Personaggi: La veggente, Cornelius, Raiden, Fermat, Mivein, Reem, Milen
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen
Rating: G
Capitoli: 3/? + prologo
Note: E' iniziato il Cow-T e io non potevo esimermi dall'utilizzare l'ambientazione di quest'anno, tantopiù che è così approfondita.
Prompt: Il prologo (#00) è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Guerra) ed è valido anche per 500 themes (tema 32: La mano del destino).
Il capitolo #01 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Freddo) ed è valido anche per 500 themes (tema 31: I venti del cambiamento).
Il capitolo #02 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 2: Het, NSFW) ed è valido anche per 500 themes (tema 349: Bellissima Amicizia).
Riassunto: La veggente si sveglia di soprassalto, colta da un insopportabile brutto presentimento. Cosa succederebbe se gli eventi, così come li ha programmati, non portassero altro che guai?
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen
Rating: G
Capitoli: 3/? + prologo
Note: E' iniziato il Cow-T e io non potevo esimermi dall'utilizzare l'ambientazione di quest'anno, tantopiù che è così approfondita.
Prompt: Il prologo (#00) è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Guerra) ed è valido anche per 500 themes (tema 32: La mano del destino).
Il capitolo #01 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 1: Freddo) ed è valido anche per 500 themes (tema 31: I venti del cambiamento).
Il capitolo #02 è stato scritto per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 2: Het, NSFW) ed è valido anche per 500 themes (tema 349: Bellissima Amicizia).
Riassunto: La veggente si sveglia di soprassalto, colta da un insopportabile brutto presentimento. Cosa succederebbe se gli eventi, così come li ha programmati, non portassero altro che guai?
#01: Cornelius
Cornelius era lontano da troppo tempo per non sorridere alla vista del Turr che si stagliava immenso e coperto di neve proprio di fronte a loro. La luce opaca e debole del primo sole invernale dopo l'equinozio si rifletteva sul bianco immacolato delle cime, illuminando l'intera valle. Il suo sguardo allenato dalla memoria poteva già vedere Tunturre prima ancora che essa, nascosta dall'ultima curva della strada che da Wentan portava a Maline, si rivelasse in tutto il suo splendore. L'idea di rivedere le case scavate nella parete di roccia e il più grande mercato d'armi della regione lo rendevano nostalgico. Era un peccato che non ci fosse il tempo di fermarsi qualche giorno e magari fare visita alla casa di Cor per rassicurare le signorine che vi abitavano della propria buona salute.
"Bella vista, eh?" Chiese Raiden, raggiungendolo. Il suo nuovo assistente tirò leggermente le redini del cavallo e quello fece due passi sul posto, fermandosi poco distante da Zess, l'enorme bestia nera di Cornelius che sbuffò contrariato all'idea di starsene lì fermo ancora per molto.
"Non ce n'è una più bella, amico mio," rise Cornelius, accarezzando energicamente il collo dell'animale. "Eri mai stato da queste parti?"
Raiden scosse la testa. "Non ero mai andato oltre le acque dello Yer, signore," rispose con un mezzo sorriso che lasciava intendere quanto invece non avesse visto l'ora di farlo. "Questo viaggio si sta rivelando alquanto emozionante, per me."
Cornelius rise di gusto gettando la testa all'indietro, felice e sguaiato come al solito. "Ti ho trascinato molto lontano da casa, a quanto pare," commentò.
"E ne sono felice, signore. Non è che ci fosse granché per me laggiù."
