Personaggi: Bill, Tom
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
Genere: Sci-Fi, Angst
Avvisi: Slash, lemon, AU, WIP
Rating: R
Capitoli: 7 (on hiatus)
Note: La storia nasce eoni fa. Inizialmente era un’idea vaga che, per arrivare dove poi è arrivata, è passata attraverso svariate mani e cervelli fino ad approdare ad un progetto quantomeno singolare.
La trama fu buttata giù dalla sottoscritta in treno, nella tratta Milano-Saronno, poi – causa blocco dello sceneggiatore e conseguente panico – fu comunicata a Majestrix nella quale la vostra affezionatissima ripone una gran fiducia. Majestrix creò, in venti minuti, quello che alla storia mancava. Si pensò inizialmente di scriverla a quattro mani ma c’era un problema fondamentale: la lingua in cui scriverla. Dopo svariate opzioni, tutte scartate – che per altro comprendevano la mia inconciliabile necessità di scrivere una storia di duemila capitoli e la sua struttura di sole sette parti, o quasi – ne abbiamo concluso che avremmo scritto due storie diverse a partire dallo stesso concetto iniziale.
Riassunto: Bevi il tuo succo d'arancia, avanti.
File 004
Volume in drive M is D_PLM
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Directory of ...\ver 1.1.4\KDI
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LATEST
01-11-01 1:46p latest
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4 dir(s) 0 bytes free
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set MACHTYPE=i686-pc-cygwin
set MAILCHECK=60
set MAKE_MODE=unix
set OPTERR=1
set OPTIND=1
set OSTYPE=cygwin
PATH=%PATH%;C:\cygwin\bin
L'audio era funzionante.
Il luogo era pervaso di suoni.
I suoni erano catalogati: Impulsi elettrici di medio livello.
Acqua corrente.
Respiro.
L'energia attraversò ogni circuito, tranne quattro.
Attese che il sistema caricasse le componenti rimanenti... 90%
File corrotto.
File corrotto.
File corrotto.... 100%
Gli occhi si aprirono.
Senza muoversi, analizzò le informazioni in suo possesso e ne dedusse che c'erano altre due macchine intorno a lui, disposte in maniera casuale. Disattivate.
Era una stanza quadrata, otto metri per quattro.
Soffitto bianco, muratura.
La sua antenna colse la rete wireless.
Corporazione, palazzo A.
Era seduto sul pavimento, le mattonelle seguivano lo schema 4XZ200.
Lavandini a 2,5 m da lui. Acqua corrente. Rubinetto aperto.
Si alzò in piedi. La rete non passava informazioni utili.
Obbiettivi... nessuno.
Il sistema di movimento era perfettamente funzionante. I movimenti fluidi.
Si spostò in linea retta. Lavandini a 1,0 m da lui.
Sopra i lavandini era posizionata una superficie 2m x 1m, liscia e riflettente. SiO2 + Al. Specchio.
I suoi occhi colsero il proprio riflesso. Non era mai successo prima di allora, la scheda centrale registrò ogni minimo dettaglio, salvandolo e archiviandolo.
Il sistema funzionava da archivio visuale: ogni immagine registrata dagli occhi era conservata per riferimenti futuri.
Ogni dettaglio poteva essere catalogato e recuperato in un qualsiasi momento.
Aveva un viso ovale, con gli zigomi alti.
Occhi, due. Colore: #3F2A19.
Capelli, 30 cm. Colore: #000000
Portò la mano verso lo specchio e tracciò con le lunghe dita il contorno del proprio volto sul riflesso, prima ancora che sul proprio corpo.
Ritrasse la mano per portarla verso di sé.
Continuò a fissare la sua immagine, osservando le dita che scorrevano lungo le guance.
La pelle sintetica era morbida. La pizzicò tra le dita.
Ed elastica.
Nello specchio vide le due unità che erano accasciate sul pavimento, alle sue spalle.
Due modelli K, come lui, ma senza il rivestimento esterno.
