Personaggi: Tom, David Jost
Genere: Commedia, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: R
Note: Questa toast è stata scritta in un giorno. Per il solo fatto che è una tost, e per il tempo che c'ho messo è da considerarsi un miracolo. Per tutto il resto è, ovviamente, un'emerita bischerata. Il titolo della fanfiction viene da un film di Pedro Almodovar (che ovviamente ha degli accenti di cui io mi infischierò bellamente) che non ho visto; bene. Il titolo però mi è sempre piaciuto. Se l'ho scelto è perchè aveva qualcosa a che fare con gli ospedali. Ok, non chiedete, prendetela come viene.
Mrs. Marlene è un mio personaggio. E' il cane di David nel mio universo Toast. Esiste un'altra shot che - se il cielo ci assiste - prima o poi finirò e dovrebbe collocarsi prima di questa (e che alcune di voi già hanno letto per metà), in cui la sua presenza è un po' più marcata.
Cos'altro? Nell'idea originale il Billshido non era previsto, ma ora c'è...
Riassunto: Tom aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
"L'hanno portata in ospedale," disse alla fine il manager.
Genere: Commedia, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: R
Note: Questa toast è stata scritta in un giorno. Per il solo fatto che è una tost, e per il tempo che c'ho messo è da considerarsi un miracolo. Per tutto il resto è, ovviamente, un'emerita bischerata. Il titolo della fanfiction viene da un film di Pedro Almodovar (che ovviamente ha degli accenti di cui io mi infischierò bellamente) che non ho visto; bene. Il titolo però mi è sempre piaciuto. Se l'ho scelto è perchè aveva qualcosa a che fare con gli ospedali. Ok, non chiedete, prendetela come viene.
Mrs. Marlene è un mio personaggio. E' il cane di David nel mio universo Toast. Esiste un'altra shot che - se il cielo ci assiste - prima o poi finirò e dovrebbe collocarsi prima di questa (e che alcune di voi già hanno letto per metà), in cui la sua presenza è un po' più marcata.
Cos'altro? Nell'idea originale il Billshido non era previsto, ma ora c'è...
Riassunto: Tom aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
"L'hanno portata in ospedale," disse alla fine il manager.
David era piuttosto nervoso.
E quando David era nervoso, il mondo intero lo era, perchè quando sei un manager zen, calmo fino a rasentare la stupidità umana, allora se ti fai prendere dall'ansia, vuol dire che è successo qualcosa di veramente grave.
David si aggirava per lo studio di registrazione come un'anima in pena da quella mattina. Il suo era tutto un vagolare di stanza in stanza, spostando oggetti che non avevano alcun bisogno di essere spostati e un trafficare, un chiedere, un informarsi senza ragione. Tom era un ragazzo essenzialmente paziente, essendo cresciuto per diciannove anni con quellla piaga fatta e finita di suo fratello, ma aveva un limite; e quel limite lo aveva raggiunto quando David era entrato nella sua stanza, aveva fatto il giro due volte, si era seduto, si era rialzato, il tutto mentre lui tentava disperatamente di infilare tre note giuste una dietro l'altra sulla chitarra.
"D'accordo, David," sbuffò alla fine. "Che cosa diavolo hai stamattina?"
"Niente," replicò l'uomo, torturandosi le mani.
Tom poggiò la chitarra a terra e sospirò, quindi gli si accosciò davanti con fare accondiscendente, gli appoggiò le mani sulle cosce e tentò di farsi guardare negli occhi. Dopo mesi di relazione più o meno stabile, Tom sapeva che David potevi rigirartelo come un calzino per dritto e per rovescio ma, ogni tanto - diciamo una volta ogni qualche mese - David sceglieva una paranoia random - e decideva che era giusto deprimersi per essa. In que casi, Tom doveva mettersi lì, decifrare l'intricato nodo di neuroni che aveva bloccato le tangenziali del suo cervello e quindi risolvere l'esodo vacanziero delle sue sinapsi con un intervento mirato. Dal momento che l'uomo continuava a starsene seduto sul letto a contorcersi le mani perso nel delirio schizoide della sua mente, Tom decise che poteva anche rinunciare a tutti gli impegni che aveva in agenda quella mattina: suonare, mangiare, dormire, fingere di suonare un altro po' dopo pranzo, evitare abilmente suo fratello che voleva andare al cinema e infine scopare con David se era posssibile. Ora l'ultima opzione sembrava irrealizzabile e tutte le altre erano appena state cancellate dalla necessità di tirare fuori quell'uomo dal pozzo senza fondo del suo cervello. Un ottimo modo per passare un giorno di pausa.
