Personaggi: Vinicio Marchioni, Francesco Montanari
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvisi: Lemon, Slash
Rating: NC-17
Prompt: Scritta per il P0rn!Fest (prompt: Romanzo Criminale RPF, Francesco Montanari/Vinicio Marchioni, Film Francese).
Note: Questa fanfiction è inutilmente lunga, ma non avevo mai scritto di loro e sentivo la necessità di spiegarveli (male e a modo mio, ma tant'è). Mi sono accorta che vedo il Montanari come fisicamente non è manco per sbaglio e non è nemmeno una cosa tanto nuova, visto che ho la tendenza a rimuovere i particolari della gente che non mi aggradano particolarmente. Per il resto, le settimane di lavorazione passate sono un po' troppe perché il Marchioni non abbia già girato la scena citata ma chi se ne frega. In fondo questa storia è stata scritta per il porno, quindi insomma...

Riassunto: E' un po' vecchiotto, ma è molto bello. E' un film francese.
(IF I COULD GRANT YOU ONE WISH) I'D WISH YOU COULD SEE THE WAY YOU KISS


Che le giornate di riprese erano pesanti, Francesco Montanari lo sapeva già.
Per quanto avesse fatto soprattutto teatro e nessuno avesse mai sentito parlare di lui prima di allora, Romanzo Criminale non era la prima cosa che girava. C'era stato Distretto di Polizia e anche qualche cortometraggio. Era consapevole della fatica che si faceva a stare sul set per intere giornate e a ripetere sempre le stesse cose, o magari farne centinaia tutte diverse.
Era anche abituato alle isterie improvvise di registi e colleghi, anche se doveva ammettere che, in quel caso, essere uno dei più giovani sul set aiutava molto. Chiunque tendeva a non urlargli troppo addosso o si limitava a sbuffare se la battuta gli si arrotolava tra i denti trecento volte di fila invece di venire fuori come avrebbe dovuto; e dire che di cazzate ne faceva a pacchi, ma nessuno gliele faceva pesare mai troppo.
Questo, comunque, non rendeva meno faticoso il lavoro, che sembrava tanto divertente quando ti arrivavano i copioni – che forza questo Libanese! Mi toccherà sparare un sacco, a sto giro! – ma non lo era più tanto quando era presente praticamente in ogni scena e gli unici momenti di pausa che aveva erano quelli in cui, per qualche miracolo divino, s'inceppava qualcosa e il regista li spediva tutti a pascolare nei camerini fino a nuovo ordine.
Le prime due settimane aveva retto benissimo. Era giovane, d'altronde, e fino a due anni prima faceva l'alba in discoteca con gli amici, quindi fare quattro, cinque, anche sei giorni di fila a svegliarsi alle quattro del mattino per andare a letto alle undici non era stato un problema. Ma alla fine della seconda settimana di riprese, quando era uscito praticamente strisciando da una domenica infernale ad aggirarsi intorno ad un biliardo e fingere di voler conquistare Roma con un gruppo di sbandati messi peggio di lui, aveva capito che sarebbe morto molto prima della dodicesima puntata.
All'inizio della terza settimana di riprese, cioè quella mattina, era così stanco da volersi rannicchiare in un angolino e dire a tutti che facessero senza di lui. “Facciamo finta che il Libanese ha l'influenza. La banda può gestirla il Freddo,” mugugnò, dietro alla sua tazza di tè bollente quando Vinicio venne a cercarlo poco prima delle riprese.
“E' la tua banda e te la gestisci tu,” commentò lui, sedendosi lì di fianco con la sua bottiglia di acqua minerale. “Il Freddo ha altro a cui pensare.”
“Sempre carino.”
Marchioni rimase in silenzio per qualche istante, mentre fissava il set in lontananza, intorno al quale sciamavano tecnici indaffarati come api. “Ci sei già tu che faresti le coccole ai lampioni,” disse alla fine, con quel ritardo che gli serviva a mettere insieme una frase senza doverla poi sputare fuori a pezzetti piccoli piccoli. Si voltò e gli fece quel solito mezzo sorriso tirato. “Almeno uno di noi due dev'essere stronzo.”