Lo scheletro di alluminio non era visibile sotto la muscolatura sostitutiva.
Erano spenti. Non funzionanti.
Si avvicinò lentamente ai due elementi e li osservò.
I loro numeri di registrazione erano: 481 e 482.
Lui aveva il rivestimento esterno. E anche degli abiti.
Sollevò la maglietta che indossava e scoprì il tatuaggio all'altezza del bacino.
K483.
Piegò la testa di lato, osservando la lettera e il numero.
Cercò informazioni nel suo database ma non ce n'erano.
Nessuna data di creazione.
Nessun numero.
Ripeté la ricerca.
Nessuna informazione, ancora.
File cancellati.
Abbassò di nuovo la testa, piegandola di lato.
Osservando la rotondità perfetta del proprio ombelico.
Il rumore improvviso lo fece sussultare.
Si girò di scatto verso la porta.
Sirene a 100 decibel, lungo il perimetro dell'edificio.
Il sistema d'allarme.
*
Tom tirò la bestemmia più lunga che conosceva.
Le cose erano andate più o meno in questo modo.
Una volta messo piede all'interno, gli allarmi erano scattati, ed era scattato anche Tom.
Aveva tentato disperatamente di girarsi e correre via ma era bastato tentare di uscire dall'edificio perchè dall'intelaiatura della porta venissero giù sbarre di ferro a chissà quale velocità. Ci aveva quasi rimesso il paio di scarpe da ginnastica buone.
Il biondo, preso dal panico, si era messo a correre a caso all'interno del palazzo, sperando che non proprio l'universo intero ce l'avesse con lui e che qualche divinità amichevole gli permettesse - se non di trovare qualcosa di utile - per lo meno di tornare a casa sulle sue gambe.
Se solo fosse riuscito a recuperare suo fratello e ad uscire da quel posto infernale, doveva ricordarsi di fare una capatina da David e prenderlo a sberle.
"Ti basta aprire la porta," Tom fece il verso all'uomo, mentre correva a perdifiato nei corridoio svoltando a destra o a sinistra a seconda dell'estro del momento. "Poi è fatta."
Sì, le palle. Ecco com'era fatta.
Entrare era stato discretamente facile. Era uscire il problema.
Aveva corso più di quanto avesse fatto in tutta la sua esistenza, con gli allarmi che allegramente gli risuonavano nelle orecchie e rumori vaghi e lontani che preannunciavano il suo arresto o la sua morte. Anzi, prevalentemente entrambe le cose insieme e in quest'ordine.
Tom non aveva il tempo di girovagare e, di conseguenza, di trafugare il quintale di documenti che avrebbe voluto. Non aveva idea di cosa cercare, di dove cercarlo e, soprattutto, di come fare tutto ciò che doveva fare con gli allarmi nelle orecchie e probabilmente tutto l'esercito alle calcagna. Si rese improvvisamente conto che non era stata una grande idea quella di preoccuparsi solo di come entrare.
E adesso? Adesso giù a correre per ogni dove in cerca di un'altra porta o di una schifosa finestra dalla quale sgattaiolare mentre tutte le fottutissime sirene di quel fottutissimo posto scattavano insieme nel loro bel concertino cacofonico. Tom si gettò di testa sulla prima rampa di scale che gli capitò sotto mano. "Così imparo a dare retta ai vecchi rincoglioniti che vivono nelle topaie!" Borbottò mentre scendeva gli scalini a tre a tre cercando di non rovinare a terra clamorosamente.
Dal momento che con lui c'era sempre stato Bill, era abituato a parlare.
E adesso che Bill non c'era, lo faceva lo stesso: un po' per farsi compagnia e un po' perché si scordava che il suo Bill non gli avrebbe risposto. Se fosse stato lì, certo gli avrebbe fatto notare che lui gliel'aveva detto che era un vecchio rincoglionito. E allora Tom avrebbe...
Svoltò nell'ennesimo corridoio. Era inutile parlare per condizionali. Se Bill fosse stato accanto a lui, niente di tutto ciò che stava passando sarebbe mai successo e quindi lui non avrebbe mai avuto bisogno di rivolgersi al vecchio rincoglionito. Al signor Jost.