"Va bene, cominciamo," espirò, sedendosi a gambe incrociate per terra.
"Cominciamo cosa?" Chiese David, un po' perplesso.
"A cavarti fuori di bocca il motivo," spiegò sbrigativamente il rasta, mettendosi comodo. "E' per qualcosa che ho detto o che ho fatto? Hai avuto forse l'assurda impressione - dopo otto fottuti mesi che scopiamo, ma vabbè, con te non si può mai sapere - che io in qualche modo, o per qualche motivo che può sembrare razionale soltanto a te, possa aver pensato che mi sento costretto-barra-forzato-barra-obbligato a stare con te?"
Visto il cipiglio del ragazzino, David lo guardò un po' stranito. "N-no?"
"Allora ti sei forse svegliato stamattiina con l'assurda paranoia di aver fatto o detto qualcosa che possa avermi sconvolto nell'intimo, nel qual caso mi sento di darti immediatamente una risposta preventiva e rassiccurarti che niente che ti sia mai uscito di bocca può avermi sconvolto più di ciò che entra in quella di mio fratello?"
"N-no?" Rispose ancora David, sempre più sconvolto.
Tom annuì, con aria pensierosa. "Per lo meno abbiamo eliminato le due motivazioni più quotate. Paradossalmente le cose si fanno più semplici," ragionò. "Di solito ti preoccupi per le cazzate, se non si tratta nemmeno di quelle significa che devi essere qui per un motivo veramente stupido."
"Grazie per l'immenso rispetto con il quale ti rivolgi alla mia persona, Tom."
"Prego, figurati," commentò il biondo, perso nel suo ragionamento. "Vediamo un po', è per quello che abbiamo fatto ieri sera? Immagino sia stato un po' impegnativo vista l'età che hai. Ti fa male da qualche parte?"
L'espressione di David divenne la rappresentazione visiva dell'orgoglio oltraggiato. "A parte che vista l'età che hai vai a dirlo a tuo nonno - con il quale spero tu non abbia mai questa conversazione, povero vecchio -, per tua informazione io sto benissimo e ti ricordo che sono molto più snodato di te. Devo forse riportarti alla memoria che solo due settimane fa le vertebre della tua schiena hanno schioccato così forte che non ti sei più mosso per paura di esserti rotto qualcosa?"
Tom tossì, completamente rosso per l'imbarazzo. Non era stato affatto un bello spettacolo e ci teneva che quella notizia, in qualunque sua forma, non uscisse mai dalla stanza da letto in cui la scena si era svolta. Ciò che rendeva il tutto ancora più furiosamente imbarazzante era che quando le sue vertebre erano schioccate una dietro l'altra emettendo lo stesso suono di tre trappole per topi messe una di fianco all'altra, lui e David non stavano facendo assoluamente niente di troppo strano. David era disteso di schiena, Tom era sopra di lui e si era tirato indietro, stirandosi come un gatto. L'idea era quella di un movimento sensuale, nella pratica era stato un gioioso susseguirsi di crick e crock. Ne era rimasto talmente sconvolto che la nottata si era fermata lì, con Tom che si chiedeva se non fosse il caso di andare da un medico e David che si spanciava dal ridere dall'altra parte del letto.
"Se il motivo non sono io che vengo costretto da te a fare sesso, e non sei tu che costringi me a fare sesso, nè un qualche episodio legato ad una scopata.... possibile che il problema non sia affatto il sesso?"