Francesco avrebbe dovuto difendersi e dire che lui non faceva le coccole proprio a nessuno, ma in realtà le faceva eccome, soprattutto a Vinicio quando quello era abbastanza addormentato da non spingerlo via il più lontano possibile, per cui rimase in silenzio, rimuginando sui lati negativi dell'andare a letto con un uomo impietoso che usava contro di lui tutte le sue debolezze.
“Allora, che cosa ci fai rintanato qui?”
Francesco si strinse nelle spalle e sorseggiò un altro po' di te. Faceva un freddo polare, quella mattina, o magari era semplicemente che il sole non era ancora del tutto sorto e quindi, a conti fatti, lui se ne stava in maniche di camicia in piena notte, all'aperto. Era giovane, ma aveva la pelle d'oca. “Aspetto che si dimentichino di me e vadano avanti con le riprese.”
Vinicio lo guardò come lo guardava ogni volta che diceva qualcosa che per lui era privo di senso, ossia praticamente tutte le volte che apriva bocca. C'erano giornate in cui Francesco gli parlava per ore e quando finalmente si rendeva conto che il fiume di parole proveniva solo da lui e si fermava, convinto di aver semplicemente impedito a Vinicio di ritagliarsi uno spazio abbastanza ampio per potergli rispondere, ecco che lui gli lanciava quell'occhiata assente e poi scrollava le spalle. “Non ho la più pallida idea di che cosa tu stia parlando,” diceva. E c'era da chiedersi perché allora non lo avesse fermato prima; ma Vinicio era così, potevi andare avanti a fare quello che ti pareva per ore, lui era capace di guardarti per tutto il tempo e, contemporaneamente, guardare anche qualcosa che si trovava dentro la sua testa. E quando alla fine gli chiedevi cosa ne pensasse, lui non aveva nessun problema a dirti che aveva smesso di ascoltarti dopo cinque minuti, quando aveva capito che non sapeva niente dell'argomento.
“Nessuno si dimenticherà di te,” disse Vinicio, ma con la faccia di uno che ti sta spiegando impietosito che se metti la mano sul fuoco ti bruci, e non con la tenerezza con la quale Francesco avrebbe voluto sentirselo dire, magari cercando di renderla un po' meno apertamente omosessuale. “Quindi è inutile che ci speri. Sei il protagonista, non possiamo fare a meno di te. Per il momento.”
“Quando dimostrerai un po' di pietà umana nei miei confronti, Vinicio, sarà sempre troppo tardi,” sospirò appoggiando il suo bicchiere di carta vuoto a terra e stringendosi nella coperta che una delle sarte gli aveva prestato, mossa a compassione dai suoi riccioli scompigliati e dai denti che battevano forte. “Beh, che c'è? Che mi guardi?”
Marchioni scosse la testa incredulo. “Stavo cercando di capire come fa il personaggio del Libanese ad impossessarsi del tuo corpo e toglierti completamente dalla faccia quell'espressione da cucciolo zoppo di labrador abbandonato sotto la pioggia,” rispose. “E' sorprendente.”
“E' un complimento?” Sorrise Francesco, che avrebbe voluto lodarlo per quella frase così lunga senza nemmeno un'imperfezione, ma non sapeva se Vinicio se la sarebbe presa o meno, perciò rimase zitto e lo guardò e basta.
“Se ti va,” commentò lui.
A Francesco andava, quindi il suo sorriso restò ben piantato sulle sue labbra. E poi Vinicio parlava una lingua tutta sua, in cui metà di quello che diceva voleva dire esattamente il contrario. Non proprio sempre, in realtà, perché a volte Francesco seguiva questo principio e Vinicio lo buttava fuori di casa letteralmente a calci nel sedere, ma nel novanta percento dei casi funzionava.
