Fandom: !Originali
Personaggi: La veggente, Cornelius, Raiden, Fermat, Mivein, Reem, Milen
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen
Rating: G
Capitoli: 3/? + prologo
Note: E' iniziato il Cow-T e io non potevo esimermi dall'utilizzare l'ambientazione di quest'anno, tantopiù che è così approfondita.
Prompt: Il prologo (#00) è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Guerra) ed è valido anche per 500 themes (tema 32: La mano del destino).
Il capitolo #01 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Freddo) ed è valido anche per 500 themes (tema 31: I venti del cambiamento).
Il capitolo #02 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 2: Het, NSFW) ed è valido anche per 500 themes (tema 349: Bellissima Amicizia).

Riassunto: La veggente si sveglia di soprassalto, colta da un insopportabile brutto presentimento. Cosa succederebbe se gli eventi, così come li ha programmati, non portassero altro che guai?
EVERY GREAT MISTAKE HAS AN HALFWAY MOMENT
#02: Mivein


Mivein non era uno a cui piacesse viaggiare.
Le lunghe traversate, soprattutto quelle che lo portavano dall'altra parte del pianeta, lo sfiancavano oltre ogni dire. La carrozza – per quanto attrezzata – non era mai veramente comoda con tutti quei sobbalzi, e dover stare seduto per ore a fissare negli occhi il capo della sua guardia personale non era esattamente il massimo del divertimento. Quando poteva portarsi dietro Callan, almeno, aveva qualcosa di bello da guardare. Spogliarlo con gli occhi mentre era intanto a scrutare fuori dal finestro era decisamente un passatempo che Mivein prendeva sempre in considerazione per alleviare il tedio delle lunghe ore di viaggio; ma stavolta il suo giovane consigliere era rimasto a palazzo per occuparsi delle scartoffie burocratiche che si sarebbero accumulate in sua assenza – e anche per impedirgli di allungare le mani mentre erano lontani dal castello – e Todyk con la sua calvizie incipiente, i denti leggermente in fuori e l'occhio porcino non faceva che peggiorare ulteriormente la situazione, offendendo il suo suscettibile senso estetico oltre che annoiandolo a morte con la sua muta presenza, se si escludevano i monosillabi che Mivein riusciva a cavargli di bocca facendo domande generiche sull'organizzazione della sua guardia personale di cui però non gli interessava la risposta.
Per arrivare alla caverna c'erano voluti sei giorni – e se Mivein doveva essere sincero, il viaggio era stato piuttosto inutile, considerando che la ragazzina li aveva semplicemente informati che di lì a poco ci sarebbe stata la guerra, una cosa che sapevano perfettamente – ma, al ritorno, una tempesta di sabbia sulla via che portava all'oasi di Faarthenorth li aveva costretti a fare una deviazione, allungando la traversata di altri due giorni. Per questo non c'era da sorprendersi che Mivein tirasse un sospiro di sollievo non appena il profilo del palazzo reale apparve tra i pendii dei colli di Esther. La gioia nei suoi occhi non passò inosservata nemmeno a Todyk che con uno sfoggio di capacità deduttiva di un certo livello si permise di commentare. "Siamo a casa, signore. Da questo punto in poi sono appena venti chilometri, saremo a casa prima di cena."
Mivein sapeva perfettamente dov'erano, d'altronde sarebbe stato imbarazzante per il re dei phade non riconoscere casa sua, ma si limitò a sorridere, perso nella gioia di poter finalmente scendere da quella carrozza. Scostò il pannello trasparente che bloccava il finestrino e guardò fuori, lasciando che la brezza leggera gli scompigliasse i lunghi capelli neri.
Il palazzo era ancora una sagoma scura, ma non aveva bisogno di vederlo nei dettagli per distinguere le due torri di guardia da quella della meridiana, la cui gigantesca ombra si allungava fino alla piazza centrale di Hinisse, scadendo i tempi dei servizi religiosi della città.
Quando era stata costruita, quasi tre secoli prima, Hinisse non aveva un tempio dedicato a Lith, perciò una delle torri del palazzo era stata convertita affinché potesse ospitare il sacerdote o la sacerdotessa che si sarebbe occupato delle funzioni e dei fedeli. In realtà inizialmente i sacerdoti erano due – uno per il popolo e l'altro per la famiglia reale che all'epoca non si mescolava mai ai comuni cittadini – ma come prima cosa, quando era salito al trono, Mivein si era tenuto quello più simpatico dei due e aveva rispedito l'altro a fare proseliti in una delle città libere a sua scelta, eliminando per sempre l'usanza secondo la quale i regnanti phade erano persone che vivevano su un altro piano di esistenza.
