Personaggi: Miguel, Matias
Genere: Drammatico, Introspettivo
Avvisi: Slash
Rating: R
Prompt: Scritta per far guadagnare punti alla squadra deivampirli Blood Devils, nel Cow-T di MDC (prompt: Indecisione).
Note:Tanto per cominciare il titolo viene da una citazione più lunga che diceva "The most difficult thing is always the decision to act. Fears are paper tigers" della signora Amelia Earhart, un'aviatrice statunitense (non è che lo sapessi, me lo ha detto Wikipeda). Queste pagine contengono il racconto della trasformazione di Miguel in vampiro ma, soprattutto, l'incertezza di Matias che l'ha preceduta.
Riassunto: "Perché non l'ho mai fatto prima. Perché non so come si fa. Perché è un angelo e, per quanto ne so, potrebbe anche morire. Servono altri motivi? Ho paura di quello che potrebbe succedere, e non voglio averne la responsabilità."
Genere: Drammatico, Introspettivo
Avvisi: Slash
Rating: R
Prompt: Scritta per far guadagnare punti alla squadra dei
Note:Tanto per cominciare il titolo viene da una citazione più lunga che diceva "The most difficult thing is always the decision to act. Fears are paper tigers" della signora Amelia Earhart, un'aviatrice statunitense (non è che lo sapessi, me lo ha detto Wikipeda). Queste pagine contengono il racconto della trasformazione di Miguel in vampiro ma, soprattutto, l'incertezza di Matias che l'ha preceduta.
Riassunto: "Perché non l'ho mai fatto prima. Perché non so come si fa. Perché è un angelo e, per quanto ne so, potrebbe anche morire. Servono altri motivi? Ho paura di quello che potrebbe succedere, e non voglio averne la responsabilità."
Quando la porta dell'appartamento si aprì con uno scatto, Miguel sollevò lo sguardo dalle pagine del libro che stava leggendo e sorrise in direzione della figura sottile di Matias che nel buio del corridoio quasi sembrava non occupare spazio. I suoi occhi non ne scorgevano bene tutti i dettagli, ma la memoria era perfettamente in grado di compensare alle mancanze della vista, e così gli sembrava quasi di vederlo in piena luce muoversi piano per non svegliarlo.
Il ragazzino era sicuro di essere l'unico sveglio, perciò quando entrò in salotto e lo trovò seduto sulla poltrona, sussultò colto di sorpresa. Alla faccia dei suoi sensi di vampiro.
Comunque, la sua espressione tornò scura e impenetrabile quasi subito. "Pensavo saresti stato a letto, a quest'ora," mormorò, posando le chiavi di casa sul tavolo e togliendosi la giacca.
"E io pensavo che saresti stato a casa," rispose l'angelo, senza nessuna ostilità nella voce. "Mi sembrava avessimo detto che sarebbe stato stasera."
Matias volse lo sguardo e sopportando a stento l'idea di rimanere in quella stessa stanza, si voltò e si diresse in camera, spogliandosi lungo il corridoio e costringendo Miguel ad andargli dietro.
"Matias, fermati un attimo," lo pregò l'angelo. "Almeno parliamone."
"Non c'è niente da dire," rispose lui. "Ho solo dimenticato, mi dispiace."
Miguel lo seguì fin dentro la camera da letto e lo osservò aggirarsi tra l'armadio e il cassettone in cerca di qualcosa che probabilmente non era mai nemmeno esistito ma gli dava la possibilità di dimostrarsi impegnato e non disposto ad ascoltarlo.
