si aprì con un suono di aria compressa, spalancandosi sul buio totale del corridoio interno.
Tom recuperò i suoi cavi e li ripose nel bussolotto che finì di nuovo nello zaino, il tutto senza che i suoi occhi lasciassero mai il buio che si era appena aperto di fronte a lui. Un po' di paura l'aveva. Un po' tanta, in effetti. Aveva programmato ogni singola parte del piano per riuscire ad aprire quella porta - beh non proprio quella in effetti, ma era lo stesso - senza pensare a cosa avrebbe fatto dopo.
David non aveva voluto dargli altre spiegazioni sul generale Dreig, qualunque cosa sapesse se l'era tenuta per sé e non aveva saputo consigliargli la direzione in cui cercare. L'unica cosa che sapeva era che c'entrava la Corp, quindi non gli rimaneva che entrare nel palazzo più accessibile e spulciare ogni singola stanza fino a che suo fratello non fosse saltato fuori.
Ci sarebbe voluta molta pazienza ma di quella non si preoccupava. Vivere con Bill ti costringeva ad averne, oppure a fartela venire, perché altrimenti eri destinato a strangolarlo e a rivenderne gli organi al mercato nero.
Sospirò, issandosi lo zaino sulla spalla. "Dai Tom, non può essere così complicato."
Il primo passo fu difficile. Il secondo un po' meno. Al terzo era dentro, pertanto niente avrebbe più potuto fermarlo.
Di solito erano i primi tre passi quelli complessi.
La telecamera alle sue spalle si voltò così silenziosamente che avrebbe potuto essere un gatto: niente scricchiolii, niente scariche statiche; scivolò sulla sua guarnizione maleficamente oliata e l'occhio rosso puntò dritto sulla figura esile di Tom.
Un attimo solo per inquadrare meglio quel ragazzino che si aggirava goffamente per il corridoio con la torcia in mano, poi tutto si accese della luce rossastra dei neon e gli allarmi partirono tutti quanti insieme, in una cacofonia distorta.
Le telecamere di sorveglianza sulla recinzione si spostavano ogni quattro minuti.
Attese che quella più vicina a lui emettesse il basso ronzio che ne indicava il cambio di posizione, quindi lanciò la corda col rampino e pregò tutte le Divinità che sua madre gli aveva inculcato a forza nel cervello perché le sue gambe si mettessero d'accordo con le sue braccia e lo aiutassero - in allegra collaborazione - a superare il muro di quattro metri.
Un minuto al metro.
Coraggio Tom, è un'impresa fattibile – si ritrovò a pensare.
Decise che aveva una pessima capacità di giudizio quando, due minuti dopo, si ritrovò ad aver fatto si e no un metro e le sue mani minacciavano già di tradirlo. Non cominciava affatto bene.
Lanciò un'occhiata alla telecamera, che puntava dritta da un'altra parte. Inspirò, espirò, guardò male la corda e il muro, quindi - scoperto che essi avevano poco a che fare con la sua goffaggine, strinse i denti e proseguì.
Era a qualche centimetro dalla cima del muro quando sentì lo scatto e il ronzio della telecamera.
"Merda!"
Fece forza sulle mani e raschiò comicamente il muro con i piedi; poi, forse spinto da qualche forza celeste - o più propriamente da una botta di culo - riuscì a darsi la spinta giusta per superare il muro e cadere direttamente di testa dall'altra parte.
Mentre la telecamera inquadrava la zona dove qualche istante prima si trovava lui, Tom era intento a slegare i propri arti che si erano quasi uniti in un bel fiocchetto durante la caduta.
Scosse la testa, ancora un po' scombussolato, quindi recuperò lo zaino e si guardò intorno. Era tutto quanto come gli era stato detto. Dalla recinzione al palazzo, c'erano soltanto un centinaio di metri. Niente soldati armati a pattugliare, soltanto telecamere poste sul palazzo a quattro altezze diverse, che si spostavano con movimento alternato, coprendo tutta la zona.
