vinicio marchioni+francesco montanari

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Alessandra Mastronardi, Stefano Sollima
Genere: Introspettivo, Romantico, Angst
Avvisi: Slash, Het
Rating: R
Prompt: La storia partecipa anche alla quinta settimana del COW-T di maridichallenge e fiumidiparole per la squadra dei vampirli (prompt: Tre personaggi).
Note: Questa storia è stata un parto, oltre che un'orrenda tragedia. Mi ero ripromessa di scriverla lentamente perché, dal mio punto di vista, era troppo difficile e mi faceva paura, ma poi il prompt settimanale del COW-T cadeva a fagiolo e mi sono sentita in dovere di utilizzare proprio questa per fillarlo, però per quasi tutta la settimana non ho avuto voglia di scrivere, quindi rischiavo di non avere niente da postare. Ma non so perché vi sto raccontando cose di cui frega cazzi a nessuno. Dunque, la genesi di questa storia dovrebbe essere che secondo me la relazione fra Marchioni e la Mastronardi era solo una copertura, da qui tutto il resto ma sinceramente non sono sicura. Quello di cui sono certa è che la colpa è di Liz che ha anche preteso la scrivessi io. Se l'avesse scritta lei, come volevo io, sarebbe venuta duecento volte meglio. L'unica cosa che mi piace veramente ma veramente tanto qua dentro (ma anche fuori di qui) è la Mastronardi, che in questa storia è completamente pazza.

Riassunto: Per nascondere la relazione fra Francesco e Vinicio e salvare l'immagine della serie di Romanzo Criminale, Alessandra Mastronardi acconsente a fingersi la fidanzata di Marchioni per sviare la stampa. Fra i due, però, nasce un flirt clandestino almeno finché lei, di punto in bianco, non lo molla per un altro. Un anno dopo, come niente fosse successo, Alessandra si ripresenta da Vinicio, che è ancora molto fidanzato con un ignaro Francesco Montanari, pretendendo di riprendere da dove hanno interrotto, mettendo nuovamente in pericolo la relazione tra i due.
OLD SINS CAST LONG SHADOWS


Roma è bella anche quando non dovrebbe.
Vinicio pensava questo mentre guardava fuori dalla vetrina del bar e osservava il cielo grigio di ottobre farsi sempre più nero. Faceva già freddo come fosse pieno inverno e nelle ultime tre settimane non ricordava una sola giornata di sole. Eppure, nel grigiore lucido di pioggia, Roma era bella lo stesso. Cambiavano i suoni – più ovattati e umidi – cambiavano i profumi – più forti e puliti – cambiavano le forme del paesaggio – più confuse e acquose – ma lei era sempre la stessa.
Vinicio la trovava anche sotto il velo di pioggia che andava ricoprendo i sanpietrini e ne riconosceva il riflesso nelle grosse pozzanghere per le strade. Non c'era niente che quella città potesse fare perché lui avesse voglia di dimenticarla, di abbandonarla e lasciarsi alle spalle tutto ciò che significava.
Si frugò nelle tasche alla ricerca di una sigaretta e ringraziò che ci fossero ancora locali privi di una coscienza salutista nei quali potesse rovinarsi i polmoni, per una volta. Francesco non sopportava che fumasse, perciò non lo faceva mai; ma voleva tenerlo fuori da quella giornata, e una sigaretta sembrava il modo migliore per farlo. Inspirò la prima boccata mentre fuori iniziava di nuovo a piovere.
Alessandra lo aveva chiamato dopo mesi di silenzio solo per dargli appuntamento in un bar e lui non aveva trovato il modo di rifiutare nei due secondi che lei gli aveva concesso per farlo prima di riattaccare. La sua voce era andata a nascondersi da qualche parte in fondo alla gola e quando il suo no stentato e zoppicante era finalmente riuscito ad uscire, la linea era già muta.
Avrebbe potuto restarsene a casa, ma era curioso di sapere che cosa volesse ancora, e smaniava di vederla anche se non avrebbe dovuto. L'ultima volta che l'aveva vista era stato per sentirsi dire che si era messa con un altro. Gli aveva posato addosso uno sguardo un po' pietoso e un sorriso di circostanza, quindi aveva preso la porta e se n'era andata, senza una spiegazione. Senza nemmeno esitare.
Da un giorno all'altro gli aveva restituito la sua libertà e lui aveva scoperto che non sapeva che cosa farci, che per quanto gli fosse mancata l'aria ad averla intorno, aveva il respiro corto anche senza di lei.
E quando finalmente era riuscito a dimenticarla, ecco che lei chiamava per incontrarlo e si comportava come se non fosse passata che qualche ora.
Alessandra è come Roma, pensò allora. Capace di stare nascosta a lungo dietro scrosci di pioggia incessante e poi far capolino nel riflesso limpido di una pozzanghera quando meno te lo aspetti. Non permette mai a nessuno di dimenticarla.
Ebbe il tempo di finire la sua sigaretta e di sentire il campanile della chiesa vicina suonare le undici, prima di vederla arrivare con un elegante ritardo di cinque minuti. “Sapevo che saresti venuto,” disse con un sorriso educato, ma con il tono di chi non avrebbe mai accettato il contrario. Si tolse il cappotto e lo appoggiò sulla sedia lì a fianco, quindi si sedette e tolse i guanti, infilandoli nella minuscola borsetta. Vinicio rimase in silenzio per tutta la durata dell'operazione, osservandola togliersi anche il cappello fradicio e metterlo da parte. “Che tempo da lupi, vero?”
Vinicio rimase in silenzio anche allora, e non perché volesse farle pesare la ricomparsa improvvisa, ma perché non aveva niente da dirle se non parole che minacciavano di salirgli alla bocca come vomito e di uscirne altrettanto amare.
Alessandra ordinò un caffé per lui e un cappuccino, una brioche e una torta per se stessa, e cinguettò qualcosa sul fatto che moriva di fame e non aveva proprio voglia di aspettare il pranzo.
Vinicio continuò a guardarla, forse per trovare una traccia di umanità in quell'espressione amichevole, che era costruita esattamente come tutte le altre. Alessandra non sembrava mai provare l'emozione che ti stava mostrando. Il suo sorriso era sempre falso e le sue lacrime recitate. Non c'era niente di naturale in lei. Fingeva qualunque cosa, perfino l'appetito.
Difatti, davanti al suo silenzio, il sorriso di Alessandra sparì com'era arrivato. “Certo che sei proprio noioso, Vinicio,” esclamò sbuffando. “Non ci vediamo da mesi e non hai niente da dirmi?”
“Perché mi hai chiamato?”
“Non mi saluti nemmeno?” Chiese lei, invece di rispondere. Giocava con il menù plastificato che era rimasto sul tavolo e lo teneva sollevato come uno schermo, dietro al quale si nascose fingendosi timida all'improvviso.
“Ciao, Alessandra,” esclamò Vinicio atono.
Lei si stufò nuovamente, posò il menù e ci tamburellò brevemente le unghie curate. “Così va meglio,” sospirò accontentandosi. “Anche se potevi metterci un po' di entusiasmo.”
“L'entusiasmo l'ho perso un anno fa.”
“Ammesso che tu l'abbia mai avuto,” commentò lei sbrigativa e severa, come una maestra che chiama uno dei suoi alunni a colloquio per lamentarsi del suo comportamento. “Non sei mai stato un uomo passionale, non è così? Anche se ammetto che abbiamo avuto i nostri momenti.”
Il cameriere arrivò con le loro ordinazioni e Alessandra si prodigò in un sorriso aperto e socievole, riuscì perfino a farsi brillare gli occhi. Il suo aspetto era sempre quello della ragazza per bene, con il viso acqua e sapone e il taglio adolescenziale, nonostante avesse ormai superato di molto i quindici anni che l'avevano portata al successo televisivo. Sembrava che l'Italia non potesse separarsi dalla prima immagine di lei che aveva conosciuto, e così era legata a doppio filo alla sua frangetta e ad un filo di trucco invisibile che la faceva sembrare una ragazzina.
“Te lo ripeto di nuovo: perché mi hai chiamato?”
“E io continuo a non risponderti,” mormorò lei, trattenendo il sorriso finché il cameriere non si fu allontanato. “Ho molta voglia di rinvangare i bei vecchi tempi, prima. Non vorrai mica negarmi questo piccolo piacere.”
Vinicio avrebbe voluto negarle qualunque cosa, ma aveva imparato a sue spese che era molto più facile assecondarla che ostacolarla, perché lei tanto non mollava mai. “Quali bei vecchi tempi?”
Lei arricciò il naso. “Quelli in cui non ti dispiaceva venire a letto con me,” commentò lei, trionfante.
Vinicio serrò la mascella. Avrebbe potuto difendersi ma qualunque cosa avesse detto sarebbe stata una bugia. Fuori dal letto la aveva odiata con tutte le sue forze, ma tra le coperte il limite tra l'odio e l'amore si era sempre confuso al punto da rendere tutto quanto incomprensibile.
“Francesco come sta?” Chiese Alessandra, tenendo il suo cappuccino con entrambe le mani. Sollevò gli occhi su di lui mentre si ripuliva dalle labbra uno sbuffo di crema.
“Sta bene,” rispose lui, rigido.
“Che cosa fa, adesso?”
Vinicio spostò lo sguardo su una mattonella leggermente più sollevata delle altre. Dall'esterno erano uno strano quadretto, lei così perfetta, quasi luminosa nei suoi abiti semplici ma impeccabili, e lui buttato su una sedia con le braccia incrociate strette al petto e lo sguardo del bambino capriccioso che vorrebbe essere da tutt'altra parte. “Teatro,” rispose sbrigativo.
Alessandra non sembrò curarsi del tono infastidito con il quale rispondeva, anzi sembrava prendere ogni risposta come un punto su una qualche classifica personale. “E vive ancora in quell'appartamento microscopio di cui andava tanto fiero?”
L'appartamento dovevano venderlo. Ci avevano provato per quasi sei mesi, ma Francesco si era intestardito con il voler trovare la persona giusta – come dovessero dare in adozione un gatto che non potevano più tenere – e chiunque si presentasse per fare il giro della casa, a lui non andava mai bene; finché Vinicio non aveva capito che era troppo affezionato e non aveva nessuna voglia di venderlo. Così alla fine l'avevano tenuto e Francesco poteva andarci quando voleva.
Tutto questo a lei non lo disse, ma ad Alessandra bastò la sua faccia. Le sue labbra formarono un cerchio quasi perfetto, mentre le sue sopracciglia s'inarcavano una verso l'altra in un'espressione intenerita. “Oh, ma non mi dire,” esclamò melliflua. “Vive con te, adesso.”
“Questi non sono affari tuoi.”
“Dovrei proprio venirlo a trovare, uno di questi giorni,” Alessandra ignorò la sua risposta come se non l'avesse mai data.
“No!” Vinicio alzò la voce e lei lo fulminò con lo sguardo, indicando con un minuscolo cenno del capo gli altri clienti che si erano voltati nella loro direzione. “No,” ripeté lui più piano. “Lascialo stare.”
“Ma sono mesi che non lo vedo!” Protestò Alessandra, pulendosi la bocca. “Penserà che mi sono dimenticata di lui, e non è vero. Non chiede mai di me?”
Francesco chiedeva fin troppo di Alessandra e lui stava finendo le scuse da rifilargli per evitare che avesse qualsiasi contatto con lei. “Gli porterò i tuoi saluti,” disse.
“Verrò a farglieli di persona,” insistette lei, chiudendo la discussione. Poi con un piccolo sospiro soddisfatto mentre guardava tutti i suoi piattini vuoti, mise le mani in grembo e lo guardò con un sacco di aspettativa, come se lui potesse capire i piani che aveva macchinato semplicemente guardandola negli occhi; ma negli occhi di Alessandra c'erano solo un sacco di luce e un sacco di vuoto. “E a proposito di rimpatriate, anche noi dovremmo farne una come si deve,” mormorò.
“Pensavo fosse questa.”
“Sai bene che cosa voglio dire,” insistette lei, piegando la testa di lato. I suoi boccoli castani si adagiarono uno dopo l'altro contro la sua spalla. “Potremmo uscire a cena, diciamo domani sera?”
Vinicio deglutì. “Non credo che sia una buona idea.”
Lei recuperò i guantini e lì stirò bene sul tavolo prima di cominciare ad indossarne uno. “E io non credo che tu voglia davvero dirmi di no,” gli sollevò addosso un sorrisino tirato. “Non quando ho intenzione di andare a prendere un gelato con Francesco quanto prima. Non ho una buona memoria e potrei davvero finire col lasciarmi scappare qualcosa che avevamo detto di non dirgli mai. Rifiutarti di uscire con me non sarebbe saggio, non credi? Per non parlare di quanto sarebbe scortese. In fin dei conto sono pur sempre l'unica donna della tua vita.”
Vinicio smise di far tintinnare nervosamente il cucchiaino nella tazzina vuota. “Non posso,” esclamò deciso. “Tra due giorni c'è la prima dello spettacolo di Francesco. Devo essere lì quando salirà sul palco.”
Alessandra sospirò come se fosse stufa di dover pensare a tutto quanto lei. “Sono certa che saprai trovare la scusa adatta anche questa volta,” annuì, infilandosi l'altro guanto e il cappellino, che nel frattempo si era asciugato. “Ora, devo proprio andare. Grazie per la colazione.”
Vinicio lasciò i soldi sul tavolo e si alzò di corsa per seguirla fino alla porta del bar, dove lei stava aprendo un minuscolo ombrellino da borsetta.
“Alessandra,” la fermò per un braccio e la costrinse a voltarsi. Lei non sembrò sorpresa e attese paziente che trovasse la voce per parlarle. Vinicio si ritrovò a fissare i suoi lineamenti decisi, le labbra appena dischiuse e gli mancò il fiato. Strinse la presa con rabbia e lei fece una piccola smorfia, ma non si mosse. “T-ti prego,” balbettò. “L-lasciaci in p-pace.”
Lei sbuffò una risatina che le uscì dal naso prima ancora che dalla bocca e se lo tolse di dosso con una scrollata di spalle. “Alle otto, Vinicio. Cerca di essere puntuale.”
Il suo riflesso si moltiplicò per un istante fra le pozzanghere del marciapiede, poi rimase solo quello di Roma ma non vi trovò nessuna consolazione.

*


Vinicio non ha mai pensato che potessero piacergli gli uomini.
Francesco è capitato per caso, ed è stato così naturale che non c'è stato motivo di chiedersi un bel niente. Quando ti basta una birra smezzata a finire sulle scale di un palazzo a baciarsi come ragazzini, qualunque dubbio non ha ragione di esistere. E' così e basta.
Tutto è iniziato a cena a casa di Sollima che ha fatto il diavolo a quattro per festeggiare l'inizio delle riprese. Fino a quel momento, lui e Francesco si sono scambiati soltanto qualche saluto, non hanno nemmeno avuto occasione di provare insieme la parte. Sono un Freddo e un Libanese che si conoscono ancora poco e per questo si squadrano a distanza da una parte all'altra del tavolo; anche se Francesco non squadra mai davvero nessuno. Tuttalpiù ti guarda perché vuole fare amicizia.
L'occasione, in quel caso, gliela danno i presenti, scusandosi uno dopo l'altro per non poterlo riaccompagnare a casa. Lui è arrivato con Alessandro, ma quello a metà serata ha letto un sms che lo ha letteralmente fatto uscire dai pantaloni ed è corso via in tutta fretta a fare contenta qualche biondina di Trastevere, lasciando Francesco a piedi. Mentre tutti si dileguano, e Montanari si chiede se non sia il caso di chiamare un taxi, Vinicio si offre di rimediare al bidone di Roja, senza sapere che sarà costretto ad una deviazione di quasi quaranta minuti sul raccordo, perché Francesco abita esattamente dalla parte opposta rispetto a lui.
Quando se ne accorge, sono già imbottigliati nel traffico di un incidente avvenuto chissà quanti chilometri più avanti. Francesco si dispiace, Vinicio gli dice che non fa nulla e passano due ore a parlare di cinema e libri, con l'auto spenta perché tanto non ci si muove. Quando lo lascia davanti al portone di casa, ha ancora voglia di fermarsi un po' e Francesco gli offre l'unica birra che c'è nel suo frigo desolato. Sa che è una scena da manuale e gliene frega meno di niente, per questo da lì a baciarsi è un attimo. Non hanno più smesso.
Dovrebbero farlo almeno quando sono sul set, dove in teoria nessuno dei loro colleghi sa niente, ma non ci riescono perché stanno insieme solo da un paio di settimane, motivo che da solo giustifica totalmente la necessità di limonare molto spesso e molto a lungo, sbattendosi a vicenda su una superficie qualsiasi.
In realtà, Vinicio pensava di aver superato questa fase molto tempo fa, ma si sbagliava. Per quanto si sforzi di ricordare che almeno lui, a fronte dell'età, dovrebbe dimostrare un minimo di contegno, non riesce a togliergli le mani di dosso più di qualche ora e Francesco, dal canto suo, non aiuta perché invece di limitare l'impeto che li scaraventa entrambi quasi a scopare nei camerini, lo alimenta toccandolo o trascinandolo in angoli bui e solitari non appena ne ha l'occasione.
Neanche recitare li aiuta a distrarsi. Il Freddo e il Libanese non fanno che stare appiccicati e Sollima li vuole sempre uno di fianco all'altro – avvicinati, guardalo, toccalo – Vinicio potrebbe anche impazzire. A volte vorrebbe scuotere il regista per il colletto della camicia e chiedergli se si rende conto di cosa gli sta chiedendo, se ha anche solo una vaga idea di cosa significhi per lui guardare Francesco negli occhi e non baciarlo. Saranno gli ormoni, sarà che tra il lavoro, gli impegni e la non trascurabile faccenda della balbuzie, che non attira esattamente frotte di donne nel tuo letto, non scopava da secoli, ma Francesco gli ha lobotizzato il cervello e con quel poco che gli rimane sta cercando di essere professionale; che almeno non gli si dica di avvicinarsi, guardare e toccare!
Ad ogni modo, se prima Sollima non aveva idea di cosa stava succedendo, di sicuro ce l'ha nel momento in cui decide che, tagliando per il sentiero dietro le roulotte, impiegherà molto meno tempo a raggiungere la sua sedia da regista. E' intento a rileggere la prossima scena che intende girare, quando svolta l'angolo e li vede, appoggiati alla fiancata di un caravan, che si baciano come se il mondo dovesse finire da lì a cinque minuti e loro potessero evitarlo infilandosi vicendevolmente la lingua in gola.
La prima reazione è quella di convincersi che si tratta soltanto di un'allucinazione generata dal suo essere in piedi dalle sei di mattina e non aver ingerito niente a parte i dodici litri di caffé che gli tengono aperti gli occhi e acceso il cervello in uno stato di semi-coma vigile. E' chiaro che la stanchezza gli fa avere visioni di cosa sarebbe diventata davvero la sua sceneggiatura se avesse lasciato che Giancarlo ci lavorasse da solo.
Così gira sui tacchi e cambia strada, scuotendo la testa anche un po' divertito dagli strani scherzi della sua psiche. Il cestino del pranzo però non è sufficente. Qualche ora più tardi, durante una piccola pausa pomeridiana, s'imbatte nella stessa scena dietro il furgone dei costumi e verso sera, quando ormai già vede in lontananza il miraggio di due bucatini all'amatriciana nella prima trattoria disponibile e poi una sana dormita nel letto di casa, ecco che quei due sono aggrovigliati come l'edera nella macchina del Marchioni.
Sollima decide che è stata una giornata storta e pesante, si dedica ai suoi bucatini e alla sua dormita, e quando il giorno dopo si presenta sul set è pronto a spaccare il mondo da quanto è in forma, pimpante e pieno di generale fiducia verso la vita e il futuro.
A distruggere il suo ritrovato ottimismo ci pensa il semplice “Oh” di Alessandra che gli capita a fianco per caso quando s'imbatte di nuovo in una delle sue fantasie straordinariamente lucide.
Se anche lei li vede, però, questo significa che sono reali. C'è sempre la possibilità che lui e Alessandra stiano condividendo un qualche tipo di allucinazione generata da droghe o cibi avariati, ma dal momento che non gli sembra di aver ingerito né le une né gli altri, sente la voragine della catastrofe aprirsi sotto ai suoi piedi e, con il sospiro sorpreso di Alessandra che gli rieccheggia nelle orecchie, sa che può solo caderci dentro senza speranza.
I due hanno letteralmente distrutto il magazzino della sartoria, sbattendosi a vicenda da una parte all'altra senza curarsi di ciò che potevano rompere come non si curano di ciò che avviene nelle loro immediate vicinanze e, probabilmente anche nel resto dell'universo. In questo momento Francesco è disteso sull'intera collezione di vestiti del Dandi e Vinicio gli sta mordendo il collo in un tripudio di maglioncini dalle fantasie tristi che appartengono al suo alterego. Nessuno dei due si degna di smettere o di notare, anche per sbaglio, che Sollima è sulla porta e soffre. A farli smettere ci pensa Alessandra scoppiando a ridere per poi coprirsi subito la bocca con la mano, mentre con l'altra cerca di scusarsi.
Marchioni ha la decenza di sussultare e imprecare mentre si tira su da terra frettolosamente, spolverandosi i pantaloni. Francesco neanche quello. Resta un po' spaesasto a terra, nemmeno due baci lo avessero confuso riguardo al suo posto nel mondo, e solo dopo si alza rischiando di scivolare su una delle camice di seta.
Sollima è più o meno certo che la sua vita sia stata appena distrutta dall'altrui incapacità di controllare la propria libido e non sa come affrontare la situazione, non con le belle speranze riposte su questa serie che si librano in volo salutandolo per sempre. Sente l'improvviso bisogno di sedersi da qualche parte e, non trovando niente che faccia al caso suo, si accontenta di accasciarsi su uno scatolone che s'imbarca un po' ma alla fine regge tutto il peso della sua disperazione. “Vi ha dato di volta il cervello, per caso?” Chiede alla fine, quando hanno tutti sopportato la ragionevole quantità di silenzio imbarazzato che ci si aspetta in casi del genere. “E' un disastro!”
Marchioni si guarda intorno dove la devastazione è, in effetti, piuttosto evidente. Nell'urgenza di appoggiare Francesco da qualche parte, ha provato un po' ovunque, gettando a terra qualunque cosa non lo fosse già e, nel tentativo di tenersi aggrappato, Francesco ha staccato una ad una tutte le grucce dai porta-abiti. Sono arrivati a tanto così da scopare su un letto fatto letteralmente del guardaroba di scena. Sa che non è molto professionale, ma non può fare a meno di sorridere quando pensa a cosa sarebbe stato girare anche solo una scena consapevole di ciò che era successo agli abiti di chi gli stava di fronte. “Non mi sembra questa gran tragedia,” dice tossendo per mascherare il proprio divertimento. “Basterà dare una spolverata e rimettere a posto le grucce. Forse qualche giacca si è stropicciata, ma nel complesso non abbiamo rotto niente.”
“Non sto parlando di vestiti, Vinicio,” sibila Sollima, passandosi una mano sul viso. “Sto parlando di voi due e del casino che siete.”
Vinicio inarca un sopracciglio. “Non ti seguo.”
“Da quanto va avanti questa cosa fra voi due?”
“Tre settimane e due giorni e mezzo,” risponde prontamente Francesco, che è sempre troppo preciso quando fa il conto. Con molta pazienza, Vinicio è riuscito a farlo smettere di tenere a mente almeno le ore.
Il regista scuote la testa. “E' un sacco di tempo, la notizia potrebbe essere già fuori.”
“Ma noi non l'abbiamo detto a nessuno,” esclama Francesco, stringendosi nelle spalle.
“Questo non significa che non si sappia comunque,” sospira Sollima, che è ben consapevole di quanto velocemente possa muoversi la stampa a volte. Un giorno ti succede una cosa mentre sei solo in casa e due ore dopo lo sa tutta Italia. Non ha idea di come i paparazzi riescano ad essere sempre nel posto giusto al momento giusto, ma ci riescono sempre. E adesso hanno tre settimane di vantaggio su quello che potrebbe essere lo scoop dell'anno. Certo gli attori sono sconosciuti, ma c'è una grande curiosità intorno alla serie. Tutti vogliono conoscere i volti nuovi dei loro personaggi e dopo il lancio pubblicitario a tappeto, l'interesse è andato aumentando. “La notizia non deve uscire da questo magazzino,” esclama, lanciando un'occhiata anche ad Alessandra che annuisce comprensiva. “Se si viene a sapere che i due protagonisti della serie stanno insieme, siamo rovinati.”
“Dov'è finito lo spirito per cui qualunque pubblicità va bene purché sia pubblicità?” Chiede Vinicio, ironico.
“Cazzate!” Risponde Sollima, sempre più preoccupato. “Fesserie! Stupide scuse inventate da chi non aveva altre soluzioni per arginare l'enorme catastrofe che lo aveva investito. Questa è una serie ambientata negli anni '70, i due protagonisti sono brutti e cattivi, sono uomini duri. La pubblicità perfetta sarebbe se, ubriachi, vi sparaste dopo una rissa in un locale per colpa di una donna. Ma questo? La credibilità dei personaggi sarebbe rovinata per sempre.”
“Quello che hai detto è estremamente omofobo, Stefano,” gli fa notare Vinicio che è improvvisamente diventato molto sensibile ai diritti delle persone omosessuali ora che sono anche i suoi. Non che prima non li credesse sacrosanti, ma ovviamente adesso è tutto quanto molto diverso. “In pratica stai dicendo che la nostra relazione è inappropriata perché siamo due uomini.”
“In un certo senso si può dire così,” farfuglia Stefano “ma nel senso buono del termine! Non intendo dire che sia una brutta cosa, dico solo che lo è in concomitanza con la realizzazione di questa serie televisiva. E' come se stessimo girando una campagna di sensibilizzazione per la tortura sugli animali e vi trovassero a bastonare foche monache, mi segui?”
“E che cosa staremmo promuovendo, esattamente? La criminalità organizzata?”
“Non è questo il punto,” sospira Sollima. “Quello che sto dicendo è che intorno a questa serie ci eravamo preparati per un certo tipo di pubblicità.”
“Cambiamo il tipo di pubblicità,” suggerisce Vinicio, incrociando le braccia al petto. Francesco lancia occhiate preoccupate all'uno e all'altro, senza sapere bene che cosa fare. “Magari ne facciamo una in cui questa produzione non si fa i cazzi nostri, che ne dici?”
Seduta per terra insieme a Francesco, Alessandra sceglie esattamente quel momento per dire la sua e la domanda che pone sembra talmente fuori posto in quel momento che Vinicio e Stefano si zittiscono e si voltano verso di lei. “I vostri genitori lo sanno già?”
Vinicio la guarda un istante senza capire esattamente quello che sta dicendo. “No?” Azzarda. Lui e Francesco non hanno ancora capito se stanno insieme o se si piacciono e basta per motivi sconosciuti tra i quali non hanno ancora escluso droghe e alcol e sua madre ha passato i sessanta, darle la notizia prematuramente potrebbe ucciderla; e lui non ha alcuna intenzione di perdere sua madre se prima non è sicuro di quello che le sta dicendo. In quanto a Francesco, Vinicio ha incrociato per caso suo padre uscendo da casa sua alle nove di mattina. Ha dovuto dirgli che era l'idraulico, quindi no, le cose non vanno troppo bene.
“Questa è una cosa a cui dovete pensare,” commenta Alessandra. Si alza in piedi e sta bene attenta a lisciarsi la gonna plissettata. “Sarebbe tremendo che i vostri genitori venissero a saperlo dalla televisione, non credete? Quindi, a meno che non abbiate intenzione di dirglielo a breve, forse sarebbe meglio muoversi con estrema cautela.”
Vinicio non ci aveva pensato, in realtà non ha pensato ad un bel niente, nemmeno alla stampa, o a come debba o non debba comportarsi. Si è fatto travolgere dall'intera faccenda e, per così dire, si è lasciato andare. Se dovesse dire cosa hanno o non hanno fatto in pubblico, non saprebbe rispondere. Non che ci siano state scene scandalose, naturalmente, i suoi trentacinque anni gli hanno lasciato almeno un barlume di lucidità per evitare l'accusa di atti osceni in luogo pubblico, ma non potrebbe giurare di non aver tenuto Francesco per mano mentre passeggiavano al parco, né di non averlo baciato di fronte a qualcuno che poteva o non poteva avere una macchina fotografica in mano. Soprattutto se era nascosto fra i cespugli. Non ci ha nemmeno pensato a cercare qualcuno fra i cespugli.
Alessandra nota la sua esitazione e insiste. “Non sto dicendo che sia sbagliato, intendiamoci,” si affretta a ribadire. “Anzi, trovo bellissimo che vi siate trovati. Siete carini insieme e sono felice per voi. Ma la stampa può essere cattiva, credetemi, ne so qualcosa. Nel vostro caso, poi, non si tratterebbe neanche di normale curiosità. Infatti, per quanto sia triste da dire,” aggiunge portando le mani in grembo e piegando leggermente la testa di lato con un sospiro dispiaciuto, “qui in Italia una coppia di attori gay sarebbe considerata solo una specie di fenomeno da baraccone. Avreste gli occhi di tutti puntati addosso e non certo nel senso buono del termine. Se non siete pronti a sostenere l'attenzione morbosa che seguirebbe il coming out, non è il caso che lo facciate.”
“In effetti...” mormora Francesco esitante, dopo un po'. “Non so se mi va di dirlo in giro. I giornalisti non mi piacciono.”
Vinicio fa una mezza smorfia in direzione di Alessandra. “Ti sfugge il fatto che non dobbiamo necessariamente sbandierarlo ai quattro venti,” le fa notare.
“No, naturalmente,” annuisce subito lei. “Ma non ce ne sarà bisogno. Non appena cominceremo ad ingranare, non potrete nemmeno andare al gabinetto senza che qualcuno vi scatti una foto.”
“Io voglio andare al gabinetto,” commenta Francesco dal pavimento.
Vinicio lancia una breve occhiata al cielo. “E allora che cosa suggerisci di fare? Lasciamo perdere per il buon nome della Cattleya?” Chiede ironico.
“No, ho un'idea migliore.” Alessandra sorride dolcemente e nell'occhiata generale che lancia include anche Stefano, abbandonato sul suo scatolone di cartone a piangere se stesso e il suo grande capolavoro. “Se il problema è l'attenzione dei media, l'unica è portare quest'attenzione altrove. Diamogli qualcosa da guardare.”
“Non so se delle foto nude risolverebbero la questione,” dice Francesco, pensieroso. “Mia madre non approva molto nemmeno quelle.”
Alessandra emette una risatina allegra e divertita. “No, Francy! Nessuno dovrà fare foto nude,” esclama, scuotendo la testa come se quella frase fosse sciocca e tenera insieme. Anche quando la sua risata si spegne, ne resta un'ombra sulle sue labbra e un luccichio negli occhi, come si fosse ritirata soltanto un attimo per darle modo di esporre il suo piano ma le vibrasse sotto la pelle, pronta a venir fuori di nuovo, riempiendo di gioia lo spazio circostante. “Facciamo credere a tutti che Vinicio è fidanzato con una ragazza,” propone. “Qualche foto ad una cena di gala, qualcun'altra all'uscita di casa dell'uno e dell'altra, un paio di paparazzate innocue a fare la spesa al supermercato. Tempo un paio di settimane, a meno che non ci siano figli in arrivo, tradimenti o catastrofi naturali che si portano via uno dei due, la stampa li lascerà in pace.”
“Bambini?” Chiede subito Francesco, allarmato.
“Ovviamente non succederà niente del genere,” lo rassicura subito Alessandra. “Sarà tutta finzione e voi due potrete vivere tranquilli.”
“Dove? Nel mondo fantastico al quale accederemo attraverso un armadio?” Chiede Vinicio.
“No, stupido!” Ride lei, che ha la strana capacità di offendere con tenerezza. “Troveremo un posto adatto, naturalmente. E' chiaro che sarà complicato, ma si tratta di un periodo limitato. Una volta finito di girare la serie potrete decidere che cosa fare.”
“E dove la troviamo una disposta a fare questa cosa?” Chiede Sollima, prendendo finalmente la parola. Lui e Vinicio si scambiano un'occhiata con cui il secondo chiede chiaramente delle spiegazioni in merito all'affermazione. “Non possiamo prendere una qualunque. La prima ragazzetta raccolta per strada non farebbe scalpore, va da sé che ci serve una che sia già conosciuta, una che la produzione dovrà pagare. E non se ne parla neanche.”
“Questo non è un problema,” sorride Alessandra. “Avete me. Lo faccio io. La gente mi conosce e la stampa ha tenuto conto di tutti i miei fidanzati, nessuno escluso. Me ne ha anche affibbiati due che non avevo, quindi di certo non si perderà Vinicio dal momento che lavoriamo anche insieme. Diremo che tra di noi è scoppiato l'amore come tra Roberta e il Freddo, immagina i titoli dei giornali.”
“La produzione non pagherà nemmeno te,” le dice subito Stefano, che con chi stringe la borsa dei soldi ha un conto in sospeso. Il budget è già molto generoso per essere una produzione italiana, ma un regista ha il privilegio di fare comunque delle richieste che, nel suo caso, non sono state affatto accettate.
“Oh, ma io non voglio niente,” lo rassicura Alessandra, mentre guarda Francesco e Vinicio alla ricerca di un'intesa che non trova perché i due sono ancora profondamente perplessi. “Lo faccio per amicizia e perché anche a me fa comodo che questa serie televisiva abbia la pubblicità e, di conseguenza, il successo che merita. Non vi pare?”
Francesco si alza dal pavimento e si gratta la nuca, imbarazzato. “Non lo so, Alessandra,” dice incerto. “Stiamo parlando di un sacco di tempo e dovremo mentire a tutti.”
“Ma tu non dovrai fare niente,” gli sorride lei. “Penseremo a tutto noi.”
Francesco esita e guarda Vinicio che gli lascia una carezza pesante sul collo. Non ha nessuna voglia di dividerlo con nessuno, neanche per finta, soprattutto ora che stanno ancora imparando a conoscersi e non hanno ben capito se è una follia passeggera o se invece fanno sul serio. Ha un'opportunità reale di scoprirlo e non vuole rovinarla, però non vuole neanche mettere in pericolo la serie.
Alessandra ha ragione, quella della montatura è una buona soluzione – non sono certo i primi ad inventarla – e poi sarà solo per poco. Alla fine annuisce e non è neanche troppo triste quando Alessandra sancisce quel piccolo patto battendo allegramente le mani.