Vicolo cieco.
"Merda!" Cercò in fretta una via di fuga.
Pensò che poteva anche tornare indietro e vedere di andare a destra invece che a sinistra, o viceversa... aveva perso il senso dell'orientamento.
Fece per muoversi ma poi li sentì, dei rumori meccanici sotto il suono delle sirene. Si fermò, rimanendo in ascolto. Erano ruote.
In un lampo ricordò che Gordon gli aveva parlato di come funzionavano le cose nei Palazzi della Corporazione: era tutto automatizzato, anche il servizio di sicurezza.
L'utilizzo di robot era più economico e decisamente più funzionale: mano d'opera continua, instancabile, senza necessità di assicurazione, cure mediche e paga. Errore umano zero.
Si guardò intorno ancora una volta, in cerca di una via di uscita qualsiasi ma le pareti del corridoio erano lisce, prive di porte o finestre. Vide un'ombra allungarsi all'entrata del corridoio, dalla parte in cui lui era entrato. Il cuore gli batteva così forte che avrebbe potuto esplodersi e probabilmente ridipingere di un bel rosso vivo quel corridoio asettico.
Poi qualcosa lo sollevò dal pavimento in un movimento unico, proprio nel momento in cui un robot su ruote faceva il suo ingresso nel corridoio, scansionando lo spazio con il suo occhio-telecamera.
Tom si ritrovò appeso al soffitto.
O meglio, non propriamente appeso, ma... trattenuto.
C'era un braccio intorno alla sua vita e una mano dalle dita molto lunghe quasi conficcate nel suo fianco esile. Cercò di voltarsi, ma ci riuscì soltanto a metà.
Non vedeva nient'altro che qualcosa.
Qualcosa non era, in effetti, una risposta sufficiente per il suo cervello affamato d'informazioni. Inoltre, di norma, quella di trovarsi a quattro metri dal pavimento e non sapere come ci fosse finito sarebbe stata una situazione preoccupante; ma, date le circostanze – ossia la certezza che se rovinava a terra poteva alternativamente spaccarsi un femore o essere arrestato – poteva considerare l’intera faccenda un cosa buona.
Sotto di lui, il robot completò la sua perlustrazione.
L'occhio-telecamera scansionò le pareti con una lentezza esasperante, passando al setaccio ogni centimetro di piastrelle come se lo scanner fosse stato settato sulle misure microscopiche di qualche insetto. Scrutò il pavimento ma non sollevò lo sguardo verso il soffitto, con grande gioia di Tom che stava tentando di battere il suo miglior record di Un due tre, stella!
Alla fine, il robot decise che aveva scandagliato tutto lo scandagliabile e che ovunque fosse l’intruso certo non si trovava in quell’angolo del palazzo. La telecamera si spense, quindi il robot fece marcia indietro e sparì. A quel punto, Tom si ritrovò ad avere un altro problema: il pavimento distava ancora parecchio dalle piante dei suoi piedi.
E lui non sapeva ancora chi lo trattenesse accanto alla lampada al neon sul soffitto.
“Ascolta, io non so chi sei o che cosa vuoi. Ti ringrazio per quello che hai fatto ma gradirei scendere, adesso. Ti dispiace?” Chiese. L’attimo dopo era in terra, in piedi. Senza un graffio.
Ci mise qualche secondo a rendersi conto di non essere più quasi disteso in orizzontale sul soffitto, bensì in verticale nel corridoio; e che tutte le sue care quattro ossicina erano al loro posto senza una scheggiatura. Poi però realizzò che alle sue spalle doveva esserci quel qualcuno che lo aveva tenuto appeso e, a giudicare dall'ombra che proiettava di fronte a lui, doveva essere alto almeno quanto lui.