Tom si mise in posizione.
Le telecamere si muovevano tutte contemporaneamente, coprendo una la zona dell'altra, e viceversa; nel movimento, però, si formava una zona cieca di qualche secondo. Doveva solo muoversi nel momento esatto in cui essa si formava. Era praticamente un suicido considerando quant'era coordinato, ma la botta in testa doveva averlo completamente rincretinito perché non ci pensò nemmeno un secondo prima di lanciarsi.
Le telecamere si mossero, tutte quante insieme.
Il ronzio partì dalla base per espandersi fino alla cima. Tom contò mentalmente, sperando di ricordarsi il numero esatto di secondi, e quindi si mise a correre, stringendo i pugni. Quando toccò il palazzo con entrambe le mani tese in avanti, quasi si aspettò che scattassero gli allarmi, ma non successe niente.
"Ce l'ho fatta!" Esclamò sconvolto.
A quel punto, si aspettò di nuovo che gli allarmi scattassero: perché succedeva sempre così nei film. Le ultime parole famose.
E invece niente.
Percorse tutta la base del palazzo, stando appiccicato al muro, finché non raggiunse una porta laterale, assolutamente anonima. La porta, che all'uscita di emergenza di un centro commerciale aveva da invidiare solo il maniglione antipanico, era di ferro e smaltata di un azzurro elettrico quasi accecante. Non aveva la serratura, ma lungo tutta la cornice c'erano cavi che andavano a collegarsi al lettore di card sul muro lì di fianco.
Tom s'inginocchiò a terra per tirare fuori dallo zaino un aggeggio di cui ignorava il funzionamento. Una sorta di bussolotto che pesava come un macigno, dal quale pendeva un numero incalcolabile di fili colorati.
Era stato David a darglielo.
In quel momento, nel momento esatto in cui quell’uomo gli aveva consegnato il magico apparecchio decantandone la capacità di aprire qualunque porta elettronica, Tom l’aveva trovata un’idea grandiosa.
Adesso che quella fantomatica porta elettronica ce l’aveva davanti e non aveva idea di quale filo andasse dove, beh… aveva una mezza idea di dove avrebbe voluto infilarglielo, quel bussolotto.
David vive fuori dal mondo.
Secondo gli ultimi standard, la sua non è neanche una casa; e vista la sua convinzione a non utilizzare nessun tipo di dispositivo elettronico, i ladri continuano ad entrargli dalle finestre.
David comunque non possiede niente che valga la pena di essere rubato, per cui di solito si limitano a devastargli tutto ciò che è abbastanza fragile per essere mandato in mille pezzi.
Tom spinge piano la porta e si affaccia cautamente all'interno: il salotto è illuminato da vecchie abat-jour a lampadina di quel tipo che è caduto in disuso quando le centrali elettriche sono collassate - ai tempi di suo nonno, se non ricorda male.
Tom non ha idea di come possano funzionare.
"Oh, uno dei Trumper!" Esclama una voce senza corpo proveniente da qualche parte oltre una catasta di libri che arriva fino al soffitto.
"Signor Jost?" Chiama Tom educatamente, facendo un passo all'interno e chiudendosi la porta alle spalle.
La piccola casa ha due stanze soltanto e un soppalco buio di cui Tom ignora da sempre il contenuto.
"In carne ed ossa, ragazzo!" Esclama l'uomo, venendo fuori dal suo nascondiglio. E' coperto di polvere dalla testa ai piedi. Soltanto gli occhi rotondi, di un azzurro accecante, spuntano dal nero intorno al viso. "E sono anche uno degli ultimi rimasti! Qua tutti non fanno che sostituirsi parti meccaniche!"
Tom appoggia lo zaino per terra, come fa di solito. "In certi casi i mecha-innesti migliorano il tenore di vita," azzarda. A Gordon hanno impiantato una gamba meccanica dopo che quel carro da trasporto si è rovesciato disintegrandogli una rotula. Se non lo avessero rimesso a nuovo con quel pezzo d'acciaio, sarebbero stati guai seri per lui, sua madre e suo fratello.
