Personaggi: Bill, Tom
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
File 002
Tom si gettò di lato, con un’agilità che non aveva mai posseduto in vita sua e che, di fatto, si ritrovò a non possedere neanche in quel momento. Senza aver calcolato le distanze, andò a sbattere dritto di testa contro il muro al suo fianco. Perfino la creatura che lo aveva attaccato, qualunque cosa fosse, si prese un attimo di tempo per contemplare quella perfetta dimostrazione di mancata coordinazione cerebro-motoria.
Solo un attimo, poi pensò bene di andargli addosso di nuovo.
Tom cacciò un urlo non propriamente virile, quindi si raccolse da terra in qualche modo e si gettò nella prima direzione disponibile senza più guardarsi indietro. La bestia si lanciò al suo inseguimento, con un gran stridore di denti che a Tom non piacque per niente.
Doveva pesare almeno una tonnellata a giudicare dal rumore che faceva ogni volta che appoggiava le zampe a terra; Tom sentiva l’asfalto tremare. Ora che la torcia gli era caduta, non aveva molto di meglio da fare che andare alla cieca, nel buio, in un posto infido e pieno di macerie. Quanta fortuna in un solo giorno.
La bestia emise una via di mezzo tra il ruggito di un leone e quello che sarebbe passato per il barrito di un elefante, se gli elefanti fossero ancora esistiti. Tom non era nato in tempo per vedere l’ultimo che moriva in mondovisione nello zoo di New York. “Ma a cosa diavolo sto pensando?” Fece appena in tempo a rendersi conto che la strada sotto ai suoi piedi sarebbe finita da lì a venti metri, prima dell’ennesima zampata.
Si gettò di lato, infilandosi in un cunicolo.
E la bestia dietro, sempre alla stessa velocità. Lui, invece, non aveva mai corso per più di due isolati senza stramazzare al suolo con Bill che gli sventolava una pezzuola sulla fronte.
Non aveva idea di dove si trovasse: dopo aver svoltato almeno una decina di volte in direzioni totalmente causali, sperare di orientarsi era un’utopia. A quel punto non c’era molto che potesse fare se non cercare il modo di risalire. Quella era una creatura del sottosuolo, forse non lo avrebbe seguito.
La strada svoltava di nuovo, ma il palazzo che la costeggiava era ridotto ad un cumulo di macerie. Dall’altra parte, riusciva a vedere una recinzione e oltre a quella il terreno sembrava essere in pendenza. La luce era vagamente più grigia. Tom si arrampicò in fretta; prima di staccare l’ultimo piede dall’asfalto, lo senti vibrare. “Andiamo! Andiamo! Andiamo!” Si incitò. Avere un gemello era invalidante: Tom non era mai stato solo, era abituato a parlare per due.
Sentì lo scalpitio di zampe enormi sul terreno e questa volta la zampata quasi gli portò via una gamba. Recuperò il suo corpo intero e tentò di non ammazzarsi da solo tra i massi crollati. Peccato che dopo qualche metro le macerie finissero, a venti metri dal suolo. Si chiese se questo non fosse tutto un grande disegno cosmico per indicargli che forse scendere al primo livello non era stata una grande idea. In quel caso sarebbe bastato un post-it. La bestia gli ricordò che c’era ancora con un altro allegro, violento, ruggito portatore di morte.
”D’accordo, ho capito,” brontolò il biondo. Si guardò intorno e infine scorse una lastra di cemento, inclinata su alcuni dei massi più grossi. Poteva scivolare fino a terra; un’uscita di scena spettacolare. Sperava solo che tutte le sbucciature che si sarebbe procurato non rovinassero l’effetto finale.
Strinse i denti, pregò che gli spallacci dello zaino reggessero e quindi si lasciò andare. Avrebbe potuto essere una cosa molto intelligente, ma si rivelò non esserlo affatto. Alla prima imperfezione si ribaltò e se la fece quasi tutta di testa. La bestia si fece sentire, ma non lo seguì. Forse era la luce, o forse pensò che non sarebbe arrivato vivo a terra e non era un animale necrofago.
Quando atterrò, con la strada per arrivare in superficie proprio dritta di fronte a sé, aveva il cappello da baseball storto, la maglia piena di fango e una bruciatura sul braccio destro. Per essere uno che era appena rotolato malamente per venti metri poteva ritenersi miracolato. Lanciò un’occhiata all’ombra scura del bestione alle sue spalle e deglutì, scavalcando la recinzione per iniziare ad arrampicarsi di nuovo lungo la salita che lo avrebbe riportato in superficie. Era meglio muoversi, prima che quella ci ripensasse.