L'iniziale fame predatoria di Matias di fronte alla sua richiesta di trasformarlo in vampiro, era diventata immeditamente esitazione quando si era trattato di farlo davvero. La notte in cui avevano deciso di farlo, Matias si era tirato indietro e da allora aveva continuato a rimandare, fino a che anche il minimo accenno alla questione aveva preso ad infastidirlo. Non faceva che uscire di casa quando Miguel dormiva e tornare prima che potesse svegliarsi, così che tutto ciò che l'angelo aveva visto di lui negli ultimi due giorni era stato un corpo immobile e gelido sul letto. Per questo non gli era rimasto altro da fare che sforzarsi di aspettarlo sveglio. "Perché fai così?" Gli chiese addolorato, mentre Matias recuperava un'altra maglia e si cambiava, come fosse intenzionato ad uscire ancora. D'altronde era ancora possibile, mancancavano quasi due ore all'alba.
"Io non faccio niente," rispose Matias, recuperando spiccioli dal cassettone e infilandoli in tasca. Sistemò la semiautomatica nei pantaloni e si piantò a testa bassa di fronte alla porta che Michele occupava interamente. "Ti dispiace?"
"Sì, mi dispiace," annuì l'angelo, spingendolo delicatamente all'interno della stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Miguel alzò gli occhi al cielo e infilò le mani sotto le ascelle, guardandolo a muso duro dall'alto in basso. "Non so con esattezza quale sia il problema, ma posso immaginarlo. Quindi, per favore, ti scongiuro, possiamo sederci e parlarne?"
La voce di Miguel era calma e pacata come al solito, ma attraversata da una vaga nota di apprensione. Era il dono e la croce degli angeli quello di sentire la sofferenza degli altri come propria. Per quanto Michele avesse in qualche modo imparato a vivere con distacco più di quanto facessero i suoi fratelli e si risparmiasse di piangere e soffrire in modi strazianti, quando era Matias a stare male, la sua vera natura tornava in superficie.
Alla fine Matias sospirò e accettò di sedersi, torturandosi le mani in attesa che Miguel gli facesse la domanda che aleggiava fra loro da troppo tempo per essere semplicemente ignorata. "E per la trasformazione, non è così?" Disse l'angelo. "Perché hai così tanta paura?"
Matias avrebbe voluto dirgli che non aveva affatto paura, ma sarebbe stato alquanto ridicolo perciò ebbe la buona creanza di stare zitto almeno a riguardo. "Sono troppo giovane," disse alla fine, anche se da qualche parte, non desiderato, il suo orgoglio si contorse in una fitta di dolore. "Questa cosa potrebbe non funzionare e rivelarsi un disastro, Miguel. Tu non ti rendi conto."
"Io sono certo che andrà tutto bene," gli sorrise lui.
Matias emise un mugolio lamentoso. "No, tu vuoi che vada tutto bene. Tu lo speri intesamente, ma non basta. Non hai idea di quello che potrebbe succederti se qualcosa andasse storto."
"Non ho paura di morire, Matias. E se non ne ho, significa che non succederà," cercò di rassicurarlo l'angelo, anche se sapeva che il concetto non era semplice da spiegare. "Lo sentirei se questo fosse il mio destino, perché appartengo a qualcosa di molto più grande di me, la cui forza vacillerebbe in modo consistente se io venissi a mancare. Lo sai, te l'ho già detto."
"No! Io non lo so, Miguel! E nono lo sai nemmeno tu," protestò il vampiro. "Non puoi pensare di prevedere quello che accadrà sulla base di una cosa che non è mai successa né a te né tantomeno a nessun altro, mai, prima di questo momento. E'... è follia!"
"Matias, ascoltami..." Miguel cercò di afferrargli un polso per calmarlo, ma il vampiro si allontanò di scatto.
"No, ascoltami tu. Noi non sappiamo niente di quello che potrebbe accaderti perché sei un angelo, e non uno qualsiasi. Il tuo potere potrebbe resistere alla trasformazione o reagire in maniera inaspettata o chissà cos'altro. Non puoi davvero chiedermi una cosa simile ed aspettarti che io la faccia con gioia."
"Volevi, fino a qualche giorno fa."
"Poi ho acceso il cervello," replicò Matias, alzandosi per iniziare a camminare sue e giù. "E ti pregherei di fare lo stesso."