"Bah!" Esclama l'uomo, agitando convulsamente le mani. "Finiranno per essere tutti quanti dei robot, te lo dico io! La razza umana non durerà un'altra generazione!"
Tom preferisce non proseguire quella conversazione: sa quanto Jost sia contro gli innesti biomeccanici, anche se non ha mai capito perchè. S'infila le mani nelle tasche degli enormi pantaloni di jeans e osserva David che va avanti e indietro per la stanza, rimettendo a posto libri apparentemente a casaccio.
Passano cinque minuti buoni prima che gli rivolga di nuovo la parola da dietro il bancone del cucinotto. "Allora," esclama, mentre versa del succo d'arancia in due bicchieri che hanno senza dubbio visto giorni migliori. "Quale gemello sei tu? Non ho mai imparato a riconoscervi."
Tom fa un mezzo sorriso. "Sono Tom, signore. Bill non entrerebbe mai qui dentro. Senza offesa, ma c'è troppa polvere e lui è..."
"Schizzinoso. Sì, me lo ricordo." David annuisce con convinzione, più a se stesso che al suo giovane ospite. Ricorda quel ragazzino che sta ben attento a come e dove si siede. "Quindi tu sei quello a cui piace la scienza."
"Sì"
"E cosa ti porta qui stavolta?" Chiede l'uomo. "Temo di non avere più preziosissimi esemplari di laser disc da farti distruggere."
Tom diventa completamente rosso. "Quello fu un incidente, signor Jost"
"Già, certo," David annuisce di nuovo, molto interessato alla bevanda nel suo bicchiere.
"Ehm..." Tom tossisce, cercando di riportarlo al presente. Quell'uomo è un genio, ma ha dei momenti di buio molto frequenti. "Signor Jost?"
David solleva di scatto lo sguardo e lo fissa per qualche istante come se non capisse assolutamente perchè ce l'abbia davanti, poi la memoria sembra di nuovo baluginare nelle sue pupille. "Mi sono distratto ancora," esclama, bevendo un sorso. "Sono i miasmi di questa città, mi stanno bruciando i neuroni."
"Già, i miasmi..." Tom solleva un sopracciglio, poco convinto. E' quasi certo che più che i miasmi sia il narghilé che c'è nel salottino a scombinargli le facoltà intellettive. "Comunque sia, io sono qui perchè dovrei farle delle domande."
"Oh, e su cosa?" David reclina la testa per buttar giù le ultime gocce. Indica il bicchiere del biondo. "Bevi il tuo succo d'arancia, avanti. La vitamina C fa ancora bene in questo secolo."
Tom si affretta ad ubbidire. Beve un sorso, poi riappoggia il bicchiere e fa per aprire bocca e porre la sua prima domanda ma David gli indica di nuovo il succo d'arancia. "Vitamina C," ripete.
Si rimette a girare per la stanza, raccogliendo libri da una parte e appoggiandoli in terra dall'altra.
"Le arance sono ancora commestibili, lo sapevi?" Chiede, tra un piegamento e l'altro. "Ma la gente si guarda bene dal mangiarle..."
"Hanno rapito mio fratello," esordisce all'improvviso Tom, facendosi serio. I convenevoli sono durati abbastanza.
David smette di trafficare in giro per la stanza. Rimane piegato a metà di un movimento e non si volta. "Chi?" chiede, guardingo.
"La Corporazione."
David sembra incupirsi. "Questa è un'accusa molto grave, ragazzo. Sei sicuro di quello che dici?"
"Sì" La risposta di Tom è netta e precisa, non un'ombra di esitazione nella sua voce. Si ricorda bene quella notte di tre mesi fa in cui hanno trascinato via suo fratello in lacrime. Da allora non l'ha più visto e lui è certo che quegli uomini provenissero dalla sede centrale del loro governo.