*
Tom si lasciò rotolare a terra, le braccia e le gambe divaricate mentre fissava il cielo. Non era ancora abbastanza in alto per vederne le striature azzurro-violacee ma il faro della collina di Komat emanava un bagliore sufficiente a distinguere i contorni della città.
Si tolse la maschera anti-gas, mentre tornava a sedersi e riprendeva fiato. Ora che l’adrenalina si era dissolta, il cuore gli batteva contro il petto come impazzito: avrebbe potuto creparci, là sotto. Non avrebbe mai più rivisto nessuno, sua madre, Gordon; Bill, che chissà dove accidenti lo avevano portato! Strinse forte il laccio della maschera e digrignò i denti, cercando di trattenere la rabbia e le lacrime.
Cercando di non avere paura.
Rimase a fissare il vuoto fin quando la città che lo circondava non fu completamente immobile. Gli unici lamenti lontani, li portava il vento dalla galera. Si alzò in piedi, guardandosi intorno. L’uscita che lo aveva portato fino a lì sbucava poco distante da uno dei quattro palazzi; senza la cartina e prendendo Komat come punto di riferimento, poteva soltanto ipotizzare che si trattasse di quello a sud.
”Uno vale l’altro suppongo,” mormorò, espirando.
Tom infilò la maschera anti-gas nello zaino, quindi se lo mise in spalla mentre si avviava lungo la strada che lo avrebbe portato quasi dritto verso il palazzo.
La città di notte era silenziosa e buia, non differiva molto dai livelli inferiori che aveva appena visitato. Non poteva neanche rallegrarsi del fatto che almeno lì non ci sarebbero state bestie assetate di sangue perché non ne era troppo sicuro. Le aveva sentite le creature che alitavano e sibilavano oltre i vetri delle finestre non appena calava il sole.
Bill aveva così tanta paura di quelle cose che gli si stringeva addosso tremando e non smetteva finché non lo abbracciava e lo baciava, dicendogli che andava tutto bene.
Le cose non entravano mai nelle case, diceva la mamma; il che era utile se ti trovavi nel salotto di casa tua. L'informazione risultava alquanto manchevole di dettagli se invece eri intento a passeggiare nella periferia di Berl alle due di notte. Ad esempio: le creature si limitavano ad alitare e a sibilare, o si nutrivano anche - per dire? Qualcosa diceva a Tom che non erano amabili erbivori, ecco. E la cosa un po' lo preoccupava.
Un po' tanto.
Affrettò il passo, costringendosi a tenere gli occhi fissi sulla propria meta per non cadere nello scherzo di vedere ombre muoversi anche quando erano ferme. In lontananza, sentiva il rumore dei passi da parata della Polizia della Corporazione che effettuava la ronda notturna per assicurarsi che nessuno disobbedisse al coprifuoco.
Tom aspettò che le loro luci chimiche fossero in vista, quindi si infilò nel primo cunicolo e si schiacciò contro il muro, sfruttando il proprio peso anoressico per scomparire tra i mattoni.
I soldati pattugliavano la città in squadroni di otto o dieci elementi, badando di fare quanta più confusione possibile, in modo che chiunque sapesse che stavano passando e non si dimenticasse del coprifuoco. Eppure, le notti di Berl erano così spaventose, che chiunque preferiva quel fracasso di anfibi chiodati e manganelli di ferro al silenzio di tomba che lo precedeva e seguiva.
Effettuarono i controlli di rito, palesemente troppo sommari perfino agli occhi di Tom che era stato abbastanza fortunato da arrivare ai diciassette anni senza saper niente del corpo di polizia. Con i tempi che correvano non era raro finire in galera prima della maggiore età. Gordon aveva fatto di tutto per non dover mandare i figliastri a lavorare da qualche parte, perché potessero continuare a studiare - sebbene in quella scuola povera che non gli avrebbe certo garantito un futuro migliore di quello della madre. Erano vissuti entrambi, lui e Bill, in una specie di sfera protetta che era stata improvvisamente rotta tre mesi prima.