Michele lo raggiunse e lo strinse fra le braccia, sussurrandogli contro la guancia che tutto sarebbe andato bene e che non aveva motivo di preoccuparsi. A poco a poco il vampiro si rilassò e fu abbastanza tranquillo da potersi voltare nella sua stretta e nascondere il viso nel petto dell'angelo per farsi coccolare.
"Sai perfettamente come farlo," continuò a sussurrargli Michele all'orecchio. "Non hai niente di cui preoccuparti."
"Non l'ho mai visto fare," rispose Matias, con un tono più rassegnato di prima. "L'unica volta che ne ho avuto esperienza è stato quando il mio creatore ha fatto me e non ne ho un bel ricordo, Miguel. In più, ho come l'impressione che il mio creatore ne sapesse meno di me."
Michele non poté fare a meno di sorridere. "Ma il risultato mi pare più che soddisfacente, quindi perché non dovrebbe ricapitare?"
Matias avrebbe voluto dirgli che se una cosa era andata bene la prima volta non significava che dovesse ripetersi per forza uguale, soprattutto quando le premesse erano completamente diverse, ma dopo tutta questa discussione non aveva più la forza di continuare ad insistere perché avrebbe significato doversi di nuovo allontanare dalle sue braccia e non voleva. Perciò volse la testa completamente e si nascose del tutto, lasciando che Michele se lo stringesse contro e lo cullasse un po'. "Dammi solo un altro po' di tempo per pensarci, d'accordo?" Chiese alla fine, in un sussurro.
Michele annuì e gli baciò la sommità della testa, incapace di allontanarlo da sé nemmeno di un centimetro. Era disposto a concendergli altro tempo, se era quello di cui credeva di aver bisogno, ma sapeva che Matias non ne avrebbe impiegato troppo a fare la sua scelta, quale che fosse. Matias non amava le cose in sospeso e spesso preferiva decidere in fretta pur di concluderle. E l'avrebbe fatto anche stavolta.
Quando Matias voleva stare da solo, spariva per ore. Si lasciava alle spalle il locale e qualunque altro luogo fosse normalmente frequentato dai vampiri. C'era un posto quasi fuori città che nessuna delle bande aveva rivendicato perché troppo lontano e scomodo per farsene qualcosa di utile. Era lo scheletro di un vecchio edificio così malconcio che non ne restava quasi più abbastanza per stabilire che cosa fosse stato un tempo. Matias lo aveva esplorato in lungo e in largo, affascinato dalla spettralità delle stanze vuote e dall'eco dei suoi passi che tornava indietro e gli dava i brividi. Lo aveva amato quando era vivo, e lo amava ancora di più adesso che per qualche motivo nessuna delle cose che prima lo terrorizzavano aveva più effetto su di lui. Adesso le sue paure erano più profonde e lo facevano tremare così violentemente che aveva solo voglia di rannicchiarsi da qualche parte e aspettare non sapeva nemmeno lui cosa; che Miguel smettesse di essere così stupido, forse.
Alcune delle stanze contenevano scrivanie e vecchie lavagne, e facevano pensare ad una scuola, ma in altre c'erano letti ospedalieri con le sbarre e sedie a rotelle adagiate su un fianco. In uno stanzino al quinto piano, grande appena un paio di metri, una volta aveva trovato un dipinto polveroso grande quanto la sua mano. Era la miniatura di una vecchia casa vittoriana, con i muri tetri e le finestre cieche. Sembrava uno di quei dipinti stregati che avevano il potere di intrappolarti al suo interno se solo li guardavi troppo a lungo. Matias se l'era portato a casa e l'aveva appeso sopra al letto, accanto ai poster delle band che ascoltava all'epoca e delle quali conserveva un ricordo affettuoso, perché allora la musica – come molte altre cose – era un modo per evadere dalla realtà. Era ironico che avesse scelto l'unica strada che lo averebbe tenuto inchiodato alla realtà fino alla fine del mondo.