"Che cosa te lo fa pensare?" Chiede Jost.
"Quale altra istituzione governativa fa irruzione nelle case e porta via la gente innocente?"
David scatta verso di lui e gli tappa la bocca con la mano. Si guarda intorno con gli occhi sgranati, quasi tema l'assalto da un momento all'altro. "Non dirlo mai più, Tom. Mai più," esclama, prendendogli sconvolto il viso tra le mani. "Anche i muri hanno le orecchie. Tienilo a mente."
Tom annuisce, spaventato.
David lo lascia andare lentamente, e non stacca gli occhi da lui finché non è sicuro che il ragazzino non lo ripeterà. "Dovresti essere più cauto."
"Mi dispiace"
"Un mi dispiace non ti salverà la vita se vengono a sapere quello che pensi di loro," lo ammonisce l'uomo con occhi severi; poi il suo sguardo si addolcisce un po', mentre si siede su una poltrona e fa segno a Tom di fare lo stesso. "Quand'è successo?" chiede infine.
"Tre mesi fa," risponde e poi, quasi inconsciamente beve dal bicchiere anche se l'uomo non lo ha minacciato per farglielo fare. "Non sono riuscito a fermarli."
David scuote la testa. "Dubito che ci saresti mai riuscito," esclama.
"Non si stupisce che sia successo?"
"Dovrei?" Chiede di rimando l'uomo. "Tuo fratello non è il primo. Negli ultimi mesi hanno portato via ragazzini da ogni parte della città."
"Perchè la polizia non fa niente?"
David si limita a guardarlo e Tom si sente immediatamente molto stupido.
Lo ha scoperto a spese di Gordon che la polizia non esiste da quando la Corporazione è salita al governo. Tutto è controllato dall'esercito. E se è stata la Corp ha rapire suo fratello, allora non c'è niente che la polizia possa fare. "Perchè lo hanno portato via?"
David rimane a lungo in silenzio, fissando il vuoto. "Non lo so," risponde infine.
"Sapeva che portavano via i ragazzini, no? Qualcuno dovrà pur avere un’idea del perché!" Sbotta Tom, perdendo la pazienza.
David scuote la testa, recupera i bicchieri goffamente e li infila nel lavandino dove ci sono piatti probabilmente da quindici giorni. "Parlavano di reclutamento," si stringe nelle spalle. "Cercano sempre nuovi soldati."
"Mio fratello non può fare il soldato." Tom si ritrova a dirlo quasi ridendo. Nessuno sano di mente penserebbe mai a portare via lui o suo fratello per costringerli a forza nell'esercito. Bill pesa addirittura quattro chili meno di lui e gli viene l'ernia solo a sollevare lo zaino di scuola.
“Questo è irrilevante,” sussurra David che si è perso di nuovo. Il suo sguardo è fisso nel vuoto e non ha nessuna espressione individuabile. A volte Tom ha paura che si spenga come il vecchio frullatore a ioni di sua madre che ha la tendenza ha perdere contatti con tutto il mondo che lo circonda proprio mentre sta tritando la frutta a pezzettini sottili. Un attimo è lì che ronza, l’attimo dopo è morto, con la spina ancora attaccata e tutto.
”Non mi importa del perché, comunque,” esclama alla fine il ragazzino. “Io rivoglio mio fratello indietro.”
David alza lo sguardo soltanto un istante e poi lo volge altrove; riprende a rimettere a posto i suoi libri ma non commenta le ultime parole di Tom.
”Signor Jost?”
L’uomo sospira. “Mi dispiace, ragazzo. Io non so come aiutarti.”
”Lei sa un sacco di cose,” insiste Tom, “lei conosce la Corp!”
David si volta di scatto. "Chi te lo ha detto?" Chiede.
Tom quasi sobbalza. Gli scatti d'umore di quell'uomo sono preoccupanti. "Nessuno me lo ha detto," replica anche un po' infastidito. "Si dice in giro."
