Personaggi: Bill, Tom
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.

Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
File 001

Quattro edifici, otto porte, sedici combinazioni.
Tom ripeteva ogni numero singolarmente, scendendo la collina nel tentativo di ricordarsi tutto ciò che gli era stato detto. L’ultima cosa che voleva era mandare all’aria un piano perfetto per un’idiozia. Non era certo che si trattasse davvero di un piano perfetto ma era l’unico che aveva, quindi doveva esserlo per forza.
Quattro edifici, otto porte, sedici combinazioni.
La collina non era molto alta. Gli era bastato percorrere la statale 404 e scavalcare uno dei guardrail che impedivano ai carri merci di ribaltarsi. Era sempre stato bravo ad arrampicarsi e scavalcare. Bill non ne era capace – o meglio, non voleva – quindi toccava a lui farlo quando la palla finiva nel giardino del vicino.
Oltre il parapetto, la collina declinava verso il basso, due livelli più giù dove la città era scura di smog e respirare era faticoso. Avrebbe fatto un pezzo di strada là sotto, fino ad arrivare alla base dell’edificio per poi risalire al livello 3. Tre delle otto porte si trovavano lì: le entrate per i dipendenti.
Tom lanciò un’ultima occhiata alla città buia che si estendeva ai suoi piedi; fra qualche istante, quando si sarebbe inoltrato al di sotto del terzo livello, sarebbe stato ancora più buio.
La Corporazione possedeva 4 edifici, disposti ai 4 angoli della città, e poi c’era il palazzo nero della Governatrice, proprio nel mezzo. Era così alto che lo potevi vedere da qualunque punto tu ti trovassi a guardare e c’era il suo viso sopra, come una grossa maschera appesa. Entrare là dentro era il più grande sogno di Bill, anche se Tom non aveva mai capito il perché.
Sospirò, estraendo dallo zaino la torcia e la maschera anti-gas; se la calcò bene in faccia stando attento a respirare solo attraverso i due filtri laterali. Gordon scendeva nei livelli bassi molto spesso e gli aveva insegnato come usare quegli affari.
Si coprì la testa con il cappuccio nero della felpa, in caso qualcuna delle vecchie telecamere governative ad infra-rossi fosse stata ancora attiva; chiunque fosse dall’altra parte, avrebbe visto soltanto un punto nero con un brutto muso.
Quattro edifici, otto porte, sedici combinazioni.
Aveva una mappa con sé ma era vecchia di dieci anni: i punti di riferimento erano ridotti a pezzi o non c’erano più. Orientarsi era difficile.
Si arrampicò su un cumulo di macerie e cercò di distinguere la propria posizione. La statale lo aveva portato a sud, da lì la città vecchia si trovava alla sua destra. Tom voltò la cartina e cercò di dare un senso agli scarabocchi che c’erano scritti sopra.
Nel buio polveroso del primo livello riusciva a distinguere soltanto forme vaghe, ma quella davanti a lui doveva essere una chiesa; se prendeva per buona la propria posizione attuale, allora doveva trovarsi sulla vecchia via del mercato.
Una sorta di via centrale che, molti anni prima della sua nascita, segnava la metà perfetta della città; se non si sbagliava, la pianta dei livelli inferiori risaliva al 21esimo secolo o giù di lì. Da allora Berl aveva triplicato le proprie dimensioni, ingigantendosi in maniera esponenziale fino a diventare il mostro tentacolare che era adesso.
Tom non ricordava esattamente come fossero andate le cose; storia non era la sua materia preferita e l’unico ricordo felice che aveva di quella materia era una biondina con le lentiggini che si era offerta di passargli i suoi appunti. Questo prima che Bill iniziasse a renderle la vita impossibile, per via della sua gelosia.
Ad ogni modo sapeva che in un qualche momento, nel passato, prima delle terza Grande Guerra, qualcosa era esploso, da qualche parte rilasciando sostanze venefiche che erano rimaste ad aleggiare all’altezza dell’attuale primo livello. La città era stata evacuata, ma i gas non se n’erano mai andati, così ogni cosa era stata ricostruita verso l’alto; la gente era tornata e tutto era iniziato da capo. C’erano nuove malattie mortali, nuove forme di vita, ma nessuno sembrava farci caso.
Nessuno faceva mai caso a niente, lì a Berl.
Era per questo che la Corporazione aveva prosperato; almeno così diceva Gordon, quando pensava che i gemelli non stessero ascoltando. Lui e la mamma discutevano spesso del governo, anche se Tom non era mai abbastanza sveglio o abbastanza vicino per comprendere a pieno quello che stavano sussurrando.