Fu allora che il suo cervello, sconvolto dagli ultimi avvenimenti, tornò a funzionare a pieno regime e gli fece notare che nessun essere umano avrebbe mai potuto, per nessuna ragione al mondo (a meno che non si trattasse dell'uomo ragno), prendere un'altra persona, saltare in alto per quattro metri e rimanere appeso come niente fosse per dieci minuti.
"Hem..." Tom si voltò molto lentamente. "Oh. Cazzo."
Tom aveva già visto delle creature semi-robotiche, o del tutto robotiche.
Gli era già capitato più volte di vedere degli androdi anche da vicino, perchè lui e Gordon andavano spesso alle fiere in cui i non-umani erano esposti ma, quello che si ritrovò davanti, invero, non era esattamente ciò a cui era abituato.
Quello era indubbiamente un androide - per i motivi di cui sopra e perché, tutto sommato, Tom era certo che nonostante le ultime mutazioni, nessun essere umano poteva aver sviluppato cavi di metallo che si riavvolgevano all'interno del corpo come stavano facendo quelli della creatura di fronte a lui - ma era anche incredibilmente realistico.
Era alto poco più di lui e proporzionato come un essere umano.
Niente testa troppo grossa o arti troppo lunghi. Aveva il viso ovale, due occhi castani e brillanti e una bocca: era ben lontano da quei mostri monocolari che aveva visto all'ultima fiera, macchine create per servire nelle fabbriche o nei negozi, che non avevano assolutamente bisogno di una base estetica.
E questo invece? Questo aveva addirittura i capelli! Una specie di.... criniera nera tutt'intorno alla testa. Tom non ne sapeva niente di pettinature e trovava quella orrenda ma, diamine!, erano capelli. Nessun androide che avesse mai visto aveva dei capelli.
La cosa lo sconvolgeva.
E non sapeva nemmeno il perché.
"Tu sei un essere umano," esclamò l'androide.
Tom si era aspettato una voce metallica
Ecco, quella non era una voce metallica. Era un tono normale, lo stesso tono con cui Tom stesso avrebbe potuto esclamare "Hei, ma tu sei un androide!". E questo era ancora più assurdo dei capelli.
Quello era un androide che sembrava un dannato essere umano.
Il cervello di Tom, che si era spento di nuovo, tornò ad accendersi e gli fece notare quello che avrebbe già dovuto notare da qualche istante, ma evidentemente tendeva a dimenticarsi le cose: gli androidi facevano parte della sicurezza. La sicurezza si occupava dei ladri. Lui non lavorava lì dentro, pertanto l'androide-dio-mio-ma-sembra-umano lo aveva scambiato per un ladro, cosa che in effetti era a ben pensarci.
E lo avrebbe fatto fuori.
Tom era combattuto. Non sapeva se correre o urlare.
Quindi si risolse per fare tutte e due le cose e fuggì gridando, con buona pace della sua virilità.
Volume in drive M is D_PLM
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. 01-11-01 1:27p .
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01-11-01 1:46p latest
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L'audio era funzionante.
Il luogo era pervaso di suoni.
I suoni erano catalogati: Impulsi elettrici di medio livello.
Acqua corrente.
Respiro.
L'energia attraversò ogni circuito, tranne quattro.
Attese che il sistema caricasse le componenti rimanenti... 90%
File corrotto.
File corrotto.
File corrotto.... 100%
Gli occhi si aprirono.
Senza muoversi, analizzò le informazioni in suo possesso e ne dedusse che c'erano altre due macchine intorno a lui, disposte in maniera casuale. Disattivate.
Era una stanza quadrata, otto metri per quattro.
Soffitto bianco, muratura.
La sua antenna colse la rete wireless.
Corporazione, palazzo A.
Era seduto sul pavimento, le mattonelle seguivano lo schema 4XZ200.
Lavandini a 2,5 m da lui. Acqua corrente. Rubinetto aperto.
Si alzò in piedi. La rete non passava informazioni utili.
Obbiettivi... nessuno.
Il sistema di movimento era perfettamente funzionante. I movimenti fluidi.
Si spostò in linea retta. Lavandini a 1,0 m da lui.
