Personaggi: La veggente, Cornelius, Raiden, Fermat, Mivein, Reem, Milen
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen
Rating: G
Capitoli: 3/? + prologo
Note: E' iniziato il Cow-T e io non potevo esimermi dall'utilizzare l'ambientazione di quest'anno, tantopiù che è così approfondita.
Prompt: Il prologo (#00) è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Guerra) ed è valido anche per 500 themes (tema 32: La mano del destino).
Il capitolo #01 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Freddo) ed è valido anche per 500 themes (tema 31: I venti del cambiamento).
Il capitolo #02 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 2: Het, NSFW) ed è valido anche per 500 themes (tema 349: Bellissima Amicizia).
Riassunto: La veggente si sveglia di soprassalto, colta da un insopportabile brutto presentimento. Cosa succederebbe se gli eventi, così come li ha programmati, non portassero altro che guai?
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen
Rating: G
Capitoli: 3/? + prologo
Note: E' iniziato il Cow-T e io non potevo esimermi dall'utilizzare l'ambientazione di quest'anno, tantopiù che è così approfondita.
Prompt: Il prologo (#00) è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Guerra) ed è valido anche per 500 themes (tema 32: La mano del destino).
Il capitolo #01 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Freddo) ed è valido anche per 500 themes (tema 31: I venti del cambiamento).
Il capitolo #02 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 2: Het, NSFW) ed è valido anche per 500 themes (tema 349: Bellissima Amicizia).
Riassunto: La veggente si sveglia di soprassalto, colta da un insopportabile brutto presentimento. Cosa succederebbe se gli eventi, così come li ha programmati, non portassero altro che guai?
#03: Milen
Le giornate di Fermat iniziavano sempre con una lunga lista di appuntamenti.
Per quanto ci provasse, non c'era mai modo di evitare uno degli assistenti che, dopo colazione, si faceva trovare puntualmente fuori dalla sua camera ed era pronto a sciorinargli una sequela di nomi e orari non appena lui metteva piede fuori. Per questo non si stupì più di tanto quando, affacciandosi sul corridoio, non fece in tempo a guardare in entrambe le direzioni che fu immediatamente scoperto.
“Signore,” lo apostrofò l'assistente avvicinandosi, “non mi dica che stava cercando di nuovo di sgattaiolare fuori dalla stanza senza farsi vedere.”
Fermat si schiarì la voce e chiuse la porta alle sue spalle con compostezza mentre si raddrizzava e cercava di darsi un tono. “Naturalmente no,” replicò. Sapeva mentire in maniera abbastanza credibile – d'altronde era pur sempre un politico – ma i suoi assistenti erano addestrati a non credergli. Dovendo organizzargli la giornata, non potevano fare affidamento sulla sua voglia di passare ore chiuso a discutere di questo o quel problema, perciò davano sempre per scontato che avrebbe tentato in tutti i modi di evitare quello che doveva fare per forza, e correvano dunque ai ripari prima ancora che a lui venisse in mente di fregarli. “Volevo solo assicurarmi che il corridoio fosse sicuro.”
“Naturalmente,” commentò l'assistente con gentilezza e pietà, tirando fuori il temuto pad aperto alla pagina degli impegni. “Adesso, se vuole concedermi un attimo della sua attenzione, passo a riassumerle che cosa la aspetta oggi. “
Fermat sospirò. Non è che non gli piacesse avere degli impegni, vedere gente, fare comizi. La politica era la sua vita e gli piaceva da morire. Come diceva sempre Cornelius, messo a fare una qualsiasi altra cosa, Fermat sarebbe avvizzito come una foglia ad autunno e si sarebbe accasciato morente in un angolo. Quello che lo sfiancava in realtà era la quantità di impegni che gli capitava di avere in una singola giornata. Era come se le ventiquattro ore di qualunque altra persona si dilatassero solo per lui e per le sue troppe cose da fare. Per quanto amasse i dibattiti, il numero di quelli a cui poteva partecipare in un pomeriggio prima di volersi rinchiudere in uno sgabuzzino lontano da tutti era limitato. “Certo, procedi pure.”
L'assistente annuì compitamente e passò un dito sullo schermo del pad per far scorrere la lista. “Dunque, oggi è a pranzo con il portavoce della gilda delle palestre di Maline, il signor Eldorim per la questione dei finanziamenti,” iniziò, lanciandogli un'occhiata significativa.
