GUESS WHO'S COMING TO DINNER
Generalmente David era un uomo sensato.
Uno di quelli che ragionavano secondo la logica e che non si facevano prendere mai - ma proprio mai - dal panico. David era quel tipo di persona che di fronte ad una catastrofe di proporzioni oggettivamente epiche non batteva ciglio. La catastrofe si abbatteva, lui la inquadrava, la razionalizzava, e quindi se ne liberava con uno schiocco di dita.
O una telefonata al suo avvocato.
Qualche mese prima, a due ore dal concerto, Bill aveva perso il suo portafortuna - uno stupido pupazzetto in gomma tirato giù da quelle infernali macchinette a pallina, che aveva assunto un significato particolare solo perchè l'euro che lo aveva liberato dalla sua gabbia di plastica apparteneva a Tom - e si era rifiutato di cantare.
Ora, David sapeva che non potevano fare il concerto senza un cantante, per quanto stonato e poco dotato fosse. Sapeva che c'erano centinaia di ragazzine isteriche là fuori che, Dio solo sapeva perché, volevano vedere Bill saltellare disarmonico da una parte all'altra. E sapeva anche, che la buonanima surfista di suo padre lo aiutasse, che Bill senza il suo maledetto portafortuna diventava isterico. E Bill isterico equivaleva alla possibilità di essere arrestati per omicidio.
Dunque, perfettamente consapevole delle possibili conseguenze, aveva preso in mano la situazione. Da un Bill che piangeva come una prefica era riuscito a farsi dire dove il portafortuna - che essendo un piccolo orso, era stato chiamato Orsetto con uno slancio di fantasia molto esiguo, considerando che Bill scriveva canzoni - era stato visto l'ultima volta. Quindi, saputo che Orsetto era stato avvistato sul tavolo del tourbus, aveva letteralmente costretto tutti a cercarlo, organizzando squadre di ricerca degne dell'esercito.
Il tourbus era stato diviso in zone quadrate, di un metro per un metro, e ognuno aveva ricevuto l'ordine tassativo di frugare anche tra le maglie del tessuto che rivestiva i divani se era necessario. David, in piedi sul tavolo, aveva tuonato ordini invitando tutti a fare del loro meglio. A dieci minuti dall'inizio del concerto era poi saltato fuori che il pupazzetto Bill ce l'aveva in tasca, ma ciò non toglieva che David avesse affrontato la cosa con metodo e razionalità. Tutti gli altri avevano poi cercato di ammazzargli il cantante, ma questi erano dettagli...
In ogni caso, sulla serenità mentale di David ci potevi sempre contare. Sempre, a parte quando il padre del ragazzino diciassettenne con il quale aveva una relazione decideva che era giunto il momento di conoscere (e forse disintegrare a mani nude) l'uomo che si portava a letto suo figlio.
In quel preciso momento, David era isterico. E l'isteria di un uomo che generalmente non è mai isterico raggiunge livelli paranormali. Bill privo del suo Orsetto, in confronto, sarebbe apparso come una persona perfettamente controllata. Il manager si era svegliato alle cinque del mattino in modalità casalinga disperata e aveva pulito la casa da cima a fondo, arrivando perfino a raschiare tra le mattonelle con uno spazzolino. Quindi era uscito a fare la spesa ed aveva passato quasi tre ore al supermercato cercando di decidere cosa preparare da mangiare.
Lui era vegetariano ma Tom non lo era e, con ogni probabilità, non lo era neanche suo padre. Anzi, David ne era praticamente certo: nessun camionista era vegetariano. Era un controsenso. Era come dire: un gay che non sapeva vestirsi. Pura fantascienza. Beh c'era pur sempre Bill che generalmente entrava di testa nell'armadio e ne usciva con addosso cose a casaccio, adornandole poi con chincaglieria random. Lui era un raro caso di gay privo di stile. David si era perfino fermato - in mezzo al corridoio degli assorbenti, per altro - a pensare a questa cosa. Poi però gli era venuto in mente che Bill non era proprio gay, era ben oltre la gaytudine. Bill era una donna, infilata nel corpo - neanche troppo maschile - di un uomo. E c'erano donne che si vestivano malissimo. I gay no, ma le donne sì.
Questo aveva risolto il dilemma.
