Fandom: !Originali
Personaggi: Inye, Rohin, (Daniel Portman)
Genere:
Avvisi:
Rating:
Capitoli: 5/?
Note: Questa storia nasce e si basa sull'universo creato dagli amministratori di Mari di Challenge per Le Cronace di Minthe. Non ho fatto altro che riunire in un unico file tutte le mie entry postate nel corso del 2013 sulla community dedicata alla storia.

Riassunto: E' il primo gennaio 2016 e un contingente militare terrestre raggiunge il pianeta Minthe. Sette giorni dopo, alle ore 20.37 l'operazione combinata ideata dal generale Carnival e poi messa a punto dallo stesso con la collaborazione dei suoi colleghi i generali Grants, Moulder, Vicary, Fetch, Housseini, Mali, Biagioni, Kousaka e Dmitrienko, porta le dieci navi ammiraglie degli eserciti uniti terrestri nei cieli in corrispondenza delle dieci grandi Città Libere di Selecta, Vanste, Melek, Avaste, Balaie, Serene, Miloto, Fauxi, Leverex e Giastga. E le distrugge.
THE CHRONICLES OF MINTHE:
giorno 10/11 dall'invasione


Inye, quello che resta della città di Miloto

Sono passati due giorni dal primo bombardamento e io ancora non ho trovato mio padre e mia sorella.
La città è distrutta. Ero stato qui soltanto una volta in precedenza, ero molto piccolo e Moiw non era ancora nata, ma ricordo piuttosto bene i grandi palazzi della burocrazia e la cattedrale, dove ognuno era libero di pregare i suoi spiriti liberamente, qualunque essi fossero. Adesso di Miloto non rimane che un cumulo di macerie e qualche muro di mattoni che ancora resiste, nonostate i veicoli degli invasori facciano tremare la terra sotto i piedi.
Ci sono morti ovunque, ma nessuno viene a riprenderseli. In parte perché non c'è più nessuno che possa farlo - chi è rimasto vivo e incolume si è dato alla fuga o sta cercando amici e parenti come me -, in parte perché dopo i bombardamenti gli alieni hanno cominciato a perlustrare le macerie, alla ricerca di chissà cosa e sparano a vista. Hanno armi automatiche molto avanzate, simili a quelle prodotte dai Crest, e dei Crest hanno le sembianze, sebbene siano molto più piccoli. Li ho visti sparare ai bambini e alle madri che li accompagnavano. Se mai c'è stata - come diceva mio padre - la volontà di dialogare con loro quando ancora orbitavano intorno a Leuce, ora so che sarebbe stato inutile.
Alcuni di loro - non molti, per la verità - sanno qualche parola di una delle nostre lingue, ma le usano quasi solo per urlarci addosso prima di sparare e spesso con le popolazioni sbagliate, dimostrando che ci distinguono poco. A parte i Phade, naturalmente. I segni che abbiamo addosso ci rendono inequivocabili, immagino.
Dopo il bombardameno mi sono mosso soltanto di notte perché io ci vedo bene mentre loro fanno fatica. Credo che i visori che indossano quando cala il sole li aiutino ad orientarsi nel buio, ma si muovono più lentamente, con più cautela e controllano due volte prima di venirti dietro quando credono di averti visto. Questo mi permette di muovermi più svelto e di rischiare un po' di più.
Ho con me un pugnale rituale su cui ho usato il Canto della Sempreaffilata come precauzione ma io non ho mai ucciso nessuno e preferisco sfruttare l'unico vero vantaggio che ho, quello della vista notturna, e lasciare la lama come ultima risorsa, quando e se non avrò altra alternativa. L'idea di spargere sangue non mi piace per niente e va contro tutto quello in cui credo, ma non voglio morire perciò me ne farò una ragione. Se Lith vuole che puniamo col sangue lo spargimento del sangue, allora vorrà dire che avrò vendicato tutto il sangue che hanno già versato con le loro bombe.
Metto da parte il pensiero, comunque. Per quanto sia fermo nelle mie convinzioni, c'è sempre quella voce nella mia testa che mi ricorda che cosa stavo per diventare prima che mia madre venissa uccisa, che cosa potrei diventare ancora, e che per questo spargere il sangue di un'altra creatura sarebbe comunque sbagliato.
Metto da parte il pensiero e sfrutto il momento buono per attraversare la strada vuota. I miei piedi scalzi non fanno alcun rumore e i miei vestiti scuri mi aiutano a nascondermi nell'ombra. Rimango schiacciato contro la parete di una casa e resto in ascolto. In lontananza sento rumore di grida e rumore di spari. I passi di un plotone che si allontana da me. Non l'ho visto, ma dev'essermi passato vicino. Devo stare più attento. Sono diretto a sud-est, fuori dalla città se riesco. Ieri notte ho incontrato una Suthi che mi ha parlato di un ospedale da campo allestito in una grotta nelle vicinanze. Lei stava facendo la spola per portarci i superstiti e voleva che andassi con lei. Le ho detto che ci sarei arrivato da solo perché volevo prima finire di perlustrare la zona in cui ero quando è caduta la bomba che mi ha separato da mio padre e mia sorella. Non li ho trovati, perciò ho deciso di attraversare la città e di provare con l'ospedale ma - ammesso che sia ancora in piedi - non nutro alcuna speranza che mio padre si trovi lì. Non si fida degli altri popoli e se, Lilith non voglia, è stato ferito, non si farà curare in un ospedale che non sia interamente gestito da Phade. Spero che almeno uno degli altri sacerdoti che erano con noi per il rituale in memoria di mia madre sia con lui e possa dargli una mano, nel caso ne abbia bisogno. Quando mi sembra che intorno a me ci sia abbastanza silenzio, sbircio oltre il muro dietro il quale sono nascosto.
E scopro che c'è qualcuno più silenzioso di me.