Quando sua madre era tornata a casa con Gordon, e Tom le aveva raccontato in lacrime cos'era successo, era crollata a terra in un urlo violento e si era messa a piangere. Il ragazzo aveva visto il viso di Gordon farsi triste, poi insieme avevano portato Simone a distendersi sul letto doveva aveva continuato a chiamare il nome di Bill; alla fine aveva smesso, per non emettere più alcun suono. Adesso, che erano passati tre mesi, sua madre non aveva ancora detto una parola.
Tom aveva provato a convincerli a dire tutto alla Polizia, ripetendo loro centinaia di volte che aveva il nome di quell'uomo - il generale Dreig - e che aveva le prove, lui aveva visto i soldati che portavano via Bill. Gordon aveva scosso la testa per giorni, e Tom si era arrabbiato, era diventato violento, li aveva accusati. Aveva urlato in faccia a sua madre delle cose orribili.
All'inizio Gordon gli aveva detto che molti altri ragazzi, come Bill, erano stati portati via dalle loro abitazioni per farne soldati della Corporazione. Aveva cercato di convincerlo che suo fratello avrebbe vissuto una vita migliore e che quando lo avrebbero rivisto, avrebbe avuto dei soldi con cui aiutarli; ma Tom, ovviamente, non aveva voluto saperne.
Gordon allora aveva provato a spiegargli che accusare un generale della Corporazione era molto rischioso e che non sarebbero stati creduti; ma Tom non era stato a sentire nemmeno questo. L'unica cosa che aveva compreso, allora, era che quei bastardi erano entrati in casa e avevano portato via Bill che urlava il suo nome per portarlo chissà dove; aveva capito che sua madre e il suo patrigno preferivano perdere un figlio in quel modo, piuttosto che farsi valere con chi di dovere.
Era stato allora, quando lo aveva visto urlare contro sua madre che a lei non importava niente di Bill, che Gordon aveva acconsentito alle sue richieste. Insieme, figlio e patrigno, erano andati alla Sede Centrale della Polizia. Tom non c'era mai stato prima e aveva varcato l'immenso portone fregiato quasi con riverenza, mentre Gordon lo spingeva dentro, con il capello di cencio in mano.
C'erano voluti meno di cinque minuti perché Tom capisse la riluttanza dei suoi genitori.
Non solo il capo della Polizia si era rifiutato di credergli, ma si era messo a ridere lodandolo per la sua fantasia. E quando aveva insistito, infuriandosi, l'uomo se l'era presa con Gordon, accusandolo di fargli perdere tempo con quel ragazzino. Aveva sbattuto lui e Gordon fuori dall'ufficio, nelle mani di un paio di soldati che avevano pensato bene di sottolineare le parole del loro capo pestando Gordon di santa ragione.
Tom lo aveva riportato a casa in silenzio.
E da allora non ne avevano più parlato.
Sua madre fingeva di non aver mai avuto due figli, ma Tom non poteva fingere un bel niente. Bill non era semplicemente suo fratello, era qualcosa di più importante. I soldati si erano portati via anche un pezzo del suo cuore quella notte, e lui aveva tutte le intenzioni di riprenderselo. Così aveva fatto delle ricerche, aveva cercato e trovato chi poteva aiutarlo, tutto per arrivare a quella notte.
Tutto per ritrovarsi schiacciato contro un muro, ad aspettare che la ronda passasse.
Attese che l'ultimo dei soldati si dileguasse nel buio, quindi uscì molto cautamente dal suo nascondiglio per continuare lungo la strada. Strinse il pezzo di specchio che aveva in tasca per farsi coraggio e oltrepassò il ponte su quello che restava dello Spree e si ritrovò praticamente davanti al muro che circondava il palazzo e che si estendeva per molte centinaia di metri sia alla destra che alla sinistra di Tom.
Sapeva che esistevano soltanto due cancelli in quel muro e che erano le cose più sorvegliate dopo le casseforti della tesoreria nazionale. Pensare di introdursi all’interno attraverso l’entrata principale sarebbe stato da stupidi, era per questo che aveva un gioioso piano alternativo, che prevedeva l’agile scalata del muro in un tempo limite, per evitare le telecamere che c’erano sopra.
Agile. E tempo limite erano le parole chiave.
Tom sospirò, vagamente demoralizzato; se fosse tornato a casa – se mai nella vita il cielo gli avesse concesso una tale opportunità – sapeva su chi mettere le mani per aver dato alla luce un piano del genere.
