Personaggi: Francesco Montanari, Vinicio Marchioni
Genere: Erotico, Comico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Note: Dovrei smetterla, lo so. Sono in cura da uno bravo. Comunque, l'idea non è stata mia, me l'hanno detto le voci. Quella di Liz in particolare. La cosa più bella di questa storia è il titolo, comunque. Just sayin'
Riassunto: Francesco fa sogni che generano problemi di tipo idraulico.
Genere: Erotico, Comico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Note: Dovrei smetterla, lo so. Sono in cura da uno bravo. Comunque, l'idea non è stata mia, me l'hanno detto le voci. Quella di Liz in particolare. La cosa più bella di questa storia è il titolo, comunque. Just sayin'
Riassunto: Francesco fa sogni che generano problemi di tipo idraulico.
Francesco non rimaneva mai volutamente a dormire da Vinicio.
Naturalmente c'erano casi in cui che rimanesse per la notte era implicito nel suo essere presente in casa, ma nella maggior parte dei casi rimaneva lì a dormire per il semplice fatto che si addormentava e, dal momento che una volta preso sonno non c'era verso di svegliarlo fino al sorgere del sole, Vinicio lo teneva lì. E lì spesso significava nel luogo stesso in cui per un motivo o per un altro quello aveva chiuso gli occhi, perché non era fisicamente possibile che lui riuscisse a sollevarlo da una qualunque superficie, o anche solo a trascinarlo sul pavimento; per altro non vedeva per quale motivo dovesse farlo, e così finiva per gettargli addosso una coperta e lavarsene le mani. A volte, durante la notte, Francesco si svegliava abbastanza da deambulare fino al letto dove franava già di nuovo addormentato prima di toccare le coperte, ma era raro che accadesse e comunque Francesco poi non se ne ricordava.
Così come non si ricordava dove fosse esattamente quando aprì gli occhi quella mattina e la prima cosa che vide fu la stampa arancione di un centrino su una parete dipinta di rosso. Richiuse gli occhi perché li aveva aperti da meno di cinque secondi e c'erano già troppe cose da capire. L'unica cosa che voleva al momento era tornare al sogno che stava facendo. C'erano lui e Vinicio, e una bottiglia di vino buono ma non aveva idea di che cosa stessero festeggiando. Non era importante, comunque. Quello che contava era la sensazione quasi reale di stringere le gambe intorno alla vita di Vinicio, delle sue mani che gli accarezzavano i fianchi e del suo viso abbandonato contro la sua spalla mentre entrava in lui per quella che il sogno lasciava intendere fosse solo l'ultima di una serie infinita di volte in un solo giorno. La pelle gli formicolava ancora dove le labbra di Vinicio l'avevano toccata in sogno e il solo pensiero che non bastasse chiudere gli occhi per tornare a sentirne il calore, lo stava mettendo di malumore.
Alla fine si decise a svegliarsi del tutto, accettando che le sue fantasie erotiche fossero irrimediabilmente perdute. Fissò la parete rossa davanti a lui, la identificò come quella della stanza da letto di Vinicio e a quel punto fu facile anche capire che quel centrino arancione non era altro che un mandala buddhista dipinto con gli stencil e la bomboletta spray. La stanza non era tutta su quello stile, ma aveva avuto la sfortuna di aprire gli occhi sull'angolo spirituale accanto all'armadio, lo stesso in cui c'erano gli incensi e quello spaventoso sonaglio fatto di campanelli che si metteva a suonare al minimo accenno di vento, anche se la finestra era chiusa. Si voltò a fissare Vinicio che dormiva disteso sulla pancia, con la testa quasi del tutto nascosta sotto al cuscino. Il suo sguardo si perse sulle sue scapole che convergevano sulla linea dritta della spina dorsale. La inseguì fino al limite dei boxer ed ebbe una gran voglia di scostare la stoffa solo per veder spuntare la curva delle natiche. O magari fare anche qualcosa di più.
Infatti, se lui si stava presto scordando delle sensazioni provate in sogno, il suo corpo se le ricordava benissimo; tanto bene che l'erezione tra le sue gambe era perfettamente salda e si aspettava di essere soddisfatta dallo stesso uomo che ne era la causa, anche se a conti fatti quello non aveva mosso un dito per ottenere tale risultato.
Francesco scostò le coperte, scoprendo un po' anche Vinicio e quindi si avvicinò lentamente a lui, saggiando le molle del materasso sotto le dita. Gli lasciò baci leggeri sulle spalle, controllando di tanto in tanto le sue reazioni. Vinicio rimase quasi del tutto immobile finché Francesco non salì a mordicchiargli il collo e il lobo dell'orecchio, allora mugolò qualcosa di incomprensibile e infilò la testa sotto il cuscino completamente, agitando una mano dietro di sé come a scacciare una mosca.