*


Vinicio compose il numero a memoria ma poi non premette il bottone di invio.
Dopo quattro tentativi cominciò a sentirsi un idiota. Non aveva più alcuna decisione da prendere, ormai. Il solo fatto di trovarsi seduto ad un tavolo del Mirabelle rendeva quella telefonata una mera formalità e, se proprio voleva sentirsi in colpa, sapeva perfettamente che avrebbe dovuto farlo quando, uscendo di casa, aveva deciso di recarsi al ristorante e non a teatro. Farsi crescere una morale tirando fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni non lo rendeva meno colpevole.
Compose di nuovo il numero e questa volta lasciò squillare. Lo spettacolo iniziava alle nove, ma Francesco aveva bisogno di isolarsi per una buona mezz'ora prima di salire sul palco, quindi se voleva almeno fargli la cortesia di avvisarlo che non sarebbe stato in prima fila, doveva farlo adesso. Il telefono squillò sei volte prima che riuscisse a sentire la voce affannata di Francesco che, recuperato al volo il cellulare dalla tasca della tracolla, se lo stava probabilmente facendo saltellare tra le mani per evitare di farlo cadere per l'impeto come al solito. Vinicio lo sentì pregare di no, poi sentì un tonfo e infine un fruscio indistinto che si interruppe dopo qualche secondo dopo con un sonoro “Pronto? Vinicio sei ancora lì?”
Rise, riuscendo ad immaginarlo nei minimi particolari, con il telefono premuto con tutta la mano contro l'orecchio per non farlo di nuovo cadere. “Sì, ci sono,” rispose. Poi si ricordò il perché di quella telefonata e smise di sorridere.
“Mi è caduto il telefono per terra, ma non si è rotto stavolta,” cominciò subito a raccontargli Francesco, non appena si fu assicurato che fosse ancora in linea. “Sono un po' nervoso, sai? Ho sbirciato dalle tende e ci sono un sacco di persone in sala. Tu hai trovato il tuo posto?”
“Riguardo a questo,” rispose incerto. “Mi sa che non riesco a venire.”
“Come non riesci a venire?” La voce di Francesco era incredula e delusa. “Pensavo avessi detto di essere libero per le prossime due settimane! Tra mezz'ora c'è la prima dello spettacolo.”
“Lo so, lo so.” Vinicio annuì anche se lui non poteva vederlo. Aveva faticato a trovare una scusa mentre percorreva la strada fino a lì e gliela disse in fretta perché gli bruciava sulla lingua e non sapeva per quanto ancora potesse trattenerla prima di doverla ingoiare per liberarsene. “Mia zia Nora, ti ricordi? La sorella più grande di mia madre. Si è sentita male, ma non vuole chiamare l'ambulanza perché ha paura. Sto andando da lei per portarla in ospedale.”
La bugia era articolata e lo rendeva nervoso, ma la sua voce non tremò perché stava recitando. L'unico vero momento in cui non balbettava proprio per niente era quando fingeva di essere qualcun'altro; forse succedeva perché quando era davvero se stesso, aveva un po' paura di darlo a vedere.
“Oh, mi dispiace,” Francesco era sincero, quando lo disse. Per questo la delusione che gli incrinava la voce fece sentire Vinicio ancora più in colpa.
“Posso venire domani,” si offrì subito, nel tentativo del tutto inutile di contenere i danni. Niente sarebbe mai veramente bastato a fare ammenda per essere mancato il giorno della prima. “Mi faccio cambiare i biglietti domani mattina.”
“Sì, naturalmente,” mormorò Francesco. “Mi fai gli auguri?”
“In bocca al lupo.”
“Crepi,” rispose, poi però fece un grosso sospiro e con quello sembrò buttare fuori tutta la delusione. Era ancora un po' abbacchiato quando tornò a parlare, ma il suo entusiasmo per lo spettacolo non era stato del tutto annientato dalla brutta notizia. “Ora vado, però, perché devo concentrarmi. Ci sentiamo più tardi.”
Vinicio occhieggiò la sala elegante del Mirabelle, con i suoi stucchi alle pareti e le vetrinette pregiate che contenevano i candelabri dorati. Sapeva che sarebbe stato centomila volte meglio essere seduto in prima fila a vedere Francesco, ma non poteva negare le mani che prudevano e lo stomaco che scalpitava all'idea di vedere Alessandra. Era stato così fin da quando era cominciata e non era mai riuscito a liberarsi della sensazione opprimente e tuttavia eccitante che lo prendeva alla gola ogni volta che lei era vicina.
Come l'avesse evocata, lei comparve sulla soglia non appena alzò gli occhi.
Era perfetta, come al solito. Portava un abito firmato color crema che le lasciava scoperte le gambe, con una scollatura generosa ma non troppo, perché quel poco di lei che la gente poteva vedere doveva sempre rientrare nei canoni dell'immagine che rappresentava. Da quell'aria innocente, che indossava né più ne meno come un coprispalle, non si separava mai. D'altronde era quella che le apriva ogni porta e piegava le ginocchia della gente. Vinicio stesso era disposto a sopportare la sua cattiveria solo perché sapeva che, passata quella, c'erano gli atteggiamenti da bambola di porcellana che lo avevano sempre affascinato. Era consapevole di quanto fossero falsi ma ancora si illudeva – anzi dopo tutti quegli anni lo faceva ancora di più – di poterci vedere attraverso senza farsene influenzare. La realtà, come sempre, s'infranse nel momento in cui lei smise di sorridere e appoggiò la minuscola borsetta sul tavolo. “Potrò mai sperare di vederti vestito a modo, una volta ogni tanto?” Esclamò, spostando da sola la sedia e prendendo posto, davanti a lui.
Vinicio si era solo vestito un po' più elegante del solito – aveva messo il completo che avrebbe indossato alla prima teatrale – ma non da gran sera, come invece si era presentata lei. “Non pensavo fosse un'occasione importante,” commentò, mettendo in bocca un pezzo di pane.
“Vinicio, per favore” lo sgridò, chiedendogli con un'occhiata se stava facendo sul serio o meno e poi lo liquidò con un sospiro da madre rassegnata. “Con Francesco hai sistemato?”
“Dovrò trovare il modo di farmi perdonare per aver mancato lo spettacolo,” le fece notare con un tono pieno di astio di cui lei non prese neanche nota da quanto poco le interessava.
“Sono certa che non avrai difficoltà, il sesso riparatore è sempre stato il tuo forte,” commentò, aprendo il menù e passando un'unghia lungo ogni pagina con fare lezioso.
Vinicio non rispose. La cena andò avanti pressapoco così per tutta la sera; fu lei ad ordinare e a parlare. Si intrattenne con un monologo di quasi un'ora durante il quale lui non fece che annuire o negare, più spesso ignorarla suscitando tutto il suo disappunto. Alessandra lo avrebbe voluto più reattivo, più coinvolto. “Potresti smetterla di fingere che stare qui con me non t'interessi?” Gli disse ad un certo punto. “Tesoro, io lo so come sei fatto, che dici? Non c'è nessun bisogno che reciti in questo modo. E' fuori luogo ed è anche poco divertente. Oh! La torta al cioccolato, credo che ne prenderò una fetta.”
Mentre Alessandra gustava il dessert con un mugolio più estatico dell'altro, gli arrivò un messaggio sul telefono. Francesco s'informava sulle condizioni di salute della zia Nora e gli comunicava la buona riuscita dello spettacolo. Ripose nervosamente il telefono in tasca e spinse la tazzina di caffè vuota verso il centro del tavolo. “Vogliamo andare?” Chiese.
“Quanta fretta, Vinicio,” Alessandra sorrise, pulendosi la bocca con il tovagliolo. “Non vuoi neanche sapere che cos'ho fatto in tutto questo tempo che non ci siamo visti?”
“Pensavo che me lo avessi raccontato durante la cena, mentre non ti ascoltavo,” rispose lui.
Alessandra ridacchiò. “Oddio, come sei carino quando cerchi di fare il duro,” cinguettò, altrettanto ironica. Si strinse il tovagliolo al petto con finta commozione e poi lo posò accanto al piattino del dolce con un sospiro. “Comunque sapevo che non mi avresti ascoltato perché, come ti ho già detto, ti conosco molto bene e so che non perdi mai occasione di dimostrare polso quando non serve. Ti racconterò tutto quando saremo a casa. Vado un attimo in bagno, tu chiedi il conto.”
Vincio la seguì con lo sguardo mentre si alzava e attraversava la stanza diretta alla toilette. Avrebbe potuto pagare, alzarsi e sparire. Se si sbrigava faceva ancora in tempo a recupare Francesco fuori dal teatro, inventarsi la ripresa miracolosa della zia Nora e tornarsene a casa con lui. Magari cambiare numero di telefono. Era quello il momento preciso in cui poteva interrompere quella catena, lo sapeva. Era scritto nell'aria a lettere cubitali sopra la sua testa. Se avesse preso il coraggio a due mani, avesse ammesso che Alessandra non gli serviva – non gli servivano i suoi capricci, soprattutto – e che era felice così com'era, poteva chiudere quella storia una volta per tutte. Non era neanche davvero successo qualcosa di male.
La sicurezza di poter lasciare quel tavolo e andarsene durò all'incirca cinque minuti, il tempo che Alessandra ci mise a tornare dal bagno e il cameriere a riportargli la carta di credito e lo scontrino, poi Vinicio scosse la testa e pensò che se in due anni non era riuscito ad allontanarsi da lei, non ci sarebbe riuscito mai più.
Alessandra non ebbe nemmeno bisogno di programmare il resto della serata. Tutto ciò che seguì era frutto di automatismi collaudati secondo i quali la loro relazione si era sempre basata.
Una volta in auto, Vinicio imboccò la strada per casa di Alessandra senza che lei glielo dicesse. Finsero di salutarsi sulla porta, lei lo invitò a prendere un caffè, che sarebbe diventato un bicchiere di vino rosso, che sarebbe diventato un bacio e poi un altro sul divano in salotto. Mentre lei lo invitava, ormai seminuda a seguirla in camera, pensò alla prima volta che era successo. Cambiavano i cuscini e cambiava il tappeto, ma loro evidentemente non cambiavano mai.

*


La montatura funziona. Per usare le parole di un esaltato Sollima di ritorno dal giornalaio con una manciata di riviste patinate, i media se la sono bevuta come acqua dopo una settimana nel deserto. I due presunti fidanzatini si sono fatti fotografare strategicamente in un parco, mano nella mano, e le foto sono arrivate ai giornali mentre Vinicio consolava Francesco, che non si lamenta ma non gradisce.
Cerca di passare con lui quanto più tempo possibile, ma la stampa vive di particolari succosi e loro devono nutrirla; almeno per un primo periodo, quello più caldo, in cui chiunque vuole un pezzetto di loro da poter sbattere in prima pagina. Alessandra rilascia interviste ovunque, tutte accuratamente selezionate e costruite a tavolino. Lei e Sollima ne hanno discusso a lungo e hanno stabilito che cosa raccontare, com'è successo e come vanno le cose. Ufficialmente, Vinicio e Alessandra si sono visti per la prima volta alla prova costumi di lei e, in quell'occasione, non si sono granchè notati. L'amore sarebbe sbocciato sul set, durante una delle tante scene tra Roberta e il Freddo. Vinicio conferma dilgente la versione quando a sua volta viene intervistato, tutto il resto viene da sé, alimentato praticamente dal solo entusiasmo dei loro fan o, per meglio dire, dei fan della Mastronardi che sono un piccolo esercito compatto e devoto che la segue fin dai suoi esordi e che ora scruta Vinicio analizzandolo da ogni angolazione, come fosse pronto a liquidarlo se non lo ritiene all'altezza della loro beniamina.
Vinicio ci mette pochissimo a farsi accettare, forse perché Alessandra sorride radiosa e riesce a farsi brillare perfino gli occhi quando ne parla e si stringe a lui mentre presenziano insieme a qualche evento mondano; forse perché con i suoi silenzi e la sua timidezza, Vinicio riesce a fare breccia anche nei cuori gelosi dei più tenaci fra gli ammiratori della sua finta fidanzata. “Sta andando tutto alla perfezione,” esclama felice Alessandra e la sua gonna fa la ruota quando volteggia su se stessa, ridendo. “Ci compensiamo a vicenda e veniamo bene in foto. La gente ci adora.”
E' sera e sono stati a fare spese in centro, dove chiunque ha potuto fotografarli. Vinicio la segue a qualche passo di distanza, portando le buste per lei. Sorride leggermente, in silenzio, mentre attraversano la strada deserta per arrivare di fronte al portone di casa di Alessandra, oltre la quale la segue.
“Saremmo davvero una bella coppia, non credi?” Continua lei, mentre armeggia con le chiavi e gli fa strada dentro l'appartamento.
Lui mugugna un assenso e appoggia le borse sul divano, dove stazionerà per almeno mezz'ora prima di farsi vedere mentre lascia l'appartamento.
“Vuoi qualcosa da bere mentre aspetti che le truppe nemiche si ritirino?” Gli chiede, da dietro il muretto che separa la cucina dal soggiorno.
Vinicio vede i suoi occhi spuntare tra le felci in vaso e gli viene da ridere. “Sì, dai,” risponde. “Un bicchiere e poi tolgo il disturbo.”
“Tu non disturbi mai,” sorride Alessandra. “Una birra va bene? O preferisci del vino? Devo avere anche qualcosa da mangiare.”
Vinicio curiosa fra le riviste che sono impilate sul tavolino da caffè. “La birra andrà bene, grazie,” risponde, lanciando appena un'occhiata nella sua direzione. Ci sono giornali di gossip, qualche rivista di moda del peso complessivo di quindici chili e qualche giornaletto da donna con mille informazioni sull'ennesima dieta di tendenza. In tutti, però, c'è anche Alessandra.
“Ritaglio gli articoli che parlano di me,” interviene lei all'improvviso, la sua ombra si allunga sulle riviste e lo fa sussultare. “E' un po' da sfigati, lo so.”
Vinicio impiega i soliti secondi per mettere insieme una frase e intanto lei appoggia sul tavolo due sottobicchieri per la birra e una ciotola di patatine e salatini. “Non è così strano voler conservare tutti i riconoscimenti che si ricevono,” risponde, stringendosi nelle spalle.
“Grazie,” dice Alessandra, sedendosi accanto a lui e passandogli l'apribottiglie. “Mi fai sentire meno scema.”
“Francesco ha una registrazione di tutto ciò che ha fatto,” continua Vinicio, stappando le due birre senza rendersi conto dell'attimo solo in cui il sorriso di lei svanisce.
“Oh, davvero,” esclama la ragazza senza alcun interesse, bevendo un sorso prima di tornare a voltarsi verso di lui. “E tu non tieni traccia di niente?”
Vinicio ride. “Ho una buona memoria,” afferma. “E in quanto agli articoli di giornale, non ce n'erano fino a qualche settimana fa.”
“Questo è tutto merito nostro,” dice lei, sollevando la bottiglia di birra. “Propongo un brindisi alla nostra indiscutibile bellezza e al nostro affiatamento di coppia.”
Le bottiglie tintinnano e ne segue un momento di imbrazzante silenzio quando i loro sguardi s'incrociano e la frase assume strani significati. Alessandra china la testa subito dopo, arrossendo leggermente. “Naturalmente intendevo così per scherzo,” si giustifica. Lo guarda di sfuggita e quando si accorge di avere i suoi occhi addosso, continua. “E' che passiamo un sacco di tempo insieme e abbiamo molte cose in comune, quindi è del tutto normale avere una certa alchimia, no?”
“Certo, naturalmente,” annuisce Vinicio che è così in imbarazzo da non fidarsi della propria voce. Alessandra gli sorride, non sa se incoraggiante o timida quanto lui. Ha le guance più rosse del solito e gli occhi grandi e un po' impauriti, ma non nel senso sbagliato del termine. Come se avesse intenzione di fare qualcosa e non fosse certa del risultato. Vinicio scopre che è esattamente così quando lei si fa avanti, sporgendosi verso di lui e posando le proprie labbra sulle sue.
E' un bacio molto imbarazzato e anche molto ridicolo. Lei spinge un po' la bocca contro di lui, ma Vinicio resta immobile, colto di sorpresa e, per la prima e l'ultima volta con Alessandra, consapevole di quello che potrebbe essere e determinato a non farlo accadere. Dopo qualche secondo in quella posizione, entrambi si allontanano di scatto, come si fossero accorti che perdersi nei loro pensieri invece di muoversi subito fosse incredibilmente inappropriato. O forse è lui a scostarsi e lei, per contro, agisce di conseguenza, fingendo di averlo voluto fare solo con quel secondo di ritardo. “Scusa!” Fa subito, diventando ancora più rossa e scuotendo la testa. “Non so cosa mi è preso.”
“Non fa niente,” esclama lui, alzandosi in piedi e cercando freneticamente il cappotto che non si ricorda dove ha appoggiato. “Ma forse adesso è meglio che vada.”
Lei sospira e annuisce, alzandosi a sua volta per accompagnarlo alla porta. “Sì, forse è meglio.”
A ripensarci qualche tempo dopo, quando ormai ha imparato a conoscerla e sa quanto sia brava a fingere, Vinicio si convince che in lei non ci fosse niente di genuino nemmeno quel giorno. La birra, l'invito, quel finto bacio erano tutte piccole prove per tastare il terreno e vedere quando e come lui avrebbe ceduto.
A lui, però, sembra di essersi comportato bene. Per quanto sia lusingato dal tentativo, non si sente attratto da lei, non è neanche minimamente interessato, e quando esce da casa sua è sicuro che non c'è e non ci sarà alcun problema tranne il normale e temporaneo imbarazzo che ci si può aspettare vista la situazione.
Lei invece ha sentito quel brivido sulle sue labbra, quel momento di esitazione che è sfuggito perfino a lui e su quello scommette, nemmeno un mese dopo.
La scena è sempre la stessa, ma lei non arrossisce più. Lo invita a cena per sfuggire ai fotografi che li hanno inseguiti per tutto il pomeriggio. Gli dice di restare solo un paio d'ore, che prepara qualcosa. Un paio d'ore non sono niente. Due ore sono un po' di traffico nel centro di Roma, Franceso capirà.
Il vino rosso è buonissimo e non mangiano quasi niente. Lei all'improvviso ha uno sguardo diverso, molto più maturo. Vinicio, per una volta, riesce a vederci attraverso e, sebbene quello che veda gli piaccia poco, perché non lo conosce e ha tutta l'aria di portare guai, è molto più eccitante del luccichio timido che ci trova di solito. Così quando prova a baciarlo, non fa resistenza.
Non si illude di avere una qualche giustificazione per stare esplorando il corpo di Alessandra, tracciandone i contorni con le dita e affondando il viso nel suo collo e tra i suoi seni. Sa che sta sbagliando ma sceglie consapevolmente di mettere da parte ogni colpa, convinto che rimandarne l'analisi la renderà più semplice. Inspira il profumo fruttato dei suoi capelli e quello più acidulo della sua pelle. Alessandra si stende su di lui, lo accarezza, lo bacia con una voglia che non si perderà mai nel tempo, ma smetterà di essere desiderio per diventare pretesa.
La spoglia con impazienza, strattonando la stoffa della sua gonna e imprecando contro il laccio del reggiseno che non ne vuole sapere di aprirsi mentre lei si preme contro di lui, passa le dita tra i suoi capelli e ride di trionfo più che di felicità, anche se Vinicio con il suo corpo addosso non può capire la differenza tra le due emozioni dietro la sua risata.
I gemiti si fanno più intensi quando le affonda tra le gambe e stringe il suo corpo che s'inarca sul materasso. Alessandra insegue il proprio respiro affannato sulle sue labbra e gli stringe le dita intorno alle spalle, andando incontro alle sue spinte, guidandolo dentro di sé fino a cominciare a tremare.
Vinicio pronuncia il suo nome con incertezza, lo balbetta intestardito ma è grato che le dita di lei si posino lievi sulla sua bocca per fermarlo, seguite da un sorriso.
Tra le coperte sfatte del letto, lei gli accarezza la nuca e se lo culla al seno come un bambino.
Vorrebbe dirle che non ha bisogno di rassicurazioni, ma la verità è che non sa come affrontare la situazione, quindi rimandare ancora un po' gli torna utile e si lascia cullare volentieri dalle sue dita, dal calore del suo abbraccio che ora profuma di entrambi. Quando finalmente si alza per rivestirsi, aspettandosi di doverne parlare, in realtà lei non dice una parola sull'argomento.
Lo bacia e lo abbraccia sulla porta, gli sistema il maglione stropicciato e gli dice anche di stare attento, che fuori è buio; ma a quello che è successo nemmeno accenna e non lo farà mai.
Da quel momento, la storia tra loro non sarà nient'altro che un salutarsi sulla porta senza tenere conto di quello che è stato prima né di quello che sarà dopo, perché tutto ciò che conta è che lui possa tornare indietro quando lei lo vuole, con qualche piega da lisciare forse, ma nessun problema.