"Si dice in giro," ripete David, con una smorfia disgustata. "Se ti dicessero in giro che i topi mangiano i gatti, crederesti anche a quello."
Tom aveva in mente tre o quattro vicoli di Berl in cui c'erano nuguli di ratti in grado di spolpare intere mandrie di vacche se volevano, ma pensò fosse meglio non istigare ulteriormente la follia di quell'uomo. "In ogni caso lei sa come funzionano le serratura elettroniche. Potrebbe aiutarmi ad entrare in uno dei loro palazzi."
David spalanca così tanto gli occhi azzurri che Tom teme gli cadano dalle orbite. E' già pronto ad assistere a tutta la scena, a vederli rotolare sul pavimento polveroso fino ai suoi piedi che calzano scarpe da ginnastia così rotonde da sembrare troppo grandi per lui.
"Dimmi che non hai detto quello che hai detto," lo prega l'uomo.
"Cos'ho detto?" Chiede Tom allarmato, guardandosi anche un po' in giro.
David inizia ad aggirarsi per quello sgabuzzino che chiama casa e tira tutte le tende, calando la stanzina nella penombra. "Tu non puoi entrare là dentro!" Bisbiglia, con fare cospiratorio.
"Io devo entrare là dentro. Ci tengono mio fratello", Tom ci tiene a precisare i concetti perché la tenuta della memoria di David lascia un po' a desiderare.
"Ci sono centinaia di posti in cui potrebbero tenerlo," insiste l'uomo. "Non lo troverai mai andando alla cieca. Ti troveranno prima ancora che-"
"Ho un nome," lo interrompe Tom. "Dreig."
"Il generale Dreig?"
Tom annuisce. "Questo è quello che hanno detto, ha una vaga idea di chi sia?"
Il viso di David si fa un po' più scuro, per un attimo sembra guardare altrove. Poi si riscuote e lo guarda ma i suoi occhi non lo vedono del tutto. "E' un pezzo grosso dell'esercito," esala. Quindi scuote di nuovo la testa. "E' una follia. Non puoi pensare di farcela."
"Non sono venuto qui a chiederle se posso andare o meno ma solo se è disposto a darmi una mano," precisa il ragazzino. "Allora, le sa aprire oppure no le serrature elettroniche?"
David non dice niente, lo guarda e basta. Tom lascia che lo trapassi da parte a parte con quello sguardo brillante, che sembra sempre sintonizzato altrove. Poi l'uomo si muove e rovista all'interno di un armadio che contiene più di quanto sia possibile; ci sono cavi e prese elettriche che spuntando da tutte le parti. Tom nota perfino la tastiera di un vecchio computer appoggiata di fianco: è qualcosa che risale a chissà quanto tempo prima, Tom non si ricorda quando i computer avevano ancora bisogno di averne una.
"Userai questo," esclama David, mostrandogli un bussolotto dal quale pende una miriade di fili.
"Che roba è?"
"Cosa sarà mai secondo te?" Sbotta David.
"Cosa vuole che ne sappia? E' lei il genio dell'elettronica!" Replica Tom, punto sul vivo. "Per me quel coso è un bussolotto pieno di fili."
David tossisce, leggermente. "In effetti, è essenzialmente questo," ammette, imbarazzato. "Però puoi usarlo per aprire le porte elettroniche."
"Ce lo tiro contro?"
In effetti contro alla porta, il bussolotto ce lo aveva tirato ma non era servito poi a molto.
Quello era rimbalzato fastidiosamente contro la porta per poi rotolare di nuovo indietro verso di lui che era accucciato per terra. La serratura elettronica, naturalmente, era ancora lì e sembrava quasi farsi beffe di lui.
Tom non poteva rassegnarsi perché ne sarebbe andato del suo orgoglio personale, però aveva una gran voglia di abbrutirsi come un selvaggio contro quell'inutile apparecchio, datogli da un inutile uomo fuori di testa che sarebbe dovuto servire ad aprire un'inutile serratura elettronica di un inutile palazzo. Il tutto per andare a salvare un inutile fratello.