Però restava quello della cena. David non sapeva cucinare la carne o, meglio, sapeva farlo ma la sola idea lo disgustava perchè carne significava dover maneggiare pezzi crudi di animali morti e questo, prima ancora che andare contro il suo senso morale, perchè gli animali non andavano sfruttati e uccisi, e i polli da batteria, e le mucche sfiancate dalla mungitura e le capre transgeniche con sei gambe etc.. etc.., prima ancora di tutto ciò, la carne cruda andava contro il suo senso estetico che era molto più forte e schizzinoso del suo senso morale per le ingiustizie animali.
Sospirò. Avrebbe dovuto piegarsi alla necessità di nutrire il padre di Tom con del cibo che gli aggradasse, prima che quell'uomo si mangiasse la sua testa, staccandogliela di netto con un morso. Dunque aveva comprato del macinato e dello spezzatino - che non sembrava più animali di nessun tipo - e un po' di pesce a caso, basandosi su quale delle confezioni sembrasse più carina.
Quindi, per tirarsi su di morale, aveva fatto un giro nel fornitissimo reparto vegetariano, regalandosi qualche leccornia di soia, e un quintale di quinoia alla quale Tom avrebbe sicuramente lanciato un'occhiata tanto disgustata da far pensare che si trattasse di una montagnola di letame piuttosto che di una pianta.
David sospirò. Tom non ne voleva sapere di mangiare qualcosa che non fosse drammaticamente unto e portatore di un quantitativo di colesterolo bastevole ad abbattere un piccolo elefante. Si era chiesto più volte quale buona stella proteggesse il ragazzino da una vita di obesità e infarto. Quando lo prendeva in giro per le schifezze che mangiava, Tom rispondeva sempre che il cibo non gli avrebbe mai dato problemi finché continuava a scopare con quei ritmi.
I problemi, semmai, li avrebbe avuti David che con quei ritmi l'infarto lo rischiava anche senza il colesterolo.
Ad ogni modo, quando uscì dal supermercato - in ritardo di due ore sulla sua strettissima, sfiancante tabella di marcia fuori di testa - David aveva con sè troppa carne per un uomo solo (anche se camionista), tanta soia da sfamare i bambini dell'Africa, non della verdura ma un'intero giardino botanico, e quattro preparati differenti per torte che avrebbe utilizzato tutti, dal momento che non sapeva se al padre di Tom piacesse di più la cioccolata, la crema, la frutta o fosse un tipo da yogurt.
Il pomeriggi lo aveva passato cucinando e spaventandosi da solo all'idea di cosa sarebbe successo quella sera. Jorg Kaulitz sarebbe entrato da quella porta, lo avrebbe preso per il collo e infine sbattuto ripetutamente contro un muro finchè la sua testa non sarebbe esplosa in mille pezzi, macchiando il suo bel divano comprato da Muji neanche una settimana prima. Insieme a Tom, per altro, che era il nemico naturale del Muji.
Tom gli aveva detto e ripetuto che suo padre era un uomo tranquillo, che non aveva mai picchiato nessuno ma David sapeva che un uomo non è più tanto tranquillo quando scopre che il suo unico figlio maschio (David era profondamente convinto che all'idea di un Bill maschile, Jorg avesse rinunciato quando i gemelli avevano la tenera età di 3 anni) va a letto con un altro uomo e che questo uomo, per inciso, ha 17 anni più di lui. David sapeva che quella cena non era altro che il preludio a tanto sangue e, probabilmente, un ricovero in ospedale. Forse la morte.
La bella idea l'aveva avuta Tom, un giorno che erano entrambi distesi sul letto matrimoniale di casa Jost, comodamente drappeggiati uno sull'altro, con David che gli passava amorevolmente le mani tra i dread biondi. Tom aveva alzato il testone e aveva esclamato serafico: "Forse dovresti conoscere mio padre."
A David era partita una valvola mitralica, anzi due. Si era scostato da quel faccino bianco e rosso che fino a qualche minuto prima aveva avuto una delle più belle espressioni che avesse mai visto - perchè era stato lui a generarla - e lo aveva guardato con un enorme punto interrogativo sulla testa spettinata. "Come prego?"
Tom aveva annuito, che Dio lo perdonasse. "Bill dice che sarebbe ora, dal momento che-"
"Aspetta," David lo aveva fermato, sollevando perfino un ditino ben curato. "Bill dice?"