"Ebbene sì, Tom. Esistono altre cose oltre al sesso, nel mondo."
Tom gli rispose con una scrollata di spalle che aveva tutto un mondo di dubbio dietro. "Se lo dici tu," commentò. "Ad ogni modo, se mi togli il sesso, io non so più cosa dirti. Con Bill è facile: se non si tratta di Bushido e delle discutibili pratiche sessuali a cui quell'uomo rifiuta giustamente di sottoporsi, allora è sicuramente un problema di unghie, di moda o di qualche altra cazzata della stessa portata. Con te è più complicato: se non ti stai lamentando del sesso - e già lì non capisco come tu possa, dal momento che lo fai con me - non vedo quale altro motivo avresti di piagnucolare."
Tom aveva uno strano problema di logorrea quando era da solo, e l'unico modo di fermarlo era parlare. A stare zitti non si risolveva nulla: Tom era così abituato ad essere interrotto da suo fratello fin dalla tenera età di... sempre, che quando si trovava intorno il silenzio, gli prendeva la fregola di riempirlo e di traboccare fuori. Le sue frasi diventavano orge di subordinate quando Bill non c'era.
"L'hanno portata in ospedale," disse alla fine il manager.
Tom sgranò gli occhioni ambrati, perdendo sia la faccia di tolla che la scazzataggine dimostrata fino a quel momento. Sapeva quanto David tenesse a sua madre, l'unico parente che gli fosse rimasto; ora capiva il perchè di tutta quell'ansia da parte del suo manager - del suo uomo, anzi, che con questo nuovo risvolto c'era più orgoglio a dirlo. A Tom l'idea che David stesse male e che toccasse a lui di consolarlo piaceva molto. "Mi dispiace," mormorò, col faccino tutto serio. "Quando l'hanno ricoverata?"
"Ieri sera," David strinse le mani una contro l'altra, tra le ginocchia divaricate. "Ci sono state delle complicazioni."
Tom annuì con aria contrita. Non sapeva esattamente che cosa dire, non sapeva nemmeno cos'avesse la madre di David. Insomma, il manager non gli aveva mai detto niente, poteva essere qualsiasi malattia. "I ... medici che cosa dicono?"
"Che ci vorrà ancora qualche ora. Forse tutta la mattina," rispose, giocando nervosamente con il cinturino dell'orologio che gli stava un po' grande e gli girava intorno al polso. "Non lo sanno di preciso nemmeno loro. Mi hanno detto che mi chiameranno quando accadrà."
Tom non poté evitare di trattenere un gemito. La situazione era davvero grave, allora.
Alla madre di David non rimaneva che qualche ora. "Oddio, mi dispiace..." mormorò ancora, alzandosi e sedendoglisi accanto.
"Non è una grossa sorpresa, in realtà," ammise l'uomo, tristemente. "Mi avevano avvertito che l'età era quella che era. Forse andava fatto prima, ecco, solo che non ho mai avuto il coraggio."
"Non è colpa tua," si sentì di dirgli Tom, molto partecipe. "Non è davvero colpa tua."
David si strinse nell'abbraccio del suo ragazzino, e sorrise leggermente. Rimasero in silenzio per un po', entrambi a contemplare il vuoto.
"Dada?" Chiese poi il biondo.
"Hm?"
"Lei ha bisogno di te ora," disse timidamente. "Forse dovresti andare da lei. Qui ce la possiamo cavare senza di te per un po'. Bill riesce a scrivere stronzate tranquillamente da solo."
David ridacchiò e scosse la testa. "Preferisco di no. Sono già abbastanza nervoso così, andrò quando sarà il momento. Non me la sento di vederla là così, sotto sedativi..."
"Certo, capisco," commentò Tom, che invece non capiva per niente. Se sua madre, o Bill o una qualsiasi delle persone a cui voleva bene fosse finita all'ospedale con al più qualche ora di vita, lui sarebbe stato lì accanto a letto per tutto il tempo.
David gli battè una mano sulla coscia. "Ora non fare quel musino, però," cercò di sorridergli. "Andrà tutto bene."
