langley+shannen

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: Langley, Shannen
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: PG-15
Prompt: Scritta per far guadagnare punti alla squadra dei vampirli Ombrarossa, nel Cow-T di MDC (Missione 2, COW-T).
Note: Aw, Langley e Shannen <3

Riassunto: Langley non si fa vivo da due giorni e, quando Shannen si decide ad andarlo a trovare, lo trova confuso, apatico e stranamente restio a saltargli addosso. E' chiaro che le possibilità sono due: o Langley non sta bene oppure c'è qualcosa di cui Shannen non è esattamente al corrente...
THIS RELATIONSHIP IS LIKE SURGERY
(IT TAKES PATIENCE AND A LOT OF BLOOD)


L'unica cosa veramente in ordine nella stanza di Langley è la scrivania. I libri sono tutti al loro posto, divisi prima per materia, poi per autore e, in fine, nel caso di più volumi, anche per numero. Tutte le sue penne d'oca sono in ottime condizioni e i quaderni impilati ordinatamente in un angolo senza una macchia o una pagina piegata. In un piccolo mobile a scaffali accanto alla scrivania è conservata la sua collezione di ingredienti per il corso di pozioni e unguenti di Lady Bluebell. Ogni bottiglietta è etichettata con colori diversi a seconda della tipologia di contenuto e su ogni etichetta la precisa calligrafia di Langley indica il nome del contenuto e qualsiasi altro dato possa essergli utile, come la data oltre la quale una pozione sarà completamente inefficace o il luogo e il momento della giornata in cui una data erba è stata raccolta.
La scrivania è, in effetti, l'unica prova concreta che ogni tanto – e lontano da occhi indiscreti – Langley trova il tempo di studiare, anche se nessuno lo ha mai effettivamente visto farlo.
A parte questo, il resto della stanza è ben al di sotto degli standard di accettabilità di Shannen. Il letto di Langley non è un letto, ma un nido di lenzuola e coperte che si fa ogni giorno più annodato. Shannen lo ha visto più volte tirarle e stenderle alla meno peggio, senza nemmeno rincalzarle sotto il materasso, e poi sorridergli orgoglioso come se avesse effettivamente rifatto il letto. D'altronde Langley è abituato ad usare lui come coperta – un'altra delle sue fastidiose abitudini – e non si rende conto che le persone normali potrebbero preferire un piumone alle sue appiccicose manifestazioni d'affetto. I suoi vestiti sono tutti ammassati su una delle due poltrone present, e sono così tanti che l'armadio dev'essere vuoto. Del baule in fondo alla stanza, che la scuola offre a tutti gli studenti per conservare le proprie cose, Langley ha fatto un minibar. Lo ha riempito magicamente di ghiaccio e ci tiene in fresco le bibite, il che è in qualche modo sensato se si pensa che nel secondo baule – che non dovrebbe avere e chissà come ha recuperato – ci tiene merendine e patatine. Francamente Shannen è molto deluso da se stesso per non sentirsi sufficientemente disgustato da quello che vede. Il fatto è che negli ultimi sei mesi non ha mai visto questa stanza in nessun altra condizione e, per quanto sia deprecabile, deve essersi abituato.
Quello a cui non è abituato è oltrepassare la soglia senza essere immediatamente assalito. Langley è una persona impaziente e non ha la minima cognizione di cosa siano gli spazi personali altrui. E' convinto che il solo fatto che ti voglia sia sufficiente a dargli il permesso di toccarti. Nella maggior parte dei casi è così – più di metà della scuola gli muore dietro, perciò se lui decidesse di allungare le mani, nessuno di loro si lamenterebbe – ma Shannen non ha firmato nessun contratto in cui gli lasciava libertà assoluta per i mesi a venire quando ha deciso di accettare qualunque cosa ci sia tra loro. Ci tiene a mantenere una certa libertà di movimento e uno spazio – tanto, tantissimo spazio – tra lui e quella piaga, quando può.