Quando era ancora umano, una parte di lui neanche troppo piccola aveva sperato davvero che a furia di guardarlo quel dipinto potesse strapparlo alla sua minuscola camera da letto, alla casa che puzzava di cibo precotto perché suo padre tornava troppo tardi la sera per poter avere tempo e voglia di fargli qualcosa di sano da mangiare. La sua famiglia non era mai stata granché a cominciare da sua madre che se n'era andata prima ancora che lui iniziasse a camminare, ma quando suo fratello era stato ritrovato morto, gettato in mezzo ai rifiuti con l'ago ancora in vena, di quel poco che c'era della famiglia non era rimasto più niente. Suo padre aveva perso ogni parvenza di voglia di vivere e non gli era rimasto abbasta interesse per l'unico figlio ancora in vita da portare a casa almeno il cibo precotto. Era stato allora che si era guardato allo specchio e aveva promesso a se stesso che per quanto potesse andare a fondo e scavare, non si sarebbe mai ridotto come suo fratello o come suo padre.
Non ricordava come avesse deciso di unirsi alla banda, ma probabilmente era successo perché l'idea di far parte di un gruppo lo allettava e credeva che quello avrebbe potuto sostituire la famiglia che gli mancava. Ma quelli della banda non erano umani, lo sapevano tutti. Non che lo avessero dichiarato, ma era una cosa nota per chiunque vivesse nel quartiere. Le madri per bene li usavano per spaventare i bambini. Matias si era sempre chiesto se la sua di madre lo avrebbe fatto, ma aveva deciso che no; d'altronde non era stata una madre per bene, la sua.
Per giorni aveva cercato quel tipo che si diceva potesse renderti come quelli della banda. All'inizio nemmeno ci credeva che ci fosse uno così ma poi, dopo qualche settimana che se ne andava in giro chiedendo di lui, quello si era fatto vivo e aveva chiesto di vederlo in un buco puzzolente oltre la ferrovia. Matias era uscito di casa ubriaco per evitare di ripensarci lungo la strada, ma dal momento in cui aveva superato la soglia di quel posto infestato dai topi, non ricordava che immagini vaghe. Per quanto si sforzasse, riusciva solo a confondersi. Il tipo era vecchio, questo era sicuro. Matias ricordava il suo viso scarno con gli zigomi pronunciati e un accenno di barba biancastra lungo la linea aguzza del mento. Sembrava una pera avvizzita, come se qualcuno gli avesse succhiato via tutta la linfa vitale e fosse rimasto solo lo scheletro di qualcosa che un tempo, forse, era stato umano ma che adesso ne aveva solo l'aspetto sciupato. Indossava abiti polverosi e laceri e se ne stava rannicchiato su un vecchio divano, in un angolo della stanza. Matias aveva provato un moto di ribrezzo per lui prima ancora che di pietà e quello aveva riso, leggendogli nella testa. Gli aveva detto di essere al mondo da più tempo di quanto Matias sarebbe mai stato in grado di contare e Matias gli aveva chiesto se si sarebbe anche lui ridotto in quel modo. Il vecchio vampiro aveva risposto che poteva darsi, se era furbo abbastanza.
Matias aveva chiesto di entrare nella banda – di questo era certo – e poi il vampiro doveva averlo azzannato. Poteva giurare di non averlo visto muoversi, ma sapeva che era scattato in avanti e prima del morso violento che lo aveva fatto contorcere dal dolore, Matias ricordava soltanto l'odore dolciastro e familiare del rum nell'alito del vampiro.
Il ricordo successivo che aveva era quello di suo padre che lo picchiava. Matias non aveva pensato di ucciderlo, la sua reazione era stata istintiva. Aveva sentito il moto di rabbia attraversarlo come una scossa elettrica ma quando si era aspettato semplicemente di tirargli un pugno, si era ritrovato con il sangue di suo padre sulle mani e allora aveva capito.