Sopra i lavandini era posizionata una superficie 2m x 1m, liscia e riflettente. SiO2 + Al. Specchio.
I suoi occhi colsero il proprio riflesso. Non era mai successo prima di allora, la scheda centrale registrò ogni minimo dettaglio, salvandolo e archiviandolo.
Il sistema funzionava da archivio visuale: ogni immagine registrata dagli occhi era conservata per riferimenti futuri.
Ogni dettaglio poteva essere catalogato e recuperato in un qualsiasi momento.
Aveva un viso ovale, con gli zigomi alti.
Occhi, due. Colore: #3F2A19.
Capelli, 30 cm. Colore: #000000
Portò la mano verso lo specchio e tracciò con le lunghe dita il contorno del proprio volto sul riflesso, prima ancora che sul proprio corpo.
Ritrasse la mano per portarla verso di sé.
Continuò a fissare la sua immagine, osservando le dita che scorrevano lungo le guance.
La pelle sintetica era morbida. La pizzicò tra le dita.
Ed elastica.
Nello specchio vide le due unità che erano accasciate sul pavimento, alle sue spalle.
Due modelli K, come lui, ma senza il rivestimento esterno.
Lo scheletro di alluminio non era visibile sotto la muscolatura sostitutiva.
Erano spenti. Non funzionanti.
Si avvicinò lentamente ai due elementi e li osservò.
I loro numeri di registrazione erano: 481 e 482.
Lui aveva il rivestimento esterno. E anche degli abiti.
Sollevò la maglietta che indossava e scoprì il tatuaggio all'altezza del bacino.
K483.
Piegò la testa di lato, osservando la lettera e il numero.
Cercò informazioni nel suo database ma non ce n'erano.
Nessuna data di creazione.
Nessun numero.
Ripeté la ricerca.
Nessuna informazione, ancora.
File cancellati.
Abbassò di nuovo la testa, piegandola di lato.
Osservando la rotondità perfetta del proprio ombelico.
Il rumore improvviso lo fece sussultare.
Si girò di scatto verso la porta.
Sirene a 100 decibel, lungo il perimetro dell'edificio.
Il sistema d'allarme.
Tom tirò la bestemmia più lunga che conosceva.
Le cose erano andate più o meno in questo modo.
Una volta messo piede all'interno, gli allarmi erano scattati, ed era scattato anche Tom.
Aveva tentato disperatamente di girarsi e correre via ma era bastato tentare di uscire dall'edificio perchè dall'intelaiatura della porta venissero giù sbarre di ferro a chissà quale velocità. Ci aveva quasi rimesso il paio di scarpe da ginnastica buone.
Il biondo, preso dal panico, si era messo a correre a caso all'interno del palazzo, sperando che non proprio l'universo intero ce l'avesse con lui e che qualche divinità amichevole gli permettesse - se non di trovare qualcosa di utile - per lo meno di tornare a casa sulle sue gambe.
Se solo fosse riuscito a recuperare suo fratello e ad uscire da quel posto infernale, doveva ricordarsi di fare una capatina da David e prenderlo a sberle.
"Ti basta aprire la porta," Tom fece il verso all'uomo, mentre correva a perdifiato nei corridoio svoltando a destra o a sinistra a seconda dell'estro del momento. "Poi è fatta."
Sì, le palle. Ecco com'era fatta.
Entrare era stato discretamente facile. Era uscire il problema.
Aveva corso più di quanto avesse fatto in tutta la sua esistenza, con gli allarmi che allegramente gli risuonavano nelle orecchie e rumori vaghi e lontani che preannunciavano il suo arresto o la sua morte. Anzi, prevalentemente entrambe le cose insieme e in quest'ordine.
Tom non aveva il tempo di girovagare e, di conseguenza, di trafugare il quintale di documenti che avrebbe voluto. Non aveva idea di cosa cercare, di dove cercarlo e, soprattutto, di come fare tutto ciò che doveva fare con gli allarmi nelle orecchie e probabilmente tutto l'esercito alle calcagna. Si rese improvvisamente conto che non era stata una grande idea quella di preoccuparsi solo di come entrare.