Il suo trisavolo – costruttore della meridiana e dell'intero castello – non sarebbe stato d'accordo. Mivein veniva da una famiglia molto tradizionalista, una di quelle che si vedeva da lontano che sarebbe finita a comandare un’intera nazione per il solo fatto che si ritiene, per volontà divina, destinata a farlo. E infatti la dinastia dei Dral era sul trono della nazione phade da ben più di quattro secoli, da prima ancora che il suo trisavolo costruisse il castello - e difatti, inizialmente, la famiglia reale risiedeva a Isagea, in una delle anse più a sud e più protette della gola di Kandor, ma Marbel – forse la regina più influente della dinastia – era stata colpita da un'orrenda malattia che l'aveva lasciata debole e cagionevole, così le sacerdotesse di allora avevano consigliato il trasferimento in un luogo più alto e arieggiato, così da favorirne la guarigione, e uno spostamento di sede era stato necessario. Ma quello, in più di quattrocento anni era l’unico cambiamento che i Dral erano stati disposti a fare. Per tutto il resto loro, i loro servi e, sfortunatamente l’intera nazione, avevano vissuto nelle acque stagnanti di un tradizionalismo che era già antiquato un decennio prima del loro arrivo. Mivein non condivideva quasi nessuno dei principi che avevano sempre caratterizzato la sua famiglia, tranne forse la religiosità. Anche se c’era molta differenza tra l’avere bisogno di continui momenti di raccoglimento, di una guida spirituale adeguata, della fede nella grazia di Lith in quasi tutti gli aspetti del quotidiano, e mandare al rogo chiunque non la pensasse proprio allo stesso modo. La sua famiglia aveva una lunga storia di persecuzioni, intolleranze e altri comportamenti di questo tipo, e una straordinaria propensione al razzismo, che non era visto di buon occhio da nessuno sul pianeta, naturalmente, eccetto che da suo padre, dal padre di suo padre e dal padre di quest’ultimo prima di lui fino, credeva Mivein, al primo capostipite. Questi illustri rappresentanti del suo sangue consideravano tutti il loro razzismo una buona qualità da sfoggiare in giro. Nessuno di loro sarebbe stato contento della tecnologia crest che Mivein aveva fatto installare nella biblioteca reale. Prima di tutto perché era tecnologia - suo padre, per fare un esempio, non era esattamente avverso alla modernità, purché essa non coinvolgesse microchip o un qualsiasi tipo di attivazione diversa da quella meccanica, il che significava utilizzare solo sistemi a pulegge - e poi perché era crest, una delle popolazioni che la sua famiglia odiava di più sulla faccia del pianeta. I crest rappresentavano tutto ciò che i phade detestavano: innovazione, ateismo, libertà di culto e di legami sociali. La sola idea che a qualche chilometro da casa sua un uomo fosse libero di credere nella propria forza interiore piuttosto che in quella di Lith e di giacere con tre donne e altrettanti uomini contemporaneamente aveva sconvolto il nonno di Mivein al punto che probabilmente, pover’uomo, era morto per quello, agitando il pugno al cielo nella direzione generale della nazione crest, a pochi giorni dalla guerra.
Mivein aveva avuto modo di deludere la propria famiglia in svariati modi nel corso del tempo, ma questo era l'unico di cui non si pentiva proprio. Anche se avesse odiato i crest – e non lo faceva – di certo non avrebbe incanalato tutto il suo odio verso un sistema di archiviazione automatica che gli permetteva di trovare il libro che voleva fra le migliaia che possedeva. Aldilà del fatto che sarebbe stato un dispendio inutile di energia, non poteva non ammirare la mente geniale che aveva ideato qualcosa del genere. Inoltre, ogni popolazione aveva creato qualcosa di cui lui era perdutamente innamorato per un motivo o per l'altro, pertanto la supremazia dei phade non era nemmeno l'ultima voce della sua lista di cose da realizzare.