*


Francesco era arrabbiato.
Non che avesse gettato delle stoviglie per terra o lo avesse preso a pugni. Non avevano nemmeno litigato; ma era proprio questo il punto. Da quando si era svegliato quella mattina, se ne stava in silenzio sul divano a guardare televendite e vecchi telefilm alla centocinquentesima replica e questo non era un buon segno.
Francesco era sempre allegro e, anche quando qualcosa lo turbava, non era capace di stare in silenzio e finiva per parlarne a ruota libera finché qualcuno non lo fermava e lo aiutava a risolvere qualunque problema sentisse di avere. Il mutismo ostinato nel quale si era rinchiuso e che prevedeva, fra le altre cose, il posare lo sguardo ovunque tranne che su di lui, era indicativo di quanto profondamente fosse arrabbiato. C'era una sola ragione per la quale se ne stava zitto e quella era che Vinicio aveva torto e si aspettava da lui il primo passo e delle scuse, possibilmente anche in un'unica soluzione.
Vinicio lo sbirciò attraverso la porta della cucina e sospirò, ben consapevole di essere responsabile di quel malumore. Si sentiva maledettamente male non solo per l'unica colpa che Francesco potesse davvero attribuirgli – l'aver mancato la prima dello spettacolo – ma anche per tutto il resto. All'improvviso tutte le notti passate con Alessandra nel corso degli ultimi due anni si stavano impilando una sull'altra a formare una torre altissima e, con quella costruzione mostruosa alle spalle, non aveva il coraggio di farsi avanti e confessare per paura che le vibrazioni prodotte da quell'unico passo gliela facessero crollare in testa.
Se raccontargli ogni cosa non era un'opzione, poteva però cercare di farsi perdonare per la mancata presenza in prima fila, così si schiarì la voce e lo raggiunse in salotto.
“Ti va di fare qualcosa, oggi pomeriggio?” Chiese.
Francesco scrollò le spalle senza voltarsi.
“Lo spettacolo inizia alle nove, no?” Insistette, lasciandosi andare sul divano accanto a lui.
“Come al solito.” Francesco gli riservò uno dei suoi sospiri risentiti, che erano volutamente esagerati e segnalavano con grande enfasi la sua indisponenza verso il mondo tutto.
Vinicio non sopportava di vederlo irritato, soprattutto perché Francesco era quello, tra loro due, che riempiva i silenzi e faceva il buffone. Se lui era arrabbiato, la casa piombava in un silenzio imbarazzato dal quale Vinicio non aveva idea di come tirarsi fuori. Qualunque cosa gli uscisse di bocca sembrava sempre costruita e, anche quando così non era, lui comunque non era un tipo particolarmente divertente, uno che avesse sempre la battuta pronta quando serviva e quindi non otteneva quasi mai l'effetto desiderato. Per dire qualcosa che facesse colpo o che fosse anche solo mediatamente appropriato, doveva pensare parecchio e, facendolo troppo, appariva poco spontaneo, il che portava chiunque a reagire peggio di quanto avesse fatto all'inizio.
Francesco avrebbe dovuto saperlo ma, in quel momento, era così arrabbiato che se ne fregava delle attenuanti ed era fermamente convinto che se Vinicio voleva scusarsi, avrebbe ben trovato il modo e le parole per farlo.
Sullo schermo del televisore campeggiava una conduttrice bionda con una coda di capelli posticci e l'abbronzatura arancione e rugosa tipica delle troppe lampade settimanli. Era magrissima, ma la pelle non si era ritirata con il grasso, così mentre il lifting le aveva tirato il viso fino a farla sembrare uno scheletro, dalle braccia le pendevano centimetri di carne flaccida che dondolavano ogni volta che mostrava al suo pubblico come utilizzare il macchinario da palestra scontato che cercava di vendere. Mentre cercava un argomento di cui parlare, Vinicio ne rimase orrendamente ipnotizzato per qualche secondo. Poi, si riscosse, ricordando per quale motivo si trovasse lì. “Potremmo andare al cinema,” propose, con un'ultima occchiata alla giovane vecchia in televisione. “Abbiamo una lista di film da vedere lunga un chilometro.”
Francesco fu travolto dal solito entusiasmo istantaneo ma era deciso a tenere le sue posizioni, così non lo dette a vedere, tranne che per un minuscolo, quasi impercettibile tremito delle labbra che stava faticosamente cercando di non piegare in un sorriso felice.
“Puoi scegliere tu il film,” Vinicio rincarò la dose, perché quel minuscolo segnale di schiarita all'orizzonte non gli era sfuggito. Sacrificare due ore del suo tempo per vedere qualche pellicola mal girata, con una pessima regia ed esplosioni come perno centrale di una trama inesistente era il minimo che potesse fare. Non si avvicinava minimamente alla punizione che si meritava, ma avrebbe fatto felice Francesco e avrebbe aggiunto un sassolino sul piatto della sua felicità sull'ideale bilancia cosmica che, a sua insaputa, pendeva decisamente dall'altro lato.
Sulla lista in questione c'erano titoli di pellicole che Vinicio non avrebbe mai visto se non costretto sotto tortura o, appunto, oppresso dal senso di colpa. Francesco non poteva negarsi quella meravigliosa possibilità, ma non voleva neanche dargliela vinta. “Non lo so,” rispose, cambiando di nuovo canale e osservando due brunette sul pavimento di uno studio televisivo che si tiravano i capelli, cercando di cavarsi gli occhi a vicenda. “Rischio di arrivare tardi alle prove.”
Vinicio guardò l'orologio. “Sono appena le due. Abbiamo un sacco di tempo per fare anche qualche altra cosa,” e colto da un improvviso lampo di genio, gli si si allungò addosso. “Non so se mi spiego.”
Avrebbe voluto essere sensuale, forse, e non lo fu affatto, ma raggiunse ugualmente lo scopo. A Francesco scappò una risatina e si abbassò perfino a lanciargli un'occhiata dall'alto. “Ah no, non credere di cavartela con così poco,” esclamò divertito. “Ti ci vorrà ben più che una prestazione per farti perdonare.”
Vinicio sentì lo stomaco che si contraeva violentemente al sentirlo pronunciare una frase così vera senza averne la minima consapevolezza. “Non so se avremo tempo per fare il bis,” commentò, invece, arrischiandosi a lasciargli un bacio sul collo. Francesco non si spostò.
“Era una prima importante,” fece una smorfia pensosa. “Un bis è sempre troppo poco. Ci vorrà decisamente qualcosa di più impegnativo.”
Incoraggiato dalla tensione che andava sparendo per lasciare il posto ad un clima più rilassato e disponibile, Vinicio si avvicinò, puntellandosi sui cuscini del divano, per infilare una mano sotto la maglietta degli Slipknot che Francesco indossava e continuare a lasciargli piccoli baci pigri sul collo. “Allora ci vorrà ben più di un pomeriggio,” concordò.
“Infatti, pensavo ad un pagamento rateale,” annuì Francesco, cedendo definitivamente ai suoi tentativi di conquista e finendo per sdraiarsi meglio sui cuscini per baciarlo più comodamente. “Diciamo una settimana o due.”
“Una settimana o due?” Vinicio sgranò gli occhi ridendo.
Francesco annuì, mordendogli il labbro inferiore. “A partire da adesso,” specificò. Si strusciò lentamete contro il suo bacino per rendere chiaro e inequivolabile quanto fosse urgente la richiesta.
Vinicio ringhiò, mentre Francesco gli allacciava le braccia al collo e lo tirava a sé per baciarlo più profondamente. “E il cinema?” Chiese con totale disinteresse, mentre cercava a tentoni il telecomando e zittiva il televisore con un gesto ecco.
Francesco si era già tolto le scarpe al volo, lanciandole per aria. “Sta' zitto,” mugolò, iniziando a sbottonargli la camicia con dita ansiose. Vinicio non se lo fece ripetere due volte, incurante delle Nike che ricadevano sul tavolino da caffé fracassando oggetti.

*


La proposta di Alessandra arriva una mattina che lei, Vinicio e Francesco sono in pausa delle riprese e aspettano che Sollima dia loro il via per ricominciare. Hanno ancora indosso i vestiti di scena e Vinicio è perso ad osservare quanto la giacca di pelle sia fuori posto addosso a Francesco quando non interpreta il Libanese. Gli dà un'aria da duro che fa a pugni con il viso disteso e l'espressione assorta che gli illumina il viso non appena mette piede fuori dal set. La cosa è ancora più evidente ora che è intento a scarabocchiare sul marciapiede con un sasso come i bambini.
In questo periodo è un po' triste perché lui e Vinicio non passano molto tempo insieme. I giornalisti inseguono la finta coppia giorno e notte ed è sempre più complicato incontrarsi di nascosto, perché rischiano di far saltare tutta la macchinosa copertura che stanno pordando avanti. Cercano un luogo adatto da settimane, ma non ne hanno ancora trovato uno che vada bene perché, qualunque posto gli venga in mente, dovrebbero arrivarci in momenti diversi, ad orari diversi e con le riprese in corso non hanno grande libertà di movimento.
“Potreste usare casa nostra!” Esclama all'improvviso Alessandra, sollevando lo sguardo dal suo bicchiere di caffé. Sul viso le passa un'onda di entusiasmo tale che le manca soltanto la lampadina accesa sopra la testa ad indicare che ha avuto un'idea geniale. Per casa nostra intende quella che lei e Vinicio condividono da un paio di mesi dietro suggerimento del regista, il quale è rimasto così soddisfatto dai risultati pubblicitari della montatura che ha deciso di sfruttarne a pieno tutta la potenzialità. I giornali scandalistici sono innamorati di Vinicio e Alessandra, che ormai occupano la quasi totalità delle copertine nelle edicole e la convivenza ha dato una poderosa spinta al carretto mediatico che già li trasporta e che trascina anche tutta la serie.
Vinicio non voleva assolutamente trasferirsi, non lo riteneva opportuno ed era genuinamente spaventato. Per come stavano le cose, si sentiva già abbastanza in trappola, diviso fra l'amore per Francesco e il non riuscire a dire di no ad Alessandra, per potersi dare il colpo di grazia con una convivenza che avrebbe aumentato esponenzialmente i torti che invece cercava di recuperare; ma poi i fotografi hanno iniziato ad appostarsi fuori dalla casa di Alessandra molto più a lungo e lui ha dovuto aumentare i tempi di permanenza, finché è stato chiaro che quelli sarebbero rimasti fuori tutta la notte pur di beccarlo e allora entrare ed uscire sempre nel giro di una, due, tre ore senza mai fermarsi per la notte avrebbe iniziato a sembrare sospetto, soprattutto per due che professavano un amore idilliaco da romanzo pre-adolescenziale, con gli occhi che luccicano e le passeggiate nel parco mano nella mano.
Convivere ha facilitato la montatura, ma non il rapporto tra Vinicio e Francesco, e questo è ovviamente il secondo motivo per cui Vinicio non avrebbe mai voluto trasferirsi. Dargli la notizia non è stato facile e lui non l'ha presa bene; per due lunghissimi giorni ha seriamente temuto di perderlo perché Francesco è letteralmente sparito dalla sua vita, rifiutandosi di lasciargli detto dove andava, di rispondere alle sue chiamate o ai suoi messaggi. E' stato Sollima a riportarlo indietro, dopo esserlo andato a recuperare a casa di un amico a Bologna e c'è voluto tutto il miele di Alessandra per convincerlo che si trattava soltanto dell'ennesima situazione temporanea. Di lei Francesco si fida ciecamente e Vinicio rabbrividisce ogni volta che Alessandra gli si accosta per dirgli qualcosa. Preferirebbe che lo lasciasse in pace e non gli fosse così amica perché questo rende ciò che fanno ancora più disgustoso.
Non ha idea di come faccia Francesco a darle così tanta fiducia, ma è probabile che solo lui riesca a vederle addosso la maschera che indossa costantemente e solo perché sa della sua esistenza, avendo avuto modo di guardarci dietro. Il fatto che nonostante questo non riesca ad ignorare il desiderio che lo porta irrimediabilmente a tornare da lei, lo fa sentire ancora peggio quando poi Francesco parla di Alessandra come di una fata scesa dal cielo espressamente per aiutarli.
“Casa nostra?” Chiede, voltandosi verso di lei, molto dubbioso. “Sarebbe più rischioso solo se io e Francesco ci mettessimo a scopare sul red carpet alla presentazione di Romanzo Criminale. E non sono sicuro che in quel caso ci sarebbe la stessa quantità di fotografi che si nasconde nel tuo giardino.”
L'occhiata che Alessandra gli lancia è intrisa di petrolio che s'infiamma e lo polverizza, giusto un attimo prima di tornare mite e dolce per Francesco che ha appena sollevato la testa e li guarda incuriosito.
“Ma no!” dice, con una risatina divertita. “E' il piano perfetto, invece. Che cosa c'è di strano se Francesco ti viene a trovare a casa? Siete amici, no? Fintanto che tirate le tende, potete fare quello che vi pare e nessuno lo saprà mai.”
Francesco sgrana gli occhi, improvvisamente speranzoso. “Lo faresti davvero?” Chiede, incredulo.
“Ma certo!” Cinguetta lei, con un sorriso che le tira in alto gli zigomi mettendo in mostra un chiostra di denti bianchi come perle.
Con il via libera da parte di Alessandra, Francesco si sente autorizzato ad esaltarsi e si accende tutto, come se qualcuno avesse premuto un interruttore. “E' un'idea fantastica!” Esclama e ha tanta smania addosso che è costretto ad alzarsi in piedi per scaricarla. “Ale, sei un genio.”
Che Alessandra sia un genio, Vinicio non lo mette in dubbio, il problema è che si tratta di quel tipo di genio che una volta uscito dalla lampada realizza i desideri degli altri come più fa comodo a lui.
Così all'inizio l'idea di usare la casa come posto sicuro in cui incontrarsi sembra la decisione più saggia che abbiano mai preso da quando quella storia è iniziata, ma più avanti si accorgono che così non è.
Si sono organizzati in modo tale da non dare l'impressione che quello delle visite sia uno schema che si ripete sempre uguale allo stesso modo. A volte Vinicio e Alessandra tornano a casa e lei esce, dando modo a Francesco di arrivare più tardi. A volte è lei che si fa riaccompagnare a casa da Francesco e poi lui sale in casa, rimanendoci anche dopo che lei è uscita di nuovo. Fanno in modo di uscire molto spesso tutti e tre insieme, così che vederli andare e venire da quella casa in un modo o nell'altro sia una cosa normale. E per un po' funziona. I giornali parlano di amicizia, nessuno vocifera sui ragazzi e loro sono abbastanza bravi da non arrischiarsi a destare troppi sospetti. E' frustrante ed è troppo clandestino perché Francesco non si lasci andare alla malinconia più spesso di quanto Vinicio vorrebbe vedergli fare, ma è sempre meglio di niente.
Cerca di stargli vicino e gli ripete che deve sopportare ancora per poco, perché hanno deciso di chiudere la storia alla presentazione della serie e non manca molto. Poi Sollima ha dato loro la possibilità di fare quello che vogliono. Non hanno ancora deciso se lo diranno o meno – la madre di Vinicio è anche più vecchia di quanto non fosse prima e il padre di Francesco ancora gli chiede se per favore gli manda il suo idraulico che a casa sua il water non funziona – ma non ha molta importanza. Vogliono solo potersene stare per conto loro senza dover coinvolgere Alessandra nei loro spostamenti giornalieri.
Dal canto suo lei è sempre disponibile e graziosa, si occupa di Francesco come se fosse il fratello minore e non c'è nessuno che Francesco ascolti più di lei, nemmeno Vinicio. La considera la propria eroina personale, grazie alla quale riesce finalmente a stare con il proprio ragazzo in santa pace, senza sospettare minimamente quello che gli ha nascosto in piena vista dentro quella casa.
Alessandra non lo costringe, naturalmente, non potrebbe nemmeno volendo visto quant'è minuta, ma tanto non ne ha bisogno. Piegare la gente ai suoi desideri è il potere della sua lampada, le basta un sorriso, un'occhiata, a volte basta solo che lo chieda e Vinicio rifiuta più volte, finché non può che accettare.
E' una prassi così collaudata che è arrivato al punto di non stupirsi nemmeno più se dopo averle detto cento volte no, finisce comunque tra le lenzuola con lei, come se combatterla fosse del tutto inutile solo perché quella è la fine più naturale e logica di ogni loro battaglia.
Vinicio non crede di amarla. Quando la penetra e accoglie i suoi gemiti sulla pelle, non sente il trasporto che gli annebbia il cervello come quando è la voce di Francesco a riempirgli le orecchie. Non la guarda negli occhi, non pensa che sia tenera con i capelli scompigliati o le ciglia pesanti di sonno e di sesso; la vuole come si vogliono gli oggetti belli che non hanno alcuna utilità, che non vengono amati per quello che sono ma per l'orgoglio personale di possederli. Questo è un desiderio che non sa controllare e, anche quando succede, lei riesce a convincerlo del contrario. Smette di restare immobile, di chiamarlo dallo scoglio come una sirena in modo che si getti verso di lei di sua spontanea volontà, e allunga le braccia, lo stringe a sé, gli si dona spontaneamente, togliendogli in parte il peso di aver ceduto per primo e allora Vinicio non può più rifiutare.
Alessandra si comporta da ottima amica per più di un mese. Lascia loro la casa libera ogni volta che le è possibile e non dimentica mai di dire una frase allusiva ai due innamorati mentre si mette il cappotto. Non è mai niente di troppo volgare, qualcosa di appena ammiccante, condito da un risolino divertito che fa sorridere Francesco, in genere già abbandonato sul divano senza le scarpe.
Poi, un bel giorno, smette di andarsene quando Francesco è lì. La prima volta è un mal di testa, la seconda delle faccende da sbrigare, finché non dà più nessuna spiegazione e, quando Francesco arriva, quasi salendo le scale a due a due per fare prima, la trova seduta in pigiama sul divano, a guardare pessime telenovelas brasiliane. Vinicio lo guarda con aria di scuse dalla cucina, gli mostra lo spumante che ha comprato per festeggiare i sei mesi e finiscono a berlo in tre, che non è esattamente la stessa cosa. Si dicono che si è trattato dell'ennesimo caso straordinario, ma la cosa si ripete anche nei giorni successivi, finché è chiaro che Alessandra non ha più alcuna voglia di uscire.
Vinicio vorrebbe parlarle, ma è Francesco stesso a chiedergli di non farlo. Si sente molto in colpa all'idea di volerla mandare via per stare con lui quando è chiaro che Alessandra tende a restare con loro perché deve sentirsi molto sola, ora che è costretta a fingere di avere un fidanzato e non può, quindi, cercarsene uno vero. In più le è troppo riconoscente per tutto l'aiuto che ha dato ad entrambi per poter pensare di liberarsene, così finisce per occuparsi di lei come crede lei si sia occupata di lui.
Da un certo momento in poi, la sua missione è quella di farla sorridere, e Alessandra fa di tutto per apparire mogia così che gli sforzi di Francesco appaiano risolutivi e soddisfacenti. Quando Vinicio lo saluta sulla porta con un bacio, vede che Francesco è davvero felice di essere riuscito a tirarla su di morale e gli sale la rabbia. Vorrebbe poterlo scuotere e dirgli di aprire gli occhi, che quella sul divano è un sacco di cose ma di certo non una fatina buona che quando sorride disegna arcobaleni nel cielo, come crede lui; ma sente lo sguardo della fatina perforargli la schiena, perciò lascia perdere e accompagna Francesco fino al portone, quattro piani più giù, solo per avere un minuto da solo con lui.
Quando torna, lei gli sorride benevola dal divano, dove sta guardando un film che Francesco le ha prestato.
Ed è lì che capisce che Alessandra non ha messo le mani solo su di lui, ma che se li è presi entrambi.


*


“Basta, voglio uscire di qui,” disse Alessandra all'improvviso, spegnendo la sigaretta nel posacenere che teneva accanto al comodino. Fumare era contro le regole della sua buona immagine e, come ogni altra cosa che non rientrava negli schemi prestabiliti del proprio personaggio, la faceva solo dietro la porta chiusa del suo appartamento. Vinicio aveva mantenuto lo sgradevole privilegio di assistere in esclusiva ai suoi lati peggiori, quelli che andavano in scena solo per un pubblico ristretto di fortunatissimi.
“Perfetto, me ne vado anch'io,” disse, approfittando del momento per alzarsi dal letto e cercare i suoi pantaloni, lasciati cadere sul pavimento qualche ora prima. Voleva lasciare quella stanza il prima possibile e correre a casa a farsi una doccia, prima che Francesco tornasse dalle prove con i ragazzi dell'orchestra che lui aveva trovato il modo di saltare con l'ennesima scusa pietosa. Sua zia Nora non faceva che sentirsi male, di questi tempi. Alessandra prevedeva che si sarebbe scoperta una gran brutta malattia, prima o poi.
La stanza sapeva di fumo. C'era un odore acre e amarognolo che impregnava le coperte, l'aria e perfino la pelle di Alessandra, che era sempre morbida e liscia ma si era fatta spenta, meno invitante, come se dopo qualche settimana di quel gioco, avesse perso per Vinicio tutta l'attrattiva che aveva avuto all'inizio. Era stanco e voleva andarsene, aveva il bisogno fisico di lasciarsi questa stupida incombenza alle spalle e tornare da Francesco, esattamente come aveva fatto ogni volta che lei lo aveva trascinato fino al suo appartamento.
“No, non hai capito,” specificò Alessandra, dirigendosi verso il bagno senza preoccuparsi di vestirsi. “Voglio che usciamo insieme, io e te. Sono stufa di starmene chiusa qui dentro.”
“Sai che non posso uscire,” replicò lui, sistemandosi la camicia sulle spalle. “Ho detto a Francesco che sono in ospedale.”
Alessandra lo liquidò con un gesto veloce della mano, anche se lui non poteva più vederla. “Chiamalo e digli che tua zia si è ripresa e sei uscito a bere qualcosa con me, allora.”
Vinicio fece una smorfia. “Certo, perché è meno grave se gli do buca per stare con te invece che con mia zia malata,” replicò.
Dal bagno arrivò solo una risatina, lei comparve qualche minuto più tardi con addosso un asciugamano e l'acqua che scorreva nella doccia a farle da sottofondo. “Allora rischierai di farti vedere in giro con me,” concluse, appoggiandosi allo stipite della porta. “O sarò io a chiamarlo e a ricordargli che tua madre non ha nessuna sorella. Sono convinta che vorrebbe saperlo, poverino.”
Uscirono un'ora più tardi, quando Alessandra ebbe avuto modo di indossare nuovamente i panni della fidanzatina di Italia e lui si fu fatto la doccia per togliersi di dosso la cenere, solo per poi essere investito dal profumo di lei che gli si aggrappò ad un braccio non appena misero piede fuori di casa.
Dopo una passeggiata in centro dove ebbe modo di specchiarsi in ogni vetrina e incrociarono due ragazzini che le chiesero l'autografo, Alessandra lo trascinò in un bar del centro, dove pretese di sedersi all'esterno, anche se in un angolo appartato, dietro due vasi che avrebbero dovuto nasconderli un po' alla vista dei passanti ma che, in sostanza, servivano a poco perché erano due piante spelacchiate dal vento.
“Non si sta molto meglio, fuori di casa?” Chiese Alessandra, portando alle labbra la tazza di tè.
In tutta risposta, Vinicio guardò l'orologio con impazienza. “Se hai fatto i tuoi bisogni e la passeggiata è finita, gradirei tornare a casa.”
“Non fare lo stronzo,” lo riprese lei, senza scomporsi. Da brava signorina qual era, la sua voce restò pacata, le labbra si aprirono appena quando spostò la tazza per rispondergli e quando arrivò il cameriere a portarle la sua fetta di torta di mele, gli sorrise amabile come niente fosse successo. “Goditi questo pomeriggio di sole. Roma sta diventando troppo piovosa. Dovrei proprio trasferirmi.”
“Dove? Nel deserto, magari?”
“In America,” rispose lei, raccogliendo un po' di torta con la forchetta. “Non mi dispiacerebbe tentare il grande salto ad Hollywood.”
“Con il tuo inglese? Alessandra, per favore. Io di stronzate ne ho sentite, ma questa...”
“Detto da uno che a s-s-stento p-p-parla la sua lingua, direi che non vale granché come commento,” esclamò lei, con un sorrisino.
Vinicio si tese nervosamente. Non gli piaceva essere preso in giro per il suo difetto di pronuncia, soprattutto quando veniva infilato in mezzo alla discussione solo ed esclusivamente per zittirlo. Difatti avrebbe voluto risponderle ma sapeva che era così nervoso che non gli sarebbe uscito di bocca niente di intero.
Rimase in silenzio mentre lei lasciava pendere la forchettina tra le dita, mangiando oziosamente il suo dolce. Dopo averlo finito, spinse via il piatto per non averlo in mezzo e si appoggiò con i gomiti al tavolo, sbuffando un po'. “Mi sto annoiando,” commentò. “Uscire con te è come stare in casa.”
“Allora torniamoci,” sbottò Vinicio. Erano le sei meno un quarto. Da lì ad un'ora Francesco sarebbe tornato a casa e lui avrebbe dovuto improvvisarsi ninja se voleva entrare senza farsi sentire e infilarsi in doccia prima che lui gli annusasse addosso Alessandra. L'ultima volta che era successo, la prima parte era stata piuttosto facile, il difficile era venuto dopo, quando si era avvicinato pulito e profumato a Francesco che si stava assordando con i videogiochi e lui, colto di sorpresa, lo aveva aggreddito prendendolo per un ladro.
Alessandra sembrò avere altro in mente, perché si sporse sul tavolo, mettendosi in ginocchio sulla sedia. Vinicio se la ritrovò a tanto così dal naso. “Forse dovrei movimentare le cose,” sorrise. “A casa ci riesco sempre.”
Vinicio si guardò intorno con circospezione. C'erano un paio di tavoli a non più di un metro di distanza, con gente seduta che per il momento parlava animatamente per conto suo senza prestare loro attenzione. Alessandra si dondolò sui gomiti, invadendo il suo spazio e lui non poteva tirarsi indietro più di così perché i tristi vasi di piante spampanate glielo impedivano. “Alessandra, che diavolo stai facendo?” Sussurrò, guardandola un secondo prima di tornare a scrutare gli altri avventori.
“A te che cosa sembra?” Ridacchiò lei. “Sei abbastanza grande per saperlo.”
Alessandra premette le labbra contro le sue e allungò delicatamente una mano ad accarezzargli la guancia perché non allontanasse la testa. Vinicio colto di sorpresa le lasciò approfondire quel bacio, con gli occhi un po' sgranati, prima di ritrovare il cervello e scostarsi. “Siamo in pubblico!” Le ricordò, sconvolto.
Lei si tirò indietro, tornando a sedersi con una scrollata di spalle. “Hmn, allora immagino che dovrei dire: ops, speriamo che non ci abbiano visti!” Esclamò, portando una mano alla bocca e ridendo dietro lo schermo delle sue dita.
Un fotografo in effetti c'era e, per quanto Vinicio non ebbe mai modo di provarlo, nessuno poté togliergli dalla testa che fosse stata proprio lei a chiamarlo, per qualche motivo che gli sfuggiva e che di certo rientrava nei suoi meccanismi mentali malati.
La fotografia fu ceduta in esclusiva a Chi, in tempo per il numero di quella settimana. Francesco la notò per caso, mentre era in edicola a comprare tutt'altro, naturalmente. Stava aspettando il resto quando i riccioli di Vinicio avevano attirato la sua attenzione da dietro un rivista di auto, appoggiata lì per sbaglio da un uomo accanto a lui. Non gli capitava spesso di avere quel colpo d'occhio, quindi forse era stato un caso – più che l'amore – a fargli riconoscere Vinicio dall'attaccatura dei capelli. Prima ancora di chiedere permesso all'altro cliente che attendeva il suo turno ed estrarre una copia della rivista, Francesco fu attraversato da un brivido, foriero della brutta sensazione che gli artigliò lo stomaco e lì rimase, non confermata, finché non ebbe visto la copertina. Per qualche motivo sapeva con certezza che non c'era lui con Vinicio là sopra. Non perché non li fotografassero insieme – c'era stato un periodo, dopo il coming out, in cui non li lasciavano in pace un secondo – ma le acque si erano calmate e non avevano più i paparazzi alle calcagna anche quando andavano al supermercato a prendere la carta igienica, e nelle ultime settimane non erano andati a nessun evento insieme, tanto da giustificare un servizio fotografico. Mentre estraeva la copia dalla rastrelliera, sperò intensamente di non avere la minima capacità di riconoscere nessuno da un dettaglio così insignificante come i capelli. In fondo non riconosceva metà dei suoi amici d'infanzia se anche solo cambiavano la montatura degli occhiali, quindi quei riccioli potevano appartenere a chiunque, magari gli sembrava di averli già visti solo perché erano di qualcuno che conosceva molto bene e il fatto che gli fosse venuto subito in mente Vinicio era perché Vinicio era sempre il suo primo pensiero in ogni occasione.
Quando li vide baciarsi in copertina, il suo cuore riuscì a spezzarsi in due punti diversi.