Nei cinque minuti successivi, Vinicio si accese una sigaretta e si dedicò alla sua attività preferita, che era quella di guardare l'infinito senza uno scopo preciso e di isolarsi dal mondo circostante in maniera quasi ermetica, cosa che costringeva Francesco a guardarsi intensamente le punte delle mani e poi quelle dei piedi con estremo disagio e soprattutto una quantità di noia che montava di minuto in minuto fino ad esplodere, e allora lui doveva aprire bocca e parlare di qualcosa, qualunque cosa, la prima che gli venisse in mente. “Che hai fatto ieri sera?” Chiese, sollevando la testa e guardandolo con un paio d'occhi rotondi e speranzosi, come se si aspettasse di innescare una conversazione che sarebbe durata in eterno perché Vinicio ne sarebbe stato così coinvolto da non trovare il tempo di rimettersi a contemplare i misteri dell'universo dai quali lui era evidentemente escluso. D'altronde nella testa di Francesco non era proprio possibile che Marchioni si stesse divertendo o fosse in pace con se stesso. Per uno che piuttosto che stare zitto parlava del tempo, fissare il vuoto tanto per fare non era nemmeno un'opzione, quindi era chiaro che anche l'altro fosse a disagio. O magari non sapeva cosa dire.
Marchioni espirò una boccata di fumo. “Niente,” disse. E basta. Non colse il suo meraviglioso appiglio di conversazione, non colse proprio un bel niente, e nemmeno si girò come se non ci fosse motivo di farlo.
“E l'altro ieri?” Tentò ancora Francesco.
“Niente,” rispose ancora Marchioni.
Francesco si ingrugnì leggermente, indispettito. “E venerdì? Fammi indovinare, con la vita sociale che hai, non avrai fatto niente nemmeno venerdì.”
Marchioni gettò il mozzicone a terra e si alzò in piedi per schiacciarlo con la punta degli stivali di scena. “Venerdì ero con te, coglione,” rispose con un sospiro.
Francesco fece mente locale e si ricordò che in effetti avevano cenato insieme tre giorni prima, anche se la cena non se la ricordava quasi per niente. Forse Vinicio aveva fatto l'insalata. Oppure erano peperoni. Non era tanto sicuro che ci fosse qualche differenza, per altro. “Giusto,” annuì, schiarendosi la gola. “Certo, lo so.”
“Volevi vedere se stavo attento,” suggerì l'altro, ironico.
Francesco annuì ripetutamente prima di rendersi conto che lo stava prendendo in giro. Allora lo guardò storto. “Sei uno stronzo,” borbottò. “Spero tu non faccia niente nemmeno oggi.”
L'espressione praticamente sempre immobile di Vinicio rimase immobile anche in questo caso. Le sue labbra si stesero nella loro bella linea orizzontale e gli occhi si assottigliarono mentre registrava le sue ultime parole. “In realtà pensavo di invitarti da me. Potevamo guardare un film e rilassarci un po' visto che sembri averne bisogno, ma posso sempre non fare niente, sarà sicuramente meno faticoso di te.”
Francesco lo guardò intensamente per qualche istante, combattuto tra la volontà di non dargliela vinta e quella di cedere istantaneamente al modo arricciato, allusivo e vagamente porno in cui aveva pronunciato la parola rilassarci. D'accordo, forse il porno se lo era un po' inventato, ma lui ci sperava e la speranza era un motivo sufficiente per cedere.
“Allora? Diciamo alle otto?” Chiese Marchioni.
Francesco si sollevò da terra, avvolgendosi nella sua coperta e annuendo impercettibilmente. “Io non sono affatto faticoso,” borbottò.
Vinicio alzò gli occhi al cielo, mentre tornava per primo sul set. “Muovi quel culo.”

*


Dopo dodici ore di riprese, l'ultima delle quali passata ad aspettare che Vinicio trovasse tutte le lettere che gli mancavano e riuscisse a metterle in ordine abbastanza in fretta da dire che Soleri ce lo chiamavano solo le guardie, Francesco era passato da casa a farsi una doccia e adesso era sullo zerbino di casa Marchioni con una bottiglia di rosso e tante belle speranze.
Dall'interno proveniva musica che non aveva mai sentito e che sospettava appartenesse a quei dieci anni oscuri che li separavano. Rimase in ascolto quando percepì in sottofondo la voce di Vinicio che canticchiava e poi sorrise, suonando il campanello.
“E' aperto,” lo chiamò. “Attento al gatto.”
Quello che lui chiamava gatto era una bestia demoniaca con un nome impronunciabile, che ce l'aveva con Francesco dal primo giorno in cui aveva messo piede in quella casa. Se ne stava sempre appollaiato sulla libreria del corridoio, in attesa che lui ci passasse davanti per potergli balzare sulla testa e tirargli i riccioli finché non urlava e Vinicio non veniva a salvarlo.