Arrivarono come previsto prima di cena. La servitù era già in fermento per la preparazione delle pietanze, ma Vess, che si occupava di tutta l'organizzazione del castello, trovò comunque qualcuno di cui fare a meno perché potesse schierarsi all'entrata al suo rientro. Mivein fu accolto da un'onda di inchini e qualcuno si presentò a togliergli gentilmente il lungo mantello da viaggio prima che potesse anche solo pensarci.
"Bentornato maestà," Vess si avvicinò mentre Mivein osservava con gioia e compiacimento le spesse mura del suo palazzo, giurando mentalmente che ne sarebbe uscito di nuovo solo a primavera e solo nella tragica ed inevitabile necessità di doverlo fare.
"Grazie, Vess. E' successo qualcosa in mia assenza?" Mivein si tolse i guanti da viaggio e li consegnò all'anziano maggiordomo.
"Niente che valga la pena di menzionare, signore. Com'è andato il viaggio?"
Mivein rilasciò un sospiro disperato al solo ricordo. "Un vero disastro. Ricordami di non viaggiare mai più per il resto ella mia vita."
"Temo che questo non sarà possibile," commentò Vess, con gentilezza. "Siete richiesto un po' ovunque nei prossimi mesi. Sono certo che Callan saprà aggiornavi meglio di me riguardo ai vostri appuntamenti."
Come sempre, il nome di Callan lo rimise in pace col mondo e qualsiasi cosa lo aspettasse di lì a qualche settimana smise di interessargli completamente. Prima di andare da lui, però, c'erano questioni che doveva sistemare. "Mia moglie dov'è?"
"Nella sua stanza maestà," la voce di Vess non tradiva la sua disapprovazione nei confronti dell'esistenza di due camere da letto. "Vuole che la faccia chiamare?"
Mivein affrettò il passo e gli fece un cenno con la mano. "No, non c'è bisogno. Faccio da solo, grazie."
Vess si fermò all'inizio del corridoio, le mani incrociate in grembo, e attese di vederlo sparire prima di tornare alle sue mansioni.

*

Ogni volta che a Reem capitava di posare gli occhi su una delle sue guardie personali, non poteva fare a meno di rendersi conto di quanto tempo avesse perso, e si domandava come sarebbe stato a quindici anni – quando era diventata regina – avere a disposizione uomini tanto possenti. Forse sarebbe impazzita, persa in un vortice di lussuria, se l'intensità del suo desiderio adesso era di una qualche indicazione; in realtà c'erano buone possibilità che tutta questa necessità insaziabile derivasse da diciotto anni di carestia quasi completa più che dalla sua natura, ma ormai c'era poca differenza fra le due cose. La realtà è che essendo una donna poco incline a recriminare e quasi del tutto priva di lacrime per poter piangere su litri di latte versato, preferiva rimediare al tempo perso raddoppiando gli sforzi. Era una fortuna che arrivassero nuovi soldati quasi ogni giorno a ridosso della guerra. Aveva preso l'abitudine di andare nella piazza d'armi all'inizio di ogni settimana. La scusa ufficiale era quella di voler passare in rassegna le nuove leve per assicurarsi di mandare al fronte uomini validi che tenessero alto il nome del re e del popolo phade, la realtà ufficiosa era che ne sceglieva ogni volta tre a cui dava l'onore di far parte della guardia personale sulla base, naturalmente, della prestanza fisica e di quanto fargli scorrere gli occhi addosso le rimescolasse o meno lo stomaco. I primi tempi la scusa aveva retto – in fondo le sue pretese rientravano nei limiti della propria posizione – ma poi la voce si era sparsa era ora tutti quanti sapevano che far parte della guardia personale significava anche tenere compagnia alla regina, di quando in quando. Non che qualcuno lo trovasse un compito gravoso, essendo Reem una donna nel fiore degli anni che ancora manteneva – alla faccia delle varie giovani nobili che erano entrate in società negli ultimi anni – il titolo di donna più elegante del regno, motivo e causa del suo matrimonio con Mivein.