*


Quando vedo che si tratta di un soldato alieno, penso che sono morto.
Adesso solleverà l'arma che tiene in mano, quella farà un rumore assordante e io cadrò a terra per non rialzarmi più. L'ho già visto succedere, e nel panico riesco a chiedermi soltanto se sentirò dolore.
Lui però non si muove affatto, e di conseguenza non lo faccio neanche io. Ho paura che se faccio un movimento qualsiasi, potrebbe decidere di farlo anche lui.
Credo che mi stia fissando, ma non vedo i suoi occhi né che aspetto abbia dietro lo schermo scuro che porta davanti al viso. Forse se potessi decifrare la sua espressione, capirei che cosa ha intenzione di fare – o meglio quando ha intenzione di farlo. Ma così, il suo corpo potrebbe animarsi da un momento all'altro e io essere troppo lento a reagire.
Il cuore mi batte così forte che mi sorprendo non lo sentano lui e il resto della sua squadra che è sicuramente nei paraggi. Ho il respiro affannoso, le mani fredde. Non sono addestrato per trovarmi faccia a faccia con qualcuno che vuole farmi fuori. E la sola idea che voglia farlo mi riempie di una paura isterica, vorrei gridargli che non voglio morire, il che è insieme stupido e vergognoso. Almeno dovrei non implorare.
Ad un certo punto, mi grida qualcosa. Sussulto perché il suono inaspettato della sua voce mi coglie di sorpresa, come se dopo essere stati entrambi in silenzio così a lungo mi fossi convinto che nessuno dei due avrebbe mai parlato. Ma non so che cosa vuole. Le sue parole non hanno alcun significato per me, non conosco la sua lingua. Mi accorgo che sto tremando e stringo la mano contro il fianco, una parte di me prega ancora che mi lasci andare. Se non mi ha sparato quando poteva, che non mi spari più.
Lui grida ancora. E' la stessa frase di prima, questo è il massimo che posso sperare di comprendere. Vorrei scuotere la testa, stringere le spalle, che capisca almeno che sta parlando a vuoto, ma non faccio niente di tutto ciò. E allora lui si muove.
Quando mi metto a correre, non ho pensato di farlo. Lo faccio e basta. Fortunatamente il mio istinto di conservazione viaggia più velocemente del mio cervello e quando lui fa per muovere un passo verso di me, io sto già correndo. Corro, e non so verso dove. Mi preoccupo solo di scansare le macerie e di muovermi nella maniera più imprevedibile che conosco. Aumento il passo quando, dietro di me, lo sento arrancare. Se non guardo dove vado, potrei incontrarne altri, ma al momento ciò che conta è togliermi dai piedi quello che ho dietro. Grida ancora qualcosa, una cosa diversa da prima. Immagino voglia che mi fermi, può scordarselo. Spero che non sappia correre e sparare contemporaneamente. So che è piuttosto stupido, ma ci spero con tutte le mie forze perché è l'unica possibilità a cui posso aggrapparmi mentre gli sto dando la schiena, un bersaglio mobile ma facile da colpire.
Il rumore dell'esplosione mi spaventa al punto da farmi perdere l'equilibrio. Il colpo esplode a pochi passi da me in una marea di scintille, proprio mentre penso che forse mi è andata bene. Urlo e cerco di non cadere a terra, mi schiaccio contro la parete per riprendere fiato, per un attimo lo perdo di vista perché ho troppa paura e, quando alzo di nuovo lo sguardo, lui è di nuovo a pochi passi da me. Ha smesso di correre e respira affannosamente, ma si avvicina e io arretro. Con il muro alle spalle non ho più nessun posto dove andare, così cerco di farmi ancora più piccolo. Non so cos'altro fare. Penso che se non mi ammazza lui, mi esploderà il cuore. Una delle due, sono spacciato comunque. Lui continua a parlare e io chiudo gli occhi. Sento la lama fredda del pugnale contro la coscia e penso che quella è l'unica alternativa che mi resta. Una parte di me non vuole venire meno alle regole, l'altra vuole ancora meno morire. Se io lo faccio, verso il suo sangue. Se non lo faccio, lui verserà il mio e, se anche qualcuno della mia famiglia è ancora vivo, di certo non troverà questo qui per farlo fuori. E' un attimo.
Estraggo la lama e colpisco alla cieca. Sento la tela dei suoi guanti lacerarsi con un sibilo e la lama incidere la carne. Non vedo il sangue, ma ne sento l'odore. Dentro di me chiedo perdono a Lith e le chiedo grazie per il canto della Sempreaffilata, quindi mi metto a correre e non mi guardo indietro.

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