Si guardò le mani anche in quel momento e ci vide sopra il sangue di Miguel. Lo immaginò scivolargli lungo il collo dal punto nel quale lo avrebbe morso. Per qualche motivo lo vide macchiare anche le ali candide, sapeva che le piume più piccole, quelle più interne, avrebbero tremato appena le avrebbe toccate.
Strinse i pugni come a cercare di trattenere quel sangue immaginario e si coprì gli occhi, ripiegandosi su se stesso.
Quando Cruz arrivò, lo trovò ancora così, con le ginocchia strette al petto e il viso nascosto.
L'alba era vicina, l'orizzonte si era già colorato di rosa e c'era qualcosa nell'aria che gli pizzicava la pelle. Cruz rimase immobile ad aspettare finché Matas non decise di alzare la testa, e solo allora gli sorrise. "Credi di esserti isolato abbastanza?" Gli chiese, sedendosi accanto a lui sul tetto dell'edificio e lasciando penzolare una gamba dal cornicione.
Matias emise un lamento infastidito e si stropicciò gli occhi, sporcandosi le guance di sangue ancora di più, ma non gli importava. "Come facevi a sapere che ero qui?"
"Tu sei sempre qui quando non sei con Miguel," sopirò l'altro, prendendolo un po' in giro.
Matias tornò a guardare altrove con aria triste a sentire il nome dell'angelo. "Perché sei venuto?"
"Perché qualcuno doveva farlo fratello, e questo tedioso compito è mio e ne vado fiero." Cruz sorrise anche se l'altro non poteva vederlo e gli passò un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé. Matias si sciolse da quella posizione solo per girarsi e raggomitolarsi contro il fianco di Cruz.
Matias e Cruz non erano davvero fratelli, naturalmente, ma condividevano lo stesso creatore e visto che erano vicini di età – sia prima che dopo la morte – era stato quasi logico per loro considerarsi tali. E anche se Cruz era così diverso da lui, non c'era un'altra persona, a parte Miguel, di cui Matias si fidasse come si fidava di lui. "Non voglio tornare a casa," mormorò.
"Dovrai farlo," sospirò Cruz, accarezzandogli i capelli. "Il sole è troppo vicino e permettergli di farti arrosto non è una buona soluzione a nessun problema. Nemmeno al tuo, qualunque esso sia."
Matias sollevò appena la testa, senza muoversi troppo. "Non lo sai già?"
"Ho delle idee, ma non voglio fare ipotesi," rispose Cruz. "Vuoi dirmelo tu?"
Matias sospirò così profondamente e in manera così drammatica che l'altro non poté fare a meno di ridacchiare, ma continuò a fissare il sole oltre la linea dell'orizzonte, godendo di quella vista fintanto che poteva sopportarla. "Miguel vuole che io lo trasformi," disse alla fine Matias, fissando lo stesso punto nel cielo.
"E tu non vuoi," esclamò Cruz. "Perché?"
Matias scosse la testa. "Perché non l'ho mai fatto prima. Perché non so come si fa. Perché è un angelo e, per quanto ne so, potrebbe anche morire. Servono altri motivi?" Rispose, seccato. "Ho paura di quello che potrebbe succedere, e non voglio averne la responsabilità."
"Nel bene o nel male?" Chiese Cruz.
Matias ci pensò su un lungo istante. "In entrambi i casi," disse alla fine. "Se non lo uccido, potrebbe non piacergli quello che è diventato. Lo perderei in ogni caso e non posso tollerarlo."
"Sai, c'è un'altra opzione," gli fece notare il fratello.
"E sarebbe?"
Cruz abbassò lo sguardo su di lui senza mai smettere di accarezzarlo. "La trasformazione potrebbe riuscire e Miguel potrebbe essere soddisfatto del risultato. Sai, potrebbe anche succedere!"
Matias mugolò qualcosa e tornò a nascondere il viso mentre Cruz rideva. "Tu non capisci."