Cornelius aveva trovato Raiden a Talwar, una delle più piccoli oasi suthi che gli fosse mai capitato di visitare. Si era trovato ad attraversare il Vaashti per raggiungere la piana di Roian, quando Zess si era fatto male ad una zampa ed era stato costretto a fermarsi. Come ogni altro mercante del pianeta, Cornelius sapeva che non si facevano buoni affari senza visitare le Città Libere e che la rotta più veloce per arrivarci da nord era attraverso il deserto ma, come ogni altro mercante del pianeta odiava quella strada con una passione violenta perché era lunga, calda in ogni periodo dell'anno e terribilmente scomoda. Così, quando il suo cavallo si era ferito, rischiando per altro di rimanere zoppo per sempre e dover essere abbattuto, Cornelius aveva dato sfoggio non tanto del suo ateismo quanto della propria eresia, riuscendo a bestemmiare quattro tipi di divinità diverse, fino a quando un giovane suthi dalla pelle olivastra e dallo sguardo sconvolto non era uscito apparentemente dal nulla a pregarlo di smetterla. A Talwar, che contava non più di una ventina di tende, gli spiriti dell'aria secondo Raiden, un buon veterinario e maniscalco secondo Cornelius, avevano rimesso Zess a nuovo con grande gioia del suo propietario. Per farlo c'erano volute quasi tre settimane, durante le quali Cornelius aveva avuto modo di scoprire che Raiden era un genio con i numeri e aveva una gran voglia di viaggiare, due cose che si sposavano alla perfezione con la necessità di Cornelius di trovare un assistente che sostituisse il precedente, che da un giorno all'altro aveva deciso di mettere su casa e famiglia con buona pace sua e dei suoi affari. Raiden si era dimostrato incredibilmente portato per gli affari e, quando era riuscito a vendergli una nuova sella per Zess nonostante non ne avesse poi così tanto bisogno, Cornelius aveva capito che non poteva lasciare Talwar senza portarselo dietro.
Fortunatamente la famiglia di Raiden era troppo legata alle tradizioni stanziali dei suthi per non essere felice di liberarsene e non sentirlo mai più parlare di viaggi, e così erano partiti insieme, legati da un regolare contratto che nominava Raiden assistente alle vendite per cinquanta syrth al mese più le commissioni, vitto e alloggio spesati dalla compagnia. Un'offerta ben più che ragionevole.
Da allora erano passati più di sei mesi e Raiden era ancora così entusiasta da far sperare a Cornelius di non doverlo riportare indietro.
"Ci fermeremo a Maline tre settimane. Ho degli affari da sbrigare," lo informò, rimettendosi in marcia verso la grande città che si stagliava all'orizzonte. "Questa sarà la prima vera sosta che facciamo da mesi. Che ne dici, ti va l'idea di poter disfare le valige per un po'?"
"Assolutamente, signore," rispose Raiden, il cui fondoschiena avrebbe sicuramente ringraziato non appena gli avrebbe dato la possibilità di passare più di ventiquattrore lontano dal dorso di un cavallo. "Vorrei soltanto che non facesse così freddo."
"Freddo? Questo non è freddo, Raiden. La temperatura si è a malapena abbassata." Cornelius si girò verso di lui e scoppio in una grassa risata divertita. "Sarà davvero un lungo inverno, per te."
Raiden sembrò piuttosto demoralizzato all'idea che in un futuro non troppo lontano potesse fare più freddo di così. Già adesso gli sembrava che le dita di mani e piedi potessero cadergli da un momento all'altro, e questo nonostante gli stivali foderati di pelo e i pesanti guanti di lana che indossava in netto contrasto con la semplice maglia di cotone a maniche lunghe di Cornelius. Come se questo non rendesse già abbastanza evidente la sua scarsa resistenza al freddo, quando arrivarono a Maline, aveva ripreso a nevicare e, mentre lui nascondeva la faccia nel bavero del cappotto cercando di riscaldarsi col proprio fiato, intorno a lui erano tutti in maglietta di cotone e i bambini scorrazzavano nella neve alta quattro dita con i calzoncini corti.
"Si può sapere come fate?" Borbottò, fregandosi le mani e soffiandoci sopra.
"Abitudine, immagino, in questa zona c'è neve per la maggior parte del tempo. Quando fa veramente freddo, ti viene da piangere e non puoi farlo perché ti si congelando le lacrime negli occhi," rispose Cornelius, guardandosi intorno nel disperato tentativo di orientarsi. La cosa brutta delle grandi città in espansione era che non potevi allontanarti per più di due mesi senza tornare e trovare tutto diverso. Per l'appunto Maline, in quanto a grandezza e organizzazione avrebbe potuto essere una città libera, se solo non si fosse trovata ad un mese di distanza da tutte le altre. "Ma non preoccuparti, ti abituerai. Oppure penserò io a staccarti dal cavallo quando sarai morto di freddo."
Gli occhi di Raiden divennero così grandi e rotondi da scatenare in Cornelius un'altra risata divertita. "Sto scherzando! Coraggio, vieni. Ti offro qualcosa di caldo. Poi vedremo di trovare Fermat. Non voglio presentarmi da lui a stomaco vuoto e fargli credere che voglio scroccargli il pranzo."