Fermat emise un suono annoiato. Quell'uomo lo inseguiva da settimane – in ogni città per altro – e insisteva perché risolvesse i problemi economici delle palestre così su due piedi, come potesse prendere delle decisioni da solo o avesse con se tutti i soldi necessari da riversare nelle casse della gilda. “Immagino che non potessimo evitarlo per sempre,” sospirò.
“No, signore,” scosse la testa l'assistente. “Non prima della guerra e soprattutto non se spera di essere rieletto alla fine del mandato.”
Le palestre erano uno dei punti di forza della nazione, poiché forgiavano i soldati che poi avrebbero combattuto, e si sperava anche vinto, la guerra tra i popoli. In genere i finanziamenti alle palestre erano sempre il primo o il secondo punto di tutti i programmi – subito sotto al punto in cui ci si chiedeva dove trovare i soldi – ma stavolta le cose erano andate diversamente. Il mal tempo all'inizio dell'anno aveva devastato i raccolti e reso inagibili gran parte delle vie commerciali, perciò la priorità del collettivo si era spostata altrove, forte del fatto che le palestre avrebbero comunque continuato il loro lavoro – le palestre non erano state d'accordo. “D'accordo, allora fammi avere i bilanci degli ultimi sei mesi, voglio che veda che il denaro che spettava a Maline non è finito nelle tasche del collettivo, ma in quello degli abitanti della costa le cui case sono state spazzate via dal maremoto.”
“Sì, signore,” annuì l'assistente. “Questo pomeriggio ha una riunione del collettivo, e quindi quattro interviste. Due per dei giornali locali e due per le testate nazionali. Questa mattina invece--”
“Libera?”
“Assolutamente no,” replicò subito l'assistente, lanciandogli un'occhiataccia e facendolo ridere. “Il suo appuntamento delle dieci la sta già aspettando nel suo ufficio.”
Fermat annuì di nuovo. “Di chi si tratta?”
L'assistente sollevò lo sguardo dallo schermo e sembrò esitante, anche se Fermat non capiva se lo fosse riguardo al nome del misterioso visitatore o riguardo alle parole da usare per rispondere. “E' il principe Milen, signore.”
“Il fratello di re Mivein?” Esclamò Fermat, sollevando un sopracciglio. “E perché vengo a saperlo soltanto ora? Le visite dei capi di stato dovrebbero essere organizzate diversamente. Dov'è alloggiato? Il collettivo è già stato avvisato?”
“Signore,” lo interruppe l'assistente prima che potesse agitarsi troppo, “il principe ha chiesto discrezione. E' qui in veste, diciamo, non ufficiale.”
“Oh,” il panico di fermat sparì istantaneamente per essere sostituito da una cauta preoccupazione. Le visite non ufficiali dei capi di stato non erano quasi mai di cortesia ed erano bel lontane dall'essere prive di problemi. “Immagino non ti abbia accennato il motivo per cui è venuto.”
“No, signore.”
Fermat aveva visto Milen soltanto due volte e sempre in occasioni ufficiali, ma lo ricordava bene perché era una di quelle persone che difficilmente possono passare inosservate.
Milen aveva qualche anno in meno di suo fratello ma la mascella squadrata e uno sguardo attento e vagamente irritato, lo facevano sembrare molto più anziano. Ad una prima occhiata, per la corporatura robusta, l'altezza e la tendenza ad essere più serio del necessario, spesso sembrava lui il re – soprattutto rispetto a Mivein che era, per carità, un ottimo sovrano ma ben poco professionale, per così dire.
Fermat lo trovò seduto di fronte alla propria scrivania, nell'ufficio in cui riceveva le visite, intento ad osservare Maline dalla finestra. “Altezza,” esordì, chiudendosi la porta alle spalle. “A cosa devo l'onore?”
Milen si alzò, voltandosi con un sorriso tirato che sapeva di necessità più che di piacere, ma Fermat non si scompose. La quasi totalità dei sorrisi nel suo ambiente avevano quell'aspetto.
"La prego, gehnr, altezza è mio fratello," disse, umilmente. "Mi chiami pure Milen."
"Allora insisto perché mi chiami Fermat."
Il phade gli riservò un altro sorriso accennato, annuendo. "D'accordo, allora."
Fermat attraversò la stanza e si sedette alla scrivania, facendo cenno a Milen di fare lo stesso. "Allora, posso fare qualcosa per lei?"