"No, sei tu che non capisci," insistette Cruz, con tenerezza. "Se sono queste le paure che hai, non passeranno mai. Se te lo chiedesse fra dieci, venti o cinquant'anni, tu saresti comunque inesperto, insicuro e impaurito. Credo che farsi trasformare e trasformare qualcun altro racchiudano in sé la stessa paura, quella delle cose che non conosciamo."
"Potrei non trasformarlo affatto," protestò Matias.
"E lui contempla questa possibilità?"
Matias scosse la testa. "Dice che finché resta un angelo, gli angeli possono trovarlo e lui non vuole dare loro questo vantaggio."
"Questo è vero," commentò Cruz.
"Sì, e allora? Anche se gli angeli possono individuarlo, sanno già che si trova con noi e chiunque sa dove facciamo base. Non è questo il punto della guerra! Chi se ne frega se possono localizzarlo. La verità è che vuole fare un dispetto a Dimitri."
Cruz sorrise. "Ah, allora è questo il vero problema."
"Cosa?" Sibilò Matias.
"Sei geloso."
Le guance di Matias si colorarono leggermente di rosso, ma rimase imbronciato. "Io non sono geloso, dico le cose come stanno. E comunque resta il fatto che è pericoloso."
Il sole era fin troppo visibile adesso e Cruz cominciava a trovarlo fastidioso. "Ascolta, non voglio dirti che cosa devi fare e Miguel ha fatto così tanto per noi negli ultimi mesi che non credo nessuno pretenda di vederlo diventare vampiro per fidarsi di lui, ma se è questo quello che vuole, tu sai perfettamente che farebbe comodo anche a noi avere un vampiro tanto potente nel gruppo. Certo, ci sono dei rischi, ma in realtà tutti i tuoi dubbi si basano su paure senza fondamento e niente ci fa pensare che debba per forza andare tutto storto."
"Io non voglio farlo," insistette Matias.
"E se non fossi tu? Se fosse qualcun altro a compiere la trasformazione, andrebbe meglio?"
Matias non ne era troppo sicuro. Una parte di lui era convinta che l'unico problema era che non voleva alcuna responsabilità, ma dall'altra, se solo pensava a qualcun altro che metteva le zanne su Miguel, gli saliva la rabbia perché Miguel era suo e nessuno poteva toccarlo.
Si chiedeva solo se il bisogno di possederlo fosse un motivo sufficiente ad assecondarlo in questa follia.
Quando Matias tornò a casa, il sole era già troppo alto nel cielo per non dargli alla testa. Miguel era seduto in poltrona e cercava di trovare un senso alle corde della chitarra che teneva sulle ginocchia, la vecchia chitarra del fratelo di Matias, che era rimasta a far polvere per anni prima che l'angelo la scovasse in fondo ad un armadio e la facesse propria.
"Non riesco ancora a capire come funziona," gli sorrise, vedendolo entrare.
"Non chiederlo a me, non sono mai stato capace," mormorò Matias e fu felice che, almeno per il momento, la domanda inespressa che c'era tra loro non si fosse ancora fatta sentire.
"Un tempo suonavo l'arpa," continuò Miguel, guardando con affetto lo strumento che aveva tra le mani e sfiorandone le corde delicatamente. "Ma è completamente diversa."
Matias provò a scacciare dalla mente l'immagine di Miguel con la tunica che se ne andava in giro per le volte celesti pizzicando armonie eteree, ma non ci riuscì e scoppiò a ridere, attirando la sua attenzione. "Cosa c'è di tanto divertente?" Chiese l'angelo.
Matias scosse la testa. "Niente, ho solo provato ad immaginare che aspetto avessi."
"Fammi indovinare: tunica, aureola e senza scarpe?"
"Più o meno sì."
Miguel sospirò. "Hai una strana idea del Paradiso."
"E' quella che hanno tutti," si difese Matias, non riuscendo ad impedirsi di raggiungerlo e sederglisi in grembo non appena quello mise da parte la chitarra. "Dovreste parlare con i vostri pubblicitari e porre fine al luogo comune."