La scelta della giornata si chiamava Phoon. Il nome era ridicolo come il suo quoziente intellettivo, ma il suo scarso acume era compensato dall'arnese più grosso che Reem avesse mai visto in vita sua. La regina era ben disposta a passare sopra alla sua incapacità di coniugare i verbi al passato, se questo significava avere per le mani un affare di quelle dimensioni. Ne era la riprova il fatto che Phoon fosse entrato in quella stanza all'ora di pranzo e non ne fosse ancora uscito adesso che calava il sole. Quando Reem lo aveva fatto spogliare, era rimasta a fissarlo chiedendosi come avrebbe fatto a sopravvivere, e quindi le era venuta voglia di scoprirlo. Aveva scoperto che Phoon non era un genio in molte cose, ma sapeva come usare i doni che gli erano stati concessi e, una volta avuto il permesso di mettersi all'opera, come ogni artista non aveva accettato consigli. Reem gli si era abbandonata completamente, intuendo fin da subito il suo potenziale. Si era soltanto distesa tra le sete del letto, guardandolo come si guarda un bell'oggetto a lungo desiderato un attimo prima di riceverlo, trattenendosi a stento. Aveva dischiuso le cosce solo quando le mani di Phoon erano scivolate con decisione tra di esse per separarle e aveva trattenuto il respiro quando le dita di lui le avevano accarezzato il seno e la pancia, seguendo la linea tortuosa dei disegni sulla sua pelle fino in mezzo alle gambe. Tutto il suo corpo si era inarcato quando erano scivolate in lei, strappandole di gola un mugolio di desiderio a malapena soddisfatto. Per quanto affondassero, per quanto si allargassero per farsi spazio dentro di lei, per quanto la mano di Phoon fosse così grande da coprire il suo sesso completamente e tenerle aperte le gambe, a Reem non era sembrato ancora abbastanza. Non quando la pressione dell'erezione contro la sua coscia le prometteva di meglio. Lo aveva accolto tra le gambe con un sospiro di sollievo prima ancora che di piacere, certa a quel punto che la sua voglia avrebbe trovato soddisfazione nel muoversi dei fianchi di Phoon, il quale si faceva strada nel suo corpo una spinta vigorosa dopo l'altra, senza lasciarle il tempo neanche di riprendere fiato. Non l'aveva quasi nemmeno toccata, se si escludeva lo scontrarsi dei loro bacini con quel suono umido e osceno del quale si era riempita con soddisfazione le orecchie, eppure era stato l'amplesso più soddisfacente di una lunga, recentissima serie.
Reem gli aveva impedito di uscire. Aveva incrociato le gambe dietro la sua schiena mentre lo scuotevano gli ultimi spasmi di piacere e lo aveva trattenuto contro di sé finché entrambi non si erano ripresi abbastanza da volerne ancora. Quando lui era stato in grado di farla voltare senza quasi staccarsi da lei, Reem aveva deciso che Phoon poteva restare qualche giorno in più degli altri.
A quelle due prime due volte ne erano seguite altre, più o meno intervallate da portate di frutta che Reem si era fatta servire direttamente in camera. Il fatto che Phoon non avesse mai dato dei veri segni di cedimento lo rendeva miracoloso ai suoi occhi.
Quando Mivein aprì la porta della stanza – spinto dall'erronea convinzione che sua moglie si sarebbe almeno preoccupata di chiuderla nel caso avesse avuto in mente di passare il pomeriggio a fare sesso – Reem era in ginocchio per terra tra le gambe di Phoon, decisa a considerare la questione del suo enorme membro da un altro punto di vista.
"Santissima Lith!" Mivein fece due passi nella stanza prima di vedere Reem e voltarsi di scatto, schermandosi il viso con una mano. Non gli venne neanche in mente di uscire però. E mentre Phoon si faceva prendere da un panico più che giustificato, Reem non si scompose nemmeno e si alzò con grazia da terra, battendo due pacche gentili sulla coscia dell'uomo per tranquillizzarlo.
"Non preoccuparti, il re non è qui per fare scenate di gelosia o per vendicarsi," gli disse mentre si avvolgeva il lenzuolo intorno al corpo.
"No, ma gli sarei assolutamente grato se potesse lasciarci soli," commentò Mivein, ancora girato di schiena.
Phoon non se lo fece ripetere due volte e gli passò di fianco velocemente, ancora seminudo. Il re inclinò la testa di lato di fronte al solido fondoschiena che riempì piacevolmente la porta prima che questa si chiudesse, lasciando ironicamente a lui e alla moglie un po' di privacy.
Mivein si voltò sullo scatto della porta, un sopracciglio sollevato e il volto contorto in una smorfia di disappunto, che però non aveva niente a che vedere col fatto di aver trovato un altro uomo nella stanza di sua moglie. "Prima di cena, Reem? Seriamente?"