Milen lo guardava dritto negli occhi, una cosa che da una parte Fermat apprezzava molto e dall'altra lo metteva a disagio, forse perché era quasi impossibile scostare lo sguardo dai segni sul viso del phade. Non erano più neri come la pace ma ancora ben lontani dall'essere sbiaditi e attraversavano le guance e la fronte di Milen facendo risaltare i suoi occhi rossastri. "Credo di poter fare io qualcosa per lei," rispose Milen, accavallando le gambe e rilassandosi contro lo schienale della poltrona. "Sono venuto a conoscenza di un progetto del collettivo che incontra il mio interesse."
Fermat corrugò la fronte e si fece immediatamente più attento. "Non pensavo che il governo phade potesse interessarsi dell'opera di risanamento della nostra nazione," commentò cauto.
Milen sbuffò una risatina compiaciuta. "Naturalmente mi sta a cuore il bene dei crest come mi sta a cuore quello del mio popolo," continuò il principe, sebbene si leggesse nelle sue parole l'ipotesi che si stesse disinteressando completamente di entrambe le nazioni, "ma mi riferivo all'altro progetto, quello per il quale mi dicono abbiate bisogno di fondi."
Lo sbuffo di fiato che uscì dalle labbra di Fermat fu l'inevitabile espressione della sua sorpresa. "Mi perdoni," disse poi, cercando di dissimulare, "ma non so a che cosa si riferisca."
"Sono certo che lo sa perfettamente, quindi darò per scontato che abbiamo superato quella tediosa parte di questa conversazione in cui lei finge di non capire le mie allusioni," continuò Milen, tranquillamente. "Questo palazzo, come molti altri usati dal collettivo, non è privo di falle nel sistema di sicurezza e io ho a mia disposizione uomini molto capaci. Ora, Fermat, veniamo al dunque. Il progetto che lei e gli altri gehnr avete per le mani è molto ambizioso ma richiederà una quantità di denaro spropositata che in questo momento i crest non possiedono. Io, però, posso aiutarla."
Fermat avrebbe potuto continuare ad insistere di non sapere niente di questo fantomatico progetto ma gli occhi di Milen gli riferivano chiaramente che sarebbe stato del tutto inutile. Il phade non era lì per trovare conferma di una voce più o meno vaga, era lì per parlare di qualcosa di cui era già certo. "Se davvero conosce la natura del progetto, perché mai dovrebbe interessarla? Va contro i suoi interessi."
"Ho le mie motivazioni," replicò Milen.
Fermat si lasciò scappare una risatina. "Un po' vago, non trova?"
Milen unì per un attimo la punta delle dita e poi le allontanò di nuovo mentre fingeva di pensare al miglior modo di porla quando invece era chiaro che era venuto fino a lì sapendo benissimo che cosa dire e quando. "Diciamo che una vittoria di una certa portata da parte dei crest faciliterebbe il mio attuale piano di carriera," rispose placidamente.
Fermat si accigliò, forse colto di sorpresa dalla tranquillità con la quale Milen parlava della questione. "E non le importa niente delle perdite che subireste?"
"Sono dell'idea che certi sacrifici siano necessari."
"Per il bene del popolo o del suo?"
Milen sorrise, mostrando una chiostra di denti bianchissimi e due canini appuntiti. "Temporaneamente del mio," ammise. "Ma fare il mio bene significa fare quello del popolo in futuro. Ma questo, Fermat, non deve interessarla. In fondo, se vogliamo stare qui a discutere di chi farà le spese di quest'arma, dovrebbe farsi anche lei un esame di coscienza. Più potente l'arma, più numerose le vittime. Se vuole davvero mantenere l'equilibrio delle cose, allora forse io ho frainteso lo scopo di questo progetto."
Fermat si schiarì la gola. Un'arma come quella che avevano progettato avrebbe dato ai crest un vantaggio considerevole e – su questo Milen aveva ragione – aumentato il numero delle perdite in tutti gli altri schieramenti. Sulla carta, l'arma poteva essere regolata per sparare a bersagli multipli con la precisione dell'intelligenza artificiale. L'errore umano che decideva le sorti della guerra sarebbe stato completamente eliminato. "D'accordo," concesse alla fine. "Che cosa vuole?"
"Io? Che vinciate la guerra," Sorrise Milen, scrollando una spalla come se la richiesta fosse delle più semplici e naturali "e possibilmente che noi ne facciamo le spese maggiori, ma mi rendo conto che questo non dipende totalmente da lei."