Francesco non si dette per vinto. Non lo faceva mai, in nessuna situazione, men che mai quando aveva davvero, davvero bisogno che Vinicio si svegliasse. Ripartì all'attacco, stavolta portando i suoi baci verso il basso e accarezzandogli il fianco con una mano che poi infilò sotto la sua pancia e sotto l'elastico dei boxer, con l'idea di svegliarlo come sarebbe piaciuto svegliarsi a lui. Il corpo di Vinicio si mise in moto prima del suo cervello, e si sollevò quel tanto che bastava a concedergli un accesso maggiore, ma non fece in tempo a fargli due carezze che Vinicio cacciò fuori la testa dalla tana e si guardò intorno, con i ricci più spettinati del solito. “Si può sapere che cosa stai facendo?” Chiese confuso.
Francesco si allungò tutto su di lui, mentre continuava ad accarezzare organi inspiegabilmente morti a quell'ora del mattino. “Usavo metodi alternativi per svegliarti,” rispose, sussurandogli all'orecchio e sorridendo un po' di fronte alla faccia assonnata di Vinicio.
“France', è l'alba,” protestò, mugolando. Si voltò supino e lo scrutò attraverso lo spiraglio di due occhi aperti soltanto lo stretto indispensabile.
“Veramente sono le dieci,” commentò Francesco, chinandosi a baciarlo sulla bocca.
Vinicio non si ritrasse, ma solo perché non ne aveva ancora fisicamente la forza. Tutto ciò che fece fu rimanere lì immobile, spento come tutto quanto il resto. “E' domenica, quindi è l'alba finché non apro gli occhi e decido di alzarmi,” precisò.
“Ma hai gli occhi aperti,” mormorò Montanari, baciandogli il collo e continuando ad accarezzarlo tra le gambe, senza capacitarsi di come fosse possibile che accadesse poco o nulla. Se la situazione fosse stata a parti invertite, a quest'ora avrebbero già finito.
“No, è solo una tua impressione. In realtà sto ancora dormendo,” borbottò Vinicio, schiacciandosi il cuscino sulla faccia per sottrarsi ai suoi baci. “Togli quella mano di lì.”
Francesco emise un lungo sospiro frustrato, quando la sua erezione gli ricordò che era ancora lì e che era disposta a reagire a qualunque stimolo, anche il più piccolo, come il suono roco e impastato che la voce di Vinicio aveva in questo momento. Smise di stringere fra le dita le cause perse e si ficcò anche lui sotto il cuscino, dove faceva caldo e il profumo di Vinicio era fortissimo. “Andiamo,” mormorò, cercando di essere convincente. “Possiamo sempre dormire dopo.”
“Possiamo scopare dopo,” replicò lui, tornando a chiudere gli occhi e, con un po' di fortuna, anche la questione.
Francesco gli nascose il viso nel collo; più o meno, visto che non vedeva niente. “No, non possiamo,” disse, strusciandosi contro di lui per rendere chiari i motivi della sua insistenza. Anche se, a ben pensarci, non avrebbe dovuto affatto sentire la necessità di insistere. Stava chiedendo di fare sesso, non di partire per un viaggio di sei mesi in Antartide a salvare le foche. “Vinicio...”
Il sospiro esasperato dell'uomo scaldò la stoffa del cuscino e fu un suono strano là sotto. “Sto dormendo,” ripeté. “Perché non fai da solo?”
Si era preparato qualche altra replica, ma non ce ne fu bisogno. I riccioli di Francesco gli accarezzarono la guancia mentre si allontanava, e all'improvviso calò di nuovo il silenzio. Aveva troppo sonno per chiedersi qualcosa, quindi si lasciò scivolare nel dormiveglia.
Quando riaprì gli occhi, qualche minuto dopo, lo fece soltanto pero colpa del mugolio che si era insinuato tra i meandri di un sogno molto confuso. All'inizio era stato soltanto un rumore indistinto, poi si era fatto sempre più chiaro finché gli ansimi di Francesco non erano diventati riconoscibili. Non che stesse facendo chissà che rumore, ma Vinicio lo capì lo stesso, perché era abituato al suo respiro affrettato e ai gemiti che ogni tanto gli scappavano di bocca, scatenando reazioni ben più efficaci di quelle generate dalle sue carezze.
Vinicio sollevò appena il cuscino per poterlo guardare mentre disteso sulle coperte si accarezzava con decisione, le dita dei piedi arricciate e la schiena piegata a formare un arco perfetto che lo teneva ben sollevato dal materasso. Si perse ad osservare gli occhi chiusi e le ciglia che tremavano appena, la bocca dischiusa dalla quale i gemiti scivolavano fuori liquidi ma sempre più forti, come se non stesse affatto cercando di trattenerli. Francesco strinse più forte le dita umide intorno alla propria erezione e le sue carezze si fecero più veloci e meno precise, poco ordinate.