"Questo dovrei dirtelo io," lo riprese Tom. "Andrà tutto bene."
David sorrise. Stava per aprire bocca e ringraziarlo di tanta partecipazione, così insolita da parte sua quando la porta della camera si spalancò senza permesso e senza perdono, rivelando la temutissima figura di un Bill che risplendeva di luce propria.
Nella fauna maschile di quella casa, Bill era senza dubbio l'elemento più temibile, nessuno come lui riusciva a far fuggire gli altri poveri animaletti che abitavano lo studio di registrazione. Quando Bill non era con il suo uomo, al quale gli altri lo consegnavano un giorno si e l'altro pure perchè ci si trastullasse distraendolo, vagava per la casa in cerca di vittime da assoggettare, asservire e assuefare con ondate di chiacchera ininterrotta. Perlopiù la gente si nascondeva e, quando non aveva più la forza di farlo, si arrendeva spontaneamente, pronta a farsi cadere le orecchie di fronte allo sproloquio del gemello più piccolo. Questo quando Bill era semplicemente Bill.
Quando il moro era nella sua versione Deluxe, ossia in gran forma per aver passato la notte col suo tunisino e per aver avuto una di quelle che lui definiva le mie idee più geniali, era semplicemente insostenibile. E quello era uno di quei momenti.
Sulla porta, bello come il sole, quasi luccicante per tutta la paccottaglia che aveva adosso, sorrise estatico annunciando ai profani: "Ho avuto l'idea per la canzone migliore che sia mai stata scritta dall'inizio della storia della musica tedesca e internazionale!"
"Permettimi di dubitare," commentò David, scettico.
"Uomo di malafede! Tu non hai fiducia nelle mie capacità!" Sbraitò, sbandierando un foglietto a destra e a manca. Poi li guardò entrambi, seduti lì così sul letto con lo sguardo alle mattonelle - il che era inaccettabile con la sua luce divina che rischiarava la stanza. Come si poteva guardare altro quando lui era lì? "Beh, cos'è questa faccia da funerale?"
"Bill, non è proprio il momento!" Esclamò Tom, cercando di apparire ragionevolmente severo senza essere troppo cattivo. L'equilibrio dei toni di voce era la sua specializzazione olimpionica da quando si era messo con David e Bill aveva smesso di perorare la causa della sua morte.
"Come sarebbe a dire che non è il momento?" Protestò il gemello, con una mano sul fianco e un sopracciglio sollevato come a sfidarlo. Provaci, cellula delle mie cellule, a dirmi che non è il momento e vedi che fine fanno tutti quei rasta che ti ritrovi. "Ho scritto il prossimo singolo. Anzi, il singolo definitivo! E' il momento per forza!"
"Non quando la-"
La frase di Tom fu interrotta dal trillo del telefono di David che si mise a cantargli You made me believe in magic nella tasca dei pantaloni. Il biondo si zittì all'istante, in ansia quanto David. E Bill rimase oltraggiato all'idea che il suo annuncio fosse stato irrimediabilmente compromesso da una musica tanto tremenda.
"E' il medico," mormorò David, guardando il display. "Pronto?"
Tom lo seguì con lo sguardo mentre si alzava e prendeva a girare ansiosamente per la stanza. Il biondo cercò di capire cosa stesse accadendo dalla metà di conversazione che gli arrivava mentre suo fratello tentava di comprendere quale ragione avessero mai avuto tutti e due per ignorare lui.
"E come sta?" Disse David. E poi annuì lentamente. "Quanto manca?"
Tom si mise una mano sulla bocca, senza neanche rendersi conto di quanto somigliasse a suo fratello di fronte alla notizia improvvisa di una svendita di Prada a cui non poteva andare.
"Capisco," annuì David. E poi subito dopo: "Quanti scusi?"
Tom trattenne il fiato, chiedendosi cosa fosse successo. Bill continuava a ripetersi che erano stati dei gran maleducati, tutti e due, a non starlo a sentire dal momento che lui aveva una notizia fantastica. Questa telefonata stava durando troppo.