A quel punto Fermat smise di preoccuparsi del perché il principe potesse mai volere una cosa simile. Aveva una mezza risposta da darsi, ma preferiva non farlo. C'era qualcosa di marcio in tutto questo e lui non voleva avere a che farci più del necessario. Credeva fortemente che ignorare le conseguenze di quello che stava per succedere fosse l'unico modo che aveva per proseguire. In fondo il suo compito era guidare i crest. Gli altri popoli non erano affare suo. Continuò a ripetersi mentalmente questo concetto cercando di convincersene. "Se è così ben informato sul progetto, saprà anche che ci servono finanziamenti per realizzare il prototipo."
"Quanto vi serve?" Chiese Milen, estraendo un pad dalla tasca interna della giacca.
"Almeno trentamila syrth."
Milen corrugò la fronte e per un attimo Fermat pensò che si sarebbe tirato indietro. Stranamente l'idea lo confortò più che dispiacergli. Ma Milen stava soltanto facendo i conti. "Sono trentanovemila Awq, dico bene?"
Fermat annuì. "Più o meno sì."
"Perfetto," annuì Milen, digitando qualcosa sullo schermo del pad. "Avrà i soldi per il prototipo nel giro di qualche minuto. E quando questo sarà realizzato, e funzionante naturalmente, finanzierò la costruzione dei modelli veri e propri, non importa quanti ne serviranno."
"Aspetti un istante," esclamò Fermat, che tutto si aspettava tranne di avere i soldi così in fretta, "come intende giustificare una spesa di queste proporzioni con il suo governo? O come dovrei farlo io, se è per questo."
Milen sbatté più volte le palpebre, guardandolo con sincera incredulità. "Fermat, lei si preoccupa troppo. E di cose che non la competono per altro," ridacchiò. "Le casse del mio regno non verranno minimamente intaccate. I finanziamenti arriveranno direttamente dalle proprietà che sono così fortunato da avere. Essere principe e non re ha i suoi vantaggi, a volte."
Alla fine di una discussione che, nella sua tranquillità, lo aveva stancato più di qualsiasi litigiosa riunione del collettivo, Fermat si ritrovò con il denaro necessario a costruire il prototipo e il problema di come e cosa dire ai suoi colleghi gehnr.
Raiden si chiedeva che cosa ci facessero esattamente ancora lì.
Non che Maline non gli piacesse, anzi. La città lo aveva letteralmente conquistato come nessun'altra città era riuscita a fare da quando aveva lasciato Talwar. La tecnologia implementata in ogni aspetto della vita di tutti i giorni aveva qualcosa di miracoloso per uno che a casa ancora tirava su l'acqua da un pozzo di pietra in mezzo al deserto. La cosa più bella di Maline, però, era che come in ogni altra grande città Crest, la tecnologia conviveva senza nessun problema con la tradizione. Le palestre, per quanto attrezzate, erano ancora allestite in edifici simili a templi e gestite con il rigore di una disciplina religiosa, anche se naturalmente si trattava di associazioni laiche, come laica era qualsiasi altra struttura. I gruppi religiosi erano una piccola minoranza – un dettaglio già di per sè sconvolgente per Raiden – ma la tolleranza e il rispetto con i quale venivano trattari era motivo di grande ammirazione da parte sua. Tra gli altri popoli, il suo compreso, si discuteva spesso a causa del proprio credo ma chi non ne aveva uno veniva malvisto da tutti quanti. Era quindi meraviglioso, agli occhi di Raiden, che in una città laica nessuno si preoccupasse di guardare male chi credeva in qualcosa.
Negli ultimi dieci giorni Raiden poteva dire di aver soddisfatto il bisogno di folla, cultura e compere di una vita intera, ma non si erano mai fermati così a lungo in qualche posto, non quando non avevano più niente da sbrigare. Le tre settimane preventivate da Cornelius per sbrigare i suoi affari si erano rivelate eccessive e adesso non c'era più niente che riechiedesse la sua attenzione. Lui e Raiden passavano ormai il tempo in albergo ad osservare la città che andava avanti con la sua vita.
"Posso farle una domanda, signore?" Chiese Raiden, trovando finalmente il coraggio di aprire bocca dopo tre giorni che ci provava per poi rinunciarci e tornare sulla sua poltrona a leggere.