Reem si strinse nelle spalle e si sedette sul letto per infilarsi l'abito. "Non mi rovina mica l'appetito," scrollò le spalle lei, con un ghigno. "Semmai lo stimola. Dovresti provare."
Mivein le passò con aria un po' annoiata la stuola che andava con il vestito. "Potremmo non discutere le mie abitudini alimentari o sessuali, grazie?"
Reem rise. "Già mi sorprende che tu ne abbia," commentò. Prese dell'uva dalla ciotola quasi vuota e ne offrì anche a Mivein, che rifiutò. "Sei già andato a salutare Callan?"
Mivein si sedette su una poltrona, passandosi una mano tra i capelli. "Non ancora. Si suppone che io passi prima da te."
Reem annuì. "Giusto. Dimenticavo. Prima l'etichetta. Com'è andato il viaggio?"
Mivein si strinse nelle spallle. "Noioso, inutile e scomodo," rispose, sbrigativamente. Entrambi conoscevano la sua avversione per gli incontri di stato. Per questo di solito era lei ad occuparsene. Ma stavolta la Veggente aveva richiesto specificatamente la presenza di Mivein e lui non aveva potuto sottrarsi. "Chi era quello?"
"Phoon."
"Phoon," ripeté Mivein, annuendo come se il nome avesse un qualche significato particolare. "E che fine ha fatto... com'è che si chiamava? Zent?"
Reem annuì. "Zent era qui quano sei partito," gli disse con l'ovvietà di una persona che non comprende il motivo della domanda. D'altronde perché mai Zent avrebbe dovuto essere ancora lì dopo più di una settimana se Reem si annoiava dopo due giorni?
"Mi piaceva Zent," commentò Mivein, placido. "Era simpatico."
Reem non poteva negare che Zent avesse dimostrato di avere un certo senso dell'umorismo tra un incontro e l'altro e poteva capire che suo marito avesse sviluppato una simpatia per lui dal momento che lontano da lei, entrambi fingendo di non sapere che l'altro sapesse, si erano anche trovati molto bene insieme, ma Zent era storia passata e lei non rimuginava mai sulle esperienze precedenti. "Ascolta, forse dovremmo discutere di questa situazione," gli disse con tutta la calma del mondo, sapendo che se non iniziava lei il discorso, Mivein lo avrebbe trascinato per altri sei mesi. "L'intero palazzo sa come stanno le cose, e fra qualche mese potremmo anche dirlo alla nazione. Non c'è alcun motivo di rimandare."
Mivein annuì, perfettamente d'accordo. Lui e Reem si erano sposati giovanissimi, e solo perché il padre di Mivein aveva insistito affinché lo facesse. Un Dral non sale mai al trono senza una moglie, aveva detto. Così gli aveva dato quattro possibili spose – ignorando del tutto la palese inclinazione di Mivein per gli uomini – tra le primogenite delle famiglie più in vista. Mivein aveva scelto Reem perché era bellissima e perché, durante gli incontri per fare conoscenza, non aveva finto di essere stupida solo per fargli piacere. Era stata tagliente, sarcastica e inaccettabile com'era adesso e Mivein era rimasto affascinato, anche se non abbastanza da poter dire di amarla. Si erano sposati con la grandiosità richiesta al matrimonio del principe ereditario e avevano preso il loro posto sul trono quando, secondo la tradizione, il re aveva abdicato in favore del figlio. Fortunatamente Reem sapeva – aveva sempre saputo, in realtà – che Mivein avrebbe preferito di gran lunga avere un re al suo fianco, ma invece arrabbiarsi e serbargli rancore per il resto della loro vita insieme, era diventata sua amica e complice – molto di più di quanto lo sarebbe stata come moglie, probabilmente – e così il concepimento di Mirian era stato affrontato come un'inevitabile necessità. Dopo la sua nascita, le loro uniche preoccupazioni erano state crescerlo e occuparsi del regno nel migliore dei modi, coltivando fra loro un rapporto di profondo rispetto, ma assolutamente platonico dal momento che Mivein non era in alcun modo attratto da lei e lei non avea mai preteso che lo fosse. Erano stati rispettosi nei confronti di un matrimonio imposto e dediti al loro ruolo di sovrani per più di diciassette anni, ma adesso che Mirian era quasi maggiorenne e la legge avrebbe permesso loro di separarsi, le loro necessità personali si erano fatte sentire con più forza.