*


L'incubo di Vinicio finisce com'è iniziato, assolutamente per caso e all'improvviso.
Si è ormai abituato al tira e molla di Alessandra e, sebbene non vada fiero della situazione, il suo pretendere la sua presenza in qualsiasi momento della giornata senza preavviso rientra ormai nella routine della propria esistenza. Fortunatamente, Francesco ha già da fare con le prove di uno spettacolo teatrale che andrà in scena fra qualche settimana, proprio quando loro inizieranno a girare la seconda serie di Romanzo Criminale, così non deve chiamarlo e mentirgli sul perché oggi non possa farlo venire lì a casa. L'appartamento che divide con Alessandra si trova in una bella palazzina color crema, all'interno di un complesso con il portiere, il quale lo saluta con un cenno della mano, non appena varca di fretta il cancello.
Vinicio risponde al saluto, ma non si ferma a chiacchiera con lui, perché non ha nessuna voglia di perdere mezz'ora a discutere di politica, di calcio e di donne con un uomo di destra, che tifa la lazio e... non ha idea che, per quanto ammiri il genere femminile, al momento i suoi desideri si trovano altrove. In più quell'uomo non è il massimo della simpatia ed è così abituato a soccombere sotto il flusso di parole che sua moglie riesce a pronunciare in pochi secondi, che cerca sempre di sfogarsi con Vinicio, il quale non riesce mai a trovare in tempo tutte le parole per parlare durante le sue pause, e così finisce che Vinicio sta sempre in silenzio, mentre il portiere dice cose che non stanno né in cielo né in terra e che, per altro nemmeno gli interessano. Stavolta lo supera quasi correndo. Getta un saluto vago con la mano e afferra la posta che quello gli porge, infilandosi subito nel portone e poi nell'ascensore con un sospiro di sollievo. Gli viene quasi dal ridere al pensiero che, in quel momento, Alessandra è un'alternativa auspicabile in confronto all'uomo.
Lei è seduta al tavolo della cucina e si sta dipingendo le unghie di un rosa pallido, appena un po' più scuro del colore naturale delle sue dita. “Sei arrivato, dov'eri?” Chiede, quando sente la porta aprirsi.
Lui non le risponde. “Che cosa vuoi? Dal messaggio sembrava che stessi morendo.”
“Dalla voglia di vederti, magari.” Sorride, quindi sta mentendo.
Vinicio questa cosa l'ha capita in ritardo. Alessandra finge tutto ciò che può nascondere dietro le labbra tirate. “Che cosa vuoi?” Ripete.
“Devo dirti una cosa,” fa lei, soffiandosi sulle unghie ancora umide e allontanando la mano per ammirare il proprio lavoro. “Ma non ho molto tempo.”
“Non potevi farlo per telefono?”
Lei si volta e gli lancia un'occhiata pietosa e intenerita insieme. “Ma che cosa orrenda! Sarebbe stato insensibile da parte mia,” esclama, scuotendo lentamente la testa.
Vinicio non capisce. Aggrotta le sopracciglia e la osserva sospettoso. La sensibilità non è uno dei suoi tratti distintivi, non con lui, almeno. “Che cosa succede?”
Il sorriso di Alessandra si allarga ulteriormente. Tutto il suo viso si ditende e gli occhi le si illuminano di qualcosa che Vinicio non sa ben distinguere. Potrebbe essere affetto, come gioia. Di sicuro è qualcosa che fa piacere a lei ma no ne farà altrettanto a lui. “Mi sono fidanzata,” annuncia. Fa una piccola pausa, forse aspettandosi dei complimenti, chissà, è folle abbastanza per averlo pensato ma, non ricevendone, si fa stizzita e composta. “Io e Marco partiamo per Capri questo fine settimana.”
Vinicio la guarda incredulo. In quel momento l'idea di essere finalmente libero dalla sua persona non lo sfiora nemmeno. La brutalità con la quale lo sta scaricando è così improvvisa che non sa nemmeno come reagire; forse dovrebbe saltare di gioia, sarebbe sicuramente più dignitoso che non infastidirsi per la notizia. “Marco?” Chiede, mentre il suo cervello elabora le informazioni di cui è a disposizione. “Marco Foschi? L'attore con cui stai recitando.”
Lei si sta mettendo il mascara, smette soltanto per sollevare la testa e guardarlo ammirata. “Oh, lo conosci? Sì, è lui, comunque. Non è fantastico?”
“Fantastico?” Sbotta Vinicio. “Che cosa fai, la collezione? Ne cambi uno ogni set?”
Lei s'infastidisce subito quando alza la voce. “Non gridare, non ce n'è nessun bisogno,” commenta. “E comunque quello che faccio, non sono affari tuoi.”
“Lo sono fintanto che abito qui.”
“A tal proposito,” esclama lei, in tono molto più leggero. “Vorrei che tu approfittassi della mia assenza per liberare questa casa dalla tua roba.”
Vinicio è ben oltre l'incredulità. La donna che ha davanti ha superato più di un limite nel corso dell'ultimo anno ma non aveva raggiunto un livello di pazzia tale come quello a cui è arrivata in questo momento. Non sa nemmeno bene che cosa dirle, e non è per via della balbuzie che apre e chiude la bocca senza che ne esca alcun suono. “Sei assurda,” mormora alla fine, scuotendo la testa. “A questo punto non so neanche se non ti rendi conto di quello che fai o se sei così stronza da fregartene.”
Lei sospira, finendo di truccarsi. “Il tuo astio è molto lusinghiero,” commenta. “Significa che deve bruciarti molto la fine di questa relazione, ma sono cose che succedono. E poi comunque è sempre stata falsa fin dall'inizio. Non sei contento? Potrai stare con Francesco quanto e come ti pare!”
Di fronte al sorriso di plastica che gli rivolge, Vinicio scuote la testa e allarga le braccia, rinunciando a capirla o a trovare un senso, anche vago, alle sue azioni.
Lei, intanto, sembra ricordarsi di avere un'altra cosa da comunicargli. “Ah! Ho parlato con Stefano,” aggiunge, fermandosi sulla porta di casa. “Dice che per lui non ci sono problemi. La seconda serie del telefilm non ha bisogno di essere trascinata dal gossip. E poi, a quanto pare, il Freddo si consolerà molto presto della perdita di Roberta, quindi al massimo ci inventeremo qualcos'altro.”
“Tu sei pazza,” conclude Vinicio, sconvolto, guardandola con gli occhi vacui.
Alessandra non rimane turbata da quell'affermazione. La liquida come frutto della rabbia di essere stato scaricato, esattamente come tutto il resto. Stringe la piccola borsetta rettangolare che ha scelto per il pomeriggio e che riprende i colori del suo vistitino corto di lana grigia. “Pensala come vuoi, se questo può consolarti e farti superare meglio la crisi, caro, per me non ci sono problemi,” esclama comprensiva. Poi lo saluta, agitando le chiavi della macchina. “Non dimenticarti di portare via la tua roba, però.”
Vinicio lascia lì quasi tutto, l'unica cosa che gli preme di portare finalmente via con sé da quell'appartamento è la sua vita.


*


Francesco non aveva mai fatto una scenata a nessuno. Tutte le sue relazioni passate non avevano richiesto niente del genere ed erano finite per esaurimento naturale di qualsiasi sentimento le avesse fatte iniziare. Stavolta però era diverso. Quella con Vinicio non era una storia qualsiasi, era importante e non si stava sfaldando un pezzo alla volta, si era spezzata in due all'improvviso come se la foto avesse aperto una voragine immensa e senza fondo proprio sotto ai suoi piedi. Francesco aveva la sensazione di ondeggiare pericolosamente sul bordo, col rischio di caderci dentro e rimanere là in fondo per sempre.
Aveva comprato il giornale, ma non aveva avuto il coraggio di aprirlo.
Per giustificare la sua rabbia bastava la foto di copertina, bastava quel bacio scambiato al tavolino di un bar. La foto era scattata da lontano e un po' sgranata, ma era sufficiente a far capire quello che stava succedendo. Si era sempre chiesto con grande stupore – e un sacco di riconoscenza al responsabile, chiunque fosse – come fosse possibile che lui e Francesco andassero così tanto d'accordo e che non ci fosse mai stata tra loro nessuna grossa incomprensione. In fondo non erano molte le coppie dello spettacolo che resistevano a lungo come stavano facendo loro, e la cosa lo aveva sempre riempito di orgoglio, come fossero riusciti ad ottenere qualcosa di speciale che nessun altro aveva.
Adesso capiva che tutta quella gratitutine e quella soddisfazione personale erano solo nella sua testa, dal momento che Vinicio passava i pomeriggi in centro a fare il fidanzatino con Alessandra. Il nome di lei gli strinse lo stomaco, per certi versi il suo tradimento era anche peggiore di quello di Vinicio. Si fidava di lei e le voleva bene, e anche se per un lungo periodo non si erano sentiti, le era sempre stato grato per quello che aveva fatto per lui e Vinicio. Quando era ricomparsa nella loro vita, era stato molto felice. Gli era sembrato di poter tornare un po' indietro nel tempo a quando uscivano loro tre – anche se in effetti non lo avevano più fatto, stavolta – ed era stato perfino felice di trovarla così rilassata e serena. Adesso capiva perché.
La porta di casa lo distolse dai suoi pensieri e lo costrinse ad affrontare la situazione. Non aveva ancora deciso cosa fare, né se fosse pronto a troncare quella relazione. Ora che aveva visto le fotografie, voleva solo sentire la confessione dalle labbra di Vinicio. Al resto avrebbe pensato dopo.
“Francesco? Sono a casa!” Lo chiamò la voce di Vinicio, seguita dal tintinniò delle chiavi che finivano nello svuotatasche all'entrata del'appartamento.
Lui non rispose. Continuò a farsi chiamare e lasciò che lo trovasse seduto sulla poltrona, con una gamba di traverso sull'altra e lo sguardo perso nel vuoto.
“Ah! Ci sei,” Vinicio sorrise. “Perché non rispondevi?”
Francesco voltò lentamente lo sguardo verso di lui, quindi aprì il giornale arrotolato che teneva in mano e lo appoggiò delicatamente sul tavolino da caffé, spingendolo con due dita verso di lui. Osservò senza battere ciglio il suo viso che perdeva colore, confermando almeno che quello non era un fotomontaggio. Vinicio alzò gli occhi su di lui, ma non aprì bocca e Francesco aspettò per minuti interi che trovasse il coraggio di dare una giustificazione a ciò che stavano guardando. “Dimmi almeno che non è come penso e che puoi spiegare,” commentò acidamente.
Vinicio sospirò. “Sarebbe una bugia,” disse.
Francesco si morse un labbro e strinse i pugni, faticando a trattenere la rabbia. “Quante me ne hai già raccontate, esattamente?” Chiese, serrando la mascella.
Vinicio realizzò l'enormità di ciò che sarebbe avvenuto da lì a qualche istante. Non che non avesse già immaginato più volte quello che sarebbe successo se Francesco fosse venuto a saperlo ma, adesso che era reale, capiva che non si era nemmeno lontanamente avvicinato all'idea del panico che stava provando adesso all'idea di perderlo e di non avere alcun modo di impedirlo. Non poteva negare quel bacio e sapeva che nel momento in cui avrebbe aperto bocca per spiegare quello, gli altri sarebbero saltati fuori di conseguenza perché se li teneva dentro troppo a lungo perché non smaniassero di uscire. Voleva togliersi quel peso e voleva smettere di mentirgli, ma così facendo gli avrebbe dato un motivo per andarsene. Si aggrappò agli ultimi istanti in cui stavano ancora insieme con tutte e dieci le dita sperando, così, di trattenerli un po' più a lungo mentre si sedeva sul divano, non troppo distante da lui.
Gli raccontò tutta la storia dall'inizio, senza tralasciare niente. Gli disse come si era sviluppata la storia fra lui e Alessandra e la cosa disgustosa che era diventata alla fine. Gli parlò di come si sentisse in trappola pur non cercando nessuna giustificazione a quel comportamento e gli assicurò che in tutto quel tempo non aveva mai smesso di amarlo e che era anche per questo che non aveva mai trovato il coraggio di dirgli niente. Se si fosse azzardato a farlo, lo avrebbe perso e non voleva. Per essere completamente onesto, gli disse anche che quel bacio non era voluto più di quanto non lo fossero le ultime volte che aveva risposto alle chiamate di Alessandra, ma ovviamente questa confessione non aveva alcuna importanza a fronte di più di un anno di tradimenti e di prese in giro. Durante tutto il racconto, Francesco rimase in silenzio, senza fare una domanda e piantandogli addosso due occhi così scuri da non vederci dentro.
Quando Vinicio ebbe finito di raccontargli proprio tutto, comprese le scuse che si era inventato per vederla, dele quali zia Nora era senza dubbio la più longeva e la più articolata, Francesco si alzò in piedi e si mise a vagare per la stanza inquieto e nervoso.
“Di' qualcosa, ti prego,” mormorò Vinicio, ad un certo punto, quando non potè più sopportare di seguirlo con lo sguardo.
“Che cosa ti dovrei dire?” Sbottò Francesco, fermandosi e guardandolo incredulo come lui doveva aver guardato Alessandra. E, in fondo, era un po' la stessa cosa. Lui si era svegliato una mattina e aveva scoperto che lei non aveva più bisogno di lui. Francesco aveva appena saputo che tutto ciò che sapeva di lui era una menzogna. Capiva perfettamente quanto potesse essere a corto di cose da dire. “Questa cosa va avanti da più di un anno. Non c'è niente che io possa dire che renderebbe abbastanza l'idea di quanto sono incazzato con te, Vinicio! Non ci si avvicina nemmeno!”
Vinciio rimase in silenzio, sentendo nella sua voce la voglia di riversargli addosso una rabbia che aveva trovato via libera con le prime parole. Chinò il capo mentre Francesco si fermava di nuovo e stringeva i pugni, come se fosse pronto a picchiare qualcuno o qualcosa ma si trattenesse dal farlo. “E non un anno qualsiasi, un anno come un altro in cui, volendo, non abbiamo fatto un cazzo,” proseguì. “Siamo andati a vivere insieme, lo abbiamo detto a chiunque... lo abbiamo detto a tua madre! Vinicio! A tua madre che ha quasi avuto un mezzo infarto prima di accettare che fossimo una coppia e tu in tutto questo tempo ti scopavi Alessandra?”
“No,” si affrettò subito a dire lui e seppe che era una pessima idea nel momento in cui aprì bocca, ma ormai lo aveva fatto e non si fermò in tempo. “Quando siamo usciti allo scoperto, io non la stavo vedendo.”
“Ah, questo cambia tutto!” Gli abbaiò contro Francesco. “C'eri stato prima e ci sei tornato dopo, ma in quel preciso momento, quando tua madre si è accasciata sul divano e abbiamo dovuto correre all'ospedale, la tua coscienza era candida come la neve! Posso considerarmi fortunato se stavo cercando di costruire qualcosa con te proprio nel breve periodo in cui non mi stavi mettendo le corna! Grazie! Vuoi anche l'inchino?”
Vinicio non può dire niente, perciò sta zitto per evitare di peggiorare le cose. Vorrebbe cercare di spiegargli come si sente ma è consapevole che ha torto su tutta la linea e che, anche se Francesco fosse disposto a starlo a sentire, probabilmente non lo perdonerebbe. Vinicio non lo farebbe, al posto suo.
“Sai cos'è che fa più male, Vinicio?” Mormorò all'improvviso, mentre il suo sguardo si faceva più triste e il suo perdeva la durezza che aveva avuto fino ad un secondo prima. “Che siete stati voi due, insieme, a trattarmi da cretino. Voi due! Tra tutte le persone possibili.”
“Lei non è mai stata quello che credi, Francesco,” sospirò lui e sollevò le mani quando lo vide sgranare di nuovo gli occhi, pronto a riversargli addosso altra bile. “E lo so che questo non mi giustifica affatto! Ma ritengo che se vuoi sapere tutta la verità, allora devi sapere anche questo. Non ha mai fatto niente per te che non fosse progettato per avere qualcosa in cambio per se stessa.”
Francesco sembrò assimilare la notizia. Annuì e abbassò il capo. “Perché non me lo hai detto subito allora? Perché hai lasciato che mi mentisse anche lei, se lo sapevi?” Chiese.
Vinicio ci mise troppo tempo a trovare una risposta, anche considerato quello extra che gli si poteva concedere e Francesco si rispose da solo. Sollevò le mani e arricciò un po' il naso, forse per impedirsi di piangere perché, in barba a tutto quello che forse non ci si aspettava da un ragazzo, lui aveva proprio una gran voglia di farlo. “Che bisogno avevi di continuare a stare con me?” Chiese all'improvviso. “Non potevamo troncare e basta, quando ancora non avrebbe fatto male?”
Lo stomaco di Vinicio si annodò così stretto da dargli l'impressione che non si sarebbe sciolto mai più. “Io non volevo affatto troncare,” mormorò. E non voleva farlo nemmeno in quel momento, ma non poteva dirglielo. Non aveva nessun diritto di volere niente.
“Volevi stare con entrambi?”
“Volevo stare con te,” insiste Vinicio.
“Avresti dovuto mollare lei, allora,” espirò Francesco.
“E lei ti avrebbe detto quello che era successo, tu ti saresti giustamente arrabbiato e sarebbe comunque finita. Ho tentato di–“
“Di fare cosa?” Gridò Francesco. “Come potevi pensare che continuare ad andare con lei potesse essere meglio che dirmelo subito? Forse avrei capito, forse no! Ma di certo sarebbe stato più onesto che continuare a mentirmi per un anno intero!” Francesco scosse la testa e poi si avviò a grandi passi verso la porta, afferrando il cappotto al volo. “Io devo uscire. Non posso più stare qui dentro. Ho bisogno d'aria.”
Vinicio provò a fermarlo, ma lo fece debolmente perché in realtà aveva bisogno di aria anche lui.
Ascoltò la porta che si chiudeva con un tonfo e buttò a terra tutto ciò che trovò sul tavolino di fronte a sé, ma neanche il rumore di quello che si rompeva cadendo sul pavimento lo aiutò a sfogare la rabbia. Forse non ci sarebbe riuscito neanche se avesse distrutto l'intero servizio di piatti in cucina.
Se e quando Francesco avesse di nuovo varcato quella soglia, lo avrebbe fatto per recuperare le sue cose e andarsene e stavolta non sarebbe stata una liberazione per nessuno dei due.

*


Francesco aprì lentamente, lasciando scivolare la porta sui cardini completamente e osservando il salotto prima di decidersi ad entrare. La casa era buia e la luce dei lampioni in strada filtrava a stento attraverso le tende, colorando le ombre di striature più chiare. Osservò sospirando i cocci rotti sul pavimento della cucina e intorno al divano, quindi chiuse la porta e rimise a posto il cappotto con attenzione. Dalla camera non proveniva alcun rumore.
Si diresse piano da quella parte e aprì la porta con altrettanta cura. Vinicio era crollato sul letto ancora vestito e russava piano, con il viso rivolto verso la finestra.
Francesco si tolse le scarpe e salì sul letto, facendo piano. Il materasso quasi non si mosse, ma bastò il minimo movimento perché Vinicio aprisse gli occhi di scatto. Era quello che accadeva sempre quando tornava a casa troppo tardi e Vinicio stava già dormendo. Non avrebbe mai potuto infilarsi sotto le coperte senza svegliarlo.
“Sei tornato,” momorò lui.
Francesco annuì, serio e triste insieme, sedendosi con le spalle contro la testiera. Vinicio lo imitò, giocando nervosamente con le proprie dita. “Mi dispiace,” disse soltanto, sollevandogli gli occhi addosso. “Mi dispiace davvero tanto.”
Francesco aveva girato a piedi mezza Roma senza renderesene conto. Era uscito dal palazzo e si era messo a correre furiosamente, finché non gli era mancato il fiato e allora si era guardato intorno senza rendersi esattamente conto di dove si trovava e aveva iniziato a passeggiare, nella speranza di riconoscere una via. Non aveva voglia di parlare con nessuno, neanche per chiedere informazioni e comunque era certo che Roma, prima o poi, si sarebbe fatta riconoscere. Così aveva continuato a camminare. Era arrivato fino in periferia prima di riuscire ad orientarsi e scoprire che era dalla parte opposta di casa sua.
Quando si era reso conto che casa sua era il modo in cui definiva l'appartamento suo e di Vinicio, aveva preso una decisione.
“Aldilà di quello che mi hai detto, c'è altro che devo sapere?” Chiese interrompendo il silenzio corposo che era andato di nuovo posandosi su ogni cosa dopo che Vinicio aveva parlato.
“No,” lui scosse la testa. “Non c'è nient'altro.”
Francesco si prese un po' di tempo per raccogliere le idee. Per la strada gli era sembrato di sapere esattamente che cosa doveva dire ma era molto più difficile farlo con Vinicio davanti. “Non posso dire di poterti perdonare,” esclamò alla fine. “Non posso farlo perché, per perdonarti, dovrei dire che quello che è successo non m'importa più ma non sono sicuro che possa davvero arrivare un giorno in cui l'idea che tu mi abbia tradito per un anno non farà più male.”
Vinicio sospirò, si preparava a quel momento da ore ma evidentemente immaginare come sarebbe stato non era servito a molto perché era di gran lunga peggio di come se lo aspettava. “Fra', io...”
“Però posso ignorare questa cosa,” continuò Francesco, impedendogli di continuare e quando Vincio sollevò lo sguardo sorpreso, sospirò. “Posso sforzarmi di metterla da parte e concentrarmi solo sulle cose belle di te. Non ti perdonerò mai, ma posso andare avanti. So che posso farlo e so che ignorerei anche di peggio perché oggi sono uscito da questa casa furioso ma fra tutte le cose che ho fatto non sono riuscito ad immaginare come sarebbe stata la mia vita senza di te. Perciò non ti perdono, ma voglio che restiamo insieme.”
Vinicio non ci credeva. Forse non si era veramente svegliato e stava soltanto immaginando quel momento come avrebbe voluto che si svolgesse, una sorta di sogno consolatorio. Quando si sarebbe svegliato, domani mattina, avrebbe trovato la casa vuota e un biglietto con un indirizzo nuovo a cui spedire tutte le cose di Francesco che erano rimaste là dentro.
“Dici sul serio?” Mormorò.
Francesco annuì, serissimo. “Questo non significa che tornerà subito tutto come prima,” spiegò Francesco. “Dovrai guadagnarti di nuovo la mia fiducia perché per il momento non ce l'hai.”
Vinicio annuì a sua volta, dapprima lentamente e poi un po' più veloce, quasi freneticamente.
“Voglio la verità, da qui in avanti,” continuò Francesco. “Sempre. Anche per le cose più stupide, anche se ti dovessi chiedere di che colore sono i tuoi calzini in un determinato momento. Un'altra balla, una soltanto, e sono fuori di qui.”
“Promesso.”
Francesco gli posò la mano sulla bocca. “Non promettere, fallo e basta.”

*


Alessandra era sparita nel nulla dopo che le foto erano state pubblicate. Francesco aveva preteso che Vinicio la chiamasse per troncare definitivamente ma, lui presente, non era stato possibile contattarla in nessun modo e non era nemmeno a casa sua. Avevano dovuto lasciar perdere.
Nelle settimanse seguenti le cose fra loro erano state strane, anche se non nel senso negativo del termine. Francesco si teneva a distanza di sicurezza e Vinicio rispettava i suoi spazi. Non erano stati così poco appiccicosi nemmeno le prime volte, ma comprendeva che aveva paura di riportare la storia ad un livello che somigliasse anche solo vagamente a quello di prima, perciò si era adattato ad andare con molta calma, con tanta calma che quando Francesco si stufò delle coccole e gli saltò addosso, una sera che sul divano guardavano un film di una bruttezza spaventosa, Vinicio fu sinceramente colto di sorpresa.
Francesco pensava di aver aspettato anche troppo, o forse non voleva aspettare oltre in ogni caso, perciò ripescò le vecchie abitudini del loro recente passato e lo liberò dal maglione di lanaccia che indossava, accarezzandogli il petto con le mani ben aperte. Vinicio farfugliò qualcosa di incomprensibile e gli toccò zittirlo con un lungo bacio umido per evitare che s'inceppasse, quindi chiarì qualunque dubbio potesse avere sull'argomento, salendogli a cavalcioni e portandosi le sue mani alla cintura per farsi togliere i pantaloni.
Finirono di spogliarsi freneticamente e Vinicio si riprese dalla sorpresa piuttosto in fretta, stringendogli forte i fianchi per guidarlo su di sé.
Francesco si aggrappò alle sue spalle, gettando indietro la testa e serrando forte gli occhi mentre lo chiamava per nome e si riabituava alla sensazione di averlo dentro. Una spinta dopo l'altra, mentre Vinicio gli nascondeva il viso nel collo, annusando il profumo della sua pelle e Francesco calava definitivamente la guardia, affondando le dita nella sua pelle e stringendosi intorno a lui nell'assecondare i suoi movimenti, tutti i loro pezzi tornarono a posto, un po' sbreccati forse, ma abbastanza integri da formare nuovamente il quadro completo.
Vincio insinuò una mano tra i loro corpi, lo accarezzò con forza, strappandogli un grugnito soddisfatto qualche lungo attimo prima di sentirlo serrare i muscoli e sciogliersi dentro di lui come lui si stava sciogliendo tra le sue braccia, nella maniera più eclatante per la prima volta da un sacco di tempo.
Ansimanti, stanchi e ridendo come due scemi, si trascinarono in camera, con la forza di disfare il letto solo per la voglia di raggomitolarsi insieme tra le coperte.
Quasi dodici ore di sonno dopo, il campanello suonò continuativamente per venti secondi netti e Vinicio, nel sonno, si convinse che qualcuno ci fosse rimasto attaccato. L'idea che ci fosse una persona fulminata di fronte alla pulsantiera del palazzo, comunque, non lo scompose più di tanto. Lanciò un'occhiata sonnolenta a Francesco, il quale dormiva beato, forse cullato dal silenzio che si formava nella sua testa ogni volta che crollava addormentato di botto come aveva fatto dopo il secondo round, con buona pace delle coccole post-coito che a Vinicio piacevano anche ma che non riusciva quasi mai ad avere senza prima dover svegliare l'orso caduto in letargo. Se solo i preliminari – sui quali probabilmente Francesco avrebbe fondato ben presto una religione monoteista – fossero stati altrettanto evitabili, il loro equilibrio sessuale di coppia avrebbe rasentato la perfezione. Si buttò fisicamente giù dal letto, infilò il primo paio di pantaloni che si trovò sotto mano e si ritrovò a trascinarsi per il salotto tenendoli su per l'elastico, visto che Francesco vestiva due taglie sopra di lui. Premette il pulsante del citofono e chiese biacicando chi fosse e se, per caso, stesse andando a fuoco, ma dall'altra parte nessuno rispose. Ci mise qualche secondo a comprendere che chi bussava sul legno lo stava facendo dall'altra parte della porta.
Quando aprì e si ritrovò davanti Alessandra, che vestita di tutto punto brillava di luce propria in mezzo alle scale, si svegliò di colpo e s'infuriò l'istante successivo. “Cosa ci fai qui? Chi ti ha fatto entrare?”
“Il portiere era girato dall'altra parte,” si giustificò lei, stringendosi nelle spalle con un sorriso radioso. “Dovresti proprio farci una chiacchieratina. Se sono passata io, poteva farlo chiunque e di questi tempi non si sa mai.”
“Permettimi di dubitarne,” rispose Vinicio. “La tua abilità nel fare fessa la gente è piuttosto sviluppata. Che cosa vuoi da me?”
Lei sospirò, come se ignorare il tono ironico fosse un piacere che gli stava facendo. “Non mi fai entrare prima? Ho fatto tre piani di scale a piedi perché l'ascensore non funziona.”
“No,” rispose tranquillamente lui. “E ora, o mi dici che cosa sei venuta a fare e poi torni nell'antro demoniaco che ti ha generata, oppure ti prendi la porta in faccia fin da subito.”
Questo sembrò offenderla. Alessandra si irrigidì istantaneamente e strinse le dita intorno alla tracolla della borsa. “Quanto sei maleducato,” replicò. “Sono venuta qui a sapere come stavi dopo che hanno pubblicato quella foto.”
“Sono commosso, sei solo in ritardo di sei settimane,” commentò lui. “Adesso il nuovo scoop del momento è che non so quale attricetta mai sentita si è sicuramente rifatta le tette. Fra quattro mesi potresti volerti presentare da lei con un mazzo di fiori per farle le congratulazioni.”
Le narici di Alessandra si allargarono impercettibilmente, ma incassò in silenzio.
“Comunque sto bene. Te lo avrei detto per telefono, insieme a molte altre cose ma sei sparita nel nulla,” continuò Vinicio, occupando tutto lo spazio della porta, senza aprirla più del necessario. “Ho pensato che gli inquisitori ti avessero finalmente trovata.”
“Hai finito con le battute da pessima commedia americana?” Chiese lei, sollevando un sopracciglio.
Vinicio sorrise, segnando un punto nella propria colonna delle vittorie, che probabilmente conteneva soltanto quello ma l'evento era tuttavia degno di nota. “Potrei continuare, ma non voglio farti perdere tempo. A parte la visita di cortesia di cui non sentivo la mancanza, c'è altro che vuoi dirmi o abbiamo finito?”
“Avevo intenzione di invitarti a pranzo, ma credo di aver cambiato idea.”
“Hai fatto bene, perché ti avrei comunque detto di no,” commentò lui, sbrigativo. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare ed entrambi scorsero Francesco che usciva dalla camera da letto avvolto nel lenzuolo per entrare in bagno, lasciando fuori dalla porta uno strascico di almeno un metro e mezzo.
“Oh, adesso capisco,” fece lei, ma non era sconvolta come, in effetti, Vinicio si era aspettato di vederla. Rimase un po' deluso perché tutta la discussione era stata abbastanza promettente, fino a quel momento. “Sei tornato in ginocchio da lui?”
Lui scrollò una spalla. “E non me ne pento.”
Alessandra sorrise adorabile, inclinando la testa di lato e allungando una mano a sfiorargli una guancia. “Ma lo farai, tesoro, lo farai molto presto,” disse con certezza, quasi commossa. “E quando lo farai, io sarò lì.”
Se ne andò salutandolo con la mano quando ormai si era già voltata e stava già scendendo le scale.
Vinicio si accorse di aver trattenuto il fiato in quegli ultimi secondi solo quando anche la sua ombra fu finalmente sparita dalla rampa delle scale.
“E' successo qualcosa?” Gli chiese Francesco, uscendo dal bagno.
Lui scosse la testa ma, chiusa la porta, prese una gran boccata d'aria.
Personaggi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Alessandro Roja
Genere:Introspettivo, Romantico, Commedia, Angst
Avvisi: Slash
Rating: PG 15
Prompt: La storia partecipa anche alla quarta settimana del COW-T di maridichallenge e fiumidiparole per la squadra dei vampirli (prompt: Punto di non ritorno).
Note: Questa storia è il mio regalo di compleanno per Liz che aveva chiesto una Vincesco con un'unica caratteristica: doveva essere porno. Ecco. E siccome io i regali di compleanno li faccio sempre molto mirati, in questa storia Alessandro Roja ha più importanza degli altri due e nessuno fa sesso. Mi sembra chiaro. *cough* Comunque sia, a lei è piaciuta lo stesso e quindi sono felice. Buon compleanno in ritardo e con regali completamente diversi da quelli che avevi chiesto! *sbacia*

Riassunto: Tu vorresti dirmi che non hai mai pensato alla possibilità di avere una famiglia. Con me, magari.
I THINK I WANNA MARRY YOU (DON'T SAY NO, NO, NO-NO)