E adesso? Adesso giù a correre per ogni dove in cerca di un'altra porta o di una schifosa finestra dalla quale sgattaiolare mentre tutte le fottutissime sirene di quel fottutissimo posto scattavano insieme nel loro bel concertino cacofonico. Tom si gettò di testa sulla prima rampa di scale che gli capitò sotto mano. "Così imparo a dare retta ai vecchi rincoglioniti che vivono nelle topaie!" Borbottò mentre scendeva gli scalini a tre a tre cercando di non rovinare a terra clamorosamente.
Dal momento che con lui c'era sempre stato Bill, era abituato a parlare.
E adesso che Bill non c'era, lo faceva lo stesso: un po' per farsi compagnia e un po' perché si scordava che il suo Bill non gli avrebbe risposto. Se fosse stato lì, certo gli avrebbe fatto notare che lui gliel'aveva detto che era un vecchio rincoglionito. E allora Tom avrebbe...
Svoltò nell'ennesimo corridoio. Era inutile parlare per condizionali. Se Bill fosse stato accanto a lui, niente di tutto ciò che stava passando sarebbe mai successo e quindi lui non avrebbe mai avuto bisogno di rivolgersi al vecchio rincoglionito. Al signor Jost.
Vicolo cieco.
"Merda!" Cercò in fretta una via di fuga.
Pensò che poteva anche tornare indietro e vedere di andare a destra invece che a sinistra, o viceversa... aveva perso il senso dell'orientamento.
Fece per muoversi ma poi li sentì, dei rumori meccanici sotto il suono delle sirene. Si fermò, rimanendo in ascolto. Erano ruote.
In un lampo ricordò che Gordon gli aveva parlato di come funzionavano le cose nei Palazzi della Corporazione: era tutto automatizzato, anche il servizio di sicurezza.
L'utilizzo di robot era più economico e decisamente più funzionale: mano d'opera continua, instancabile, senza necessità di assicurazione, cure mediche e paga. Errore umano zero.
Si guardò intorno ancora una volta, in cerca di una via di uscita qualsiasi ma le pareti del corridoio erano lisce, prive di porte o finestre. Vide un'ombra allungarsi all'entrata del corridoio, dalla parte in cui lui era entrato. Il cuore gli batteva così forte che avrebbe potuto esplodersi e probabilmente ridipingere di un bel rosso vivo quel corridoio asettico.
Poi qualcosa lo sollevò dal pavimento in un movimento unico, proprio nel momento in cui un robot su ruote faceva il suo ingresso nel corridoio, scansionando lo spazio con il suo occhio-telecamera.
Tom si ritrovò appeso al soffitto.
O meglio, non propriamente appeso, ma... trattenuto.
C'era un braccio intorno alla sua vita e una mano dalle dita molto lunghe quasi conficcate nel suo fianco esile. Cercò di voltarsi, ma ci riuscì soltanto a metà.
Non vedeva nient'altro che qualcosa.
Qualcosa non era, in effetti, una risposta sufficiente per il suo cervello affamato d'informazioni. Inoltre, di norma, quella di trovarsi a quattro metri dal pavimento e non sapere come ci fosse finito sarebbe stata una situazione preoccupante; ma, date le circostanze – ossia la certezza che se rovinava a terra poteva alternativamente spaccarsi un femore o essere arrestato – poteva considerare l’intera faccenda un cosa buona.
Sotto di lui, il robot completò la sua perlustrazione.
L'occhio-telecamera scansionò le pareti con una lentezza esasperante, passando al setaccio ogni centimetro di piastrelle come se lo scanner fosse stato settato sulle misure microscopiche di qualche insetto. Scrutò il pavimento ma non sollevò lo sguardo verso il soffitto, con grande gioia di Tom che stava tentando di battere il suo miglior record di Un due tre, stella!