Tom aveva scosso il testone di nuovo avanti e indietro, spargendo amorevolmente dreads da tutte le parti. David aveva sospirato. "Tom, Bill è una vipera. Mira alla mia rovina," gli aveva fatto notare.
"Ma non è vero. Ormai la gelosia gli è passata."
Se si poteva considerare sorpassata gelosia un ragazzino che mentre ti fai largo tra la folla di un supermercato ti grida dietro: "Attenzione gente! Fate largo al pedofilo! Tenete stretti i ragazzi di 17 anni."
"Tom, non gli è passata proprio per niente. Tuo fratello mi vuole morto."
"Solo quando sto via per il week-end," aveva precisato Tom. "E comunque credo che abbia ragione. Anche mamma la pensa allo stesso modo."
"Anche tua madre mi vuole morto," si era lamentato David. Poi però aveva sospirato, rendendosi conto che sarebbe stato infantile battere i piedi. Lui e Jorg erano due esseri umani e avrebbero parlato da persone civili. David gli avrebbe detto che con Tom era una cosa seria, che gli voleva bene insomma. E allora perchè nessuno riusciva a togliergli dalla testa che Simone e Bill, le due donne della vita di Tom, si fossero coalizzati e gli avessero mandato contro la loro personalissima arma di distruzione di massa?
Quando Simone era venuta a saperlo - grazie a Bill che non teneva mai la bocca chiusa (con grande gioia di Bushido, gli avrebbe detto Tom per prenderlo in giro) - aveva dato di matto, lo aveva picchiato con rabbia seppur blandamente, quindi si era accorta che da un uomo alto un metro e settanta con due occhioni rotondi e azzurri come i suoi non poteva venire una grande minaccia e si era calmata. Aveva fatto un enorme sospiro rassegnato e aveva passato tre giorni mormorando "La mia unica possibilità di avere nipotini..." suscitando l'ira funesta di Bill che aveva cominciato a strillare che in quella famiglia c'era anche lui, che era un MASCHIO, e che poteva ben trovarsi una donna per sfornarle dei piccoli Kaulitz. La scena era stata assurdamente epica e avrebbe impressionato tutti se poi, a metà del suo discorso su come avrebbe procreato riempiendo il mondo di neonati, il suo telefono non si fosse messo a squillare e non avesse risposto con un cinguettante: "Anis! Amore! Mi manchi, dove sei?"
Alché sua madre aveva ripreso a cantilenare: "La mia unica possibilità di avere nipotini..." aggirandosi per la casa come un'automa mentre, alle sue spalle, Bill parlava con Bushido di farsi venire a prendere.
Gordon era stato un osso molto meno duro, comunque. Gordon era un uomo pacifico e - per la cronaca - aveva praticamente la sua età. Avrebbe potuto essere il suo compagno di banco al liceo. Non aveva il carisma, nè l'autorità per guardarlo dritto negli occhi e dirgli: "Hey tu, butta giù le mani dal mio figlio adottivo o ti spezzo tutte le dita una per una e poi te le ficco lì dove non batte il sole, e farò in modo che NON ti piaccia."
La scena si era svolta con grande tranquillità. Spinto dalla moglie, Gordon si era presentato a casa sua, vagamente in imbarazzo. "Salve," aveva detto. Alchè ne era seguito un silenzio imbarazzato finchè non aveva aggiunto, "Mi manda Simone", come a giustificarsi.
David aveva provato per lui la stessa pietà che provava per se stesso e quindi lo aveva invitato ad entrare. Avevano finito per bersi una birra di fronte alla televisione, con questo assurdo dialogo.
"Insomma tu e Tom..."
"Già."
"Avrei detto Bill."
"Bill sta con Bushido."
"Quell'uomo mi fa una pena."
"Anche a me."
E lì la cosa era finita. In definitiva, l'osso più duro fino a quel momento era stato proprio Bill che non era fisicamente pericoloso, ma aveva una tenacia mica da ridere e anche adesso - dopo mesi di relazione - continuava amorevolmente a sfrangiare le gonadi.
Solo che se Simone era una donna ragionevole, Gordon un uomo mite e Bill, fondamentalmente, solo una checca isterica, Jorg era tutto un altro paio di maniche.
Jorg era un camionista.