Vinicio lo osserva mentre raggiunge la parte opposta della cucina, mettendo tra loro la tavola con la cena che non hanno nemmeno toccato, e pensa distintamente che alla fine di quella discussione, uno dei due deciderà che così non si può continuare. E' una specie di sesto senso, l'atteggiamento stesso che hanno assunto entrambi ne è la dimostrazione.
Questa non è la prima volta che litigano, ma è la prima in cui non si sono inseguiti per casa cercando di farsi ascoltare. L'argomento è così importante che non lo si può lasciar cadere nel vuoto come i mille altri che lo hanno preceduto, ma li trattiene la consapevolezza che non sarà una bella cosa, in ogni caso. Trascinarsi in cucina per discuterne è stato un atto di forza.
Sapeva che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi. E' successo con Alessandra e poi con Milena, era solo questione di tempo prima che si riproponesse con Francesco, anche se per motivi diversi e molto più importanti. Forse è per questo che parlarne è così difficile, l'argomento è così delicato che ogni parola pronunciata ha un'alta probabilità di essere quella sbagliata.
Tutto è cominciato parlando d'altro, naturalmente, perché se le loro discussioni iniziassero sempre dal motivo reale che le scatena, forse finirebbero prima, ma non va mai così.
Francesco era in uno dei suoi momenti di noia, uno di quelli in cui nemmeno giocare per quindici ore consecutive a Call of Duty poteva ridargli un'adeguata gioia di vivere. Così si è trascinato fino in camera da letto, dove Vinicio si era rifugiato per leggere in santa pace, e gli ha chiesto di farlo per passare un po' di tempo. Vinicio si è rifiutato, generando uno tsunami di lamentele. Il problema fra loro non è il sesso in sé – quello gli riesce piuttosto bene – è stabilire quando la situazione si presti a farlo oppure no. Francesco, ad esempio, non pone mai limiti alla provvidenza ed è favorevole a qualsiasi cosa, in qualsiasi posto, per qualsiasi motivo, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Vinicio ha bisogno di atmosfera, di creare le condizioni adatte allo scopo; comparire sulla soglia della sua stanza da letto mentre sta leggendo un'antologia di poesia russa e chiedergli di fare l'amore porta quasi sicuramente ad una risposta negativa, seguita dall'invito a trovarsi un'attività più costruttiva per passare il tempo; ma non è questo che li ha fatti litigare. Scene del genere sono quasi la norma, perché Francesco non è mai uscito dall'adolescenza e Vinicio l'ha probabilmente saltata a piè pari, passando dall'infanzia ad un primo stadio di senilità in cui il sesso è solo un piacevole diversivo in cui si può indulgere di tanto in tanto tra un'opera di Brecht e la personale di un qualche artista ucraino semisconosciuto che dipinge con le dita dei piedi. E' normale che per loro mettersi d'accordo sia complicato. Solo che, questa volta, Francesco ha detto: “Vinicio, io ho ventisei anni. L'anno prossimo ne avrò ventisette e poi ventotto e ventinove, finché un bel giorno sarà il quattro ottobre del duemilaquattordici e io avrò trent'anni. Quando ne avrò trenta, mia madre comincerà ad angosciarmi, chiedendomi quand'è che mi sposo e le darò dei nipotini e allora io e lei dovremo fare una bella chiacchierata. Ma fino ad allora, tutto quello che voglio dalla mia vita è scopare, farlo parecchio e farlo bene senza dovermi preoccupare delle congiunzioni astrali o della temperatura nella stanza. Io sono sempre pronto e mi va sempre bene, è chiaro?”
Vinicio avrebbe potuto rispondere qualunque cosa, dare fondo alla propria cultura e argomentare con riferimenti storico-bibliografici alla tradizione romana e greca e invece ha detto soltanto: “Nipotini?” Con la voce che tremava non per la sua balbuzie, ma per il terrore che lo ha fatto sbiancare e gli ha mostrato immagini di neonati sparsi per tutto il salotto, che piangevano e piangevano e piangevano finché la sua testa non è esplosa in mille pezzi spargendo materia cerebrale sull'opera omnia di François Truffaut in DVD.
Francesco ha descritto nello specifico che cosa intendesse esattamente con nipotini, allora Vinicio ha esclamato “No!” e questo li ha portati in cucina.
Adesso nemmeno si guardano, Vinicio sta facendo una tisana che non ha senso di esistere in nessun universo, meno che mai in quello in cui loro non hanno ancora toccato la cena; ma mettere l'acqua nel bollitore, cercare l'infuso giusto e prendere le tazze in fondo al mobile d'angolo gli dà modo di impegnarsi in qualcosa. Non gli va di stare fermo quando Francesco lo fa già per tutti e due, ed è così stranamente serio e immobile che gli fa quasi paura. “Tu non vuoi avere figli?”
La domanda cade in mezzo a loro come un pezzo di cemento. Vinicio la sente fisicamente rompere piatti e bicchieri e, quando si gira a guardare il mattone di quattro tonnellate che si trova ora al centro della tavola al posto della fruttiera, capisce subito che dalla risposta che darà dipende il loro futuro insieme. Questa non è una di quelle occasioni in cui, nel caso, si può ritrattare o sulle quali si possa passare sopra con una scrollata di spalle. Se Francesco vuole dei figli e lui no significa che hanno due idee totalmente diverse della loro relazione e ora che l'argomento è venuto fuori non possono nemmeno più evitarlo perché dal modo in cui decideranno di affrontarlo dipende la definizione stessa di quello che c'è tra loro.
Se non se ne curano, allora quella che hanno è soltanto una storiella di poco conto nella quale non ha alcuna importanza che cosa vogliono entrambi per il loro futuro perché tanto sanno già che non lo passeranno insieme.
Se invece affrontano l'argomento come una coppia, allora sono condannati perché se non sono d'accordo su una cosa del genere, non c'è alcun motivo di continuare a stare insieme. Quando scopri che la persona che ami ha un'idea totalmente diversa di quello che farete da lì a cinque anni e che non è disposta a cambiarla o fare compromessi per venirti incontro, non c'è altro da fare che salutarsi e prendere strade diverse.
Vinicio sa perfettamente che qualunque cosa si diranno nei prossimi minuti cambierà le cose tra loro. Nel bene o nel male, da questa discussione non si torna indietro.
Vinicio non vuole bambini. Non ne ha mai voluti, non ne vuole adesso ed è piuttosto sicuro che non ne vorrà mai. Non sopporta l'idea che la vita di qualcun altro dipenda dalla sua.
La dipendenza reciproca è il motivo principale per cui tutte le sue passate relazioni sono finite. Lui non ha mai avuto bisogno delle persone con cui stava come loro sembravano aver bisogno di lui; il che non significa che non le amasse, ma solo che ha sempre mantenuto un certo distacco sia emotivo che mentale.
Un bambino gli impedirebbe di continuare a comportarsi in questo modo e soprattutto gli impedirebbe di decidere un corso diverso per la propria vita nel caso ne sentisse il bisogno. Non sarebbe mai così irresponsabile da mettere in cantiere un figlio per poi abbandonarlo a se stesso nel momento in cui la relazione con la madre gli andasse stretta. E non è disposto a rinunciare a tale possibilità per un figlio; ai suoi occhi lo scambio non è equo. Quindi sa esattamente che cosa dovrebbe dire e, nonostante questo, non lo fa. “I bambini portano via tempo,” risponde, anche se è cosciente che questo non ha niente a che vedere con ciò che gli è stato chiesto. “E poi non faccio una vita adatta a crescere un figlio.”
“Vinicio, tu non fai niente dalla mattina alla sera.” Francesco solleva un sopracciglio e c'è tanta di quella pietà incredula sul suo viso che lui finisce con l'irritarsi.
“E vorrei continuare a farlo,” replica voltandosi per mettere la tisana nell'infusore.
Sbaglia. E anche il modo in cui stanno per parlarne è sbagliato, ma ormai il meccanismo si è innescato e l'ingombrante elefante rosa che rappresenta la conclusione di questa discussione se ne sta seduto proprio accanto a loro, aspettando che uno dei due lo noti e finalmente ne pronunci il nome a voce alta. “Cioè tu vorresti dirmi,” esclama Francesco sgranando gli occhi e agitando le mani come fa sempre, dentro e fuori dal set, per sottolineare i concetti che sta esprimendo “che non hai mai pensato alla possibilità di avere una famiglia. Con me, magari.”
“Sì che c'ho pensato! Insomma, praticamente vivi già qui, no?”
Francesco non si è ufficialmente trasferito in casa sua, ma sono tre mesi che non torna a casa a dormire, quindi è più o meno la stessa cosa. Nel bagno c'è il suo spazzolino, nell'armadio i suoi vestiti e c'è il suo profumo ovunque. Fanno anche la spesa insieme per la settimana, Vinicio non vede perché dovrebbero sposarsi se in pratica già passano le serate a mangiare sul divano guardando il telegiornale. Divorziare sarebbe senza dubbio un atto più originale.
“Non sto parlando soltanto di vivere insieme!” Continua Francesco, seguendolo per la cucina mentre lui tenta di scappargli, trasportando acqua bollente avanti e indietro.
“Non posso sposarti, lo sai questo, sì?” Gli chiede. “In questo paese non me lo permettono.”
Francesco si ferma all'improvviso, impedendogli di portare il bollitore a posto. “Chi se ne frega di questo paese!” Commenta con una smorfia. “Se uno vuole davvero fare una cosa, trova sempre il modo di farla! Di' piuttosto che non vuoi.”
“Io non ho detto questo!” Vinicio si chiede come sia possibile che alle nove di sera di un giorno qualsiasi, per un motivo completamente assurdo, siano finiti ad avere questa discussione. Non voleva averla, perché la stanno avendo? Perché non può semplicemente cambiare stanza e fingere che niente sia mai accaduto? No, non vuole sposarsi. No, non vuole avere figli. Vuole vivere in pace la sua vita, passare del tempo con Francesco e occasionalmente fare anche sesso. Si sente bene. Anzi, è anche piuttosto soddisfatto perché non è mai stato così tanto felice in vita sua. E' una situazione perfetta, perché volere di più e rovinare irrimediabilmente quello che hanno, per altro? “Mi chiedo solo che senso abbia sposarsi per poi tornare qui dove il matrimonio non ha alcun valore!”
Vinicio si rende conto immediatamente dell'idiozia che ha appena sparato fuori con la tranquillità con la quale avrebbe parlato delle due settimane di pioggia ininterrotta che hanno allagato Roma; e se anche non ci fosse arrivato da solo, ci pensa lo sguardo di Francesco a farglielo capire. “Ne avrebbe per noi,” dice piano. Ha perso in un attimo tutto lo slancio rabbioso e Vinicio vorrebbe fermarlo lì dov'è, dire No! No! No! Torniamo al punto di prima. Se c'è una cosa che gestisce ancora peggio delle litigate, sono le reazioni tristi e deluse. Quelle in cui Francesco abbassa le spalle e guarda il pavimento con gli occhi grandi e un po' lucidi, e sembra sempre che stia per scoppiare a piangere. Le lacrime lo spaventano moltissimo. Ricorda ancora con terrore i pianti di Alessandra che partivano con dei lievi singhiozzi appena percettibili per concludersi in tragiche dimostrazioni di dolore, con lei buttata di faccia sul letto piagnucolando parole incomprensibili e lo scacciava con la mano per poi richiamarlo con un mugolio sofferente prima ancora che varcasse la soglia. Fortunatamente Francesco non fa niente del genere, ma a Vinicio è rimasto il terrore; così ogni volta che abbassa gli occhi con aria triste, come sta facendo in quel momento, lui non sa più cosa fare.
“Viviamo già insieme,” ripete inutilmente. “Che bisogno hai del pezzo di carta?”
Francesco si stringe nelle spalle. “Prendimi in giro, ma è una cosa che ho sempre sognato: la festa, l'altare, i milioni di parenti che avrei dovuto invitare e mia madre che piange in prima fila già due giorni prima del matrimonio. Tu a queste cose non ci hai mai pensato?”
La prima cosa che gli passa per il cervello è che questa è una cosa da donne e se lui non ci ha mai pensato è perché è sempre stato un maschio, anche da ragazzino. Fortunatamente non tutto il pensiero gli esce di bocca. “No, non ci ho mai pensato,” ammette. “E non credevo interessasse nemmeno a te.”
“Non me l'hai mai chiesto.”
“Non pensavo di doverlo fare.” Razionalmente capisce che insistere su quello che pensava o non pensava non serve assolutamente a niente perché Francesco lo accusa di tutto ciò che non sta andando bene in quella stanza fra di loro, quindi l'unica soluzione che può tirare fuori dal suo metaforico cappello a cilindro è chiedere scusa e dire a Francesco che vuole – o comunque programma di volere tra qualche anno – esattamente tutto ciò che vuole lui. E questo non avverrà mai.
“Perché mai avresti dovuto? D'altronde sono solo quello con cui stai insieme da più di un anno. Non ha proprio senso pensare a dove vogliamo andare a parare, io e te,” risponde ironico Francesco.
Vinicio sbuffa e lascia finalmente perdere la tisana, che tanto si è freddata e le foglie sono filtrate male e galleggiano in superfice come ninfee di palude. “Adesso non fare la vittima! Il fatto che io non pensi al matrimonio, non significa che non ti ami.”
“Io questo non l'ho detto,” commenta Francesco, con aria vagamente vittoriosa. “Ma a quanto pare è vero o non avresti bisogno di ribadirlo. E d'altronde sto prendendo atto del fatto che noi due non solo non ci sposeremo mai, cosa sulla quale potrei anche passare sopra, ma non avremo mai nemmeno dei figli e questo non perché non possiamo, ma perché tu chiaramente non vuoi.”
“Non ho detto che non voglio.” Ma lo pensa e se avesse meno paura, non tirerebbe quel discorso così tanto per le lunghe.
“Hai detto che non ci serve,” specifica Francesco “e se dovessimo fare le cose solo perché ci servono, allora forse non dovremmo nemmeno andare a letto insieme. A te sfugge proprio il problema di cui stiamo discutendo e questo è così frustrante che non so come spiegartelo! Anzi non so nemmeno se devo farlo perché dovresti arrivarci da solo!”
Ci siamo, pensa Vinicio. Stavano discutendo di tutt'altro all'inizio e adesso, all'improvviso, non vuole sposarlo perché non lo ama e se non lo ama non dovrebbero andare a letto insieme. Di questo passo, sicuramente, salterà fuori che Vinicio si sta solo divertendo con lui. E' una discussione degenerativa; a questo punto Francesco potrebbe lamentarsi di qualunque cosa. Perciò esplode. “Ti ho detto che non ci serve, non che non voglio,” specifica, ma l'altro non gli fa nemmeno finire la frase. Scuote la testa e guarda il soffitto in cerca di un aiuto celeste, probabilmente. “Comunque va bene, d'accordo! Se hai bisogno di un dannato riconoscimento, lo avrai!”
Francesco sgrana gli occhi e boccheggia, letteralmente. Se non fosse che la situazione è grave e, con ogni probabilità, senza via d'uscita, sarebbe anche comico; ma Vinicio non ha nessuna voglia di ridere. “Io non ho bisogno proprio di niente, Vinicio!” Esplode, le braccia tese lungo i fianchi e i pugni stretti. “Hai la segatura nel cervello o cosa? Sei un cretino!”
Esce dalla cucina e si infila in camera subito dopo, iniziando a riempire il borsone con cui è arrivato qualche settimana prima. Ci infila dentro cose a caso che pesca in giro per la stanza. Alcune sono di Vinicio.
“C-che d-diavolo fai?” Quando è nervoso, perde il controllo e la sua balbuzie non manca mai di tradirlo.
“Prendo le mie cose e me ne torno a casa, mi sembra evidente,” replica Francesco, senza voltarsi. Il suo borsone sembra quasi sul punto di scoppiare. Prova a chiuderlo ma non ci riesce ed ha così tanta fretta di andarsene di lì che finisce per lasciarlo aperto e metterselo in spalla, perdendo una paio di calzini nel movimento. Vinicio li raccoglie automaticamente, prima di cercare di fermarlo, correndo a pararsi di fronte alla porta d'entrata. “Aspetta, F-francesco,” digrigna i denti e cerca di trovare abbastanza calma perché il suo discorso non esca fuori a pezzi e non aggiunga altra frustrazione a quella già presente. “Possiamo parlarne.”
“Non c'è più niente da dire. Togliti.”
Vinicio rimane fermo dov'è. “Francesco, per favore,” lo implora, anche se non gli riesce molto bene. Quello che esce fuori è più che altro una richiesta spazientita che non migliora le cose. “Mi dispiace, d'accordo?”
Francesco sospira e si sistema il borsone su una spalla. “No dispiace a me. Mi dispiace aver sognato di fare cose stupide con un uomo stupido che non ha mai avuto nessuna intenzione di farle con me,” esclama con rabbia. “E ora spostati, voglio tornare a casa mia.”
Vinicio ci prova a fermarlo, ma Francesco è largo e pesa il doppio di lui, non gli ci vuole niente a spostarlo con una spallata e imboccare le scale, senza più starlo a sentire.

*


Alessandro ha già sistemato ogni cosa. Ha staccato il telefono, sprimacciato i cuscini, preparato il cibo da mangiare sul divano e messo la birra in fresco. Tra qualche minuto si siederà davanti al televisore e si godrà la nuova puntata del suo telefilm preferito. Niente interruzioni e niente rotture di palle. Oggi è solo con se stesso, se lo deve dopo una settimana passata in giro a rimorchiare sfruttando le battute del Dandi. E' incredibile come più di un anno dopo funzionino ancora.
Si è appena messo comodo sui cuscini quando il campanello suona non una, non due, ma ben tre volte in rapida sequenza. Prova a fingere di non essere in casa ma è un tentativo inutile: lui non vive in appartamento, ha un terra-tetto che dà sulla strada. Chiunque sia venuto a disturbarlo senza preavviso e ignorando le minacce di morte che ha mandato a tutti i suoi amici, parenti e conoscenti tramite Facebook, può vedere la luce accesa in salotto e forse anche la sua ombra da dietro le tende.
In televisione c'è ancora la pubblicità, così si illude di poter cacciare lo scocciatore in tempo per non perdersi l'inizio della puntata, ma le sue speranze si infrangono sul naso tondo del Montanari che se ne sta di fronte alla sua porta con un borsone aperto sotto braccio e l'aria smunta di chi non ha più niente per cui vivere. Alessandro conosce benissimo quello sguardo – è quello che Francesco ha su ogni volta che Vinicio fa o dice, oppure fa e dice contemporaneamente, una delle sue cazzate – per questo apre la porta il meno possibile, s'incastra nello spiraglio e pensa a come levarselo di torno. “Oh, France', che sorpresa. Non t'aspettavo,” esordisce, con un sorriso plastico.
“Ho litigato con Vinicio,” risponde lui, parlando più che altro allo zerbino. “Stavolta è finita sul serio.”
“Mi dispiace,” Alessandro lancia sguardi disperati in direzione del salotto. Da lì non vede il televisore, ma cerca comunque di capire dalla luminosità proiettata dallo schermo se l'episodio è iniziato oppure no.
“Se ti racconto che cosa è stato capace di dirmi, non ci credi. E' uno stronzo.”
“Non fatico a crederlo invece,” commenta distrattamente Alessandro. Non vuole schiudere la porta per dargli l'impressione che va bene se resta, ma non vuole nemmeno perdersi l'episodio. “Senti, non potremmo parlarne più tardi? No, anzi meglio, facciamo domani. Ti chiamo e usciamo a prenderci una cosa, che dici?”
“E' stata una discussione tremenda,” dice invece lui, spingendolo dentro mentre apre la porta e s'introduce in casa senza chiedere permesso. “Ti dispiace se dormo da te stanotte?”
Alessandro torna a guardarlo con una smorfia allucinata sul viso. “Cosa?” Dice, sconvolto. “Sì che mi dispiace! Io ho da fare stasera.”
“Oh, hai ospiti?” Francesco si guarda intorno.
“No. Cioè sì. No, non ho ospiti,” Alessandro si maledice mentalmente. Con le ragazze spara sempre un sacco di stronzate, ma non è bravo a mentire agli amici.
“Bene, perché ho davvero bisogno di sfogarmi con qualcuno,” continua Francesco, posando il borsone dove capita e togliendosi il cappotto.
Alessandro lo guarda sospirando mentre si dirige in salotto e chiude la porta. “Prego, accomodati. Fai pure come fossi a casa tua,” commenta apatico e senza entusiasmo. Quando lo raggiunge, Francesco si è già aperto la birra fresca che aveva preparato per sé. “Serviti pure, eh.”
“Grazie,” Francesco solleva la bottiglia. “Io davvero non capisco come ho potuto anche solo pensare che questa cosa fra me e lui potesse funzionare. Ero fuori di testa o cosa? Siamo troppo diversi, senza contare che lui è chiaramente un cretino.”
“Chiaramente,” annuisce Roja, trattenendo le lacrime di fronte alla sigla del programma.
“Per lui stare insieme non significa niente. Potrei vivere a duecento chilometri da casa sua e vederlo due volte al mese e lui non farebbe una piega,” insiste Francesco, lanciando in giro cuscini mentre si siede comodo sul divano.
“Assurdo,” commenta Roja, annuendo, mentre cerca di captare i dialoghi tra i personaggi, coperti dalla voce di Francesco. Gli sembra di essere al telefono con sua madre, quando posa la cornetta sul mobile e solo ogni tanto la solleva per dire qualche parola a caso, che tanto vanno sempre bene perché sua madre non ha davvero bisogno della sua interazione per raccontargli i pettegolezzi di mezzo quartiere.
“Dice che vuole mantenere la propria indipendenza!” Sbotta Montanari. “Come se adesso si desse anima e corpo per qualcun altro. Passa metà del suo tempo a scrivere poesie e l'altra metà a recitare quelle di qualcun altro su un palco! Non ha mai voglia di uscire, di giocare. Cavolo, non ha neanche voglia di scopare! Quell'uomo non è umano.”
Scopare è un verbo che si fa facilmente strada fra le sinapsi di Alessandro nonostante stia ancora cercando inutilmente di seguire l'episodio. Si volta con un sopracciglio sollevato e lo guarda senza capire. “Cosa significa che non ha voglia?”
“Che non gli va! Gli fa sempre fatica, come se fosse un peso,” risponde Francesco.
“Ma che problema ha?”
Francesco si stringe nelle spalle. “Comunque non è soltanto quello. E' tutta una serie di cose. Ci passi sopra una volta, e poi due e poi tre e poi anche quattro, ma sbagli perché alla fine i nodi vengono sempre al pettine e quello che ti sembrava di poter sopportare prima non lo sopporti più.”
Alessandro sospira e rinuncia definitivamente al suo programma. Recupera il telecomando dal divano e spegne con aria svogliata. “Ma si può sapere cos'è successo esattamente?”
“Vinicio non si vuole sposare,” risponde candido Francesco. “E non vuole avere bambini.”
Roja non potrebbe essere più d'accordo. Il matrimonio è una trappola per topi e i bambini sono carini finché appartengono ad altre persone che poi la sera, dopo esserti venute a trovare, se li portano via. Qualcosa però gli dice che non sarebbe saggio esclamare ad alta voce che crede quella sia la prima volta in tre anni che è d'accordo con il Marchioni, perciò decide per qualcosa di molto più neutrale. “Non ti sembra un po' presto per sposarvi adesso? State insieme da un anno e metà lo avete passato a litigare perché tu non sai mettere i calzini nel cesto della biancheria sporca. Sarebbe il caso di aspettare.”
“Io non voglio sposarmi adesso!” Specifica Francesco. “Ma voglio sposarmi. Lui invece non ne ha nessuna intenzione, dice che non ne abbiamo bisogno!”
Roja sta avendo seri problemi a capire che cosa ci si aspetti da lui. Lo sanno tutti che mantenere la propria libertà sentimentale è la sua prima occupazione nella vita, quindi perché Francesco è venuto da lui a farsi dire che Vinicio è un cretino, insensibile che non si merita niente di quello che ha e dovrebbe ringraziare ogni giorno che la gente gli muoia dietro perché di sicuro non è opera sua ma di un miracolo o di una qualche sostanza tossica disciolta nell'acqua di Roma? Forse perché lo pensa, nonostante in questo caso concordi con il suo punto di vista piuttosto che con quello di Francesco.
Ad ogni modo, lui non ha davvero bisogno di concordare con l'argomento in oggetto per fingere di sembrare d'accordo. Ogni sera si siede al bancone di un bar e racconta cazzate per rimorchiare la prima bella ragazza che gli capita sotto mano, con Francesco non può essere tanto più complicato e, se dargli ragione può spedirlo a letto – preferibilmente non il suo, ma all'occorrenza anche quello purché possa tornare a guardare la tv – tanto meglio. “All'atto pratico non cambierebbe niente, certo,” dice aprendo una bottiglia di birra e bevendono un generoso sorso. “Ma sarebbe un gesto simbolico.”
“Esattamente! Ma lui no, non ci serve a niente, già vivi qui. Cosa ci sposiamo a fare?” Francesco prende ad agitarsi, facendo l'imitazione di Marchioni. “E i bambini? Lui non ne vuole, quindi non c'è neanche bisogno di discuterne. Le cose stanno così e basta. Punto.”
“E te ne sei andato?”
Francesco annuisce mogio. “Che altro avrei dovuto fare?”
Restare lì a mettere il broncio o andartene a casa tua, pensa Alessandro, di sicuro non venire qui. “Non lo so, magari adesso che hai sbollito la rabbia, potresti tornare là e parlarci. Conoscendolo, quell'idiota ha solo scelto le parole sbagliate. Lo sai che non si sa spiegare.”
“No, è finita.” Dice Francesco tragico. “Non voglio più saperne niente.”
“Capisco,” Alessandro annuisce cercando di dimostrarsi partecipe. Per un po' sul suo salotto cala il silenzio mentre entrambi guardano perplessi un punto imprecisato del pavimento. “E toglimi una curiosità: com'è che sei venuto qui?”
“Perché non mi andava di stare da solo,” risponde. Altro silenzio. “E poi perché se mi viene a cercare tu potrai dirgli che non voglio parlarci.”
“Cosa ti fa pensare che verrà a cercarti?”
“Che se non viene lo mollo davvero,” commenta Francesco, prendendo metà del panino che Alessandro si è così amorevolmente preparato. Si ribalta sul divano e recupera il telecomano. “Ci guardiamo un film?”