“Ho portato il vino!” Esclamò, agitando la bottiglia in lontananza.
Marchioni si affacciò un secondo. “Bene, portalo qui che lo apriamo. E' rosso?”
Francesco superò il corridoio a passo molto spedito, lasciandosi il gatto alle spalle con un sospiro di sollievo e fece il suo ingresso in cucina, passando la bottiglia al padrone di casa.
“Ti sei ricordato subito dov'era casa?”
Montanari pensò alle quattro persone diverse a cui aveva chiesto indicazioni, al navigatore che lo aveva spedito dall'altra parte della città e anche a quel campanello a cui aveva suonato convinto di essere arrivato e che poi era la casa di una signora tanto gentile ma che decisamente non era Vinicio. “Sì, è stato facile.”
L'altro stappò la bottiglia, appoggiandosi al tavolo. “E quante volte ti sei perso?” Chiese, sicuro che fosse successo.
Francesco sospirò. “Non mi sono perso.”
Vinicio lo guardò con le sopracciglia sollevate. “Certo. Senti, questo lo usiamo come aperitivo perché ho fatto il pesce,” disse, riempiendo due bicchieri al volo. Gliene passò uno tenendolo per il bordo. “Andiamo in salotto, qua ci vogliono ancora dieci minuti.”
Francesco lanciò un'occhiata alla cucina, sulla quale sfrigolavano tre o quattro padelle e poi lo segui in salotto, dove l'altro si era già messo comodo sul divano, i piedi nudi sui cuscini a far capolino da sotto i jeans.
Francesco si appoggiò al bordo del divano, con il bicchiere a penzolare stretto tra due dita e si divertì ad osservarlo bere, mentre prendeva un sorso distratto anche lui.
“E' buono,” commentò Vinicio, per nulla a disagio sotto il suo sguardo. Francesco, invece, si sentiva sempre in imbarazzo quando gli occhi di Vinicio si posavano su di lui, forse perché quando lo facevano erano seri e pensierosi e maturi, tutte cose che lui non era.
Osservò la linea del mento leggermente sollevato, i riccioli strettissimi ancora un po' umidi dalla doccia e per questo poco vaporosi ed ebbe la voglia improvvisa di baciarlo. Avrebbe voluto avere il coraggio di sporgersi e farlo per primo, ma non ce l'aveva perché nonostante si fossero baciati centinaia di volte prima di allora, era sempre successo un attimo prima di spogliarsi e scopare, mai così tanto per fare sul divano, mai quando il programma per le ore successive era mangiare, come colleghi, come amici, come due che non necessariamente poi andranno a letto insieme.
Come al solito, le sue paranoie sbiadirono quando Vinicio allungò un braccio e glielo allacciò al collo, piegandolo sullo schienale verso di sè, e si dissolsero definitivamente quando gli aprì a forza la bocca e lo baciò che sapeva ancora di vino e tabacco, prima che potesse lamentarsi di quanto fosse scomodo.
“Quando hai voglia di fare qualcosa, falla,” sorrise divertito Marchioni, lasciandolo andare e finendo il bicchiere con un un unico sorso. Quindi si alzò e gli passò accanto abbastanza vicino da sfiorarlo ma senza farlo davvero. “Prepara la tavola, è pronto.”
Francesco dovette letteralmente scrollarsi di dosso la sensazione fisica che il semplice tocco dell'altro gli aveva lasciato addosso prima di muoversi verso la cucina e recuperare quello che gli serviva per apparecchiare. “Mai mangiato il pesce spada?” Chiese Vinicio, portando in tavola un vassoio che conteneva abbastanza pesce da farci mangiare tutto il palazzo. Francesco scosse la testa. “Questo ti piacerà di sicuro. E' una mia ricetta.”
“E deve piacermi per forza?”
Vinicio gli servì il pesce. “Se stasera vuoi scopare, direi di sì,” poi alzò lo sguardo e rise. “Francè, sto scherzando. Tu mangialo, poi vediamo.”