E mentre fissava lo spezzatino cuocersi nel forno e riversare quintali di grasso animale sulle patate, David si chiese se continuasse a ripeterselo perchè i camionisti gli facevano paura o per quel suo feticismo latente per quei nerboruti camionisti che ogni tanto comparivano su Pride. E questo era senza ombra di dubbio il pensiero più gay che avesse mai fatto. Doveva nascondere i numeri del giornale, prima che li trovasse Tom e lo pretendesse vestito da carpentiere. Rabbrividì.
Ad ogni modo, qualunque cosa si aspettasse dal fisico di Jorg, ne rimase profondamente deluso. Quando aprì la porta, con un livello di agitazione curabile solo col Diazepam, si ritrovò davanti un uomo ben vestito, con la faccia dura e squadrata e un principio di barba ma niente che lo facesse assomigliare ad un bifolco trasportatore di Loitsche. Anzi.
Ad avercene di camionisti così eleganti...
David!
"Ehm, Salve!" Esordì, un po' troppo querulo in effetti. E il grembiule con su scritto Queer at work non migliorava la sua situazione. L'uomo lo squadrò da capo a piedi con un viso indecifrabile. David vide Tom ridere e giurò che se rimaneva vivo gliel'avrebbe fatta pagare. Si tolse in fretta il grembiule e lo gettò a caso alle sue spalle, il più velocemente possibile, con disinvoltura. "Prego, faccia come se fosse a casa sua."
L'uomo entrò seguito dal figlio che era qualche centimetro più alto di lui e molti centimetri più alto di David. Tom gli sfiorò casualmente una mano che David si infilò terrorizzato in tasca un attimo prima che Jorg si voltasse. "Ci abita da solo, qui?" Chiese, notando che la casa era esageratamente enorme.
"Sì, anche se non capita spesso," rispose David.
"Nel senso che si porta gente a a casa?"
"NO!" Sbraitò l'uomo. "No. Nel senso che non ci sono mai. Sono... siamo sempre in tour."
Jorg annuì e dedicò al salotto un'altra di quelle occhiate indecifrabili. "Papà, vieni a vedere la palestra, è una cosa pazzesca," esordì Tom, già diretto verso la stanza. Era incredibilmente a suo agio nell'appartamento. Il fatto che stesse facendo gli onori di casa rendeva David improvvisamente molto nervoso. Li seguì, vagamente in ansia.
Jorg analizzò tutto quanto con attenzione. "Una macchina per fare i pesi," disse compiaciuto. "Quanto riesce a tirare su?"
"Ehm... " David aprì e chiuse la bocca un paio di volte. "Io faccio yoga, per lo più."
"Yoga."
"Ehm sì."
"Ed è snodatissimo, papà. Dovresti vederlo!" Esclamò Tom. David non capì se era diventato improvvisamente scemo o se voleva fare lo stronzo. Jorg lo stava guardando così intensamente da trapassarlo.
"Ehm, APERITIVO?" Gracchiò, indicando la sala da pranzo.
Di fronte ad un bicchiere di prosecco e adorabili tartine, David pensò che non ne sarebbe uscito vivo. "Quindi è qui che porta mio figlio," iniziò Jorg.
"Se lo dice così sembra che ce lo trascini per i capelli," ridacchiò nervoso David. Ma Jorg non rideva. "Ma ovviamente non è affatto divertente." Colpo di tosse. "Io.. ehm.. Capita a volte che passi qui il fine settimana."
David piantò gli occhi in terra e sperò intensamente di avere una vanga con la quale scavare molto a fondo. Quella serata non cominciava affatto bene e sarebbe finita peggio. E lui sarebbe morto. Forse doveva mandare un telegramma a sua madre.
"Cosa c'è per cena?" Chiese Tom, abbarbicato scompostamente su una poltrona, con le scarpe da ginnastica sul costoso rivestimento di pelle, come al solito. Con suo grande disappunto, David gli aveva servito della coca cola e aveva zittito il suo Ma David! Di solito beviamo litri di- con un affettuoso quanto enorme crostino in gola.
"Dunque, abbiamo delle crepes francesi alla ricotta e spinaci, spezzatino di manzo con patate e degli hamburge per te," rispose, con un'occhiata al suo biondino.
Tom si trasformò istantaneamente nella sua adorabile versione dodicenne, con gli occhi a stellina. "Hambruger veri?"
David rise. "Sì veri."
"Carne? Lei non era vegetariano?"
"Sì, ma pensavo che a lei avrebbe fatto piacere mangiarla."