Lasciarono i cavalli legati ad uno dei grandi anelli inchiodati alle mura – ce n'erano sempre quattro o cinque su ogni palazzo dal momento che erano in pochi quelli che usavano i veicoli sperimentali – ed entrarono nel primo ristorante che offrisse un menù decente per l'ora di pranzo.
Una volta messo piede nel locale, Raiden tirò un sospiro di sollievo e ringraziò il sistema di riscaldamento, sentendo per la prima volta di potersi togliere sciarpa, guanti e cappello senza pericolo di congelare sul posto. La svestizione, che richiese qualche minuto, attirò l'attenzione degli altri clienti che lo fissarono con sgomento, neanche venisse da un altro pianeta.
Fortunatamente, Cornelius tornò indietro a recuperarlo. "Da questa parte," commentò ridendo e trascinandolo per una spalla. Ordinarono carne di Cifri stufata e un dolce di bacche di Orlia che Raiden non aveva mai assaggiato ma che incontrò istantaneamente la sua approvazione.
"Fermat è uno dei vostri gehnr, non è così?" Chiese mentre puliva col tovagliolo tracce della sua nuova passione culinaria.
"Sì e non credo ci sia un altro luogo al modo in cui vorrebbe stare se non nel collettivo," rispose Cornelius, ordinando per entrambi liquore di fine pasto per concludere in bellezza il pranzo. "Ha lavorato una vita per farsi eleggere dal popolo, penso gli verrà da piangere quando finirà il mandato."
"Potrà sempre cercare di farsi rieleggere, no?"
Cornelius annuì. "Certo, naturalmente. Ma fosse per lui si farebbe incollare il culo alla sedia, non so se rendo l'idea."
Raiden si mise a ridere. "Credo di sì," rispose. "Vi conoscete da molto?"
"Da tutta la vita." Cornelius contemplò per un istante il peso di un'affermazione del genere. "Quindi sì, di' pure da troppo tempo. Avevo sei anni quando l'ho conosciuto e lui non era che un marmocchio a malapena in grado di camminare. Mio padre praticamente mi ordinò di diventare suo amico perché suo padre era uno dei gehnr più influenti degli ultimi quarant'anni. Te lo immagini? A quell'età io volevo soltanto correre e combattere, non avevo nessuna voglia di stare dietro ad un bambino che nemmeno sapeva pronunciare il mio nome. Ma lo feci naturalmente, perché mio padre era uno di quelli capaci di farti rimpiangere il momento in cui avevi deciso di disubbidirgli. Successivamente il divario di età si fece meno importante e quando avevamo più o meno vent'anni, mi ero ormai abituato alla sua presenza. Anzi, si può ben dire che fosse l'unico amico che avessi visto che non passavo mai più di un mese nello stesso posto e lui era l'unico con il quale mi tenevo in contatto via pad. Poi lui è entrato in politica come voleva, io ho preso in mano gli affari di mio padre e questo ci ha permesso di trovare un accordo interessante sui rifornimenti cittadini."
"Non sapevo che fossimo noi a rifornire Maline," commentò Raiden.
"Maline e quasi tutti i villaggi dei territori settentrionali," precisò Cornlius con una punta di soddisfazione nella voce. "Non hai mai avuto modo di occupartene. E' un giro enorme, ci vorrà del tempo ma quando ci avrai preso la mano, ti lascerò gestire anche questo."
Raiden annuì. "Quindi alla fine il consiglio di suo padre le è tornato utile."
Cornelius rise. "Non dirglielo mai, però. Ora, finisci quel bicchiere e muoviamoci. C'è una brevissima finestra di tempo nella quale non potrà rifiutarsi di vederci, e una lunga finestra dove invece potrebbe ma i suoi innumerevoli segretari non gli permetteranno di farlo."
Cornelius si alzò e lasciò sul tavolo una manciata di banconote mentre Raiden tentava disperatamente di buttare giù quelle due dita di liquore senza rimetterlo immediatamente. Gli bruciò considerevolmente la gola, ma dovette ammettere che era buono, dopo che il sapore di radice e quello di alcol si erano dissolti, e che mandandogli in fiamme lo stomaco fu di grande aiuto quando uscirono di nuovo in strada e scoprirono che aveva ripreso a nevicare.