"Ha detto sei?" Ripeté David, un po' colpito. "Beh no, in effetti dalle analisi sembrava dovessero essere la metà."
Tom si ritrovò a pensare che la madre di David stava probabilmente soffrendo molto se avevano previsto per lei ben sei interventi.
"No beh, in qualche modo farò," David continuava ad annuire. "Non è un problema. Sì, sto venendo lì. Parto immediatamente."
Il manager chiuse il telefono e quando, girandosi, si ritrovò davanti Bill pronto a riprendere il discorso dal punto esatto in cui lo aveva lasciato lo fermò sul nascere con un dito di fronte al naso. "Non ora Bill, devo scappare."
Tom si alzò istantaneamente, pronto a seguirlo ovunque. "Vengo con te!" Esclamò, ricevendo da suo fratello l'occhiata fulminante brevettata. Che ignorò.
David gli fece un cenno vago con la testa, come a dirgli che bastava non gli fosse d'intralcio.
"Allora vengo anch'io!" S'impuntò subito Bill. Nessuno degli altri due protestò, essenzialmente perchè uno era troppo nervoso e l'altro troppo amorevolmente in ansia.
David scese veloce le scale, con gli altri due zompettanti dietro, s'infilò in garage e aspettò ben poco pazientemente che salissero tutti e due in auto, Tom davanti e Bill dietro, con la testa tra i loro sedili come un condor particolarmente permanentato.
Durante il viaggio, rimasero tutti mortalmente in silenzio. David perchè era discretamente nevoso, Tom perchè non sapeva decisamente che pesci prendere con la mamma morente del suo manager nonché uomo e Bill perchè, sostanzialmente, non aveva capito una mazza e si riteneva mortalmente offeso perchè nessuno sembrava affatto interessarsi alla sua grande notizia.
La loro meta si rivelò essere molto più vicina del previsto. David parcheggiò in orizzontale su due parcheggi, dimostrando un notevole slancio artistico, quindi corse all'interno della struttura medica con gli altri due che gli arrancavano dietro nonostante avessero gambe ben più lunghe delle sue. I gemelli oltrepassarono le porte automatiche almeno due minuti dopo di lui e, senza leggere nemmeno un cartello, lo trovarono piegato sul banco dell'accettazione che maltrattava la povera infermiera che ci era seduta dietro.
"In quale stanza? Posso già entrare?"
"Signor Jost, si calmi. E' arrivato appena in tempo," stava dicendo la graziosa signorina con la divisa bianca. "E' in fondo al corridoio."
David batté una mano sul bancone quindi si mise a correre nella direzione indicata. E gli altri due sempre dietro. Bill con la faccia scazzatissima e Tom sempre più sconvolto all'idea di incontrare per la prima volta la mamma di David sul letto di morte.
Fu per questo e forse anche per altri motivi che poi gli balzarono agli occhi qualche istante dopo che rimase sulla porta della stanza, con la mascella slogata fin quasi al ginocchio.
La stanza poteva essere effettivamente descritta come una stanza ospedaliera ma laddove avrebbero dovuto esserci la madre di David, un letto, una flebo e dei tubi, c'erano un cane, una cuccia e un mucchio di cuccioli che sembravano topi.
"OH.MIO.DIO CHE CARINIIIIIH!" Cinguettò suo fratello spostandolo praticamente di peso per accosciarsi accanto alla cuccia e guardare lo Shitzu grigio-bianco con gli occhi sbrilluccicosi.
"David, cosa significa?" Chiese Tom, con cautela. Prima di ammazzarlo di botte voleva chiarire la situazione. Forse avevano sbagliato stanza. Forse sua madre in punto di morte aveva chiesto di vedere i suoi cani. Forse la mamma di David era un cane. Qualunque cosa andava bene, purchè la verità dei fatti non fosse davvero quella che pensava.
"Mrs. Marlene ha avuto i suoi cuccioli," sfarfallò David, con gli occhi lucidi e innamorati del neopadre accanto al letto della mogliettina con figlio in braccio. "E stanno bene! Tutti e sei!"