Completamente dimentico di aver mai avuto sonno, il corpo di Vinicio fu scosso da un tremito al pensiero di poter toccare, oltre che guardare, di poter strappare lui stesso a quella bocca dei gemiti invece che ascoltarli soltanto.
Si avvicinò lentamente e Francesco sussultò quando posò una mano sulla sua. Lo guardò attraverso palpebre pesanti, rilasciando sospiri lunghi e profondi che rimbombavano nel silenzio della stanza. Vinicio si distese su di lui, facendosi spazio fra le sue gambe. Sosistuì le sue carezze con le proprie e raccolse il primo gemito sulle labbra, mentre Francesco gli avvolgeva le braccia intorno al collo, tirandoselo contro e spingendosi tra le sue dita. “Vinicio...” lo chiamò, non appena si allontanarono per riprendere fiato.
Lui annuì, leggendo il tremito del suo corpo sotto le dita. Si fece subito spazio nel suo corpo, mentre Francesco gli accarezzava le spalle, e la schiena, e qualunque cosa riuscisse a toccare per darsi un appiglio da stringere e pelle da mordere. Chiamò di nuovo il suo nome, cercando la sua bocca per affogarci dentro tutta la smania che aveva addosso e che lo portava ad andare incontro alle sue spinte con tanta di quella foga che il letto divenne un macello nel giro di cinque minuti e Vinicio desiderò di averlo inchiodato al muro come aveva giurato di fare la prima volta che lo avevano fatto lì e, con il suo entusiasmo, Francesco era riuscito a buttare in terra tre stampe appese alle pareti con la sola imposizione della testiera.
Francesco reclinò la testa, si lasciò mordere e leccare il collo mentre era scosso dall'ultimo tremito e Vinicio lo sentì sciogliersi tra le dita. Continuò a spingersi con decisione, Francesco ancora se lo stringeva addosso, ma la sua presa si era fatta debole e i suoi movimenti lentissimi. Così abbandonato, Vinicio lo trovava ancora più bello, se mai si era permesso di dirlo, perché poteva osservarlo senza tutta l'agitazione con cui di solito si muoveva, senza che i suoi riccioli neri gli coprissero gli occhi – due macchie scure e lucide – sapendo che mai come in quel momento era suo per davvero.
Venne in silenzio perché non si fidava della sua voce. Incontrò gli occhi di Francesco prima di lasciargli un bacio piccolo e stanco sulle labbra e appoggiarsi a lui per riprendere fiato.
Fuori, si rese conto, i rumori della strada si erano fatti più forti, chissà quanto tempo era passato. Gli occhi gli si stavano chiudendo di nuovo e li lasciò fare perché la notte non gli era bastata e l'ultima mezz'ora gli aveva tolto quel poco di riposo accumulato.
“Vinicio?” Lo chiamò Francesco, che giocava con le ciocche scomposte dei suoi capelli, aiutando l'intero processo di assopimento.
“Hmn?” Era tutta l'autonomia che gli rimaneva.
“Dormi?” Chiese Francesco.
Sospirò. “E' ancora l'alba,” provò, anche se nella piazza sotto casa dovevano aver montato le giostre e ora una musichetta insopportabile da carosello proveniva forte e chiara come se il giostraio fosse in salotto ad usare il suo stereo.
Francesco fu capace di aspettare solo cinque minuti – durante i quali comunque si agitò e divenne molto scomodo per Vinicio usarlo come cuscino – prima di sbuffare di nuovo. “Ehi? Dormi ancora?”
“Sono passati cinque minuti, France'. E' sempre l'alba.”
“Ma ho fame,” protestò e, prima che Vinicio potesse aprire bocca e spedirlo in cucina a mangiare in solitudine, aggiunse: “Voglio fare colazione con te, non la facciamo mai. Lo sai che mi viene fame dopo averlo fatto.”
Vinicio sospirò; si disse che non avrebbe dovuto aspettarsi niente di diverso, che lo sapeva che Francesco di anni poteva pure averne ventisei ma che la realtà anagrafica era ben diversa da quella mentale. Si disse che il diciassettenne onorario che si portava a letto era comodo in molte situazioni – per esempio a letto – ma che per avere quelle doveva sopportare molte altre cose – per esempio che era una piaga – e non c'era altra soluzione che dividere la sua giornata in momenti in cui faceva del sesso e momenti in cui era un ragazzo padre. Mentre si lamentava nella sua testa, Francesco lo chiamò altre due volte e chiese del pane e marmellata, così si arrese. Aprì gli occhi e fece arrivare l'ora di alzarsi.