Miguel lo abbracciò stretto e inspirò l'odore dei suoi capelli, socchiudendo gli occhi. Per un po' rimasero a fissare la luce del sole che colorava il pavimeno attraverso le persiane semi-chiuse. Matias sollevò le gambe quando divenne troppo pericoloso e Miguel aprì le ali e ce lo avvolse dentro, creando un'ombra abbastanza densa da proteggerlo. "Non ti manca mai?"
"Che cosa?" Chiese Miguel.
"Il Paradiso. Non vorresti tornarci?"
L'angelo guardò davanti a sé così a lungo che Matias ebbe il tempo di sentire il sonno del mattino impossessarsi lentamente di lui prima che rispondesse. "Non potrò mai più farlo," disse alla fine. "E non voglio rimpiangerlo."
"Che posto è?"
Il sorriso di Miguel si fece più dolce. "Non ci sono parole per descriverlo, Matias."
"Prova."
"Il Paradiso è Luce," rispose Miguel, seguendo con un dito la curva rotonda delle sue orecchie. "Ogni cosa risplende del potere di Dio, e anch'esso è luce infinita. E' come guardare la superficie dell'acqua quando ci batte sopra il sole d'estate. Te lo ricordi?"
"E' accecante."
"Ma è luce calda, che non fa male."
Matias sospirò e si rannicchiò meglio tra le sue braccia, come in un nido. Sentiva il bisogno di dormire sempre più forte, ma doveva parlare perciò si fece forza. "Ti rendi conto che se ti trasformassi, non potresti più vedere la luce del sole?"
"Tu vedi l'alba ogni giorno. Sei sveglio anche adesso."
Matias scosse la testa. "Non è la stessa cosa, e purtroppo non puoi capirlo finché non lo proverai sulla pelle. La luce che io vedo non ha niente della meraviglia che descrivi e che io mi ricordo. Quando guardiamo la luce del sole ci facciamo del male, nello stesso modo subdolo in cui ci si ferisce quando si continua a desiderare cose che non possiamo più avere."
"Io non lo farò."
Il sorriso di Matias è triste. "Non sarai tu a deciderlo. Succederà è basta, succede a tutti. Rimpiangerai la luce del sole come rimpiangerai di non essere più in vita. Anche quelli fra di noi che soffrono meno ne sentono la mancanza. Se vuoi davvero che io lo faccia, voglio che tu comprenda quello che sarà."
"Credo di averlo capito," rispose Miguel pazientemente.
"No, credimi. Non posso dirti come sarà morire, perché non lo ricordo. Ma posso dirti come sarà risvegliarti. Ti renderai conto di vedere le cose con più precisione e che questo è doloroso come non ti eri aspettato che fosse. Sentirai e vedrai tutto ciò che ti accade intorno in maniera così netta che niente, mai, sembrerà che ti appartenga. Il mondo intero, dopo la trasformazione, sarà soltanto un posto in cui ti è permesso di stare ma del quale non fai più parte, come se le particelle che compongono il tuo sangue e il tuo corpo venissero da un altro luogo che non conosci ma che ti chiama ogni volta che sorge il sole. Nessuno di noi sa che cosa succede quando ci addormentiamo, se la nostra coscienza va da qualche parte, se sognamo, se moriamo e poi torniamo davvero. Quando chiudiamo gli occhi non è come dormire, è abbandonarsi ad un buio profondo senza sapere da cosa sia abitato. Un attimo prima di perdere i sensi ti sembra di vedere qualcosa, ma non vedi mai niente e quando ti svegli, ricominci da capo. Il posto in cui vai quando muori ti rimane incollato addosso e non potrai liberartene mai."
Miguel valutò a lungo quelle parole e se lo tenne stretto addosso, lasciando che ascoltasse il battito frenetico del suo cuore. Quando scollò le labbra per dire qualcosa, Matias era già quasi immobile. "E' sbagliato che nonostante questo, io lo voglia ancora?"