La sede centrale del collettivo crest veniva ospitata ogni anno in una città diversa tra quelle più grandi della nazione, in modo da dare ai gehnr di ogni mandato la possibilità di visitare ed entrare in contatto con tutte le realtà che dovevano governare. Inoltre, il gruppo dei cinque era affiancato da una serie di assistenti che ne organizzava brevi spostamenti quasi settimanali, rendendo di fatto la vita dei governanti crest itinerante e molto simile a quella di una delle maggiori forze lavoro della nazione, i mercanti.
Il palazzo del governo a Maline era semplice e funzionale, ma completamente meccanizzato. Praticamente la summa di tutto quello che erano i crest. Una grande area rettangolare di fronte all'entrata accoglieva le carrozze e i cavalli delle persone in visita, intorno ad una gigantesca raffigurazione in marmo del teclahon – due anelli perfettamente identici e legati tra loro – simbolo dell'unione tra laicità del governo e libertà di pensiero e culto, caratteristiche alla base della nazione dei crest.
Una volta all'interno, quattro scalinate e una serie di ascensori permettevano di raggiungere i sei piani del palazzo, che ospitavano ognuno svariati uffici con mansioni diverse. Un enorme pad appeso nell'atrio trasmetteva a rotazione notizie da ogni parte di Minthe e su ogni piano c'erano postazioni libere con pad a disposizione di chiunque, per qualche motivo, non ne avesse uno con sé. Era affascinante come tradizione e innovazione si amalgamassero in maniera così armoniosa, specialmente agli occhi di Raiden. I suthi non vedevano granché di buon occhio le innovazioni tecnologiche – specie quelle dei crest che consideravano troppo invasive – e si erano abituati ai pad solo perché, oggettivamente, rendevano le comunicazioni più agevoli. Per questo Raiden rimaneva sempre incantato di fronte anche al più semplice dei meccanismi e provava per la mentalità dei crest una grande ammirazione. C'era qualcosa di speciale nella loro capacità di progredire lasciando sempre a chi preferiva la tradizione la possibilità di attenervisi senza per questo sentirsi fuori posto all'interno della società. Era rassicurante e meraviglioso per qualcuno come lui a cui la propria cultura era sempre andata stretta e si era sentito sbagliato per questo.
"Vieni, da questa parte," lo esortò Cornelius, che come al solito si era occupato di orientarsi mentre lui si perdeva nella propria ammirazione. Raiden lo seguì, togliendosi tutti gli strati di vestiario che lo avevano protetto dalla bufera esterna ma erano del tutto unitili all'interno, grazie ai braceri sparsi ovunque.
All'ultimo piano un assistente con il simbolo della casata di Fermat appuntato sul petto venne loro incontro non appena misero piede fuori dall'ascensore. "Posso aiutarvi?" Chiese, lasciando già intendere che non potevano stare lì a meno che non avessero un appuntamento.
Cornelius sfoderò il suo sorriso migliore, la chiostra dei suoi denti bianchissimi riuscì quasi a risplendere contro la sua pelle abbronzata. "Mi chiamo Cornelius, sono qui per vedere il gehnr Aleskelom."
L'assistente premette una serie di pulsanti sullo schermo del proprio pad, probabilmente controllando l'agenda di Fermat, e osservò con eccessiva serietà la lista di nomi che si aprì qualche istante dopo. "Il suo cognome, prego?"
Il sorriso di Cornelius si mosse quel tanto che bastava a diventare un ghigno. "Heilum," pronunciò con compiacimento. "Mi conosce molto bene. Dovrebbe farlo anche lei, ma forse non ha avuto tempo di seguire le notizie economiche sul suo pad negli ultimi, diciamo, quindici anni."
L'assistente arrossì per l'imbarazzo. "Mi scusi, signor Heilum. Non l'avevo riconosciuta," si affrettò a dire, schiarendosi la gola. "Prego, da questa parte."
Cornelius lanciò un'occhiata divertita a Raiden che non sapeva bene cosa dire. Durante il viaggio si era accorto che il suo capo era piuttosto famoso, ma non pensava lo fosse al punto di poter usare il proprio nome in questo modo. Era quello che succedeva a passare gran parte della propria vita quasi tagliati fuori dal mondo, probabilmente. L'assistente, un tipo alto e dinoccolato che camminava a passettini veloci proprio in mezzo al corridoio, li condusse in una stanza completamente dipinta di un pallido color crema, vuota se non per un divanetto e un bracere al quale Raiden si avvicinò immediatamente.