Francesco non dovette affatto fingere che il pesce gli piacesse, perché era buono davvero, così come il resto della cena, per la quale scoprì che Vinicio si era dato piuttosto da fare, tirando fuori altre abilità oltre a quelle che aveva già avuto ampiamente modo di conoscere. Quando tornarono in salotto per il film, era piuttosto di buonumore, già un po' su di giri per il vino bianco che aveva accompagnato il pasto e percepiva ottime vibrazioni per il resto della serata. “Allora, che film abbiamo? Giallo, thriller, un bell film d'azione con le macchine che esplodono e gli inseguimenti?”
Viniciò sembrò aver ignorato completamente l'ultima parte della frase, mentre recuperava un DVD da sopra il lettore e gli mostrava la copertina. “E' un po' vecchiotto, ma è molto bello. E' un film francese.”
“Francese nel senso che è ambientato in Francia?” Francesco ci provò, giusto per darsi una speranza.
“Nel senso che è di un regista francese,” rispose Vinicio, in maniera alquanto prevedibile. “Il film è tutto ambientato all'interno di una stanza e ci sono solo due personaggi. E' bellissimo.”
Francesco lo osservò con terrore prendere il DVD e inserirlo all'interno del lettore; gli sembrò che l'azione si svolgesse al rallentatore ma che, nonostante questo, lui non si stesse muovendo abbastanza velocemente da impedirgliela. In realtà non si stava muovendo affatto perché era troppo agghiacciato dall'ipotesi concreta di dover guardare un film del genere. In più, il fatto che Vinicio non si fosse nemmeno sprecato ad inventarsi un riassunto appetibile per costringerlo ad assistere con l'inganno, lasciava intendere che volesse guardarlo davvero e che quindi non sarebbe saltato su, dopo solo cinque minuti, sorridendo come un cretino ed esclamando: “Ci sei cascato di nuovo Francesco! Ma quale polpettone francese! Scopiamo!”
L'idea di passare il resto della serata a guardare lunghe inquadrature sonnolente era così deprimente che tutto il suo corpo reagì a quella possibilità. Non solo gli angoli della bocca si piegarono verso il basso, ma gli si accasciarono le spalle e perfino i riccioli persero un po' di volume.
“Allora, non vieni? Se non ti sbrighi perderai l'inizio!” Lo chiamò Vinicio, allungando un braccio dietro di sé senza staccare gli occhi dallo schermo del televisore sul quale stava sorgendo l'alba.
Francesco sospirò e gli strinse le dita prima di fare il giro del divano e lasciarsi andare sui cuscini, il più vicino possibile a lui, anche se non con eccessivo entusiasmo. Vinicio si girò solo un istante con un micro-sorriso prima di tornare a guardare il film.
Aveva sperato di poter reggere almeno un'ora, ma dopo trenta minuti era già alle lacrime. Per quanto riuscisse a ricordare, tra un colpo di sonno e l'altro, aveva visto una sola inquadratura, fissa su una donna che guardava con occhi lucidi una vecchia foto. Un uomo, mai inquadrato, aveva detto tre battute, di cui due erano il nome di lei. Ma se Francesco provava il forte desiderio di togliersi i lacci delle scarpe, farci un nodo scorsoio e porre fine alla sua vita appendendosi al lampadario ultramoderno, Vinicio era così preso dal film da non accorgersi assolutamente di niente.
Quando la telecamera cominciò a cambiare angolazione, Francesco si tirò su di scatto, nella speranza che una trama – una qualsiasi, anche di una tristezza sconfinata, qualcosa che non fosse una donna in lacrime che parlava di quanto suo figlio fosse bello, buono e bravo senza dire nemmeno che fine avesse fatto – si profilasse all'orizzonte, ma quando cominciò ad intravedersi il profilo dell'uomo, l'inquadratura tornò di nuovo sulla donna, che ora era accasciata a terra, con la foto del figlio premuta sul cuore. Francesco si abbattè sconsolato contro Vinicio, appoggiandogli la fronte su una spalla e mugolando.
“Che c'è?” Chiese il Marchioni, senza però voltarsi verso di lui.