Cornelius sedeva alla propria scrivania ed era molto intento a giocare sul suo pad. "Domande, ottima idea," annuì sollevando la testa e sorridendo. "Mi sto annoiando. Dimmi."
"Se ha finito di sbrigare i suoi affari, che cosa stiamo facendo qui?"
Cornelius si grattò la testa e così facendo smontò la treccia che aveva in testa. Fu costretto a scioglierla e a rifarla da capo, andando alla cieca. "Perché non ho ancora risposto a Fermat."
Raiden sapeva ogni cosa del prototipo perché, al suo ritorno dal colloquio col gehnr, Cornelius era rientrato nella stanza inveendo e borbottando contro l'assurdità del suo migliore amico con estrema veemenza.
Cornelius sospirò, passandosi un'enorme mano sopra la faccia. "Temo che dovrò dirgli di no," ammise. "Voglio bene a quell'uomo, ma è pazzo e non posso permettermi di farmi trascinare dalla sua pazzia."
"Ha aspettato finora perché non sa come dirglielo?" Chiese ancora Raiden, mentre versava in due tazze il té che era stato in infusione fino a quel momento.
"In realtà ho aspettato finora perché lui non si fa trovare," precisò Cornelius, stringendosi nelle spalle. "Quando lo chiamo è in riunione, quando non è in riunione non ha tempo e se mi presento lì di persona mi accompagnano in sala d'aspetto, luogo che come sai non mi è molto congeniale. Immagino dovrò aspettare i suoi comodi, come al solito."
I comodi di Fermat si rivelarono molto più veloci del previsto. Infatti, il gehnr in persona si presentò all'albergo nel primo pomeriggio e chiese gentilmente al proprietario di avvisare Cornelius.
I due si trovarono in una saletta privata messa a disposizione dall'albergo, lasciando Raiden ad annoiarsi da solo in camera ancora una volta.
"Non pensavo che ti saresti abbassato a venire di persona," lo prese in giro Cornelius, versandosi da bere da una bottiglia di Qward messa lì appositamente. Nella stanza c'erano anche due comode poltrone ma, per qualche motivo, Cornelius era troppo nervoso per sedersi. Non che avesse paura delle conseguenze di quello che avrebbe detto a Fermat – c'erano poche cose al mondo che lo impaurivano e di certo uno dei suoi più cari amici non rientrava nella breve lista – ma c'era sempre qualcosa nell'aria prima della chiusura di una transazione, una specie di scarica elettrica che gli impediva di starsene fermo in un angolo ad aspettare che fosse passata.
Fermat, al contrario, era tranquillamente seduto in una delle poltrone, le braccia rilassate sui braccioli. "Andare a trovare un amico è sempre un piacere," rispose lui.
"Avevo ormai perso le speranze," continuò Cornelius. Gli fece cenno col bicchiere, ma Fermat scosse la testa. Non beveva mai a meno che non fosse sicuro di poter passare le successive due ore disteso da qualche parte.
"Sono stato un po' occupato, ti chiedo perdono. Ti trovi bene in questo albergo? E Raiden?"
Cornelius prese un altro sorso del bicchiere e si strinse nelle spalle. "Raiden non era mai stato a Maline," rispose, ricordando come nei primi giorni il ragazzo non avesse fatto altro che uscire la mattina presto per tornare giusto in tempo per la cena con così tante cose da raccontare da doverlo pregare di stare zitto almeno cinque minuti per far riposare le orecchie. "Credo che se restiamo un altro paio di giorni qui vorrà sposare la città e farci dei figli."
Fermat si mise a ridere. "Spero che non arrivi a tanto," commentò. "Però mi piacerebbe che restaste ancora un po'."
Cornelius emise un piccolo lamento di dispiacere. "A tal proposito, temo che questo non sarà possibile. Ho un sacco di lavoro da sbrigare e mi sono già fermato anche troppo. Inoltre, per quanto riguarda la tua richiesta, ho fatto qualche calcolo e... "
Fermat sollevò una mano e sorrise benevolo. "Non preoccuparti per quella. Mi rendo conto che per te sarebbe una grossa spesa a fronte di nessuna sicurezza. Lo capisco."
Cornelius corrugò la fronte. Per quanto si sentisse sollevato di non dover più sborsare nessuna grossa cifra, gli sembrava un po' strano che Fermat fosse così tranquillo di fronte al fatto di non poterla più ricevere. "Perché ho come l'impressione che la cosa non ti tocchi perché hai trovato un altro finanziatore?" Chiese, più curioso che infastidito.