"Dove pensi che possa andare a vivere dopo il divorzio?" Chiese Reem, senza nessuna traccia di irritazione nella voce. La dinastia regnante era quella dei Dral, non poteva aspettarsi che un cospicuo ben servito. "Se per te non è un problema, mi piacerebbe tenere la casa delle vacanze. Tanto a te non piace il lago e io invece adoro quel posto. E poi hai sempre voluto venderla!"
Mivein sollevò lo sguardo su di lei, corrugando la fronte. "Non pensavo che volessi andartene," commentò, allibito.
Reem si sentì vagamente in imbarazzo all'idea che suo marito potesse avere invece pensato che sarebbe rimasta o, meglio, che potesse. "Mivein, non posso fare nient'altro," replicò pacatamente, ma con l'aria di chi è consapevole di stare spiegando qualcosa di ovvio. "Il castello è dei Dral e io sarò la tua ex-moglie, non posso certo restare qui, ti pare? Qualunque cosa tu decida di fare dopo, la mia presenza sarebbe inappropriata. Ad ogni modo, non preoccuparti perché io sono perfettamente a mio agio con l'idea di trasferirmi."
"Io no," Mivein si alzò in piedi, visibilmente scosso da una notizia che non si era minimamente aspettato. Si mise a camminare per la stanza. Quando fu passato tre volte di fronte a lei senza dire nient'altro, le si fermò davanti e la guardò negli occhi. C'era così tanto dispiacere nei suoi che Reem si sentì stranamente in colpa per aver dato voce a quelli che pensava fossero i pensieri di entrambi. "Non puoi andartene, questa è casa tua, Reem. E il tuo regno."
"E' il regno di mio marito," lo corresse lei con un sorriso. "E tu presto non lo sarai più. Ma va bene così. Ne ho parlato con Vees, e lui dice che per quanto questa nostra idea lo ripugni, la legge ci dà la possibilità di annullare il contratto matrimoniale e di dividere i beni in modo tale che io possa vivere il resto della mia vita nella richezza in cui sono vissuta fino ad ora. In più potremo risposarci, se lo vogliamo. E' la soluzione perfetta."
Reem raggiunse lo specchio dall'altra parte della stanza e cercò di porre rimedio all'effetto che un intero pomeriggio di sesso aveva avuto sui suoi capelli. Le sue ciocche ribelli si rifiutarono di collaborare, naturalmente e lei decise che ci avrebbe pensato dopo un lunghissimo bagno. Avrebbe chiamato un'ancella che le acconciasse i capelli, ignorando i suoi commenti quando, come ogni altra volta prima di quella, si sarebbe lamentata del fatto che li avesse tagliati corti e di che peccato fosse. In tutto questo, Mivein l'aveva seguita e ora la osservava attraverso il riflesso nello specchio. "Io non voglio che tu te ne vada," disse seriamente.
Reem ridacchiò e allungò una mano dietro di sé per accarezzargli teneramente una guancia, solcata da quattro linee oblique e parallele che si stavano schiarendo. "E che cosa ti aspetti che faccia, qui?" Sospirò divertita. A volte l'ingenuità di Mivein era disarmante.
"Che continui a regnare," rispose lui.
Reem sgranò gli occhi. "Cosa?" Esclamò sconvolta. Poi si voltò, la fronte corrugata. "Come scusa? In che senso regnare?"
Mivein sospirò e si strinse nelle spalle. "E' il nostro matrimonio che finisce, non il governo. Per diciassette anni questa nazione ha prosperato anche grazie a te," spiegò. "Sei stata costretta a sposarmi, a darmi un erede e, sì, a vivere priva di un'intimità di cui, mi sembra chiaro, tu avessi bisogno."
Reem si mise a ridere. "Intimità. Come sei delicato," commentò.
"Quello che voglio dire è che non voglio che la fine di questo matrimonio significhi anche la fine della tua reggenza. Non avrebbe alcun senso, sarebbe ingiusto e, anche se non lo fosse, io non voglio regnare senza di te."
"Mivein, questa è una cosa molto carina da dire da parte tua ma è anche una stronzata," replicò lei, scuotendo la testa e superandolo. "Che cosa dovrei fare? Restare al castello e fare la regina di riserva? Ci sono solo due troni, ti ricordo. Dove mi siederei? Ai tuoi piedi o a quelli di Callan?"
"Callan non c'entra niente," protestò Mivein, girandosi per seguirla mentre finiva di vestirsi.