Francesco non voleva proprio dirgli apertamente che il film gli faceva schifo, anche perché se non lo aveva già intuito da solo vedendolo agitarsi come un'anguilla insofferente sul divano, c'erano poche speranze in quel senso; però non voleva nemmeno continuare a vederlo. Così fece l'unica cosa che poteva fare senza offenderlo per i suoi pessimi gusti cinematografici: strusciò il naso contrò il suo braccio, lungo la sua spalla e infine lungo il suo collo, per lasciargli un bacio sul lobo dell'orecchio. “Perché non metti pausa e guardiamo il resto dopo?” Vinicio si voltò e Francesco ne approfittò immediatamente per catturare le sue labbra prima che potesse protestare. Lo schiacciò contro lo schienale del divano e cercò di distrarlo abbastanza a lungo da tenercelo per tutta la sera, mentre la protagonista del film francese piangeva in sottofondo, ma Vinicio non era come lui che si prendeva bene nell'esatto estante in cui gli infilavano la lingua in bocca. Carburava molto più lentamente, soprattutto se non era lui il primo ad allungare le mani.
“Stai buono, manca soltanto un'ora, possiamo finire di vederlo, prima,” gli sussurrò addosso, guardandolo da quella distanza ravvicinata e dandogli un bacio veloce sulle labbra.
Francesco mugolò qualcosa di indecifrabile e tornò a mordergli il collo, lasciandosi scivolare apparentemente per caso sulle sue gambe e fingendo di non averlo sentito.
Vinicio protestò all'invasione del proprio spazio personale, non tanto perché gliene fregasse qualcosa di avere uno spazio personale invaso dal Montanari, quanto perché in questo modo gli sarebbe stato molto più difficile convincerlo che fosse cosa buona e giusta proseguire con la visione del film. Infatti, per quanto stesse cercando di mantere un certo contegno, si ritrovò a chiudere gli occhi quando Francesco gli infilò una mano sotto la maglia alla ricerca di pelle nuda da accarezzare e gli affondò la lingua nella clavicola. “Certo che sei testardo,” commentò. “Non vuoi sapere come finisce?”
“Non ho capito nemmeno come inizia,” rispose lui, sistemandosi meglio sulle sue ginocchia e cercando di spegnere la televisione senza guardare dove puntava il telecomando finché, stanco di tentare l'impresa senza riuscirci, lo gettò via incurante di dove sarebbe andato a finire.
Vinicio rise e si arrese, lasciandosi trascinare in un lungo bacio umido, nel quale si persero smettendo definitivamente di sentire la donna che singhiozzava.
Francesco non aveva bisogno di aprire gli occhi per sapere come fosse fatto il corpo dell'altro, gli bastava sfiorarlo con la punta delle dita per riconoscerne ogni linea ed ogni curva, i muscoli tesi della pancia e la piega appena accennata del bacino che spariva sotto l'orlo dei pantaloni e lo invitava a seguirlo. Lo esplorò lentamente, imponendosi di accarezzarlo piano e assaporare il modo in cui reclinava la testa sulla spalliera del divano, chiudendo gli occhi ed esalando un sospiro che ricordava vagamente il suo nome, ma non lo era ancora. Seguì con le labbra l'alzarsi e abbassarsi del suo pomo d'Adamo che, ad un tratto, sembrava avere difficoltà a muoversi, intrappolato nei mugolii che gli strappava.
Francesco si scostò quel tanto che bastava ad avere più libertà di movimento, si sostenne sulle ginocchia per sovrastarlo meglio e riprese a baciarlo, mordendogli e leccandogli le labbra mentre le sue carezze si facevano più audaci e più veloci, provocatorie invece che invitanti, quando stringeva la punta del suo membro per poi quasi lasciarlo andare. Ogni volta che le sue dita minacciavano di scostarsi, Vinicio sussultava, aprendo gli occhi, ma non si lasciava scappare mai niente di chiaro dalle labbra; così Francesco s'impegnò molto di più, le sue carezze divennero più decise, la sua bocca più ansiosa e la mano libera s'insinuò di nuovo sotto la maglia, dove la pelle dell'altro si era fatta quasi bollente.