"Questo lo vedo," ringhiò tra i denti il biondo. "E tua madre in fin di vita?"
David, ancora un po' intontito dalla visione dei cuccioli si voltò a guardarlo a fatica. "Cosa c'entra mia madre? E' partita per una crociera ai Caraibi la settima scorsa."
Il manager si accosciò di fianco a Bill e accarezzò la sua Mrs. Marlene con dolcezza, stando ben attento a non toccare i cuccioli gli uni accavallati sugli altri perchè lei avrebbe potuto prenderla male. "Sei stata bravissima," le disse mentre Bill pigolava che erano bellissimi e li contava tutti uno per uno e ricominciava da capo. Erano quattro batuffoli bianchi, uno marrone e uno nero.
"Ma... ma..." Tom nel frattempo balbettava incredulo. "E i pochi giorni che restavano, e i sedativi?!"
David sospirò. "Tom non so di cosa stai parlando," espirò alla fine, tornando ad alzarsi in piedi e ad avvicinarsi al biondo.
"Di oggi! E del muso lungo che avevi!" Sbraitò il ragazzino, mentre il fratello era tutto in agitazione perchè quei cosini rotolavano felici nella scatola che li conteneva. "E mi hai detto che non le restava molto e che ti avrebbero chiamato quand'era il momento!"
"Si ma parlavo del cane!" Esclamò David.
"Tu sei uno stronzo" Gli rinfacciò il biondo, indicandolo pure. "E io che mi sono preoccupato per te! E per tua madre che a quest'ora starà prendendo il sole ad Ibiza!"
"Ibiza è in Spagna, Tom."
"FA' LO STESSO!"
David sollevò entrambe le mani, in segno di pace. "Ok, d'accordo. Era solo per chiarire," l'uomo tossicchiò. "Comunque mi dispiace se hai frainteso-"
"Io non ho frainteso. Sei tu che non ti sei spiegato bene! Eri lì, con la faccia da tragedia, a parlare di ore rimaste e di medici come se stesse morendo qualcuno!"
"Pensavo che lo sapessi che Marlene doveva partorire."
"Io lì' a consolarti per qualcosa di molto più grave e tu zitto, mica mi dici niente! Sei un gran bastardo!"
"Ma come facevo a sapere che per chissà quale motivo pensavi a mia madre, dio santo?"
"Avresti dovuto arrivarci! Non ti sembrava un dolore un po' troppo grande per un cane che partoriva?"
"Beh io al mio cane ci tengo!" Puntualizzò David, tutto convinto.
Tom si spalmò una mano in faccia. "Non ci posso credere. A me quasi viene una sincope per tua madre - che per inciso non ho mai visto - e tu ... non ci credo, davvero."
David lo guardò, lì così tutto imbronciato, che per dispetto non aveva guardato Mrs. Marlene nemmeno una volta, quando invece il cane lo aveva riconosciuto e gli aveva fatto le feste scodinzolando allegramente, pur senza muoversi. L'uomo finì come al solito per trovare immensamente tenero quel ragazzino ancora non troppo adulto che si vergognava di preoccuparsi per lui. Lo abbracciò di getto, intanto che sullo sfondo Bill stava palesemente morendo dalla voglia di tenere una di quelle palline in mano.
Tom borbottò un "Non mi abbracciare stronzo," che venne soffocato dal maglione di David, che se lo stringeva addosso.
"Perchè non vai a salutarla?" Gli sussurrò nell'orecchio.
"Non ci penso nemmeno."
"So che vuoi farlo."
"Non è vero," s'impuntò Tom. Poi, dopo qualche secondo. "E dei cagnolini che ne farai?"
David sorrise. "Vedremo."
Bill nel frattempo era tutto un uggiolare di pigolii estatici di fronte ai sei nuovi arrivati.
Tom sospirò affondando ancora di più nel maglione di David. "Sarà meglio che salvi quelle povere bestie," borbottò.
Fece per staccarsi, ma David lo afferrò riportandoselo addosso. "Grazie," sussurrò.
Tom sorrise.