Tom si gettò di lato, con un’agilità che non aveva mai posseduto in vita sua e che, di fatto, si ritrovò a non possedere neanche in quel momento. Senza aver calcolato le distanze, andò a sbattere dritto di testa contro il muro al suo fianco. Perfino la creatura che lo aveva attaccato, qualunque cosa fosse, si prese un attimo di tempo per contemplare quella perfetta dimostrazione di mancata coordinazione cerebro-motoria.
Solo un attimo, poi pensò bene di andargli addosso di nuovo.
Tom cacciò un urlo non propriamente virile, quindi si raccolse da terra in qualche modo e si gettò nella prima direzione disponibile senza più guardarsi indietro. La bestia si lanciò al suo inseguimento, con un gran stridore di denti che a Tom non piacque per niente.
Doveva pesare almeno una tonnellata a giudicare dal rumore che faceva ogni volta che appoggiava le zampe a terra; Tom sentiva l’asfalto tremare. Ora che la torcia gli era caduta, non aveva molto di meglio da fare che andare alla cieca, nel buio, in un posto infido e pieno di macerie. Quanta fortuna in un solo giorno.
La bestia emise una via di mezzo tra il ruggito di un leone e quello che sarebbe passato per il barrito di un elefante, se gli elefanti fossero ancora esistiti. Tom non era nato in tempo per vedere l’ultimo che moriva in mondovisione nello zoo di New York. “Ma a cosa diavolo sto pensando?” Fece appena in tempo a rendersi conto che la strada sotto ai suoi piedi sarebbe finita da lì a venti metri, prima dell’ennesima zampata.
Si gettò di lato, infilandosi in un cunicolo.
E la bestia dietro, sempre alla stessa velocità. Lui, invece, non aveva mai corso per più di due isolati senza stramazzare al suolo con Bill che gli sventolava una pezzuola sulla fronte.
Non aveva idea di dove si trovasse: dopo aver svoltato almeno una decina di volte in direzioni totalmente causali, sperare di orientarsi era un’utopia. A quel punto non c’era molto che potesse fare se non cercare il modo di risalire. Quella era una creatura del sottosuolo, forse non lo avrebbe seguito.
La strada svoltava di nuovo, ma il palazzo che la costeggiava era ridotto ad un cumulo di macerie. Dall’altra parte, riusciva a vedere una recinzione e oltre a quella il terreno sembrava essere in pendenza. La luce era vagamente più grigia. Tom si arrampicò in fretta; prima di staccare l’ultimo piede dall’asfalto, lo senti vibrare. “Andiamo! Andiamo! Andiamo!” Si incitò. Avere un gemello era invalidante: Tom non era mai stato solo, era abituato a parlare per due.
Sentì lo scalpitio di zampe enormi sul terreno e questa volta la zampata quasi gli portò via una gamba. Recuperò il suo corpo intero e tentò di non ammazzarsi da solo tra i massi crollati. Peccato che dopo qualche metro le macerie finissero, a venti metri dal suolo. Si chiese se questo non fosse tutto un grande disegno cosmico per indicargli che forse scendere al primo livello non era stata una grande idea. In quel caso sarebbe bastato un post-it. La bestia gli ricordò che c’era ancora con un altro allegro, violento, ruggito portatore di morte.
”D’accordo, ho capito,” brontolò il biondo. Si guardò intorno e infine scorse una lastra di cemento, inclinata su alcuni dei massi più grossi. Poteva scivolare fino a terra; un’uscita di scena spettacolare. Sperava solo che tutte le sbucciature che si sarebbe procurato non rovinassero l’effetto finale.
Strinse i denti, pregò che gli spallacci dello zaino reggessero e quindi si lasciò andare. Avrebbe potuto essere una cosa molto intelligente, ma si rivelò non esserlo affatto. Alla prima imperfezione si ribaltò e se la fece quasi tutta di testa. La bestia si fece sentire, ma non lo seguì. Forse era la luce, o forse pensò che non sarebbe arrivato vivo a terra e non era un animale necrofago.
Quando atterrò, con la strada per arrivare in superficie proprio dritta di fronte a sé, aveva il cappello da baseball storto, la maglia piena di fango e una bruciatura sul braccio destro. Per essere uno che era appena rotolato malamente per venti metri poteva ritenersi miracolato. Lanciò un’occhiata all’ombra scura del bestione alle sue spalle e deglutì, scavalcando la recinzione per iniziare ad arrampicarsi di nuovo lungo la salita che lo avrebbe riportato in superficie. Era meglio muoversi, prima che quella ci ripensasse.