Le mani di Vinicio corsero alla sua cintura e iniziarono a slacciarla, febbrilmente. “Spogliati,” ordinò, tra un bacio e l'altro, ma non era un vero e proprio ordine, perché in realtà stava già pensando da solo a fargli scorrere i pantaloni lungo le cosce, strattonando forte mentre Francesco a stento ormai riusciva a riprendere fiato. Lo spinse a stendersi sul divano, dove il Montanari calciò via quel che restava della stoffa intorno alle sue caviglie. Quando Vinicio lo raggiunse, aveva fatto in tempo a togliersi ogni cosa, con una fretta che di solito non gli apparteneva per niente. Francesco aveva perso il conto delle volte che lo aveva preso in giro vedendolo effettivamente appoggiare i vestiti piuttosto che tirarli a caso, come faceva lui.
Il tempo di passargli per la testa e quel pensiero fu vaporizzato dal corpo di Vinicio che si stendeva sopra di lui e si incastrava tra le sue cosce. Sentì le sue mani scorrergli addosso ma tenne gli occhi chiusi e cercò invece di immaginarle, ne seguì il percorso lungo le spalle, le braccia, la pancia, mugolò il suo nome quando Vinicio lo strinse tra le dita ed entrò in lui quasi nello stesso istante. S'inarcò violentemente e solo allora si permise di guardarlo, di scrutare il suo viso appuntito appena visibile nella penombra. La sua espressione era bellissima e più dolce di quanto non lo fosse quando invece parlavano e basta e Vinciio, come al solito, si divertiva a fissarlo con l'aria di quello che sapeva tutto al contrario di lui. A Francesco piaceva essere presente quand'era così vulnerabile. Stringendosi in risposta alle sue spinte gli sembrava di poter fare finalmente qualcosa per lui. Quando chiudeva le ginocchia intorno ai suoi fianchi e serrava le dita tra i suoi capelli, mugolando il suo nome e lasciando che si perdesse in lui in quel modo che gli faceva chiudere gli occhi e appoggiare la fronte alla sua spalla, Francesco si sentiva bene e si sentiva importante e un sacco di altre cose che se solo gliele avesse dette a voce alta, Vinicio avrebbe riso di lui.
Invece, con le carezze e i sospiri, e la stretta forte con la quale gli cingeva le spalle mentre l'altro si spingeva più forte e più affondo, era più facile dire quello che non riusciva ad esprimere a parole. E Vinicio non ne avrebbe mai riso, perché in quelle spinte e in quell'abbraccio, gli diceva la stessa cosa.
Francesco se le sentiva addosso, le parole che non si dicevano, forti e piene di voglia, ma anche un po' ruvide e spesso fuori controllo, come quelle che Vinicio avrebbe potuto farsi uscire davvero di bocca quand'era nervoso.
Gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a voltarsi e a baciarlo, gli mugolò sulla lingua quando lui strinse forte le dita tra le sue gambe per portarlo con sé.
Francesco piantò bene i piedi sui cuscini del divano e continuò a stringerselo addosso anche dopo che gli ultimi spasmi di entrambi si furono spenti, quando ancora il calore umido tra i loro corpi era una sensazione piacevole, della quale doveva prendere coscienza. Solo dopo qualche istante iniziò a sentire l'aria fredda contro la pelle bollente e il respiro di Vinicio che andava rilassandosi contro il suo collo.
Fissò il soffito con l'aria ebete e soddisfatta e si perse nel pensiero stupido che il soggiorno di quella casa era dipinto di arancione e non lo aveva mai visto. Seguì con lo sguardo una piccola crepa che finiva nell'angolo, prima che Vinicio ridacchiasse. “Che c'è?” Chiese, abbassando lo sguardo, anche se di lui vedeva solo i riccioli e le orecchie.
“Non potevi semplicemente dirmi che il film non ti piaceva proprio?” Chiese il Marchioni, sollevando la testa e guardardolo con un sorriso furbo.
Francesco si sentì arrossire, e si sentì anche incredibilmente scemo, un po' come quando da bambino faceva qualcosa di stupido e sua madre – invece di menarlo – glielo faceva notare.
Vinicio rise ancora, e gli lasciò un bacio sulla guancia, mordendo piano. “Adesso fammi alzare,” mormorò.
Francesco serrò le gambe e glielo impedì. “No, resta così,” rispose e quando l'altro lo guardò con aria interrogativa, i suoi occhi si fecero seri. “Voglio una sola inquadratura anche per noi.”
Questa, e nessun'altra.

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