"E lei abbandona così le sue convinzioni morali?" Jorg sollevò un sopracciglio, più o meno come lo sollevava Bill, notò David; con quel modo di fare supponente.
"No, ma mi piace mettere i miei ospiti a proprio agio," rispose il manager che aveva sì terrore dei camionisti, ma che alle sue convinzioni morali era molto legato. E tutto gli potevi toccare, tranne quelle.
Jorg lo fissò molto intesamente ma non disse assolutamente niente. David a quel punto li scortò tutti in cucina. Tom non mancò di tirargli una pacca sul sedere alla quale il manager replicò con un muto COSA DIAVOLO FAI? E quindi si voltò a sorridere amabile - troppo amabile - verso il padre di Tom, invitandolo a sedersi.
Durante il primo, rimasero tutti in silenzio.
Durante il secondo, Tom urlò estatico che c'erano gli hamburger veri! E ricoprì di ketchup e maionese la carne di manzo controllato tedesco certificato, che più sana di così proprio non saprei dove trovargliela signor Jost, aveva detto il macellaio del supermercato. Jorg era rimasto in silenzio, ma tra un pezzo di spezzatino e l'altro - mentre David si mangiava la sua amata insalata - tirò fuori un: "Da quanto va a letto con mio figlio?"
Volarono pezzi di carota e un intero hamburger ricoperto di maionese. Cibo sulle cheerleaders.
"C-come prego?"
Jorg mise in bocca un pezzo di spezzatino dopo averlo tagliato con una cura da lord inglese che proprio non si addiceva al suo essere un camionista - David doveva rivedere i propri stereotipi. "Da quanto mi dice Bill, lei e Tom state insieme da mesi. Alchè, conoscendo mio figlio, suppongo che abbiate rapporti sessuali."
Ma che domande erano?
"S-sì."
"Da quanto?"
"Da sempre?" Esclamò David, senza pensarci. Tom rise. Jorg lo guardò fisso. "Io e Tom abbiamo... cioè non..."
"Gli sono saltato addosso io il primo giorno," sopperì Tom, dopo aver recuperato l'hamburger. "Se aspettavo lui ci svernavo in quel gabinetto."
"Lei crede, signor Jost, che la vostra relazione sia appropriata dal momento che mio figlio ha solo diciassette anni mentre lei ne ha quanti? Trentasette?"
"Trentasei," replicò stizzito David, stringendo le dita intorno alle posate fino a piegarle. Mai sbagliare l'età di una signora. "Comunque, mi rendo conto che la differenza di età possa preoccuparla, ma io voglio molto bene a suo figlio."
"Questo non è indicativo."
"No, mi rendo conto," annuì David. "Ma non ho preso questa cosa alla leggera, ecco."
"Per un uomo che non tira su i pesi, le conviene," Jorg tornò a dedicarsi al suo spezzatino, con aria misteriosa e mistica. E David sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
Il resto della cena si svolse in un tripudio di silenzi e di domande imbarazzanti. Jorg volle sapere se Tom veniva trattato bene, se David usava delle precauzioni e se l'ego di suo figlio veniva saltuariamente ricompensato. Il tutto in un allegro susseguirsi di momenti tremendamente umilianti per David che tutto voleva - perfino prostrarsi ai piedi di quell'uomo e farsi ammazzare - piuttosto che raccontargli modi, tempi e dettagli delle sue prestazioni sessuali, quando poi - per inciso - l'uomo sollevava sempre quel fottutissimo sopracciglio supponente, così che sembrava quasi di avere Bill davanti, ma meno truccato. E più camionista.
Quando per Jorg arrivò l'ora di andarsene, David tirò un profondo sospiro di sollievo, il più gioioso della sua esistenza. Uno che, forse, non riuscì neanche bene a nascondere; mentre accompagnava l'uomo alla porta, Tom decise che a quel punto poteva svicolare dal suo obbligo di presenza e rintanarsi nello studio di David, nel quale aveva fatto installare un paio di consolle. Gli orridi strumenti del demonio, che David aveva sempre tenuto lontani dalla sua persona, erano stati comprati dal manager in persona per distrarre Tom quando era troppo stanco. Il che faceva della sua casa, l'antro-standard di un pedofilo: appartamento isolato, dolciumi, e una stanza piena di videogiochi. Ma a questi dettagli vagamente passabili per legge non voleva affatto pensare. Li scacciò virtualmente con la mano.