"Attendete qui, prego," disse l'assistente prima di chiudere la porta. "Avverto il gehnr Aleskelom che siete arrivati."
Cornelius gli fece un cenno con la mano mentre si lasciava andare sul divano con un sospiro. "Vedi quanto tempo si perde? E' assurdo."
"E' un capo di stato," gli fece presente Raiden. "Sarà molto impegnato."
Cornelius si strinse nelle spalle. "Meno di quanto credi. E comunque mi ha chiamato lui, poteva almeno evitare di farmi fare anticamera."
"Meritersti di farne molta di più, Cornelius," esclamò all'improvviso una voce squillante, costringendoli entrambi a voltarsi. "Ma sono un uomo magnanimo e soprattutto so che superare i limiti della tua pazienza è in genere molto deleterio per l'arredamento."
Cornelius si guardò intorno con aria poco impressionata. "Non che ci sia granché da rompere qui, Fermat."
"Una piccola precauzione," sorrise Fermat, bonariamente. Poi i due scoppiarono a ridere di gusto, quasi nello stesso momento e quasi alla stessa maniera. Raiden osservò questi due uomini alti e massicci come statue abbracciarsi e darsi forti pacche sulle spalle che avrebbero smontato lui senza battere ciglio.
"L'ultima volta che è stato qui," disse Fermat, rivolgendosi a Raiden, "i miei assistenti gli hanno detto di aspettare. Ero in riunione praticamente dal giorno prima e non riuscivamo a trovare un accordo con gli altri gehnr per una certa questione che non sto qui a spiegarti. Immagina lui seduto qui che aspetta da almeno quattro ore. I miei assistenti entrano e lo avvisano che dovrà aspettarne almeno altre due. Gli consigliano di andare a casa e tornare il giorno dopo. Lui però si è fatto un viaggio di due giorni per essere qua in tempo per occuparsi personalmente dei rifornimenti di Maline in occasione della festa della città. E' stanco, arrabbiato e probabilmente anche un po' brillo."
Cornelius annuì ridendo. "Mi ero stancato di aspettare e avevo con me del succo di qward che nel giro di poco si sarebbe scaldato troppo, chiunque avrebbe risolto un problema con l'altro!"
"Insomma, questi gli dicono che deve tornarsene a casa," riprese Fermat, cominciando già a ridere prima ancora della fine. "E lui perde completamente la pazienza. Comincia a strillare che loro non sanno chi è, che non possono trattarlo così e si mette a distruggere sistematicamente ogni singolo pezzo di mobilia all'interno della stanza. E' così fuori di sè che si mette a staccare ad uno ad uno i petali dei fiori di rappresentanza sul tavolino. I miei assistenti sono atterriti."
"Hanno chiamato le guardie di sicurezza," s'intromise Cornelius, ridendo mentre Raiden lo guardava con gli occhi sgranati, non riuscendo a concepire né l'idea di un Cornelius in preda ad un raptus di follia violenta né un capo di stato che potesse ridere sguaiatamente a quel modo. Dopo un'attenta analisi si rese conto che non sapeva effettivamente che cosa stesse succedendo.
"E lo hanno arrestato," confermò Fermat. "Anche se poi è stato in cella soltanto una notte e solo perché non sapevano cos'altro farsene di lui che strillava in quel modo. Ad ogni modo, io sono Fermat. E tu saresti?"
Raiden lanciò prima un'occhiata a Cornelius come se cercasse un qualche tipo di approvazione e quando quello lo ignorò completamente, strinse la mano che il gehnr gli offriva. "Raiden, signore. Sono l'assistente del signor Heilum."
"Un altro? Che fine ha fatto quello prima?" Chiese Fermat, voltandosi verso Cornelius.
Lui si strinse nelle spalle. "Si è sposato," commentò e poi scosse la testa quando l'amico corrugò le sopracciglia confuso. "No, guarda, lascia perdere. Con una phade, una storia che non inizio nemmeno a raccontarti. Piuttosto, volevi vedermi?"
Fermat si fece subito serio o almeno smise di ridere, il che gli conferì un'aria più composta ma il faccione rubicondo, la mascella quadrata e i grandi occhi chiari non lo aiutarono affatto a sembrare serio. Raiden notò che lui e Cornelius si assomigliavano molto in qualche strano modo, benché Cornelius fosse moro, forse perché avevano lo stesso atteggiamento ed erano ugualmente rumorosi.