Tom si lasciò rotolare a terra, le braccia e le gambe divaricate mentre fissava il cielo. Non era ancora abbastanza in alto per vederne le striature azzurro-violacee ma il faro della collina di Komat emanava un bagliore sufficiente a distinguere i contorni della città.
Si tolse la maschera anti-gas, mentre tornava a sedersi e riprendeva fiato. Ora che l’adrenalina si era dissolta, il cuore gli batteva contro il petto come impazzito: avrebbe potuto creparci, là sotto. Non avrebbe mai più rivisto nessuno, sua madre, Gordon; Bill, che chissà dove accidenti lo avevano portato! Strinse forte il laccio della maschera e digrignò i denti, cercando di trattenere la rabbia e le lacrime.
Cercando di non avere paura.
Rimase a fissare il vuoto fin quando la città che lo circondava non fu completamente immobile. Gli unici lamenti lontani, li portava il vento dalla galera. Si alzò in piedi, guardandosi intorno. L’uscita che lo aveva portato fino a lì sbucava poco distante da uno dei quattro palazzi; senza la cartina e prendendo Komat come punto di riferimento, poteva soltanto ipotizzare che si trattasse di quello a sud.
”Uno vale l’altro suppongo,” mormorò, espirando.
Tom infilò la maschera anti-gas nello zaino, quindi se lo mise in spalla mentre si avviava lungo la strada che lo avrebbe portato quasi dritto verso il palazzo.
La città di notte era silenziosa e buia, non differiva molto dai livelli inferiori che aveva appena visitato. Non poteva neanche rallegrarsi del fatto che almeno lì non ci sarebbero state bestie assetate di sangue perché non ne era troppo sicuro. Le aveva sentite le creature che alitavano e sibilavano oltre i vetri delle finestre non appena calava il sole.
Bill aveva così tanta paura di quelle cose che gli si stringeva addosso tremando e non smetteva finché non lo abbracciava e lo baciava, dicendogli che andava tutto bene.
Le cose non entravano mai nelle case, diceva la mamma; il che era utile se ti trovavi nel salotto di casa tua. L'informazione risultava alquanto manchevole di dettagli se invece eri intento a passeggiare nella periferia di Berl alle due di notte. Ad esempio: le creature si limitavano ad alitare e a sibilare, o si nutrivano anche - per dire? Qualcosa diceva a Tom che non erano amabili erbivori, ecco. E la cosa un po' lo preoccupava.
Un po' tanto.
Affrettò il passo, costringendosi a tenere gli occhi fissi sulla propria meta per non cadere nello scherzo di vedere ombre muoversi anche quando erano ferme. In lontananza, sentiva il rumore dei passi da parata della Polizia della Corporazione che effettuava la ronda notturna per assicurarsi che nessuno disobbedisse al coprifuoco.
Tom aspettò che le loro luci chimiche fossero in vista, quindi si infilò nel primo cunicolo e si schiacciò contro il muro, sfruttando il proprio peso anoressico per scomparire tra i mattoni.
I soldati pattugliavano la città in squadroni di otto o dieci elementi, badando di fare quanta più confusione possibile, in modo che chiunque sapesse che stavano passando e non si dimenticasse del coprifuoco. Eppure, le notti di Berl erano così spaventose, che chiunque preferiva quel fracasso di anfibi chiodati e manganelli di ferro al silenzio di tomba che lo precedeva e seguiva.
Effettuarono i controlli di rito, palesemente troppo sommari perfino agli occhi di Tom che era stato abbastanza fortunato da arrivare ai diciassette anni senza saper niente del corpo di polizia. Con i tempi che correvano non era raro finire in galera prima della maggiore età. Gordon aveva fatto di tutto per non dover mandare i figliastri a lavorare da qualche parte, perché potessero continuare a studiare - sebbene in quella scuola povera che non gli avrebbe certo garantito un futuro migliore di quello della madre. Erano vissuti entrambi, lui e Bill, in una specie di sfera protetta che era stata improvvisamente rotta tre mesi prima.