*


Alessandro era convinto che quella follia sarebbe finita nel giro di dodici ore, massimo ventiquattro.
In fondo Vinicio era un cretino, ma era anche uno di quegli inguaribili romantici dall'aria decadente e malaticcia, capaci di guardare le loro donne per ore negli occhi e struggersi di melensaggini piuttosto che darsi da fare. Non sarebbe rimasto lontano da Francesco troppo a lungo. Sarebbe andato a cercarlo a casa e, non trovandolo, sarebbe venuto a casa sua. Alessandro avrebbe fatto un po' di scena per far credere a Francesco di non volerlo lasciar passare e poi si sarebbe scostato per dargli la possibilità di riprendersi il suo ragazzo e, vivaddio, portarselo via. Era un disagio di poco conto, alla fine del quale avrebbe potuto recuperare su internet l'episodio che si era perso. Non c'era proprio niente di cui preoccuparsi.
Si sbagliava, naturalmente. Sono passati tre giorni e nessuno è ancora venuto a riprendersi Francesco, ma lui non accenna ad andarsene comunque, convinto che prima o poi il suo principe azzurro con la balbuzie varcherà la porta di quella casa e lo porterà via tra le sue possenti braccia, decidendo di sposarlo e mettere su una piccola squadra di calcio con un esercito di cicogne.
“Sai, Ale, hai davvero una bella casa,” gli sta dicendo mentre fanno colazione insieme sul tavolino della veranda.
“E sai perché è bella?” Chiede Alessandro contrariato, smettendo per un attimo di imburrare una fetta di pane. Francesco scuote la testa. “Perché ci vivo da solo.”
Il suo ospite si mette a girare il caffé nella tazzina e il suo sguardo diventa così improvvisamente depresso rispetto ad un secondo prima che Alessandro si ente un po' in colpa. “Senti, parliamoci chiaro. Sono passati tre giorni, credo sia il caso di rassegnarsi. O ha cercato di raggiungerci prendendo il raccordo anulare ed è imbottigliato lì da settantadue ore oppure...”
“Verrà,” insiste Francesco.
“Forse è meglio così, non credi?” Insiste Alessandro. “In fondo lo hai detto tu che volete co–“
Francesco sposta indietro la sedia di colpo, si alza e lascia la veranda. Alessandro lo sente sbattere la porta della stanza degli ospiti e sospira. E' evidente che deve fare tutto quanto lui.
Immaginava che anche Vinicio non stesse tanto bene, ma non si aspettava lo spettro pallido che gli apre la porta in pigiama, con la barba ancora da fare e lo sguardo perso. “Wow, mi scusi signor fantasma dei natali passati. Cercavo il mio amico Vinicio, è in casa?”
“Che cosa vuoi?”
Alessandro ignora la voce roca dall'oltretomba che ha appena pronunciato quelle parole, segno inequivocabile che Vinicio ha passato in silenzio gli ultimi tre giorni. Lo spinge in casa e lo segue, prendendo possesso del corridoio nel momento in cui ci mette piede. “Qui dentro c'è odore di chiuso e di cibo precotto. Il che significa che sei depresso o che la Mastronardi è venuta a trovarti. In ogni caso non cambi l'aria da, tipo, mai. Si può sapere che ti prende?”
Alessandro fa il giro della casa aprendo le finestre, con Vinicio che lo segue con passo strascicato. “Non lo sai? Francesco se n'è andato.”
“Non mi dire!” Esclama Alessandro, voltandosi.
“Non so nemmeno dov'è. Sul cellulare non risponde e il portiere del suo palazzo dice che negli ultimi tre giorni non l'ha visto.”
“E' da me.”
“A casa tua?” Gli occhi di Vinicio hanno un guizzo di vitalità che si spegne quasi subito a causa del suo torpore naturale. “Cosa ci fa a casa tua?”
Ciononostante Alessandro ha visto quel barlume di entusiasmo e a quello si attacca. “Si piange addosso, mette in disordine ed è mediamente fastidioso. Te lo riprendi, per favore?”
“Non posso farlo,” Vinicio scuote la testa in maniera teatrale e Alessandro quasi si aspetta di vederlo tirare fuori un fazzoletto bianco dalla tasca e metterlo tra i denti per dimostrare il proprio dolore. Fortunatamente non lo fa e, con ogni probabilità, non è nemmeno stato troppo teatrale, ma lui ha l'abitudine di immaginare l'amico esagerandone le reazioni, a volte anche con la luce di un riflettore che lo illumina dall'alto, solo perché Vinicio si presta particolarmente ad essere preso in giro in questo modo, nella sua testa.
“Non in questo stato, di sicuro,” gli lancia un'occhiata pietosa, quindi sospira e lo spinge verso il bagno. “Ora ti fai una doccia, ti fai la barba, io ti scelgo un vestito che non sembri uscito dal guardaroba di mio nonno e vai a dirgli quello che vuole sentirsi dire.”
“Lui vuole sposarsi,” protesta Vinicio, facendo resistenza, mentre Alessandro tenta di infilarlo nella doccia. Vestito, non ha importanza.
“E allora sposalo!” Sbotta Roja, esasperato. “Mettigli l'anello al dito, genera dei figli, adottali, comprali se necessario, non mi interessa, ma allontanalo da casa mia!”
Dimostrando un'insospettabile forsa fisica, Vinicio non si fa chiudere nella doccia e ne riesce per la seconda volta poco dopo che Alessandro ce l'ha messo dentro. “Non posso farlo!” Ripete. “Anche se la legge lo permettesse...”
Alessandro solleva un sopracciglio quando la frase dell'amico si ferma a metà e rimane sospesa nell'aria, lasciandosi dietro una traccia di suspance di cui avrebbe fatto volentieri a meno. “Mi stai uccidendo con tutta questa atmosfera, possiamo arrivare al punto?”
Vinicio sospira. “Io non voglio,” conclude. “Anche se la legge lo permettesse, sono io che mi rifiuto di sposarlo. Francesco ha ragione.”
Alessandro fa una mezza smorfia e lo liquida con un veloce gesto della mano. “Ma questo non ha importanza,” spernacchia come se fosse una cosa di poco conto. “Tu devi solo andare a riprenderlo.”
“A che scopo? Su cose del genere o sei d'accordo o non vale la pena stare insieme perché è chiaro che non stai andando da nessuna parte. Abbiamo evitato il discorso per mesi ma adesso che è venuto fuori, non possiamo rimangiarcelo,” Vinicio si stringe nelle spalle. “Francesco vuole un matrimonio e dei bambini, io no. Né ora né mai. E' finita.”
“Francesco vuole anche andare sulla Luna, allevare struzzi da corsa e farsi costruire una piscina da riempire con il gelato,” gli fa notare Alessandro. “Questo non significa niente. Cambia idea ogni mese, cambierà anche questo. O forse la cambierai tu.”
“Io non credo che–“
“Il punto non è questo,” lo interrompe Alessandro, prima che parta con uno dei suoi monologhi che sono sempre più lunghi del previsto perché raddoppia quasi tutte le sillabe. “Ed è incredibile come proprio tu, romantico fino alla nausea, non ci arrivi. Francesco non vuole essere sposato, vuole che tu accolga favorevolmente il fatto che voglia sposarsi.”
“Eh?”
“Ho parlato con Francesco. Lui non ha mai detto di averti chiesto di sposarlo. Continuava a ripetere: potremmo sposarci, quando ci sposeremo, se fossimo sposati, tutte cose molto vaghe. Mi segui?” Spiega. “Ti sarebbe bastato accettare l'idea generale del vostro matrimonio, senza riferimenti a dove, come, quando. Lui voleva solo che tu non escludessi categoricamente la possibilità di voler passare con lui tutta la tua vita. Sono cose che urtano la sensibilità della gente che ne ha una, sai?”
“Ma prima o poi vorrà farlo.”
“O forse vorrà davvero allevare gli struzzi,” insiste Alessandro. “Chi può saperlo? Intanto, mi sembra di capire, a te non dispiace l'idea di averlo per casa finché morte non vi separi, anche senza matrimonio, dico bene?”
Vinicio si stringe nelle spalle. “Sì, ma...”
“Niente ma, Vinicio. Decidi: è più importante la tua indipendenza o è più importante Francesco? Preferiresti perderlo pur di non firmare un certificato in comune o magari averlo accanto ti preme di più? E' questa l'unica cosa che conta. Una volta capito quello che vuoi da lui, potrai decidere se questo è un punto di non ritorno oppure un punto e basta.”
Questa volta, quando lo spinge nella doccia, Vinicio entra e ci resta; mentre l'acqua gli scorre addosso e gli bagna i capelli e il corpo, Alessandro continua ad urlare dall'altra stanza, elargendo consigli che lui non sente più. Ripensando agli ultimi tre giorni, pensa di aver deciso.

*


Francesco è molto arrabbiato perché sono passati tre giorni e Vinicio non si è fatto vivo. Francesco è arrabbiato soprattutto perché ha dato a quell'uomo un sacco di possibilità per smettere di essere sempre così tanto sensibile verso le sue poesie e così poco sensibile verso di lui che non è scritto su un pezzo di carta, ma lui niente. Un giacciolo. Non è che non sia tenero, solo che non lo è spontaneamente e questa cosa è frustrante. Inoltre c'è la storia del matrimonio che, diciamolo, da sola era sufficiente a farlo almeno scappare di casa. Come un cretino ha pensato che Vinicio lo avrebbe seguito, senza ricordarsi che questo tipo di cose lui non le fa neanche sotto suggerimento, figurarsi se poteva arrivarci da solo. D'altra parte, se non ci arriva da solo, forse come uomo è una perdita di tempo. Quale persona sana di mente non proverebbe a riprendersi il fidanzato, magari facendo un tentativo più consistente che non sbarrare la porta con i suoi sessanta chili di peso totale. E' l'essere stato lasciato andare che gli fa male. Lui non lo avrebbe fatto. Se mai fosse stato così cretino da dire a Vinicio quello che Vinicio ha detto a lui, per prima cosa si sarebbe scusato, che non sarebbe stata questa grande impresa, e poi avrebbe cercato di impedirgli di uscire di casa con un po' più di forza e, se non ci fosse riuscito, gli sarebbe corso dietro. E invece Vinicio che cos'ha fatto? Si è probabilmente seduto sul divano a piangersi addosso mentre lui era da Alessandro, a nemmeno dieci minuti in auto da casa sua.
Francesco si ripete questo discorso quasi due volte al giorno, principalmente perché in casa di Alessandro si annoia più di quanto non faccia a casa di Vinicio, il che è tutto dire perché la casa di quest'ultimo è costruita per essere noiosa, con il salotto pieno di stupidi e intoccabili soprammobili africani, la terrazza in cotto che si graffia e tutti quei libri russi sparsi ovunque come a ricordarti che la noia deve sempre imperare sovrana. All'inizio della relazione, quando Vinicio spariva per ore a fare cose di cui a lui fregava meno di niente, Francesco passava il tempo disteso sul divano a lamentrsi che non aveva niente con cui distrarsi. Poi aveva portato lì le sue console per giocare e i fumetti e un sacco di film d'azione, così a poco a poco la casa di Vinicio non era stata più così noiosa. E non era più stata nemmeno tanto di Vinicio. Voleva tornare a casa.
Mentre lo pensa, sente la porta aprirsi e corre ad accogliere Alessandro, fosse anche solo per distrarsi, ma non lo trova. Al suo posto, Vinicio si guarda intorno spaesato e a disagio, chiudendo la porta piano come avesse paura di romperla. Francesco rimane in silenzio, aspettando che si giri e lo veda piuttosto che chiamarlo. Quando Vinicio gli posa gli occhi addosso, deglutisce. Il suo pomo d'Adamo si fa un viaggio chiarissimo dall'alto verso il basso e ritorno. “Ehi, ciao,” mormora.
“Ciao.”
Vinicio si inumidisce le labbra, deglutendo di nuovo. “Ale mi ha detto che sei stato qui tutto il tempo,” continua a fatica, allungando la vocale iniziale per il nervoso. “Ti va se ci sediamo un po' e ne parliamo? Ho un po' di cose da dirti.”
“Ne hai dette abbastanza anche stando zitto,” gli fa notare.
“Non ti ho detto quelle più importanti,” insiste Vinicio. “Ti prego.”
Francesco sospira e gli accenna al salotto. Si siede su una poltrona e lo guarda fisso, aspettando di vedere che cos'ha da dire esattamente.
“E' vero che ti ho detto che non voglio sposarmi e so che cosa implica questo,” inizia, cercando le parole adatte. “Ma non era quello che avrei dovuto dire.”
“Continua.”
Vinicio si sente sotto pressione, pertanto si tortura l'anello del nonno e non riesce ad aprire bocca senza bloccarsi ad ogni minima sillaba. Francesco deve combattere l'impulso che ha di abbracciarlo e massaggiargli i muscoli delle spalle perché si rilassi. E' quello che fa ogni volta che Vinicio deve salire sul palcoscenico e il panico gli blocca la voce. “Pensavo mi spaventasse l'idea di stare insieme per sempre, ma la verità è che mi spaventa di più il contrario,” mormora. “Quando te ne sei andato, mi sono detto che in fondo volevamo cose diverse ed era giusto che tu cercassi le tue altrove.”
“E' per questo che non sei venuto,” borbotta Francesco, scuotendo la testa incredulo. “Sei veramente un disastro.”
“Ma poi mi sono guardato intorno e ho visto tutte le cose che hai lasciato.”
“Se sei venuto qui a dirmi di venire a riprenderle, sappi che ho intenzione di farlo nei prossimi giorni,” commenta gelido Francesco.
“No!” Sbotta Vinicio, sgranando gli occhi. “Non voglio che le porti via. E' proprio questo il punto. Ho capito che non mi piace l'idea che tu sparisca dalla mia vita, il che significa che ti voglio con me il più a lungo possibile. E non era mai successo prima. Quando Alessandra se n'è andata, le ho chiuso la porta dietro e ho continuato per la mia strada, quando lo hai fatto tu ho continuato a riaprila nella speranza che comparissi sullo zerbino con il borsone, esattamente come hai fatto il primo fine settimana che sei rimasto di forza a dormire qui contro la mia volontà. E allora ho capito.”
Francesco lo osserva ma non si muove, sta faticosamente cercando di non illudersi, perché il discorso sembra andare dove vorrebbe, ma con Vinicio non si sa proprio mai.
“Se mai volessi fare una cosa stupida, sicuramente la farei con te. Sei l'unica persona che non ho voglia di ammazzare quando trovo le cose spostate in bagno ,” conclude Vinicio, con un mezzo sorriso imbarazzato ma incoraggiante.
Francesco continua ad osservarlo senza espressione per qualche lunghissimo minuto che gli fa temere il peggio, ma poi le sue labbra si aprono in un sorriso dei suoi. “Certo che sei proprio un cretino,” commenta, tirandolo verso di sé e stampandogli un bacio sulle labbra.
“A quanto pare,” commenta Vinicio, sempre un po' restio a darsi addosso.
Francesco ride anche di quello. Se non avesse saputo fin dall'inizio che Vinicio era una tragedia ambulante, non avrebbe sopportato di stargli intorno così a lungo; ma l'ha conosciuto così e, per quanto sia stupido, non si illude di cambiarlo completamente. Non in tempi brevi, almeno, e di sicuro non tutto insieme. Un pezzo alla volta lo sostituirà abbastanza da farlo funzionare senza per questo stravolgerlo completamente, come la vecchia 500 di sua madre, che è ancora una 500 ma tira i duecento come niente.
“Quindi,” inizia lentamente, sedendoglisi accanto con aria cospiratoria e spingendolo per gioco con una spalla, “un matrimonio non è così improbabile.”
“Forse,” concede Vinicio, rispondendo alla spallata.
“E magari anche dei bambini.”
“Se sopporto te, forse potrei sopportare anche delle piccole copie. Vedremo.”
Francesco ride e gli prende il viso tra le mani, baciandolo profondamente. “Vedremo è già più di quanto mi serve, ora.”
Alessandro sospira e fa lentamente qualche passo indietro per non disturbare e per non vedere quello che potrebbe seguire la riappacificazione. E' probabile che dovrà dare fuoco al divano, alla fine.
Chiude la porta di casa e ride, perché è felice di aver scongiurato la tragedia. Lui non sa molte cose riguardo alle relazioni ma una cosa, salvando la loro, l'ha imparata: il punto di non ritorno non esiste.
Esistono solo punti dai quali non vuoi tornare e, con un po' di fortuna, questo è uno di quelli.
Personaggi: Francesco Montanari, Vinicio Marchioni
Genere: Erotico, Comico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Note: Dovrei smetterla, lo so. Sono in cura da uno bravo. Comunque, l'idea non è stata mia, me l'hanno detto le voci. Quella di Liz in particolare. La cosa più bella di questa storia è il titolo, comunque. Just sayin'

Riassunto: Francesco fa sogni che generano problemi di tipo idraulico.
WHEN YOUR DREAMS TURN TO DUST, VACUUM


Francesco non rimaneva mai volutamente a dormire da Vinicio.
Naturalmente c'erano casi in cui che rimanesse per la notte era implicito nel suo essere presente in casa, ma nella maggior parte dei casi rimaneva lì a dormire per il semplice fatto che si addormentava e, dal momento che una volta preso sonno non c'era verso di svegliarlo fino al sorgere del sole, Vinicio lo teneva lì. E lì spesso significava nel luogo stesso in cui per un motivo o per un altro quello aveva chiuso gli occhi, perché non era fisicamente possibile che lui riuscisse a sollevarlo da una qualunque superficie, o anche solo a trascinarlo sul pavimento; per altro non vedeva per quale motivo dovesse farlo, e così finiva per gettargli addosso una coperta e lavarsene le mani. A volte, durante la notte, Francesco si svegliava abbastanza da deambulare fino al letto dove franava già di nuovo addormentato prima di toccare le coperte, ma era raro che accadesse e comunque Francesco poi non se ne ricordava.
Così come non si ricordava dove fosse esattamente quando aprì gli occhi quella mattina e la prima cosa che vide fu la stampa arancione di un centrino su una parete dipinta di rosso. Richiuse gli occhi perché li aveva aperti da meno di cinque secondi e c'erano già troppe cose da capire. L'unica cosa che voleva al momento era tornare al sogno che stava facendo. C'erano lui e Vinicio, e una bottiglia di vino buono ma non aveva idea di che cosa stessero festeggiando. Non era importante, comunque. Quello che contava era la sensazione quasi reale di stringere le gambe intorno alla vita di Vinicio, delle sue mani che gli accarezzavano i fianchi e del suo viso abbandonato contro la sua spalla mentre entrava in lui per quella che il sogno lasciava intendere fosse solo l'ultima di una serie infinita di volte in un solo giorno. La pelle gli formicolava ancora dove le labbra di Vinicio l'avevano toccata in sogno e il solo pensiero che non bastasse chiudere gli occhi per tornare a sentirne il calore, lo stava mettendo di malumore.
Alla fine si decise a svegliarsi del tutto, accettando che le sue fantasie erotiche fossero irrimediabilmente perdute. Fissò la parete rossa davanti a lui, la identificò come quella della stanza da letto di Vinicio e a quel punto fu facile anche capire che quel centrino arancione non era altro che un mandala buddhista dipinto con gli stencil e la bomboletta spray. La stanza non era tutta su quello stile, ma aveva avuto la sfortuna di aprire gli occhi sull'angolo spirituale accanto all'armadio, lo stesso in cui c'erano gli incensi e quello spaventoso sonaglio fatto di campanelli che si metteva a suonare al minimo accenno di vento, anche se la finestra era chiusa. Si voltò a fissare Vinicio che dormiva disteso sulla pancia, con la testa quasi del tutto nascosta sotto al cuscino. Il suo sguardo si perse sulle sue scapole che convergevano sulla linea dritta della spina dorsale. La inseguì fino al limite dei boxer ed ebbe una gran voglia di scostare la stoffa solo per veder spuntare la curva delle natiche. O magari fare anche qualcosa di più.
Infatti, se lui si stava presto scordando delle sensazioni provate in sogno, il suo corpo se le ricordava benissimo; tanto bene che l'erezione tra le sue gambe era perfettamente salda e si aspettava di essere soddisfatta dallo stesso uomo che ne era la causa, anche se a conti fatti quello non aveva mosso un dito per ottenere tale risultato.
Francesco scostò le coperte, scoprendo un po' anche Vinicio e quindi si avvicinò lentamente a lui, saggiando le molle del materasso sotto le dita. Gli lasciò baci leggeri sulle spalle, controllando di tanto in tanto le sue reazioni. Vinicio rimase quasi del tutto immobile finché Francesco non salì a mordicchiargli il collo e il lobo dell'orecchio, allora mugolò qualcosa di incomprensibile e infilò la testa sotto il cuscino completamente, agitando una mano dietro di sé come a scacciare una mosca.
Francesco non si dette per vinto. Non lo faceva mai, in nessuna situazione, men che mai quando aveva davvero, davvero bisogno che Vinicio si svegliasse. Ripartì all'attacco, stavolta portando i suoi baci verso il basso e accarezzandogli il fianco con una mano che poi infilò sotto la sua pancia e sotto l'elastico dei boxer, con l'idea di svegliarlo come sarebbe piaciuto svegliarsi a lui. Il corpo di Vinicio si mise in moto prima del suo cervello, e si sollevò quel tanto che bastava a concedergli un accesso maggiore, ma non fece in tempo a fargli due carezze che Vinicio cacciò fuori la testa dalla tana e si guardò intorno, con i ricci più spettinati del solito. “Si può sapere che cosa stai facendo?” Chiese confuso.
Francesco si allungò tutto su di lui, mentre continuava ad accarezzare organi inspiegabilmente morti a quell'ora del mattino. “Usavo metodi alternativi per svegliarti,” rispose, sussurandogli all'orecchio e sorridendo un po' di fronte alla faccia assonnata di Vinicio.
“France', è l'alba,” protestò, mugolando. Si voltò supino e lo scrutò attraverso lo spiraglio di due occhi aperti soltanto lo stretto indispensabile.
“Veramente sono le dieci,” commentò Francesco, chinandosi a baciarlo sulla bocca.
Vinicio non si ritrasse, ma solo perché non ne aveva ancora fisicamente la forza. Tutto ciò che fece fu rimanere lì immobile, spento come tutto quanto il resto. “E' domenica, quindi è l'alba finché non apro gli occhi e decido di alzarmi,” precisò.
“Ma hai gli occhi aperti,” mormorò Montanari, baciandogli il collo e continuando ad accarezzarlo tra le gambe, senza capacitarsi di come fosse possibile che accadesse poco o nulla. Se la situazione fosse stata a parti invertite, a quest'ora avrebbero già finito.
“No, è solo una tua impressione. In realtà sto ancora dormendo,” borbottò Vinicio, schiacciandosi il cuscino sulla faccia per sottrarsi ai suoi baci. “Togli quella mano di lì.”
Francesco emise un lungo sospiro frustrato, quando la sua erezione gli ricordò che era ancora lì e che era disposta a reagire a qualunque stimolo, anche il più piccolo, come il suono roco e impastato che la voce di Vinicio aveva in questo momento. Smise di stringere fra le dita le cause perse e si ficcò anche lui sotto il cuscino, dove faceva caldo e il profumo di Vinicio era fortissimo. “Andiamo,” mormorò, cercando di essere convincente. “Possiamo sempre dormire dopo.”
“Possiamo scopare dopo,” replicò lui, tornando a chiudere gli occhi e, con un po' di fortuna, anche la questione.
Francesco gli nascose il viso nel collo; più o meno, visto che non vedeva niente. “No, non possiamo,” disse, strusciandosi contro di lui per rendere chiari i motivi della sua insistenza. Anche se, a ben pensarci, non avrebbe dovuto affatto sentire la necessità di insistere. Stava chiedendo di fare sesso, non di partire per un viaggio di sei mesi in Antartide a salvare le foche. “Vinicio...”
Il sospiro esasperato dell'uomo scaldò la stoffa del cuscino e fu un suono strano là sotto. “Sto dormendo,” ripeté. “Perché non fai da solo?”
Si era preparato qualche altra replica, ma non ce ne fu bisogno. I riccioli di Francesco gli accarezzarono la guancia mentre si allontanava, e all'improvviso calò di nuovo il silenzio. Aveva troppo sonno per chiedersi qualcosa, quindi si lasciò scivolare nel dormiveglia.
Quando riaprì gli occhi, qualche minuto dopo, lo fece soltanto pero colpa del mugolio che si era insinuato tra i meandri di un sogno molto confuso. All'inizio era stato soltanto un rumore indistinto, poi si era fatto sempre più chiaro finché gli ansimi di Francesco non erano diventati riconoscibili. Non che stesse facendo chissà che rumore, ma Vinicio lo capì lo stesso, perché era abituato al suo respiro affrettato e ai gemiti che ogni tanto gli scappavano di bocca, scatenando reazioni ben più efficaci di quelle generate dalle sue carezze.
Vinicio sollevò appena il cuscino per poterlo guardare mentre disteso sulle coperte si accarezzava con decisione, le dita dei piedi arricciate e la schiena piegata a formare un arco perfetto che lo teneva ben sollevato dal materasso. Si perse ad osservare gli occhi chiusi e le ciglia che tremavano appena, la bocca dischiusa dalla quale i gemiti scivolavano fuori liquidi ma sempre più forti, come se non stesse affatto cercando di trattenerli. Francesco strinse più forte le dita umide intorno alla propria erezione e le sue carezze si fecero più veloci e meno precise, poco ordinate.
Completamente dimentico di aver mai avuto sonno, il corpo di Vinicio fu scosso da un tremito al pensiero di poter toccare, oltre che guardare, di poter strappare lui stesso a quella bocca dei gemiti invece che ascoltarli soltanto.
Si avvicinò lentamente e Francesco sussultò quando posò una mano sulla sua. Lo guardò attraverso palpebre pesanti, rilasciando sospiri lunghi e profondi che rimbombavano nel silenzio della stanza. Vinicio si distese su di lui, facendosi spazio fra le sue gambe. Sosistuì le sue carezze con le proprie e raccolse il primo gemito sulle labbra, mentre Francesco gli avvolgeva le braccia intorno al collo, tirandoselo contro e spingendosi tra le sue dita. “Vinicio...” lo chiamò, non appena si allontanarono per riprendere fiato.
Lui annuì, leggendo il tremito del suo corpo sotto le dita. Si fece subito spazio nel suo corpo, mentre Francesco gli accarezzava le spalle, e la schiena, e qualunque cosa riuscisse a toccare per darsi un appiglio da stringere e pelle da mordere. Chiamò di nuovo il suo nome, cercando la sua bocca per affogarci dentro tutta la smania che aveva addosso e che lo portava ad andare incontro alle sue spinte con tanta di quella foga che il letto divenne un macello nel giro di cinque minuti e Vinicio desiderò di averlo inchiodato al muro come aveva giurato di fare la prima volta che lo avevano fatto lì e, con il suo entusiasmo, Francesco era riuscito a buttare in terra tre stampe appese alle pareti con la sola imposizione della testiera.
Francesco reclinò la testa, si lasciò mordere e leccare il collo mentre era scosso dall'ultimo tremito e Vinicio lo sentì sciogliersi tra le dita. Continuò a spingersi con decisione, Francesco ancora se lo stringeva addosso, ma la sua presa si era fatta debole e i suoi movimenti lentissimi. Così abbandonato, Vinicio lo trovava ancora più bello, se mai si era permesso di dirlo, perché poteva osservarlo senza tutta l'agitazione con cui di solito si muoveva, senza che i suoi riccioli neri gli coprissero gli occhi – due macchie scure e lucide – sapendo che mai come in quel momento era suo per davvero.
Venne in silenzio perché non si fidava della sua voce. Incontrò gli occhi di Francesco prima di lasciargli un bacio piccolo e stanco sulle labbra e appoggiarsi a lui per riprendere fiato.
Fuori, si rese conto, i rumori della strada si erano fatti più forti, chissà quanto tempo era passato. Gli occhi gli si stavano chiudendo di nuovo e li lasciò fare perché la notte non gli era bastata e l'ultima mezz'ora gli aveva tolto quel poco di riposo accumulato.
“Vinicio?” Lo chiamò Francesco, che giocava con le ciocche scomposte dei suoi capelli, aiutando l'intero processo di assopimento.
“Hmn?” Era tutta l'autonomia che gli rimaneva.
“Dormi?” Chiese Francesco.
Sospirò. “E' ancora l'alba,” provò, anche se nella piazza sotto casa dovevano aver montato le giostre e ora una musichetta insopportabile da carosello proveniva forte e chiara come se il giostraio fosse in salotto ad usare il suo stereo.
Francesco fu capace di aspettare solo cinque minuti – durante i quali comunque si agitò e divenne molto scomodo per Vinicio usarlo come cuscino – prima di sbuffare di nuovo. “Ehi? Dormi ancora?”
“Sono passati cinque minuti, France'. E' sempre l'alba.”
“Ma ho fame,” protestò e, prima che Vinicio potesse aprire bocca e spedirlo in cucina a mangiare in solitudine, aggiunse: “Voglio fare colazione con te, non la facciamo mai. Lo sai che mi viene fame dopo averlo fatto.”
Vinicio sospirò; si disse che non avrebbe dovuto aspettarsi niente di diverso, che lo sapeva che Francesco di anni poteva pure averne ventisei ma che la realtà anagrafica era ben diversa da quella mentale. Si disse che il diciassettenne onorario che si portava a letto era comodo in molte situazioni – per esempio a letto – ma che per avere quelle doveva sopportare molte altre cose – per esempio che era una piaga – e non c'era altra soluzione che dividere la sua giornata in momenti in cui faceva del sesso e momenti in cui era un ragazzo padre. Mentre si lamentava nella sua testa, Francesco lo chiamò altre due volte e chiese del pane e marmellata, così si arrese. Aprì gli occhi e fece arrivare l'ora di alzarsi.
Personaggi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari
Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Note: Ennesima Vincesco di cui nessuno sentiva il bisogno tranne Liz, che in effetti l'ha plottata a partire da cosa non ricordo. So solo che ha cominciato a saltellare dicendo “scrivila!” e io non ho saputo dirle di no. Mi rendo conto che dovrei farlo, visto quello che poi esce fuori. Ci sarà qualcun altro in Italia che shippa questi due, o siamo solo noi due le pazze che rischiano la denuncia con conseguente reclusione? :)
I riferimenti ad Arezzo a Bari e agli Slipknot sono reali, quello a Torre Melissa non lo so, viene direttamente dalla pagina di Wikipedia del Marchioni, che però contiene un mucchio di errori, per cui prendetelo un po' con le pinze. Potrebbe essere il seguito di (If I could grant you one wish) I'd wish you could see the way you kiss o anche no, dipende da come vi gira. Tanto ho la tendenza a rispiegare sempre tutto da capo, quindi...
Riassunto: E' il 4 ottobre e i nazisti hanno invaso il salotto di casa Marchioni.
WORLD WAR III