Alla fine, il robot decise che aveva scandagliato tutto lo scandagliabile e che ovunque fosse l’intruso certo non si trovava in quell’angolo del palazzo. La telecamera si spense, quindi il robot fece marcia indietro e sparì. A quel punto, Tom si ritrovò ad avere un altro problema: il pavimento distava ancora parecchio dalle piante dei suoi piedi.
E lui non sapeva ancora chi lo trattenesse accanto alla lampada al neon sul soffitto.
“Ascolta, io non so chi sei o che cosa vuoi. Ti ringrazio per quello che hai fatto ma gradirei scendere, adesso. Ti dispiace?” Chiese. L’attimo dopo era in terra, in piedi. Senza un graffio.
Ci mise qualche secondo a rendersi conto di non essere più quasi disteso in orizzontale sul soffitto, bensì in verticale nel corridoio; e che tutte le sue care quattro ossicina erano al loro posto senza una scheggiatura. Poi però realizzò che alle sue spalle doveva esserci quel qualcuno che lo aveva tenuto appeso e, a giudicare dall'ombra che proiettava di fronte a lui, doveva essere alto almeno quanto lui.
Fu allora che il suo cervello, sconvolto dagli ultimi avvenimenti, tornò a funzionare a pieno regime e gli fece notare che nessun essere umano avrebbe mai potuto, per nessuna ragione al mondo (a meno che non si trattasse dell'uomo ragno), prendere un'altra persona, saltare in alto per quattro metri e rimanere appeso come niente fosse per dieci minuti.
"Hem..." Tom si voltò molto lentamente. "Oh. Cazzo."
Tom aveva già visto delle creature semi-robotiche, o del tutto robotiche.
Gli era già capitato più volte di vedere degli androdi anche da vicino, perchè lui e Gordon andavano spesso alle fiere in cui i non-umani erano esposti ma, quello che si ritrovò davanti, invero, non era esattamente ciò a cui era abituato.
Quello era indubbiamente un androide - per i motivi di cui sopra e perché, tutto sommato, Tom era certo che nonostante le ultime mutazioni, nessun essere umano poteva aver sviluppato cavi di metallo che si riavvolgevano all'interno del corpo come stavano facendo quelli della creatura di fronte a lui - ma era anche incredibilmente realistico.
Era alto poco più di lui e proporzionato come un essere umano.
Niente testa troppo grossa o arti troppo lunghi. Aveva il viso ovale, due occhi castani e brillanti e una bocca: era ben lontano da quei mostri monocolari che aveva visto all'ultima fiera, macchine create per servire nelle fabbriche o nei negozi, che non avevano assolutamente bisogno di una base estetica.
E questo invece? Questo aveva addirittura i capelli! Una specie di.... criniera nera tutt'intorno alla testa. Tom non ne sapeva niente di pettinature e trovava quella orrenda ma, diamine!, erano capelli. Nessun androide che avesse mai visto aveva dei capelli.
La cosa lo sconvolgeva.
E non sapeva nemmeno il perché.
"Tu sei un essere umano," esclamò l'androide.
Tom si era aspettato una voce metallica
Ecco, quella non era una voce metallica. Era un tono normale, lo stesso tono con cui Tom stesso avrebbe potuto esclamare "Hei, ma tu sei un androide!". E questo era ancora più assurdo dei capelli.
Quello era un androide che sembrava un dannato essere umano.
Il cervello di Tom, che si era spento di nuovo, tornò ad accendersi e gli fece notare quello che avrebbe già dovuto notare da qualche istante, ma evidentemente tendeva a dimenticarsi le cose: gli androidi facevano parte della sicurezza. La sicurezza si occupava dei ladri. Lui non lavorava lì dentro, pertanto l'androide-dio-mio-ma-sembra-umano lo aveva scambiato per un ladro, cosa che in effetti era a ben pensarci.
E lo avrebbe fatto fuori.
Tom era combattuto. Non sapeva se correre o urlare.
Quindi si risolse per fare tutte e due le cose e fuggì gridando, con buona pace della sua virilità.