"Dunque, signor Kaulitz, è stato un piacere conoscerla," disse accompagnandolo alla porta.
"Anche per me," rispose l'uomo, con la stessa voce severa che aveva usato tutta la sera.
"Spero che parlarmi possa averla tranquillizzata."
"Assolutamente no," rispose di nuovo Jorg, senza però cambiare espressione. La spina dorsale di David fu attraversata da un brivido freddo e da inquietanti echi di azioni legali. "Sapere che mio figlio la frequenta mi turba più di quanto io dia a vedere," poi però gli dedicò un sorriso gelido, simile a quello di uno squalo, "ma so che la mia ex moglie la tiene d'occhio e non esiterebbe a spaccarle le gambe se dovesse fare qualcosa che non gradirei. Inoltre, Bill sa come proteggere suo fratello, e mi fido molto del suo giudizio. Se lui dirà che lei va bene per Tom, allora andrà bene anche a me. Altrimenti, prenderò provvedimenti. Arrivederci, signor Jost."
David lo seguì con lo sguardo mentre infilava nell'ascensore e usciva. Improvviisamente, l'idea di venir preso a cinghiate nei denti da Jorg Kaulitz appariva un destino più roseo di quello che gli si prospettava davanti: essere tenuto sotto controllo da Bill, ed essere soggetto al suo giudizio.
Mezz'ora dopo, quando ebbe finito di sterminare qualcosa come un milione di zombie, Tom uscì dallo studio e lo trovò ancora in piedi accanto alla porta che fissava il pianerottolo sgombro.
"David?" Lo chiamò. "Cos'è un ictus?"
"No, è terrore," gli rispose l'uomo, senza muoversi.
Tom lo raggiunse, chiuse delicatamente la porta e quindi lo condusse verso la camera, facendo molta attenzione a non farlo sbattere contro gli angoli. "Dada, forse dovresti riprenderti. Mi sembra un po' presto per farti da badante."
"Tuo fratello..."
"No, guarda, non ci contare," Tom scosse la testa mentre raggiungevano la camera da letto. "Bill non ti farà mai da badante, nemmeno se lo paghi in abiti di Prada."
"No, sciocco, parlavo di tuo padre," commentò David, tornando a guardarlo mentre si faceva spingere sul letto senza protestare. "Mi ha detto che si servirà di tuo fratello per giudicarmi. Sono finito. Mi farà arrestare."
Tom non sembrava per niente sconvolto. Anzi, lo guardava sorridendo. Finì di stenderlo sul materasso, quindi salì su di lui con disinvoltura e si accoccolò sul suo petto, inspiegabilmente tenero. "Non dovresti preoccuparti così."
Per abitudine, David prese a passargli le dita tra i dreads, per poi scendere a disegnargli con l'indice il contorno del viso. "Non capisci? Se tuo padre si affida ai giudizi di tuo fratello, si farà un'idea tremenda di me."
Tom gli strusciò il musino contro una guancia. "Hmm..." Sembrava poco interessato.
David sospirò e cercò di guardarlo negli occhi. "Dico sul serio, Tom," mormorò, facendogli sollevare il viso. Il biondo lo baciò velocemente sulle labbra.
"Io dico che ti preoccupi troppo," fece le fusa il ragazzino che, di fronte al resto del mondo era un gran duro, e tra le braccia di David era una pallina di tenerezza.
"L'ultima volta che Bill ha parlato di me a qualcuno ha detto che sono un vecchio tardone che crede di avere ancora quindici anni e se la fa con i ragazzini perché non riesce a trovare nessun altro," gli ricordò.
Tom sorrise e lo baciò di nuovo. "Scommetto che Bill sarebbe tremendamente orgoglioso di saper che ti ricordi ogni singola parola che gli esce di bocca. E' il suo sogno proibito."
David non rispose, si limitò a sospirare un po' affranto, guardando il soffitto mentre continuava ad accarezzare distrattamente il corpo di Tom su di lui.
Tom ridacchiò ancora. "Sai, mio padre si può anche affidare ciecamente ai giudizi di Bill," disse piano, appoggiando le labbra alle sue e costringendolo a guardarlo. "Ma c'è una cosa che non sa."
"Che cosa?"
Tom sorrise. "Bill non direbbe mai niente che io non voglia."
Davi ricambiò il sorriso.