Francesco sta con Vinicio da un sacco di tempo, dove un sacco definisce un periodo che non supera i sei mesi. Per lui è una cosa incredibile dal momento che la sua ultima ragazza è durata due settimane e poi lo ha mandato a quel paese perché non era abbastanza uomo; il che, guardando la situazione con il senno di poi, potrebbe forse spiegare Vinicio, se la ragazza in questione, quando ha detto quello che ha detto, non si fosse, in realtà, riferita al fatto che Francesco non è il tipo disposto a farsi ammazzare da due energumeni ubriachi che per strada le hanno fatto un complimento di troppo.
Francesco sostiene la non-violenza, soprattutto quella riguardante la sua persona. E poi piange, piange un sacco, di gioia ma soprattutto di tristezza quando guarda i film commoventi. Non può farci niente, non è che sia meno uomo di un uomo che non piange con i film strappalacrime, è solo più sensibile.
La sua ragazza lo ha lasciato perché è troppo sensibile, e ora Francesco scommette che si lamenta del suo nuovo ragazzo perché non lo è abbastanza; ma a lui comunque non importa un accidente. Alla sua ex ragazza ci pensa soltanto quando gli viene in mente da quanto tempo lui e Vinicio stanno insieme.
Vinicio non gli dice mai che non è abbastanza uomo, ma forse perché lui non gli dice mai niente in generale col fatto che di natura, potesse, starebbe zitto anche i giorni interi e poi perché, quando parla, il più delle volte ci mette ore a dirti quello che vuole dire, perciò sta zitto che è meglio. E poi Vinicio non gli dice che dovrebbe essere più uomo perché questo solleverebbe delle questioni anche sul suo essere uomo e forse è un discorso che è meglio non fare. Francesco non è sicuro di questo ma, per non rischiare, lascia sempre perdere qualunque dubbio sull'argomento.
Un'altra cosa che a Vinicio sembra non importare affatto è che lui pianga. Non nel senso che, se piange, lo lascia accartocciarsi sul divano in preda ai singhiozzi e se ne va a bere qualcosa fuori; però non sbuffa e alza gli occhi al cielo, come facevano la sua ex ragazza – e anche qualunque altra prima di quella – ma tuttalpiù va a fargli una tisana alla passiflora, una pianta di cui Francesco non avrebbe mai scoperto l'esistenza se Vinicio non gliel'avesse infilata in una tazza, una sera, sostenendo che servisse a distendere i nervi. Adesso Francesco chiede la tisana alla passiflora ogni volta che può, anche se non è per niente nervoso, ma anzi è piuttosto rilassato, perché gli piace l'idea che Vinicio si alzi apposta dal divano e vada fino in cucina a fargli la tisana. Quell'uomo è talmente meticoloso nel fare le cose, così preciso fin quasi alla malattia, che Francesco può indovinare tutti i movimenti che sta facendo, anche se resta seduto sul divano. Così si mette lì, chiude gli occhi e pensa: ora prende il pentolino e ci mette l'acqua, ora lo lascia sul fuoco, ora apre lo sportello in alto a destra e prende la tazza blu...
Forse è per questo che la storia con Vinicio sta andando avanti ben oltre il normale, perché Vinicio non si arrabbia mai, non critica mai, non dice mai che Francesco non è abbastanza uomo o abbastanza donna o abbastanza chissà cosa che gli andrebbe meglio. A Vinicio, se non andava bene com'era, magari usava le sue poche parole giornaliere per dirlo.
Ma neanche Vinicio è infallibile e, nonostanto il notevole bagaglio di perfezione che sotto molti aspetti si porta dietro ogni giorno, un lunedì sera – che non per caso coincide con il compleanno di Francesco – commette il suo primo vero grave errore. Anche se Francesco questo non può saperlo in anticipo e, trattandosi di lui, non se ne rende conto nemmeno mentre ciò avviene.
Generalmente, da qualche mese a questa parte, qualunque cosa stiano facendo in giro per l'Italia, cercano di passare insieme almeno qualche giorno alla settimana e hanno sempre una valigia pronta per l'occasione, così non perdono tempo a farla ogni volta. Ogni tanto è Francesco che vola ad Arezzo dove Vinicio è ospite in una discoteca, alle volte è Vinicio che dopo un'ospitata a Bari prende di corsa l'ultimo aereo e atterra giusto in tempo per recuperare Francesco che esce da una qualche prima teatrale.
Quel luendì sera, Vinicio ha appena finito di ripulire e riordinare la casa da cima a fondo, così Francesco possa sommergerla nel caos più totale non appena ci metterà piede dentro; ed è anche piuttosto soddisfatto del suo lavoro. Osserva il salotto che quasi brilla, con i suoi bei tappeti messicani intrecciati e i soprammobili etnici in legno che reggono i libri sugli scaffali, e sa che già da domani tutti i volumi saranno messi a casaccio e le sue statuette africane verranno sparse su tutte le superfici più alte a farsi la guerra come improvvisati cecchini, perché Francesco, mentre lui fa la doccia la mattina, si annoia sempre e, non sapendo che fare, mette a soqquadro la casa.
E' una faccenda, questa, che all'inizio gli dava sui nervi perché qualunque cosa lui mettesse in un certo posto, era sicuro di ritrovarla altrove, spesso dall'altra parte della casa, se per qualche motivo attirava l'attenzione di Francesco. E quasi tutto attira l'attenzione di Francesco se lui è abbastanza annoiato.
Col tempo, però, ha cominciato ad abituarsi, anche perché Francesco continuava a generare caos e, a meno di liberarsi di lui, non poteva liberarsi nemmeno della scia di confusione che lo seguiva ovunque andasse.
Si è abituato a quella caratteristica di Francesco come ha fatto l'abitudine al suo modo di dormire sconclusionato, che si porta via metà del letto e tutti e due i cuscini, al vizio di fare colazione davanti al televisore e alle sue coccole – tante, troppe coccole! – che cerca e dà senza chiedere mai a lui se è ben disposto in quel senso, ed è così convincente nel farlo che poi Vinicio finisce sempre per cedere, invece di infastidirsi in maniera irreparabile. Francesco si è infilato nella sua vita in un momento in cui non guardava ed è così perfetto mentre sparge vestiti perfino in cucina ed esce a mezzogiorno dalla camera da letto grattandosi la pancia con i segni del cuscino sulla faccia, che Vinicio non può non ammettere che il destino di Francesco fosse devastare l'esistenza a lui. Non è il tipo da dire che non si ricorda affatto com'era la vita prima – perché lui se lo ricorda eccome com'era potersene stare due ore in silenzio a leggere un libro senza che qualcuno chiedesse ogni dieci minuti di poter mangiare, bere o fare qualcosa – però, se è sincero con se stesso, non può dire che preferisce il passato.
Quando Francesco suona il campanello, e lo fa svegliando tutto il vicinato con il ritornello dell'ultima canzone che gli è rimasta in testa e che ha tentato inutilmente di insegnargli per telefono, Vinicio sta finendo di cucinare. Guarda l'orologio e scopre che Francesco è in ritardo di un'ora soltanto, il che, nel suo caso, può essere considerato un largo anticipo; difatti lui non ha ancora finito di preparare. Si assicura al citofono che si tratti davvero di lui, quindi apre il portone di corsa e torna ai fornelli, dove l'altro lo trova dieci minuti dopo. “Io sto via ben sette giorni in un posto dimenticato da Dio, in cima ai monti, tra le aquile e i lupi, senza telefono né internet e non vieni nemmeno a salutarmi,” finge di protestare mentre appoggia il cappotto su un mobile a caso e si attacca alla bottiglia di succo d'arancia direttamente dal frigorifero. “Sarò costretto a farti ascoltare l'intera discografia degli Slipknot per punizione.”
Vinicio non si scompone. “Stavo cucinando,” si giustifica. “Ma se dopo il lungo e faticoso viaggio che dalle lande desolate della campagna vicino Roma non hai fame, basta che me lo dici e smetto.”
“Che cos'hai preparato?” Francesco si sporge a vedere.
Vinicio solleva i vari coperchi e gli presenta la cena come un vero cuoco professionista. Francesco ha così fame che mangerebbe pure gli avanzi di cinese che ha intravisto nel frigorifero, quindi tutto quel ben di Dio gli fa dimenticare di essere arrabbiato. “Però un cd potresti anche ascoltarlo, sono mesi che te lo chiedo e tu mesi che ti rifiuti.”
Vinicio sala con noncuranza un paio di padelle. “E ci sarà un motivo se lo faccio, no?” Commenta, lanciandogli un'occhiata veloce.
“Prima o poi dovrai aprire gli occhi e renderti conto che la musica ha continuato ad evolversi anche dopo Baglioni.”
“In peggio, Fra'. E' questo il punto,” e poi, notando gli occhioni delusi di Montanari aggiunge: “Facciamo che io posso ascoltare un cd dei tuoi, se tu ascolti un po' di musica classica. E senza storcere il naso!”
Francesco trattiene fisicamente l'impulso che già lo spingeva a fare una smorfia, così che la bocca gli si contorce in maniera comica. “Ho cambiato idea. Non sei ancora pronto per gli Slipknot.”
Vinicio annuisce con aria falsamente solenne. “Lo sospettavo.”
La cena si svolge come si svolgono tutte le loro prime cene insieme della settimana, e cioé con Francesco che gli fa il riassunto dettagliato della sua vita negli ultimi giorni in cui non si sono visti. Non è che gli succeda granché – d'altronde non è che salvi bambini in pericolo o scopra nuove cure per malattie tremende – ma siccome ha una fantasia sterminata e una voglia di chiacchierare che sembra sempre sia stato in silenzio per gli ultimi quindici anni, riesce a rendere qualsiasi notizia un monologo di tre ore, e Vinicio lo ascolta annuendo, anche se la metà delle volte non capisce di che cosa stia parlando.
Stasera, però, quando iniziano a mangiare, Francesco è più silenzioso del solito e sembra un po' triste; lo diventa ancora di più quando vede che Vinicio non fa una piega di fronte al suo atteggiamento e all'assenza quasi totale della voglia di raccontargli vita, morte e miracoli dell'uomo che gestiva la locanda di legno e sassi dove ha dormito di recente.
Vinicio conosce perfettamente il perché di quell'atteggiamento e, d'altronde, potrebbe sfuggirgli solo se non possedesse dei calendari o se il suo uomo – che ora se ne sta seduto mogio senza toccare cibo anche se, nel piatto, ha cose che ha giurato di poter mangiare all'infinito fino ad esplodere – non avesse passato le ultime tre settimane a ricordargli con velate allusioni che si avvicinava il suo compleanno.
Vinicio sa che oggi è il quattro ottobre e si è preparato a celebrare l'evento come esso merita, ma è divertente prendere in giro Francesco, perciò finge di non ricordare e di non accorgersi di niente, nemmeno che è inappetente e che guarda con occhi tristi tutto quanto, soprattutto lui; non dimostra stupore nemmeno per il suo silenzio, ma anzi fa di tutto per apparire più rilassato del solito, ignaro e pacifico.
Franceso comincia ad offendersi a metà del secondo. La sua tristezza si trasforma in rabbia vera e propria ma, trattandosi di lui, si limita ad esternarla spostando gli oggetti con più forza del necessario e a rispondere risentito a qualunque cosa che Vinicio a quel punto gli dice solo per vederlo brontolare.
Non dovrebbe dirlo, perché questo gli toglie tutto quel poco di virilità che si è sempre vantato di avere, ma Francesco è carino quando si arrabbia e lui ha una naturale predisposizione alla cattiveria che lo porta a farlo arrabbiare di proposito per poterlo vedere mentre imbroncia le labbra come un bambino.
Generalmente smette di torturarlo solo quando ormai è ad un passo dall'esplodere ed andarsene, e stasera non fa eccezione. E' quando lo vede smaniare sulla sedia e rimettere a posto il tovagliolo due volte, occhieggiando il suo borsone ancora nel corridoio, che Vinicio si alza e va in cucina a recuperare la torta di compleanno che aveva nascosto così bene nel frigorifero dietro la verdura, che Francesco non l'ha minimamente notata quando ha recuperato il succo di frutta.
Quando torna in salotto, lui è in piedi che vaga senza meta intorno al divano, forse chiedendosi se sia davvero il caso di andarsene o se non sarebbe meglio risolvere un problema di cui Vinicio non ha nemmeno dato segno di accorgersi. “Allora che fai? Resti oppure te ne vai perché sono un uomo tremendo, un fidanzato pessimo e un essere umano indegno di tale nome?”
Francesco solleva lo sguardo e sta per dirgli che in effetti è proprio uno stronzo, ma poi vede la torta e le sue labbra si aprono in un sorriso così spontaneo che riescono a strapparne uno perfino a lui.
“Buon Compleanno!” Commenta Vinicio. “La torta dovrei tirartela in faccia solo perché hai pensato che me ne fossi dimenticato.”
Francesco ha un modo tutto suo di reagire alle sorprese che consiste perlopiù nell'imbarazzarsi tremendamente. Diventa tutto rosso, gli occhi gli si fanno lucidi e non riesce a guardarlo per più di due secondi senza mettersi a ridere. “Sei proprio uno stronzo,” dice, ma non ci crede davvero. “Per quanto ancora avresti continuato se non avessi minacciato di andarmene?”
“Tu non hai minacciato un bel niente, ti sei solo agitato” gli ricorda Vinicio, abbracciandolo da dietro e stampandogli un bacio sul collo mentre entrambi guardano la torta alla panna appoggiata sul tavolo. “Comunque volevo finirla molto prima, ma eri divertente.”
“Dovrei andarmene comunque.”
“Non lo farai quando avrai visto il tuo regalo.” Prima di allontanarsi, Vinicio gli dà un altro bacio con quella disinvoltura che Francesco gli invidia tantissimo. E' capace di infilare un bacio ovunque, anche mentre sta lavando i piatti o passando di lì per caso mentre va in bagno. A volte li dispensa in momenti così imprevedibili e con una tale naturalezza, che Francesco è impreparato a riceverli e finisce per porgere le labbra quando non dovrebbe, o altre pessime figure simili. A lui non è mai riuscito baciare così.
Deve aspettare quasi dieci minuti prima di mettere le mani sul regalo, che non è lo stesso Marchioni con un fiocco in testa – una cosa che probabilmente avrebbe apprezzato –, ma qualcosa che è quasi perfino meglio.
Quando capisce che è una Playstation 3 nuova di zecca, quasi non credere ai suoi occhi. “Come facevi a saperlo?” Chiede sconvolto, staccando solo per un istante gli occhi dal proprio viso riflesso sulla superficie lucida della console.
“Vuoi dire a parte il fatto che sbavavi ogni volta che ne vedevi una?” Lo prende in giro. “Te l'avrei comprata comunque, sembrava adatta.”
Francesco lo bacia con la foga di un ragazzino, quasi stendendolo sul divano, e nemmeno si rende conto di farlo, poi si fionda verso il televisore e lascia Vinicio spettinato e con le gengive leggermente doloranti.
“Lo prenderò come un grazie,” borbotta, facendo le boccacce per ritrovare sensibilità. “Puoi portarla a casa o puoi lasciarla qui, come preferisci. A me non da fastidio.”
Il suo commento, comunque, passa totalmente inascoltato perché Francesco la sta già montando e non vede né sente assolutamente nient'altro. Ha preso saldamente la tv al plasma del salotto e l'ha fatta ruotare sui cardini del gancio che la tiene appesa al muro per guardarci dietro con aria professionale, mentre un pitone di cavi colorati lo avvolge dalla testa ai piedi.
Vincio sospira: lui l'aveva quasi intesa come una strana richiesta romantica, del tipo ormai è tempo che lasci qui lo spazzolino da denti, ma evidentemente questo leggero sottinteso è passato inosservato. E d'altronde Francesco lo spazzolino in casa sua lo ha già, così come il pigiama, una tonnellata di vestiti e varie cianfrusaglie che lo accompagnano ovunque vada, quindi in realtà quel piccolo passo lo hanno già fatto e Vinicio non può certo lamentarsi se l'altro non coglie, soprattutto quando non coglie venature molto più palesi di quella.
Sparecchia un po' in attesa che il prodigio della tecnica venga infine collegato al televisore, convinto che una volta visto che la console funziona, è viva e può essere – non ora, ecco – utilizzata secondo lo scopo per cui è stata creata, tutta l'attenzione di Francesco tornerà a lui che lo aspetta per finire di festeggiare in modi più appropriati alla serata.
Si sbaglia. Anzi, si illude e in maniera così esagerata che, se anche avesse il sentore che si sta illudendo, di certo non avrebbe la benché minima idea di quanto.
Prima che Francesco torni a rendersi conto di che cosa ha intorno, Vinicio fa in tempo a portare in cucina tutti i piatti e i bicchieri, a recuperare i piattini da dolce, i cucchiaini, i flute per lo spumante e a rispondere ad una chiamata di sua madre che non poteva proprio aspettare il giorno dopo per elencargli le mille virtù di Rosaria, cugina in quarto grado della figlia di Assunta, la farmacista del paese giù in Calabria, la quale – a quanto pare – è tanto una cara ragazza, così a modo e dell'età sua. Come se questo potesse bastare a renderla interessante agli occhi di Vinicio che, Francesco a parte, non ha comunque intenzione di scendere a Torre Melissa solo per trovarsi moglie. Prima o poi deve davvero prendere sua madre da una parte, imbottirla di tranquillanti e spiegarle con molto tatto la situazione. E' veramente stufo di incontrare care ragazze con le sopracciglia cespugliose e i porri sul naso solo per farle piacere. Qualcuno deve dirle che i suoi nipotini, al momento, sono una questione quantomeno rimandata.
“Scusa, era mia madre,” annuncia rientrando in salotto, ma tanto non importa perché Francesco è così impegnato a sparare ai nazisti che non si era nemmeno accorto della sua assenza.
Questo è frustrante al punto che Vinicio decide finalmente di fare qualcosa e, visto che spegnergli il televisore gli sembra un gesto un po' drastico per cominciare, gli si avvicina con un piattino e una fetta di torta alla panna, nella speranza di attirarlo lontano dal magico monolite nero e liberarlo così dal suo incantesimo malvagio.
“Fra', ti va un po' di torta?” Chiede invitante, sventolandogli il piatto davanti e sedendosi a gambe incrociate proprio accanto a lui.
Francesco si volta un secondo a guardare lui e la torta, e poi torna a sparare, borbottando di avamposti e di luridi invasori. “Sì, grazie,” dice.
La torta però resta lì e un po' si scuote ogni volta che un nemico cade a terra in uno schizzo di sangue e i bassi del suo dolby esplodono come mine anti-uomo.
Vinicio sospira di nuovo, si arma di cucchiaino e cerca di non pensare al fatto che lo sta imboccando mentre gioca ai videogiochi perché altrimenti finirà per mettersi il cappotto e raggiungere il primo commissariato di polizia per farsi arrestare. E' già abbastanza inquietante sentirsi addosso i nove anni che li separano come se fossero cinquanta quando si rende conto che trova allucinante e incomprensibile la quasi totalità di quello che piace a Francesco: i cartoni animati, la musica metal o spararsi addosso con le pistole ad acqua.
Spera che alla prima cucchiaiata Francesco si renda conto dell'idiozia, ma i tedeschi si sono presi il penultimo dei suoi avamposti, quindi accoglie la torta sul cucchiaino con grande praticità e continua a sparare.
Vinicio osserva affranto lo sbuffo di panna che gli ha lasciato all'angolo della bocca e decide che ci sono bassezze a cui può anche arrivare – la nutella sui cracker salati, ad esempio. Quella l'ha assaggiata, l'ha anche sputata e ancora non capisce come Francesco possa mangiarne a vagoni – ma non può seriamente convincersi a fargli mangiare la torta in quella maniera, tantopiù che il punto non è affatto la torta.
Se fosse un'altra persona, una di quelle che se la prendono, Vinicio avrebbe tutto il diritto di mandarlo a quel paese dopo essere stato ignorato in favore di un videogioco, ma visto che è quello più grande, quello più adulto e probabilmente anche quello più intelligente, mette da parte la torta e decide di cambiare tattica.
Francesco è nel bel mezzo di un attacco co-ordinato con il battaglione gamma-25, gestito da un tipo di Torino, quando le labbra di Vinicio si posano sullo sbuffo di panna che con poca convinzione e la punta troppo corta della lingua tenta da qualche minuto di togliersi dalla faccia. Preso alla sprovvista, sussulta e perde due uomini. “Che fai?” Chiede senza staccare gli occhi dallo schermo.
Vinicio ridacchia contro quella linea un po' più marcata che ha tra il naso e le labbra. Quando vuole prenderlo in giro gli dice che quella è l'eredità del Libanese, che gli è venuta a furia di fare il grugno e ormai deve tenersela per tutta la vita. Francesco a volte ride, a volte no, però gli piace guardarsi allo specchio e trovarla lì; è il ricordo di un vecchio amico e la prova tangibile del luogo in cui lui e Vinicio si sono incontrati.
“Secondo te?” Mormora, lasciando un bacio dopo l'altro lungo la linea del suo mento, fino all'orecchio, dove sussurra a voce molto più bassa. “Non ti sei stancato di giocare alla guerra?”
Francesco approfitta di un vecchio casolare crivellato dai colpi per mettere al riparo i suoi uomini. Tra il sibilare della contraerea, che attraversa il salotto da una cassa all'altra, si volta verso Vinicio che continua a baciarlo così piano che quasi non lo sentirebbe, se il suo passaggio non lo lasciasse caldo e umito abbastanza da fargli venire dubbi sulle sue priorità. “Devo finire la missione,” dice incerto, rigirandosi il joypad tra le mani.
Vinicio si allunga un po' verso di lui e, ancora seduto com'è sul pavimento, è costretto ad appoggiare una mano a terra mentre con l'altra gli prende una guancia e cerca di farsi guardare per bene. “Metti la pausa no?” Chiede, baciandolo sulle labbra.
“Non posso,” Francesco mugugna, ma si lascia baciare, mentre le sue dita sfiorano appena i pulsanti senza premerne nessuno. “Sto giocando in rete.”
Vinicio non ha idea di che cosa voglia dire ma d'altronde non lo sta nemmeno ascoltando del tutto. Stringe appena le dita attorno alla sua mandibola e gli accarezza l'orecchio tra l'indice e il pollice, tentando di distrarlo abbastanza da stenderlo sul tappeto. Sa che una volta in orizzontale, la guerra perderà ogni interesse.
Francesco è combattutto, perché vede lo schermo lampeggiare con la coda dell'occhio, ed era così vicino alla fine del primo livello che è davvero un peccato finirla lì; ma questo non è un bacio infilato per caso e la lingua di Vinicio che accarezza la sua gli manda in tilt il cervello per qualche istante, almeno fino a quando i tedeschi non sganciano una bomba proprio a qualche metro dal suo capannone. Sente le urla dei suoi uomini e i colpi di fucile del battaglione gamma-25 che copre l'arrivo dei soccorsi. Torna seduto di scatto, tirando un'involontaria gomitata nei denti a Vinicio che urla e si stringe la bocca, ma nessuno lo sente. La sua voce si perde tra i colpi di mortaio, mentre il suo salotto si trasforma nello sbarco in Normandia.
Se qualche mese fa gli avessero detto che per andare a letto con il suo ragazzo avrebbe dovuto fare la guerra, avrebbe riso di brutto; innanzitutto perché non si immaginava di avere un ragazzo, visto che Alessandra non era ancora sparita lasciando solo due righe scritte di corsa su un post-it stropicciato, e poi perché era oggettivamente surreale pensare di dover dividere Francesco con i nazisti e con un torinese sconosciuto armato di mitraglietta virtuale.
Dopo essersi tamponato la gengiva con un po' di ghiaccio ed aver bevuto un bicchiere di vino, torna a sedersi per terra, notando come la sua assenza sia passata inosservata di nuovo. Passa una mano fra i riccioli spettinati di Francesco che si appoggia alla sua mano aperta e lascia che riprenda a baciarlo dietro al collo e a succhiare la pelle appena dietro l'orecchio, nonostante sia una mossa che costa la vita a parecchia gente. “Hai appena ammazzato tre persone,” gli fa notare, sorridendo.
Vinicio tiene gli occhi socchiusi e gli struscia il naso contro la spalla fino ad infilarlo nello scollo della t-shirt grigia che indossa. “E' un sacrificio necessario che sarà ricompensato,” mormora, lasciando un bacio su un neo che gli piace più degli altri, perché è tra due nervi pallidi e tesi, tra i quali è bello indugiare più a lungo per sentire la pelle di Francesco che si riempie di brividi, anche se lui non vuole darlo a vedere.
“Ho quasi finito,” si lamenta l'altro, piegando il collo verso le sue labbra e agitandosi ogni volta, ma non con troppa convinzione, così lui può continuare a farlo.
“Lo hai detto anche mezz'ora fa,” Vinicio gli parla solo all'orecchio e lascia che il suo respiro faccia molto più di quanto riescano a fare le sue parole tremule e le sue C che si inceppano a tradimento. Ormai Francesco nemmeno lo sente più balbettare, il ritmo della sua parlata è diventato familiare. Gli sembra che siano tutti gli altri a parlare in maniera strana.
“Sono alla fine ormai,” lo rassicura ancora Francesco, piegando la testa all'indietro sulla sua spalla e giocando in una posizione scomodissima, come a dare prova della propria buona fede. “Devo solo finire il primo livello.”
Le dita di Vinicio trovano il bottone dei suoi jeans e lo aprono insieme alla cerniera mentre sul campo di battaglia piove e il rumore delle pale degli elicotteri si fa sempre più vicino e spaventoso. “Non cercare di fregarmi, il primo livello lo hai finito mentre ero in cucina,” commenta, allargando su di lui il palmo aperto della mano e stringendo appena.
Francesco emette un mugolio più forte degli altri, spara a caso e abbatte un soldato che aveva tutta l'aria di avere la sua stessa identica divisa. Non riesce nemmeno a protestare perché le dita di Vinicio oltrepassano l'elastico dei suoi boxer e lo accarezzano. La sua adolescenza di ritorno, fortunatamente, non si limita ai soli videogiochi e non ci vuole molto perché nel palmo chiuso della mano, Vinicio stringa la sua erezione.
Francesco non sta giocando, ma l'eccitazione gli fa serrare i denti e abbassare la levetta del joypad con il pollice, così il capo del suo battaglione gira in cerchio e alle volte spara in aria senza motivo.
Vinicio sente la vittoria approssimarsi con l'aumentare del suo respiro sempre più concitato, così lo spinge piano a distendersi e gli toglie il controller dalle mani inermi. “Hai salvato il mondo, basta così”.
“Aspetta, manca poco alla fine del livello,” il lamento di Francesco è debolissimo e inutile perché sta già cercando di liberarsi dei pantaloni che impicciano i suoi movimenti, ma soprattutto quelli di Vinicio. Quando i jeans finiscono ammucchiati sul tappeto, ha tutta la libertà di inarcarsi un po' e di allargare le gambe per fargli spazio. Il crepitare dei cingolati che avanzano sui rami spezzati fa da colonna sonora mentre Vinicio si allunga su di lui e si sistema fra le sue ginocchia, riprendendo ad accarezzarlo mentre Francesco cerca centimetri di pelle da toccare e mordere, improvvisamente affamato ora che non ha più truppe da guidare verso un obbiettivo.
Le sue dita si fanno frenetiche mentre si aggrappa alla camicia di Vinicio per sganciare i bottoni, e protesta infastidito quando lui non lo asseconda immediatamente nel farsi spogliare.
Marchioni lascia che Francesco usi i piedi per tirargli giù i jeans e lo aiuta con una mano per quello che può, mentre si rotolano goffamente sul tappeto messicano, andando a sbattere ovunque e cambiando continuamente direzione. Sopra le loro teste la contraerea fa strage di ciò che ancora è rimasto in piedi e i superstiti del battaglione gamma-25 salvano il salvabile, che è poco e sofferente, ma adesso non ha più alcuna importanza.
Vinicio punta le braccia a terra ed entra dentro di lui osservando bene il suo viso, la smorfia dolorosa che lo accoglie e che poi si scioglie in un'espressione più rilassata quando inizia a muoversi e i muscoli non fanno più troppa resistenza, solo quella che serve per farli impazzire entrambi. Si china a baciarlo mentre Francesco gli stringe forte le braccia, le accarezza e le sue labbra si fanno rosse e gonfie. Vinicio non resiste al desiderio di morderle e leccarle prima di affondare nella sua bocca come affonda dentro il suo corpo, compiendo lo stesso movimento, nello stesso istante.
Francesco gli geme sulla lingua e stringe forte le ginocchia intorno al suo corpo, si stringe tutto quanto, andando incontro alle sue spinte quasi con la stessa violenza con cui si muove lui.
Spalanca gli occhi solo quando c'è vicino per vedere Vinicio piegare la testa verso l'alto. Vorrebbe poter vedere la curva della sua schiena mentre s'imbarca sotto il peso e l'eccitazione dell'ultima spinta, ma è un pensiero fragilissimo che si infrange in mille pezzi quando lo sente venire dentro di sé e tra le sue gambe e lo segue non appena le dita di Vinicio lo stringono abbastanza forte, e a lungo e nel modo giusto.
Non sente né vede più niente per qualche secondo, giusto il tempo di scorgere i contorni della stanza che sfumano attraverso il velo un po' opaco dei suoi occhi che si sono fatti acquosi per lo sforzo e la stanchezza.
Torna a stendersi piano sul pavimento e accoglie tra le braccia Vinicio che sbuffa di soddisfazione mentre sistema la testa sulla sua spalla.
Restano in silenzio molto più a lungo di quanto facciano di solito – Francesco, almeno – e anche la televisione è muta perché ad un certo punto uno di loro due ha staccato la spina, arpionando il cavo con un piede. Francesco lo stringe ancora più forte e guarda davanti a sé senza vedere niente in particolare; non ha bisogno di posare lo sguardo su qualcosa, gli basta la sensazione calda del corpo di Vinicio contro il suo e il generale senso di benessere che gli intorpidisce le braccia e le gambe.
“Ehi?” Lo chiama piano, in caso si fosse addormentato.
“Hmn?”
“Grazie per il regalo. E' stato inaspettato, e mozzafiato e molto ben pensato. Si vede che mi conosci bene e sai cosa farmi per il mio compleanno,” dice, passandogli le dita fra i riccioli un po' sudati. “E anche la playstation non era male.”
Vinicio sbuffa una risata che è più di naso che di gola e solleva la testa per dargli un bacio, prima di tornare ad accasciarsi a terra.
In attesa dei soccorsi.
Personaggi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvisi: Lemon, Slash
Rating: NC-17
Prompt: Scritta per il P0rn!Fest (prompt: Romanzo Criminale RPF, Francesco Montanari/Vinicio Marchioni, Film Francese).
Note: Questa fanfiction è inutilmente lunga, ma non avevo mai scritto di loro e sentivo la necessità di spiegarveli (male e a modo mio, ma tant'è). Mi sono accorta che vedo il Montanari come fisicamente non è manco per sbaglio e non è nemmeno una cosa tanto nuova, visto che ho la tendenza a rimuovere i particolari della gente che non mi aggradano particolarmente. Per il resto, le settimane di lavorazione passate sono un po' troppe perché il Marchioni non abbia già girato la scena citata ma chi se ne frega. In fondo questa storia è stata scritta per il porno, quindi insomma...