"Non hai intenzione di sposarlo?" Chiese lei, cercando di allarciarsi il mantello su una spalla. "Mi dai una mano?"
"No. Sì. Non lo so!" Rispose confuso il re, chiudendo uno ad uno i fermagli lungo la spalla di Reem. "E' ancora troppo presto per pensare a cose simili. Ci sono cose meno impegnative di cui devo ancora convincerlo."
Reem lo guardò divertita, ma ebbe abbastanza pietà da non commentare con troppa cattiveria. "Sono davvero sconvolta. Pensavo che dopo tutto questo tempo avesse abbandonato la pretesa di non essere interessato. Se vi guardaste anche solo con la metà dell'adorazione con cui vi guardate quando pensate che la gente non vi veda, l'intero regno avrebbe comunque tutti i denti cariati."
Mivein cercò di nascondere l'imbarazzo con un colpo di tosse. "E' complicato," ammise. "Per lui è una questione di rispetto."
"Per cosa?"
"Per te," sospirò lui, ricordando quasi a memoria tutti i discorsi che Callan gli aveva fatto su quanto si sentisse in colpa a lasciarsi completamente andare quando la regina era ancora la regina, nonché sua moglie. Senza contare che Reem era la madre del suo migliore amico e che Callan aveva soltanto due anni più di Mirian, il che rendeva tutto estremamente più delicato, Mivein lo capiva. Ma... "Si sente a disagio all'idea che tu sia mia moglie e la mamma di Mirian."
Reem liquidò la questione con un gesto della mano. "Sciocchezze! Il fatto che io sia la madre di Mirian non esclude che lui venga a letto con te. E da qui a quattro mesi non sarò più tua moglie, quindi digli pure che a me non interessa. Anzi, guarda, glielo dirò io non appena ne avrò l'occasione. Ami quel ragazzo da che ha messo piede a palazzo due anni fa e ti scoppierà qualcosa dentro, un organo forse, se aspettate ancora molto. C'è in gioco la tua salute, non posso permettervi di continuare a fingere di avere un amore impossibile. Notizia dell'ultima ora: non ce l'avete."
"D'accordo, va bene," sospirò Mivein. "Ma lascia fare a me, l'ultima cosa di cui ha bisogno sei tu che vai a dargli la tua benedizione. Voglio convincerlo, non farlo morire d'imbarazzo."
Reem sorrise. "Bene, ma fallo."
Mivein sospirò di nuovo, quindi si allontanò di un passo e la guardò seriamente. "Riguardo al discorso di prima, dico sul serio Reem. Niente ti impedisce di restare."
"La legge?" Chiese lei ironica.
Mivein scosse la testa. "No. Ho controllato. La legge dice che il regno e il suo governo sono di chi lo eredita, e quello sono io. Ma non è specificato chi debba governarlo insieme a me. Certo non c'è scritto specificatamente neanche che posso scegliere un co-regnante, ma in assenza di una legge che mi impedisce di farlo, sono libero di procedere come preferisco. Ed è quello che intendo fare."
"Mivein, io non so se..."
Mivein sorrise. "Sempre che tu voglia, naturalmente," specifico. "Certo che se vuoi proprio andartene a vivere sul lago, non posso fermarti. Ma vorrei davvero che tu restassi. Non siamo granché come marito e moglie, ma siamo una bella squadra, no?"
Per una volta il sorriso di Reem non aveva niente di ironico – e se ben ricordava, nessuno l'aveva mai fatta sorridere così se non Mivein – e le colorò le guance di rosa. "Ci penserò, d'accordo?"
Mivein fece un leggero inchino. "Grazie, Altezza."
Reem rise e poi lo spinse fuori dalla stanza. "Ora vai da Callan, chiudetevi in qualche stanza e non uscite finché non siete stati chiamati almeno tre volte per cena."
Mivein quasi inciampò sotto le sue spinte poderose e si ritrovò fuori dalla stanza e con la porta che gli sbatteva sul sedere prima ancora di rendersi conto di essersi mosso, ma stava ridendo e niente avrebbe potuto metterlo di cattivo umore. Se Reem restava al suo fianco – e lo avrebbe fatto, perché non c'era niente che non sapesse del vero significato di quel ci penserò – niente poteva andare storto.
Era un un futuro roseo quello che li aspettava e neanche Callan avrebbe potuto negarlo.

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