"Sì, c'è una cosa che voglio tu veda," disse annuendo. "Raiden, mi rendo conto che questo posto non è il massimo del divertimento e mi dispiace chiederti di aspettare, ma non ci metteremo molto."
"Nessun problema, signor Aleskelom."
"Fa' pure un giro e se ti dicono che non puoi passare, digli che ti mando io." Fermat si tolse la collana con il simbolo dei gehnr e gliela consegnò. "Mi raccomando, non la predere."
Cornelius seguì Fermat fino al piano terra e rimase sorpreso quando, invece di dirigersi verso i suoi uffici prese la strada che portava all'ala opposta del palazzo. Man mano che vi si avvicinavano, Cornelius notò che la sicurezza aumentava e le persone diminuivano.
"Dimmi che questa non è solo una scusa per portarmi in qualche luogo dimenticato di questo palazzo e farmi fuori senza che nessuno lo venga a sapere," commentò divertito. "Ti avverto che Raiden è stato addestrato a chiamare aiuto se non torno da lui dopo mezz'ora."
"Se sono anni che voglio ucciderti e non l'ho mai fatto, puoi stare certo che non lo farò oggi," rispose Fermat con un sorriso. "E comunque non è vero che Raiden darebbe l'allarme. Non sei mai stato così previdente con la tua persona come lo sei con i tuoi beni."
Cornelius assunse una finta espressione afflitta mentre raggiungevano un corridoio dell'ultimo piano sul quale si affacciavano svariate porte anonime. "Tristemente vero," annuì. "Certo che dev'essere qualcosa di grosso se per arrivarci dobbiamo fare i chilometri. Sbaglio o quelle erano guardie armate?"
"No, non sbagli. Stiamo andando nel mio secondo ufficio, quello vero. Si tratta di un progetto a cui il consiglio sta lavorando da più di due anni," disse Fermat, sostando di fronte ad una delle porte che non aveva niente in più o in meno delle altre e frugandosi in tasca dalla quale estrasse un mazzo pieno di chiavi. "Doveva essere portato a termine l'estate scorsa ma ci sono stati dei problemi e adesso dobbiamo fare in modo che sia tutto pronto per la fine dell'anno."
"Prima che cambi il governo," commentò Cornelius, guardandosi intorno.
"Esattamente," annuì Fermat, trovando la chiave. "Ma siamo sulla buona strada. Ecco, è questa."
Fermat aprì la porta e Cornelius lo seguì all'interno. Quando azionarono il sistema di illuminazione fu come se l'ufficio emergesse dall'ombra e apparve un po' più grande di quello che era sembrato ad una prima occhiata ma, a parte questo, non aveva granché di speciale. Era un ufficio, e neanche uno di quelli più originali.
Se Cornelius ricordava bene, l'altro ufficio di Fermat – quello finto, a questo punto – era praticamente uguale, mancava solo l'ampia finestra che dava sul retro del palazzo.
"Senza dubbio un bell'ufficio," commentò sarcastico. "Se vuoi un parere, io sposterei la scrivania dalla parte opposta. Avresti più luce."
"Taci, non ti ho chiamato per riarrderami l'ufficio," borbottò Fermat, per poi tirarlo per un braccio dall'altra parte della stanza. Lo trascinò fino ad uno schedario che si aprì solo dopo l'utilizzo di due chiavi diverse. Sotto gli occhi vagamente annoiati di Cornelius – sul quale la teatralità non funzionava mai, a meno che non si trattasse di donne seminude su un palco – Fermat estrasse dal cassetto un foglio arrotolato che poi andò a stendere sulla scrivania, guardandolo come avrebbe guardato il suo primogenito maschio dopo aver avuto tre femmine. "Ecco," sospirò.
Cornelius inclinò la testa di lato e osservò con attenzione il foglio di pergamena sul quale era disegnato un labirinto di linee che andavano formando una sagoma di qualche tipo. C'erano delle misure riportate e degli appunti scritti in una calligrafia illegalmente brutta per la quale qualche valnar da qualche parte aveva pianto copiose lacrime. "Che cos'è?" Chiese.
"Il nostro asso nella manica per vincere la prossima guerra," rispose Fermat.
Cornelius corrugò la fronte e osservò meglio quello che aveva davanti. "D'accordo, volendo essere un po' meno epici e più esplicativi? Dalla forma presumo sia un'arma."