Riassunto: E' un po' vecchiotto, ma è molto bello. E' un film francese.
(IF I COULD GRANT YOU ONE WISH) I'D WISH YOU COULD SEE THE WAY YOU KISS


Che le giornate di riprese erano pesanti, Francesco Montanari lo sapeva già.
Per quanto avesse fatto soprattutto teatro e nessuno avesse mai sentito parlare di lui prima di allora, Romanzo Criminale non era la prima cosa che girava. C'era stato Distretto di Polizia e anche qualche cortometraggio. Era consapevole della fatica che si faceva a stare sul set per intere giornate e a ripetere sempre le stesse cose, o magari farne centinaia tutte diverse.
Era anche abituato alle isterie improvvise di registi e colleghi, anche se doveva ammettere che, in quel caso, essere uno dei più giovani sul set aiutava molto. Chiunque tendeva a non urlargli troppo addosso o si limitava a sbuffare se la battuta gli si arrotolava tra i denti trecento volte di fila invece di venire fuori come avrebbe dovuto; e dire che di cazzate ne faceva a pacchi, ma nessuno gliele faceva pesare mai troppo.
Questo, comunque, non rendeva meno faticoso il lavoro, che sembrava tanto divertente quando ti arrivavano i copioni – che forza questo Libanese! Mi toccherà sparare un sacco, a sto giro! – ma non lo era più tanto quando era presente praticamente in ogni scena e gli unici momenti di pausa che aveva erano quelli in cui, per qualche miracolo divino, s'inceppava qualcosa e il regista li spediva tutti a pascolare nei camerini fino a nuovo ordine.
Le prime due settimane aveva retto benissimo. Era giovane, d'altronde, e fino a due anni prima faceva l'alba in discoteca con gli amici, quindi fare quattro, cinque, anche sei giorni di fila a svegliarsi alle quattro del mattino per andare a letto alle undici non era stato un problema. Ma alla fine della seconda settimana di riprese, quando era uscito praticamente strisciando da una domenica infernale ad aggirarsi intorno ad un biliardo e fingere di voler conquistare Roma con un gruppo di sbandati messi peggio di lui, aveva capito che sarebbe morto molto prima della dodicesima puntata.
All'inizio della terza settimana di riprese, cioè quella mattina, era così stanco da volersi rannicchiare in un angolino e dire a tutti che facessero senza di lui. “Facciamo finta che il Libanese ha l'influenza. La banda può gestirla il Freddo,” mugugnò, dietro alla sua tazza di tè bollente quando Vinicio venne a cercarlo poco prima delle riprese.
“E' la tua banda e te la gestisci tu,” commentò lui, sedendosi lì di fianco con la sua bottiglia di acqua minerale. “Il Freddo ha altro a cui pensare.”
“Sempre carino.”
Marchioni rimase in silenzio per qualche istante, mentre fissava il set in lontananza, intorno al quale sciamavano tecnici indaffarati come api. “Ci sei già tu che faresti le coccole ai lampioni,” disse alla fine, con quel ritardo che gli serviva a mettere insieme una frase senza doverla poi sputare fuori a pezzetti piccoli piccoli. Si voltò e gli fece quel solito mezzo sorriso tirato. “Almeno uno di noi due dev'essere stronzo.”
Francesco avrebbe dovuto difendersi e dire che lui non faceva le coccole proprio a nessuno, ma in realtà le faceva eccome, soprattutto a Vinicio quando quello era abbastanza addormentato da non spingerlo via il più lontano possibile, per cui rimase in silenzio, rimuginando sui lati negativi dell'andare a letto con un uomo impietoso che usava contro di lui tutte le sue debolezze.
“Allora, che cosa ci fai rintanato qui?”
Francesco si strinse nelle spalle e sorseggiò un altro po' di te. Faceva un freddo polare, quella mattina, o magari era semplicemente che il sole non era ancora del tutto sorto e quindi, a conti fatti, lui se ne stava in maniche di camicia in piena notte, all'aperto. Era giovane, ma aveva la pelle d'oca. “Aspetto che si dimentichino di me e vadano avanti con le riprese.”
Vinicio lo guardò come lo guardava ogni volta che diceva qualcosa che per lui era privo di senso, ossia praticamente tutte le volte che apriva bocca. C'erano giornate in cui Francesco gli parlava per ore e quando finalmente si rendeva conto che il fiume di parole proveniva solo da lui e si fermava, convinto di aver semplicemente impedito a Vinicio di ritagliarsi uno spazio abbastanza ampio per potergli rispondere, ecco che lui gli lanciava quell'occhiata assente e poi scrollava le spalle. “Non ho la più pallida idea di che cosa tu stia parlando,” diceva. E c'era da chiedersi perché allora non lo avesse fermato prima; ma Vinicio era così, potevi andare avanti a fare quello che ti pareva per ore, lui era capace di guardarti per tutto il tempo e, contemporaneamente, guardare anche qualcosa che si trovava dentro la sua testa. E quando alla fine gli chiedevi cosa ne pensasse, lui non aveva nessun problema a dirti che aveva smesso di ascoltarti dopo cinque minuti, quando aveva capito che non sapeva niente dell'argomento.
“Nessuno si dimenticherà di te,” disse Vinicio, ma con la faccia di uno che ti sta spiegando impietosito che se metti la mano sul fuoco ti bruci, e non con la tenerezza con la quale Francesco avrebbe voluto sentirselo dire, magari cercando di renderla un po' meno apertamente omosessuale. “Quindi è inutile che ci speri. Sei il protagonista, non possiamo fare a meno di te. Per il momento.”
“Quando dimostrerai un po' di pietà umana nei miei confronti, Vinicio, sarà sempre troppo tardi,” sospirò appoggiando il suo bicchiere di carta vuoto a terra e stringendosi nella coperta che una delle sarte gli aveva prestato, mossa a compassione dai suoi riccioli scompigliati e dai denti che battevano forte. “Beh, che c'è? Che mi guardi?”
Marchioni scosse la testa incredulo. “Stavo cercando di capire come fa il personaggio del Libanese ad impossessarsi del tuo corpo e toglierti completamente dalla faccia quell'espressione da cucciolo zoppo di labrador abbandonato sotto la pioggia,” rispose. “E' sorprendente.”
“E' un complimento?” Sorrise Francesco, che avrebbe voluto lodarlo per quella frase così lunga senza nemmeno un'imperfezione, ma non sapeva se Vinicio se la sarebbe presa o meno, perciò rimase zitto e lo guardò e basta.
“Se ti va,” commentò lui.
A Francesco andava, quindi il suo sorriso restò ben piantato sulle sue labbra. E poi Vinicio parlava una lingua tutta sua, in cui metà di quello che diceva voleva dire esattamente il contrario. Non proprio sempre, in realtà, perché a volte Francesco seguiva questo principio e Vinicio lo buttava fuori di casa letteralmente a calci nel sedere, ma nel novanta percento dei casi funzionava.
Nei cinque minuti successivi, Vinicio si accese una sigaretta e si dedicò alla sua attività preferita, che era quella di guardare l'infinito senza uno scopo preciso e di isolarsi dal mondo circostante in maniera quasi ermetica, cosa che costringeva Francesco a guardarsi intensamente le punte delle mani e poi quelle dei piedi con estremo disagio e soprattutto una quantità di noia che montava di minuto in minuto fino ad esplodere, e allora lui doveva aprire bocca e parlare di qualcosa, qualunque cosa, la prima che gli venisse in mente. “Che hai fatto ieri sera?” Chiese, sollevando la testa e guardandolo con un paio d'occhi rotondi e speranzosi, come se si aspettasse di innescare una conversazione che sarebbe durata in eterno perché Vinicio ne sarebbe stato così coinvolto da non trovare il tempo di rimettersi a contemplare i misteri dell'universo dai quali lui era evidentemente escluso. D'altronde nella testa di Francesco non era proprio possibile che Marchioni si stesse divertendo o fosse in pace con se stesso. Per uno che piuttosto che stare zitto parlava del tempo, fissare il vuoto tanto per fare non era nemmeno un'opzione, quindi era chiaro che anche l'altro fosse a disagio. O magari non sapeva cosa dire.
Marchioni espirò una boccata di fumo. “Niente,” disse. E basta. Non colse il suo meraviglioso appiglio di conversazione, non colse proprio un bel niente, e nemmeno si girò come se non ci fosse motivo di farlo.
“E l'altro ieri?” Tentò ancora Francesco.
“Niente,” rispose ancora Marchioni.
Francesco si ingrugnì leggermente, indispettito. “E venerdì? Fammi indovinare, con la vita sociale che hai, non avrai fatto niente nemmeno venerdì.”
Marchioni gettò il mozzicone a terra e si alzò in piedi per schiacciarlo con la punta degli stivali di scena. “Venerdì ero con te, coglione,” rispose con un sospiro.
Francesco fece mente locale e si ricordò che in effetti avevano cenato insieme tre giorni prima, anche se la cena non se la ricordava quasi per niente. Forse Vinicio aveva fatto l'insalata. Oppure erano peperoni. Non era tanto sicuro che ci fosse qualche differenza, per altro. “Giusto,” annuì, schiarendosi la gola. “Certo, lo so.”
“Volevi vedere se stavo attento,” suggerì l'altro, ironico.
Francesco annuì ripetutamente prima di rendersi conto che lo stava prendendo in giro. Allora lo guardò storto. “Sei uno stronzo,” borbottò. “Spero tu non faccia niente nemmeno oggi.”
L'espressione praticamente sempre immobile di Vinicio rimase immobile anche in questo caso. Le sue labbra si stesero nella loro bella linea orizzontale e gli occhi si assottigliarono mentre registrava le sue ultime parole. “In realtà pensavo di invitarti da me. Potevamo guardare un film e rilassarci un po' visto che sembri averne bisogno, ma posso sempre non fare niente, sarà sicuramente meno faticoso di te.”
Francesco lo guardò intensamente per qualche istante, combattuto tra la volontà di non dargliela vinta e quella di cedere istantaneamente al modo arricciato, allusivo e vagamente porno in cui aveva pronunciato la parola rilassarci. D'accordo, forse il porno se lo era un po' inventato, ma lui ci sperava e la speranza era un motivo sufficiente per cedere.
“Allora? Diciamo alle otto?” Chiese Marchioni.
Francesco si sollevò da terra, avvolgendosi nella sua coperta e annuendo impercettibilmente. “Io non sono affatto faticoso,” borbottò.
Vinicio alzò gli occhi al cielo, mentre tornava per primo sul set. “Muovi quel culo.”

*


Dopo dodici ore di riprese, l'ultima delle quali passata ad aspettare che Vinicio trovasse tutte le lettere che gli mancavano e riuscisse a metterle in ordine abbastanza in fretta da dire che Soleri ce lo chiamavano solo le guardie, Francesco era passato da casa a farsi una doccia e adesso era sullo zerbino di casa Marchioni con una bottiglia di rosso e tante belle speranze.
Dall'interno proveniva musica che non aveva mai sentito e che sospettava appartenesse a quei dieci anni oscuri che li separavano. Rimase in ascolto quando percepì in sottofondo la voce di Vinicio che canticchiava e poi sorrise, suonando il campanello.
“E' aperto,” lo chiamò. “Attento al gatto.”
Quello che lui chiamava gatto era una bestia demoniaca con un nome impronunciabile, che ce l'aveva con Francesco dal primo giorno in cui aveva messo piede in quella casa. Se ne stava sempre appollaiato sulla libreria del corridoio, in attesa che lui ci passasse davanti per potergli balzare sulla testa e tirargli i riccioli finché non urlava e Vinicio non veniva a salvarlo.
“Ho portato il vino!” Esclamò, agitando la bottiglia in lontananza.
Marchioni si affacciò un secondo. “Bene, portalo qui che lo apriamo. E' rosso?”
Francesco superò il corridoio a passo molto spedito, lasciandosi il gatto alle spalle con un sospiro di sollievo e fece il suo ingresso in cucina, passando la bottiglia al padrone di casa.
“Ti sei ricordato subito dov'era casa?”
Montanari pensò alle quattro persone diverse a cui aveva chiesto indicazioni, al navigatore che lo aveva spedito dall'altra parte della città e anche a quel campanello a cui aveva suonato convinto di essere arrivato e che poi era la casa di una signora tanto gentile ma che decisamente non era Vinicio. “Sì, è stato facile.”
L'altro stappò la bottiglia, appoggiandosi al tavolo. “E quante volte ti sei perso?” Chiese, sicuro che fosse successo.
Francesco sospirò. “Non mi sono perso.”
Vinicio lo guardò con le sopracciglia sollevate. “Certo. Senti, questo lo usiamo come aperitivo perché ho fatto il pesce,” disse, riempiendo due bicchieri al volo. Gliene passò uno tenendolo per il bordo. “Andiamo in salotto, qua ci vogliono ancora dieci minuti.”
Francesco lanciò un'occhiata alla cucina, sulla quale sfrigolavano tre o quattro padelle e poi lo segui in salotto, dove l'altro si era già messo comodo sul divano, i piedi nudi sui cuscini a far capolino da sotto i jeans.
Francesco si appoggiò al bordo del divano, con il bicchiere a penzolare stretto tra due dita e si divertì ad osservarlo bere, mentre prendeva un sorso distratto anche lui.
“E' buono,” commentò Vinicio, per nulla a disagio sotto il suo sguardo. Francesco, invece, si sentiva sempre in imbarazzo quando gli occhi di Vinicio si posavano su di lui, forse perché quando lo facevano erano seri e pensierosi e maturi, tutte cose che lui non era.
Osservò la linea del mento leggermente sollevato, i riccioli strettissimi ancora un po' umidi dalla doccia e per questo poco vaporosi ed ebbe la voglia improvvisa di baciarlo. Avrebbe voluto avere il coraggio di sporgersi e farlo per primo, ma non ce l'aveva perché nonostante si fossero baciati centinaia di volte prima di allora, era sempre successo un attimo prima di spogliarsi e scopare, mai così tanto per fare sul divano, mai quando il programma per le ore successive era mangiare, come colleghi, come amici, come due che non necessariamente poi andranno a letto insieme.
Come al solito, le sue paranoie sbiadirono quando Vinicio allungò un braccio e glielo allacciò al collo, piegandolo sullo schienale verso di sè, e si dissolsero definitivamente quando gli aprì a forza la bocca e lo baciò che sapeva ancora di vino e tabacco, prima che potesse lamentarsi di quanto fosse scomodo.
“Quando hai voglia di fare qualcosa, falla,” sorrise divertito Marchioni, lasciandolo andare e finendo il bicchiere con un un unico sorso. Quindi si alzò e gli passò accanto abbastanza vicino da sfiorarlo ma senza farlo davvero. “Prepara la tavola, è pronto.”
Francesco dovette letteralmente scrollarsi di dosso la sensazione fisica che il semplice tocco dell'altro gli aveva lasciato addosso prima di muoversi verso la cucina e recuperare quello che gli serviva per apparecchiare. “Mai mangiato il pesce spada?” Chiese Vinicio, portando in tavola un vassoio che conteneva abbastanza pesce da farci mangiare tutto il palazzo. Francesco scosse la testa. “Questo ti piacerà di sicuro. E' una mia ricetta.”
“E deve piacermi per forza?”
Vinicio gli servì il pesce. “Se stasera vuoi scopare, direi di sì,” poi alzò lo sguardo e rise. “Francè, sto scherzando. Tu mangialo, poi vediamo.”
Francesco non dovette affatto fingere che il pesce gli piacesse, perché era buono davvero, così come il resto della cena, per la quale scoprì che Vinicio si era dato piuttosto da fare, tirando fuori altre abilità oltre a quelle che aveva già avuto ampiamente modo di conoscere. Quando tornarono in salotto per il film, era piuttosto di buonumore, già un po' su di giri per il vino bianco che aveva accompagnato il pasto e percepiva ottime vibrazioni per il resto della serata. “Allora, che film abbiamo? Giallo, thriller, un bell film d'azione con le macchine che esplodono e gli inseguimenti?”
Viniciò sembrò aver ignorato completamente l'ultima parte della frase, mentre recuperava un DVD da sopra il lettore e gli mostrava la copertina. “E' un po' vecchiotto, ma è molto bello. E' un film francese.”
“Francese nel senso che è ambientato in Francia?” Francesco ci provò, giusto per darsi una speranza.
“Nel senso che è di un regista francese,” rispose Vinicio, in maniera alquanto prevedibile. “Il film è tutto ambientato all'interno di una stanza e ci sono solo due personaggi. E' bellissimo.”
Francesco lo osservò con terrore prendere il DVD e inserirlo all'interno del lettore; gli sembrò che l'azione si svolgesse al rallentatore ma che, nonostante questo, lui non si stesse muovendo abbastanza velocemente da impedirgliela. In realtà non si stava muovendo affatto perché era troppo agghiacciato dall'ipotesi concreta di dover guardare un film del genere. In più, il fatto che Vinicio non si fosse nemmeno sprecato ad inventarsi un riassunto appetibile per costringerlo ad assistere con l'inganno, lasciava intendere che volesse guardarlo davvero e che quindi non sarebbe saltato su, dopo solo cinque minuti, sorridendo come un cretino ed esclamando: “Ci sei cascato di nuovo Francesco! Ma quale polpettone francese! Scopiamo!”
L'idea di passare il resto della serata a guardare lunghe inquadrature sonnolente era così deprimente che tutto il suo corpo reagì a quella possibilità. Non solo gli angoli della bocca si piegarono verso il basso, ma gli si accasciarono le spalle e perfino i riccioli persero un po' di volume.
“Allora, non vieni? Se non ti sbrighi perderai l'inizio!” Lo chiamò Vinicio, allungando un braccio dietro di sé senza staccare gli occhi dallo schermo del televisore sul quale stava sorgendo l'alba.
Francesco sospirò e gli strinse le dita prima di fare il giro del divano e lasciarsi andare sui cuscini, il più vicino possibile a lui, anche se non con eccessivo entusiasmo. Vinicio si girò solo un istante con un micro-sorriso prima di tornare a guardare il film.
Aveva sperato di poter reggere almeno un'ora, ma dopo trenta minuti era già alle lacrime. Per quanto riuscisse a ricordare, tra un colpo di sonno e l'altro, aveva visto una sola inquadratura, fissa su una donna che guardava con occhi lucidi una vecchia foto. Un uomo, mai inquadrato, aveva detto tre battute, di cui due erano il nome di lei. Ma se Francesco provava il forte desiderio di togliersi i lacci delle scarpe, farci un nodo scorsoio e porre fine alla sua vita appendendosi al lampadario ultramoderno, Vinicio era così preso dal film da non accorgersi assolutamente di niente.
Quando la telecamera cominciò a cambiare angolazione, Francesco si tirò su di scatto, nella speranza che una trama – una qualsiasi, anche di una tristezza sconfinata, qualcosa che non fosse una donna in lacrime che parlava di quanto suo figlio fosse bello, buono e bravo senza dire nemmeno che fine avesse fatto – si profilasse all'orizzonte, ma quando cominciò ad intravedersi il profilo dell'uomo, l'inquadratura tornò di nuovo sulla donna, che ora era accasciata a terra, con la foto del figlio premuta sul cuore. Francesco si abbattè sconsolato contro Vinicio, appoggiandogli la fronte su una spalla e mugolando.
“Che c'è?” Chiese il Marchioni, senza però voltarsi verso di lui.
Francesco non voleva proprio dirgli apertamente che il film gli faceva schifo, anche perché se non lo aveva già intuito da solo vedendolo agitarsi come un'anguilla insofferente sul divano, c'erano poche speranze in quel senso; però non voleva nemmeno continuare a vederlo. Così fece l'unica cosa che poteva fare senza offenderlo per i suoi pessimi gusti cinematografici: strusciò il naso contrò il suo braccio, lungo la sua spalla e infine lungo il suo collo, per lasciargli un bacio sul lobo dell'orecchio. “Perché non metti pausa e guardiamo il resto dopo?” Vinicio si voltò e Francesco ne approfittò immediatamente per catturare le sue labbra prima che potesse protestare. Lo schiacciò contro lo schienale del divano e cercò di distrarlo abbastanza a lungo da tenercelo per tutta la sera, mentre la protagonista del film francese piangeva in sottofondo, ma Vinicio non era come lui che si prendeva bene nell'esatto estante in cui gli infilavano la lingua in bocca. Carburava molto più lentamente, soprattutto se non era lui il primo ad allungare le mani.
“Stai buono, manca soltanto un'ora, possiamo finire di vederlo, prima,” gli sussurrò addosso, guardandolo da quella distanza ravvicinata e dandogli un bacio veloce sulle labbra.
Francesco mugolò qualcosa di indecifrabile e tornò a mordergli il collo, lasciandosi scivolare apparentemente per caso sulle sue gambe e fingendo di non averlo sentito.
Vinicio protestò all'invasione del proprio spazio personale, non tanto perché gliene fregasse qualcosa di avere uno spazio personale invaso dal Montanari, quanto perché in questo modo gli sarebbe stato molto più difficile convincerlo che fosse cosa buona e giusta proseguire con la visione del film. Infatti, per quanto stesse cercando di mantere un certo contegno, si ritrovò a chiudere gli occhi quando Francesco gli infilò una mano sotto la maglia alla ricerca di pelle nuda da accarezzare e gli affondò la lingua nella clavicola. “Certo che sei testardo,” commentò. “Non vuoi sapere come finisce?”
“Non ho capito nemmeno come inizia,” rispose lui, sistemandosi meglio sulle sue ginocchia e cercando di spegnere la televisione senza guardare dove puntava il telecomando finché, stanco di tentare l'impresa senza riuscirci, lo gettò via incurante di dove sarebbe andato a finire.
Vinicio rise e si arrese, lasciandosi trascinare in un lungo bacio umido, nel quale si persero smettendo definitivamente di sentire la donna che singhiozzava.
Francesco non aveva bisogno di aprire gli occhi per sapere come fosse fatto il corpo dell'altro, gli bastava sfiorarlo con la punta delle dita per riconoscerne ogni linea ed ogni curva, i muscoli tesi della pancia e la piega appena accennata del bacino che spariva sotto l'orlo dei pantaloni e lo invitava a seguirlo. Lo esplorò lentamente, imponendosi di accarezzarlo piano e assaporare il modo in cui reclinava la testa sulla spalliera del divano, chiudendo gli occhi ed esalando un sospiro che ricordava vagamente il suo nome, ma non lo era ancora. Seguì con le labbra l'alzarsi e abbassarsi del suo pomo d'Adamo che, ad un tratto, sembrava avere difficoltà a muoversi, intrappolato nei mugolii che gli strappava.
Francesco si scostò quel tanto che bastava ad avere più libertà di movimento, si sostenne sulle ginocchia per sovrastarlo meglio e riprese a baciarlo, mordendogli e leccandogli le labbra mentre le sue carezze si facevano più audaci e più veloci, provocatorie invece che invitanti, quando stringeva la punta del suo membro per poi quasi lasciarlo andare. Ogni volta che le sue dita minacciavano di scostarsi, Vinicio sussultava, aprendo gli occhi, ma non si lasciava scappare mai niente di chiaro dalle labbra; così Francesco s'impegnò molto di più, le sue carezze divennero più decise, la sua bocca più ansiosa e la mano libera s'insinuò di nuovo sotto la maglia, dove la pelle dell'altro si era fatta quasi bollente.
Le mani di Vinicio corsero alla sua cintura e iniziarono a slacciarla, febbrilmente. “Spogliati,” ordinò, tra un bacio e l'altro, ma non era un vero e proprio ordine, perché in realtà stava già pensando da solo a fargli scorrere i pantaloni lungo le cosce, strattonando forte mentre Francesco a stento ormai riusciva a riprendere fiato. Lo spinse a stendersi sul divano, dove il Montanari calciò via quel che restava della stoffa intorno alle sue caviglie. Quando Vinicio lo raggiunse, aveva fatto in tempo a togliersi ogni cosa, con una fretta che di solito non gli apparteneva per niente. Francesco aveva perso il conto delle volte che lo aveva preso in giro vedendolo effettivamente appoggiare i vestiti piuttosto che tirarli a caso, come faceva lui.
Il tempo di passargli per la testa e quel pensiero fu vaporizzato dal corpo di Vinicio che si stendeva sopra di lui e si incastrava tra le sue cosce. Sentì le sue mani scorrergli addosso ma tenne gli occhi chiusi e cercò invece di immaginarle, ne seguì il percorso lungo le spalle, le braccia, la pancia, mugolò il suo nome quando Vinicio lo strinse tra le dita ed entrò in lui quasi nello stesso istante. S'inarcò violentemente e solo allora si permise di guardarlo, di scrutare il suo viso appuntito appena visibile nella penombra. La sua espressione era bellissima e più dolce di quanto non lo fosse quando invece parlavano e basta e Vinciio, come al solito, si divertiva a fissarlo con l'aria di quello che sapeva tutto al contrario di lui. A Francesco piaceva essere presente quand'era così vulnerabile. Stringendosi in risposta alle sue spinte gli sembrava di poter fare finalmente qualcosa per lui. Quando chiudeva le ginocchia intorno ai suoi fianchi e serrava le dita tra i suoi capelli, mugolando il suo nome e lasciando che si perdesse in lui in quel modo che gli faceva chiudere gli occhi e appoggiare la fronte alla sua spalla, Francesco si sentiva bene e si sentiva importante e un sacco di altre cose che se solo gliele avesse dette a voce alta, Vinicio avrebbe riso di lui.
Invece, con le carezze e i sospiri, e la stretta forte con la quale gli cingeva le spalle mentre l'altro si spingeva più forte e più affondo, era più facile dire quello che non riusciva ad esprimere a parole. E Vinicio non ne avrebbe mai riso, perché in quelle spinte e in quell'abbraccio, gli diceva la stessa cosa.
Francesco se le sentiva addosso, le parole che non si dicevano, forti e piene di voglia, ma anche un po' ruvide e spesso fuori controllo, come quelle che Vinicio avrebbe potuto farsi uscire davvero di bocca quand'era nervoso.
Gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a voltarsi e a baciarlo, gli mugolò sulla lingua quando lui strinse forte le dita tra le sue gambe per portarlo con sé.
Francesco piantò bene i piedi sui cuscini del divano e continuò a stringerselo addosso anche dopo che gli ultimi spasmi di entrambi si furono spenti, quando ancora il calore umido tra i loro corpi era una sensazione piacevole, della quale doveva prendere coscienza. Solo dopo qualche istante iniziò a sentire l'aria fredda contro la pelle bollente e il respiro di Vinicio che andava rilassandosi contro il suo collo.
Fissò il soffito con l'aria ebete e soddisfatta e si perse nel pensiero stupido che il soggiorno di quella casa era dipinto di arancione e non lo aveva mai visto. Seguì con lo sguardo una piccola crepa che finiva nell'angolo, prima che Vinicio ridacchiasse. “Che c'è?” Chiese, abbassando lo sguardo, anche se di lui vedeva solo i riccioli e le orecchie.
“Non potevi semplicemente dirmi che il film non ti piaceva proprio?” Chiese il Marchioni, sollevando la testa e guardardolo con un sorriso furbo.
Francesco si sentì arrossire, e si sentì anche incredibilmente scemo, un po' come quando da bambino faceva qualcosa di stupido e sua madre – invece di menarlo – glielo faceva notare.
Vinicio rise ancora, e gli lasciò un bacio sulla guancia, mordendo piano. “Adesso fammi alzare,” mormorò.
Francesco serrò le gambe e glielo impedì. “No, resta così,” rispose e quando l'altro lo guardò con aria interrogativa, i suoi occhi si fecero seri. “Voglio una sola inquadratura anche per noi.”
Questa, e nessun'altra.