"Non ti si può nascondere niente." Fermat sorrise, ma fu un sorriso teso che a Cornelius non piacque per niente. Faceva il suo lavoro da troppo tempo per non riconoscere l'insicurezza di qualcuno che ha appena preso una decisione che potrebbe costargli parecchio.
Ad ogni modo, sorrise anche lui e si versò di nuovo da bere. "E chi è?" Chiese con noncuranza, con lo stesso interesse che avrebbe potuto avere nel chiedere che tempo avesse fatto mentre Fermat era in vacanza.
"Non sono autorizzato a dare questo genere di informazioni," rispose il Gehnr. "Ma lo sai perfettamente."
Cornelius si strinse nelle spalle. "Ci ho provato." Si sporse a prendere un frutto dalla ciotola sul tavolo. Cominciava ad avere fame e poi mangiare lo aiutava a ragionare, e non aveva ancora rinunciato all'idea di tirare fuori di bocca a Fermat qualche informazione in più. Questo improvviso cambio di programmi era sospetto. Un governo che cerca disperatamente finanziatori per un prototipo, non ne trova improvvisamente due con trentamila syrth disponibili nel giro di dieci giorni. Non che a Cornelius non facesse comodo potersi tenere i propri soldi e non dover per questo compromettere i propri rapporti con Fermat ma, ora che i suoi risparmi erano al sicuro, si preoccupava per l'amico che poteva essersi messo nei guai. "Dimmi solo se devo preoccuparmi di un concorrente che avrà l'esclusiva su un'arma del genere," chiese.
"No, direi di no," rispose Fermat. "Anzi, sono sempre disposto a darti l'esclusiva sulla vendita, quando sarà il momento."
Quindi, chiunque li stesse aiutando, non era un mercante – nessun mercante al mondo avrebbe mai accettato di finanziare un progetto del genere senza assicurarsene l'esclusiva. Erano pochi i Crest che avrebbero potuto permettersi di sobbarcarsi una spesa simile, ma Cornelius non riusciva ad immaginare nessuno dei nomi che gli venivano in mente interessato a farlo. "Valuterò la proposta," sorrise Cornelius cortesemente. "Quando sarà il momento."
Ne seguì un silenzio pensoso e consapevole che non ci fosse molto altro da dire. Il viso di Fermat era un po' più teso del necessario e anche un po' più triste. "Ascolta," disse alla fine con un sospiro. "So che hai da fare, ma d'altronde sono vent'anni che ce l'hai, quindi perché non rimani qualche giorno?"
"Fermat..."
"Soltanto qualche giorno," insistette il gehnr, versandogli un altro bicchiere di vino. "Fino all'incontro diplomatico tra le nazioni."
Cornelius roteò gli occhi. "Ti serve per caso qualcuno che si occupi dei rifornimenti?" Chiese, sospettoso.
Fermat rise di gusto e, come sempre quando succedeva, per un attimo sembrò ad entrambi di essere altrove e di essere più giovani, in quel periodo in cui potevano permettersi ancora di non pensare a nient'altro che non fosse ciò che li faceva ridere. "No, mi serve un amico," rispose. "Anzi, non mi serve, mi farebbe piacere che fossi mio ospite. Andiamo, non sarà certo una vacanza inaspettata a mandarti in rovina!"
Cornelius sollevò un sopracciglio. In genere era così che gli affari cominciavano ad andare male, quando pensavi che proprio non potessero farlo. Un vecchio proverbio Crest diceva che La rovina basta chiamarla, e così i mercanti non dicevano mai la parola, per scaramanzia. Cornelius fece girare con discrezione l'anello di legno che portava al dito medio, per scacciare la sfortuna – non gli piaceva mostrarsi superstizioso ma di fatto, come ogni mercante, lo era.
"Va bene, d'accordo," cedette alla fine. "Ma solo fino alla festa, non un giorno di più. Poi prendo Raiden e continuo il mio giro."
Fermat sollevò entrambe le mani, in segno di pace. "Prometto che ti lascerò andare."
Cornelius sentì un brivido scorrergli lungo la schiena ma, se avesse dovuto dargli peso, non sarebbe rimasto; perciò sorrise, e si convinse che le brutte vibrazioni fossero solo leggende metropolitane.