"Un armamento leggero da braccio, per la precisione. Dobbiamo ancora dargli un nome."
Cornelius studiò lo schema ancora più da vicino. Adesso che capiva di cosa poteva trattarsi, la cosa lo interessava. Il mercato delle armi era, per così dire, stagionale ma era molto remunerativo. La domanda si alzava solo quando si avvicinava l'anno di guerra, eppure poche buone vendite bastavano a sostenere l'attività anche per un mese intero. In genere l'inizio dell'inverno – specie a due anni dalla fine di un governo – era ancora troppo presto per pensare a cosa vendere e a chi, ma non si sarebbe certo tirato indietro se l'obbiettivo di questa rivelazione segreta era un contratto. "Caratteristiche?"
"Stessa tecnologia dei pad. Si può regolare l'intensità del colpo e la gittata," rispose Cornelius, indicando una parte dello schema su cui compariva, in effetti, la miniatura di un pad innestata sul lato dell'arma. "I nostri tecnici stanno cercando un modo di collegarlo ai visori e creare dei puntatori automatici."
Cornelius corrugò la fronte. "Aspetta un secondo," commentò, raddrizzandosi. "Si era parlato di espandere la tecnologia dei pad altrove, ma il problema delle batterie non era mai stato superato. Quanta autonomia hanno questi affari?"
"Sono armi progettate per le incursioni brevi in cui è previsto il ritorno alla base," spiegò Fermat. "In teoria, durano almeno ventiquattro ore. In pratica non lo sappiamo ancora, il progetto è ad un livello ancora del tutto sperimentale."
Cornelius emise un suono così deluso da risultare quasi ridicolo. Se c'era una cosa che lo infastidiva sempre erano le discussioni teoriche su oggetti che un giorno, forse, se il mondo avesse preso a girare al contrario e a lui fossero spuntate le branchie, avrebbero potuto essere messe sul mercato, ma che per il momento erano solo belle idee senza fondamento. Come la strada attrezzata del Vaashti. Tutti non facevano che parlarne da almeno due decenni, ma erano vent'anni che lui attraversava il deserto a cavallo. Ne conosceva a decine di persone che si presentavano da lui con l'idea del secolo. Lui si incuriosiva, si faceva anche quattro conti, pensava a quando, a chi e a quanto vendere l'oggetto. Perdeva del tempo ad organizzare complicatissimi piani di vendita per poi scoprire che l'oggetto in questione non esisteva ancora. Non riusciva mai a spiegare a questa gente che lui non vendeva pezzi di carta, non era un imprenditore e non si occupava nemmeno di brevetti. Faceva il mercante. Tu avevi qualcosa da vendere ma non sapevi a chi. Lui acquistava tale oggetto da te e lo rivendeva ad una terza persona ad un prezzo maggiore. Non ci voleva poi così tanto a capirlo.
"Andiamo, Fermat!" Si lamentò con uno sbuffo, sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania. "Ma di cosa stiamo parlando qui? Tanto valeva che raccogliessi un pezzo di legno da terra e mi inseguissi facendo 'pew pew' come facevi da piccolo."
"Ma a differenza del pezzo di legno questo può ucciderti davvero," replicò Fermat.
"Avete almeno un prototipo?" Tentò Cornelius, massaggiandosi le tempie.
Fermat sospirò, rassegnandosi a sedersi sulla poltrona per gli ospiti. "No, purtroppo."
"Ecco," bofonchiò Cornelius. "Quindi è un'arma che sulla carta non si smonta, sta accesa un giorno intero e spara da qualunque distanza. Ma a conti fatti, se mai fosse costruita, potrebbe esploderti in faccia."
Fermat annuì fra sé e sé, un po' dispiaciuto forse, ma non demoralizzato. "Ci mancano i fondi per costruire il prototipo," spiegò. "Ma i calcoli sono esatti e le simulazioni hanno dato ottimi risultati."
"Le simulazioni non sono mai troppo affidabili," gli fece notare Cornelius. "Ora, veniamo al dunque. Perché mi trovo seduto in questo ufficio invece che a Vanste?"
Il sospiro di Fermat anticipava già tutto un certo tipo di discussione che sinceramente Cornelius non voleva affrontare. Aveva un sesto senso per anticipare certi argomenti, specialmente se andavano allungando le loro manine artigliate sul suo portafogli. Si sedette meglio aspettando che l'altro dicesse qualcosa e finse di essere all'oscuro di tutto e soprattutto a suo agio. "Mi chiedevo," disse Fermat, "anzi l'intero consiglio si chiedeva se ti interesserebbe finanziare il progetto, in cambio naturalmente dell'esclusiva sulla vendita e di un guadagno del sessanta percento."