Quando sua madre era tornata a casa con Gordon, e Tom le aveva raccontato in lacrime cos'era successo, era crollata a terra in un urlo violento e si era messa a piangere. Il ragazzo aveva visto il viso di Gordon farsi triste, poi insieme avevano portato Simone a distendersi sul letto doveva aveva continuato a chiamare il nome di Bill; alla fine aveva smesso, per non emettere più alcun suono. Adesso, che erano passati tre mesi, sua madre non aveva ancora detto una parola.
Tom aveva provato a convincerli a dire tutto alla Polizia, ripetendo loro centinaia di volte che aveva il nome di quell'uomo - il generale Dreig - e che aveva le prove, lui aveva visto i soldati che portavano via Bill. Gordon aveva scosso la testa per giorni, e Tom si era arrabbiato, era diventato violento, li aveva accusati. Aveva urlato in faccia a sua madre delle cose orribili.
All'inizio Gordon gli aveva detto che molti altri ragazzi, come Bill, erano stati portati via dalle loro abitazioni per farne soldati della Corporazione. Aveva cercato di convincerlo che suo fratello avrebbe vissuto una vita migliore e che quando lo avrebbero rivisto, avrebbe avuto dei soldi con cui aiutarli; ma Tom, ovviamente, non aveva voluto saperne.
Gordon allora aveva provato a spiegargli che accusare un generale della Corporazione era molto rischioso e che non sarebbero stati creduti; ma Tom non era stato a sentire nemmeno questo. L'unica cosa che aveva compreso, allora, era che quei bastardi erano entrati in casa e avevano portato via Bill che urlava il suo nome per portarlo chissà dove; aveva capito che sua madre e il suo patrigno preferivano perdere un figlio in quel modo, piuttosto che farsi valere con chi di dovere.
Era stato allora, quando lo aveva visto urlare contro sua madre che a lei non importava niente di Bill, che Gordon aveva acconsentito alle sue richieste. Insieme, figlio e patrigno, erano andati alla Sede Centrale della Polizia. Tom non c'era mai stato prima e aveva varcato l'immenso portone fregiato quasi con riverenza, mentre Gordon lo spingeva dentro, con il capello di cencio in mano.
C'erano voluti meno di cinque minuti perché Tom capisse la riluttanza dei suoi genitori.
Non solo il capo della Polizia si era rifiutato di credergli, ma si era messo a ridere lodandolo per la sua fantasia. E quando aveva insistito, infuriandosi, l'uomo se l'era presa con Gordon, accusandolo di fargli perdere tempo con quel ragazzino. Aveva sbattuto lui e Gordon fuori dall'ufficio, nelle mani di un paio di soldati che avevano pensato bene di sottolineare le parole del loro capo pestando Gordon di santa ragione.
Tom lo aveva riportato a casa in silenzio.
E da allora non ne avevano più parlato.
Sua madre fingeva di non aver mai avuto due figli, ma Tom non poteva fingere un bel niente. Bill non era semplicemente suo fratello, era qualcosa di più importante. I soldati si erano portati via anche un pezzo del suo cuore quella notte, e lui aveva tutte le intenzioni di riprenderselo. Così aveva fatto delle ricerche, aveva cercato e trovato chi poteva aiutarlo, tutto per arrivare a quella notte.
Tutto per ritrovarsi schiacciato contro un muro, ad aspettare che la ronda passasse.
Attese che l'ultimo dei soldati si dileguasse nel buio, quindi uscì molto cautamente dal suo nascondiglio per continuare lungo la strada. Strinse il pezzo di specchio che aveva in tasca per farsi coraggio e oltrepassò il ponte su quello che restava dello Spree e si ritrovò praticamente davanti al muro che circondava il palazzo e che si estendeva per molte centinaia di metri sia alla destra che alla sinistra di Tom.
Sapeva che esistevano soltanto due cancelli in quel muro e che erano le cose più sorvegliate dopo le casseforti della tesoreria nazionale. Pensare di introdursi all’interno attraverso l’entrata principale sarebbe stato da stupidi, era per questo che aveva un gioioso piano alternativo, che prevedeva l’agile scalata del muro in un tempo limite, per evitare le telecamere che c’erano sopra.
Agile. E tempo limite erano le parole chiave.
Tom sospirò, vagamente demoralizzato; se fosse tornato a casa – se mai nella vita il cielo gli avesse concesso una tale opportunità – sapeva su chi mettere le mani per aver dato alla luce un piano del genere.