Così prese una decisione molto matura.
Si tirò su in piedi, il bussolotto in una mano, e si schiarì la gola con fare molto compunto. "Maledetto inutile aggeggio!" Prese a sbraitare, "Quando ti riporterò da quell'inutile di un David gli dirò che eri del tutto inutile per aprire quest'inutile porta, di questo inutile palazzo! E se non mi servissi per andare a prendere quell'inutile di mio fratello, ti assicuro che ti infilerei nel primo cestino!"
Tom sospirò: ora si sentiva meglio. A guardarlo meglio, il bussolotto spettinato dalle sue urla non era poi così criptico. E ora si ricordava anche le parole di David che fino a qualche istante prima avevano assunto il tono e l'armonia di un discorso sui massimi sistemi in aramaico antico. C'era un numero incalcolabile di fili neri che, stando a David, non servivano a niente tranne che ad aprire involontariamente tutti i garage del vicinato.
Poi c'erano i fili rossi, che lui non doveva toccare (ancora per quella storia dei Laser Disc).
E infine c'erano i verdi, che sarebbero serviti allo scopo.
Tom non era proprio sicuro che si trattasse dei fili verdi ma, dal momento che non aveva nessuno a cui chiederlo, avrebbe dovuto fare di testa sua. E poi c'erano più fili verdi che gialli e questo doveva essere un ottimo motivo per preferirli. In più il giallo faceva schifo.
Si avvicinò alla serratura e smontò accuratamente lo sportello di protezione che ospitava la pulsantiera. Sistemò i cavi come David gli aveva riferito mediante l'uso di un'innovazione futuristica quale la lavagna a pennarello, quindi premette l'unico tasto presente sul bussolotto e attese.
Vide i numeri delle combinazioni susseguirsi ad una velocità surreale, finché uno dopo l'altro non si fermarono, formando il codice di apertura.
La serratura emise un beep di via libera, quindi la porta si aprì con un suono di aria compressa, spalancandosi sul buio totale del corridoio interno.
Tom recuperò i suoi cavi e li ripose nel bussolotto che finì di nuovo nello zaino, il tutto senza che i suoi occhi lasciassero mai il buio che si era appena aperto di fronte a lui. Un po' di paura l'aveva. Un po' tanta, in effetti. Aveva programmato ogni singola parte del piano per riuscire ad aprire quella porta - beh non proprio quella in effetti, ma era lo stesso - senza pensare a cosa avrebbe fatto dopo.
David non aveva voluto dargli altre spiegazioni sul generale Dreig, qualunque cosa sapesse se l'era tenuta per sé e non aveva saputo consigliargli la direzione in cui cercare. L'unica cosa che sapeva era che c'entrava la Corp, quindi non gli rimaneva che entrare nel palazzo più accessibile e spulciare ogni singola stanza fino a che suo fratello non fosse saltato fuori.
Ci sarebbe voluta molta pazienza ma di quella non si preoccupava. Vivere con Bill ti costringeva ad averne, oppure a fartela venire, perché altrimenti eri destinato a strangolarlo e a rivenderne gli organi al mercato nero.
Sospirò, issandosi lo zaino sulla spalla. "Dai Tom, non può essere così complicato."
Il primo passo fu difficile. Il secondo un po' meno. Al terzo era dentro, pertanto niente avrebbe più potuto fermarlo.
Di solito erano i primi tre passi quelli complessi.
La telecamera alle sue spalle si voltò così silenziosamente che avrebbe potuto essere un gatto: niente scricchiolii, niente scariche statiche; scivolò sulla sua guarnizione maleficamente oliata e l'occhio rosso puntò dritto sulla figura esile di Tom.
Un attimo solo per inquadrare meglio quel ragazzino che si aggirava goffamente per il corridoio con la torcia in mano, poi tutto si accese della luce rossastra dei neon e gli allarmi partirono tutti quanti insieme, in una cacofonia distorta.