Lui della Corporazione non sapeva molto, in effetti, nonostante non fosse esattamente capitata da un giorno ad un altro. Per lui era sempre stata lì, fin dal giorno in cui lui e Bill erano venuti al mondo. Eppure, tutte le sue nozioni al riguardo si riducevano ad un volto – quello della Governatrice – e alla consapevolezza che ci fosse qualcosa di ingiusto, anche se quella la doveva al suo patrigno e niente di più.
La Governatrice si faceva chiamare esattamente così.
Tom sapeva di lei quello che suo fratello gli raccontava. Bill sapeva qualunque cosa di quella donna, come se fosse la sua eroina. L’avevano vista spesso alla televisione, impegnata in uno dei mille discorsi che faceva durante l’anno per rassicurare la sua gente. Parlava della prosperità del paese e del futuro, di grandi opere a cui la Corporazione si stava dedicando, d’amore anche. Tom non capiva cosa ci fosse di prospero nel posto in cui vivevano, dove le strade erano sempre più nere. Né, se per questo, cosa c’entrassero l’amore e la poesia, ma Bill era affascinato.
Bill.
Tom ripiegò accuratamente la cartina, stando attento a non strapparla più di quanto già non fosse e se la rimise nello zaino. Non aveva tempo per perdersi nei propri pensieri, né per farsi prendere dalla tristezza. Prima raggiungeva quel palazzo, prima recuperava suo fratello.
Discese il suo cumulo di macerie e si avviò lungo la via del mercato. Della chiesa che aveva intravisto, in realtà, era rimasta soltanto la facciata. Tom ci passò davanti e illuminò l’enorme rosone che aveva ancora qualche vetro intatto: la luce della torcia lo accese di rosso e di azzurro, ancora più splendenti nel buio totale.
Tom si chiese come doveva essere stato quel posto quando il sole lo raggiungeva ancora. Quando riprese a camminare, gli sembrò che l’ombra alle sue spalle si muovesse.
Rimase immobile, senza voltarsi.
Gordon gli aveva parlato delle creature che vivevano nei livelli inferiori e gli sembrava di ricordare che bisognasse stare attenti a non fare movimenti bruschi. Molto lentamente, infilò una mano nella tasca della felpa e ringraziò il proprio sentimentalismo che lo aveva costretto – sull’estro del momento – a portarsi dietro quel pezzo di specchio rotto che suo fratello aveva trovato e che considerava il suo portafortuna. Tom aveva pensato che se fosse morto nel tentativo, voleva con sé un pezzo di suo fratello.
Sollevò piano la mano e cercò di farsi luce per vedere.
Alle sue spalle non sembrava esserci assolutamente niente.
Solo ombra. Rimase in quella posizione ancora qualche istante prima di decidere che era stata la sua paranoia a creare rumori e movimenti che non c’erano mai stati. Si rimise in tasca lo specchietto e proseguì, forse vagamente più veloce di prima. La strada piegava ad angolo oltre una fabbrica smantellata e quindi l’asfalto si perdeva completamente tra le macerie.
Tom si guardò intorno, finché non vide un passaggio largo abbastanza perché ci passasse una persona in piedi. Probabilmente quella non era la strada più comoda, né la più sicura, ma era la più diretta e avrebbe evitato i controlli di Polizia di superficie. S’infilò nel cunicolo e puntò la torcia dritta davanti a sé, cercando di non pensare a quante bestie potevano esserci là sotto, a quanto potevano essere grandi, o velenose.
Il passaggio doveva essere una qualche vecchio porticato: qualche arcata era ancora ben visibile, anche se quella che una volta era stata edera rampicante, era ora una pianta molliccia e bluastra, che aveva un’aria sicuramente malsana.
Dopo duecento metri, gli archi si interruppero, lasciando solo una serie di colonne di dimensioni differenti, quindi la sua strada s’inclinò verso il basso in una brevissima serie di scalini. Prima di scendere, Tom si dette un’occhiata intorno per controllare la propria posizione. Aveva oltrepassato almeno due blocchi segnati sulla sua mappa, e quella alla sua destra era senza dubbio la vecchia centrale elettrica.
Di conseguenza, se fosse risalito adesso, sarebbe sbucato esattamente davanti alla prima porta.
Almeno così diceva la cartina.
Fu quando stava per riprendere in mano la torcia che qualcosa lo travolse, mandandolo giù a rotolare di testa su ogni singolo, dannato scalino. Perse la presa sulla cartina, e fece appena in tempo a cogliere il bagliore vago di due piccoli occhi rossi, prima che la zampa si abbattesse su di lui.

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