Cornelius fece una smorfia. "Io mi orienterei verso il settanta, settantacinque," lo corresse, agitando una mano davanti a sé.
"Sarebbe un furto, Cornelius!"
"Intanto riuscireste a produrla," gli fece notare lui, stringendosi nelle spalle. Non finanziava mai quasi niente che non fosse già una vendita pressoché sicura, e qui si parlava di un'arma che poteva anche non vedere mai la luce. "Ad ogni modo, di che somma stiamo parlando?"
"Almeno trentamila syrth."
"Per quanti esemplari?"
Fermat spostò il progetto verso di lui. "Solo per il prototipo."
Cornelius fece una risatina quasi isterica. "Vuoi scherzare? Sono un mucchio di soldi, Mat!"
Fermat annuì ripetutamente. "Naturalmente, altrimenti non avremmo bisogno di finanziamenti," replicò placidamente.
"Il collettivo dovrebbe avre quel denaro da qualche parte. Paghiamo un sacco di tasse ogni anno."
Il gehrn non poté fare niente per trattenere la risata che gli scappò dalle labbra. Non c'era mai una volta che Cornelius si facesse sfuggire una lamentela sui contributi, anche quando sapevano entrambi che ne versava meno della metà. "Il fatto è che non tutto il collettivo è d'accordo su questa cosa," spiegò pazientamente. "Il progetto ha la maggioranza, ma solo se troviamo finanziatori esterni."
Cornelius sospirò. "Non lo so, Mat. E' una cifra enorme e io non sono troppo sicuro di potermela permettere."
"Pensa che sarebbe per il bene della nazione," insistette il capo di stato e, rendendosi immediatamente conto che il patriottismo poteva non essere la scelta più saggia per far leva sull'amico, aggiunse: "Potrebbe darci una mano a vincere la guerra. Se i crest avessero il controllo del pianeta, potresti avere delle agevolazioni doganali, per non parlare di quanto aumenterà l'affluenza in questo territorio – che ti ricordo essere la base dei tuoi affari – per qualunque questione governativa, pensa agli eventi organizzati per i capi di stato."
Cornelius adorava i periodi in cui comandavano i crest. Non era una questione politica, era solo che Maline diventava per quattro anni il centro del mondo e questo dimezzava i costi delle sue trasferte perché erano gli altri a venire da lui. "Senti, dammi un po' di tempo per pensarci, d'accordo?" Disse alla fine, passandosi una mano sulla faccia. "Devo fare due conti, dormirci su e controllare un paio di cose."
"Certo, naturalmente. Quanto starai qui?"
"Tre settimane," rispose Cornelius, alzandosi in piedi e stiracchiandosi. L'idea di sborsare tutti quei soldi gli aveva fatto improvvisamente ricordare che era stanco e aveva bisogno di riposarsi dopo il lungo viaggio.
Fermat ripose il progetto dell'arma nello schedario, poi accompagnò l'amico fuori dall'ufficio e chiuse la porta a chiave. "Pensi di potermi dare una risposta prima dell'incontro con le delegazioni fra dieci giorni?"
Cornelius continuò a stirarsi nel corridoio, incurante delle guardie che lo guardavano con disapprovazione. Lanciando indietro le braccia colpì qualcuno che stava passando lì dietro proprio in quel momento. "Mi scusi," disse lanciando a malapena un'occhiata all'uomo che scosse la testa e fece un mezzo sorriso. "Cercherò di fare il possibile, Fermat."
"Il possibile è già meglio di quanto abbiamo adesso," concluse l'altro con un sospiro. "Ora scusami se non ti riaccompagno ma ho una riunione con non so più nemmeno chi. Spero che uno dei miei segretari si faccia vivo presto per ricordarmelo. Riesci a tornare da Raiden da solo?"
Cornelius si portò due dita alla tempia. "Nessun problema, il mio senso dell'orientamento è infallibile!"
In realtà, prima di tornare nella stanza in cui il suo assistente si stava chiedendo se si potesse davvero morire di noia, Cornelius si perse tre volte ma, fortunatamente, nessuno lo venne mai a sapere.