"Sì, ma tanto so che non servirà a niente. Nessuno pensa mai che sarà così male finché non è troppo tardi per tornare indietro."
"Quindi lo farai?"
Matias lo guardò ed era così triste da spezzargli il cuore. "Non mi lasci altra scelta," disse, un attimo prima che i suoi occhi si spegnessero per l'nnesima volta e il giorno se lo portasse via.
Miguel rimase immobile a cullarlo, in attesa che la notte glielo restituisse.
Quella notte non parlarono affatto, Matias non lo avrebbe sopportato.
Gli fece cenno di salire sul letto e lo strinse tra le braccia. Per un po' gli accarezzò le spalle e la schiena, affondò il viso tra le ciocche nere dei suoi capelli e cercò di trattenerne il profumo e la consistenza, cercò di imprimersi nella memoria la trama della sua pelle e la forma del suo corpo e la lucentezza morbida della sua pelle bianchissima, perché sarebbe cambiata. Un altro pallore, un altro odore, la sua luce si sarebbe estinta, sostituita dal freddo eterno del suo cadavere. Gli fece aprire le ali e le osservò a lungo, quindi pretese che restassero aperte intorno ai loro corpi abbracciati quando lo invitò a fare l'amore con lui un'ultima volta prima di morderlo. Miguel fece tutto ciò che lui silenziosamente gli chiedeva, tranne l'unica cosa che Matias avrebbe voluto davvero.
Il morso fu dolce, Matias non versò neanche una goccia di sangue. Gli gettò le braccia al collo, bevendo da lui disperatamente, il corpo eternamente infantile pressato contro quello già adulto dell'angelo che lo tenne stretto finché le forze non gli vennero meno. Il suo cuore cominciò a rallentare e Matias trovò la forza di scostarsi un attimo prima di fermarlo del tutto. Gli occhi di Miguel erano fissi nei suoi, già così vitrei e lontani da cancellare ogni speranza che da quel processo potesse ancora tornare indietro.
Matias si morse un polso e gli lasciò cadere qualche goccia sulle labbra. Per un po' non successe niente, ma lui continuò a tenergli il polso premuto contro la bocca, mentre gli baciava le guance, la fronte e le tempie in cerca di un calore che stava rapidamente svanendo. Poi, lentamente, le labbra di Miguel si chiusero intorno alla ferita sul polso di Matias, come non avevano mai fatto prima di allora. Matias lo lasciò bere più del necessario, lo sfiorò il pensiero di lasciarlo andare avanti finché voleva, finché non avesse avuto più niente da dargli, ma poi si rese conto che non poteva lasciarlo da solo. Gli strappò il polso dalle labbra e allo sguardo sperduto e confuso di Miguel rispose con un abbraccio. Quindi aspettò che morisse.
Il processo fu lento e straziante perché, di qualunque materia fossero fatti gli angeli, essa continuava testarda a tenerlo in vita. Gli organi cedettero ad una quantità insopportabile di tempo l'uno dall'altro, rendendo l'agonia di Miguel una tortura infinita. In lacrime, Matias se lo tenne stretto al petto mentre i polmoni collassavano e il suo corpo si contorceva in cerca d'aria per ore. Rimase immobile tra le coperte, incurante del fatto che fossero intrise di sangue e di tutto ciò che restava di fluido del corpo di Miguel.
Mazzi interi delle sue piume bianche gli rimasero tra le dita mentre gli accarezzava le ali e solo all'alba, quando ormai era così stanco che non riusciva neanche più a sostenere entrambi, il cuore lasciò andare anche quell'ultimo battito. Matias scostò il lenzuolo lurido e adagiò il cadavere di Miguel sul materasso, ricomponendone le membra e cercando di sistemare in maniera dignitosa lo scheletro quasi nudo delle sue ali. Lo osservò finché il sole non lo costrinse a smettere, allora si ranicchiò contro il suo corpo freddo e si addormentò.