Oggi, però, Langley è seduto sul letto e quando Shannen entra nella stanza, si limita a voltare la testa e sorridergli. Per un attimo Shannen non sa cosa sta guardando perché niente di ciò che vede ha il benché minimo senso. Innanzitutto Langley non indossa la divisa, ma un paio di pantaloni che hanno l'aria di aver visto giorni migliori e di passare gran parte della loro esistenza nascosti agli occhi del popolo adorante e una maglietta lavata e rilavata dei Titania Knights, ma cosa ancora più incredibile, ha sul naso un paio di occhiali. Sono neri e molto eleganti, ma sono sempre un paio di occhiali, qualcosa che fino a ieri Shannen credeva fosse impossibile trovare nei paraggi di Langley, a meno che non appartenessero a qualcun altro.
Fa per aprire bocca, ma Langley lo ferma. “Non commentare,” gli dice. “Prendilo come il segno che siamo molto in intimità.”
Shannen lascia la propria borsa dei libri a terra e si avvicina. “E io che pensavo che prendercelo in bocca a vicenda lo fosse già,” commenta, lasciandosi andare sul letto. Il materasso ondeggia e così anche i riccioli di Langley.
"Davvero romantico," Langley annuisce, con un mezzo sorriso.
Ormai semidisteso sul letto, Shannen lo guarda con più attenzione. Non sono solo i vestiti ad essere dimessi, ma anche il suo atteggiamento. E' seduto a gambe incrociate e con la schiena un po' curva, non c'è traccia della sicurezza con la quale di solito si muove. "Che ti è successo? Stai uno schifo," commenta impietoso, anche se non è vero. Langley non sembra in forma smagliante, ma c'è qualcosa di affascinante in questa nuova versione. E' un po' come guardare dietro una maschera che non sapevi nemmeno fosse lì.
Langley mette il broncio. "Grazie! Davvero carino," protesta. "Sei venuto qui solo per riempirmi di complimenti?"
Shannen ride e lo fa sguaitamente. Lo fa perché sa di poterlo fare – Langley si offende molto facilmente, ma è molto difficile che questo lo spinga ad allontanarsi da lui – e perché c'è chiaramente qualcosa di strano in Langley e l'unico modo che ha di gestire questa cosa, qualunque sia, è essere se stesso nel modo più marcato possibile. "No, sono venuto qui perché sono due giorni che non ti vedo," risponde. "Ad un certo punto pensavo anche fossi morto."
"Grazie per aver aspettato due giorni per controllare," borbotta Langley, chiudendo il libro.
"Con il tasso di mortalità di questa scuola non la puoi considerare un'eventualità così sconvolgente," continua Shannen, incapace di trattenere un altro ghigno. "Fa parte della carriera scolastica di un sacco di gente, è come la specialistica in pozioni. Sono in molti a finire morti, non per questo devi rivedere i tuoi piani."
"Che cosa vorresti dire con questo?"
"Che sono venuto quando ho potuto," risponde Shannen e poi ne approfitta per dargli un bacio veloce. Lo fa così di rado, iniziare a baciarlo per primo, che Langley sembra dimenticarsi completamente di qualsiasi altra cosa. Anzi, si sporge in avanti e cerca un secondo bacio che sia un po' più soddisfacente del primo.
Shannen lo sente tendersi e poi esitare, appena prima di farsi indietro. E' così strano vederglielo fare che la cosa lo lascia perplesso. Un paio di settimane fa sarebbero stati già distesi e aggrovigliati, e Langley avrebbe già perso da mezz'ora ogni vergogna – se mai ne avesse avuta – e gli starebbe riversando nelle orecchie tutti quei mugolii che Shannen finge di trovare insopportabili. "Comunque non mi hai risposto," Shannen insiste e lo bacia di nuovo. Normalmente lo lascerebbe stare, ma qualsiasi cosa stia succedendo, non può lasciarsi sfuggire l'occasione di infastidirlo. Anzi, si sente quasi in dovere di ricambiare il favore dopo mesi in cui Langley non lo ha lasciato in pace un minuto. "Ti senti male, per caso?"
Langley sembra pensarci un po' su e poi scuote la testa. "Devo studiare," risponde ed è così chiaro che è la prima cosa che gli è passata per la testa che Shannen ha come un'illuminazione. Forse questa è un'altra delle sue assurde idee per renderlo più partecipe, come se farlo in ogni angolo in cui Langley lo trascina non fosse già essere partecipe abbastanza, ben inteso. Ogni tanto gli vengono le idee più assurde e l'unico modo che Shannen ha per difendersi è quello di andarsene sbattendo la porta e rifiutarsi anche solo di camminare lungo il suo stesso corridoio quando per caso si incontrano tra una lezione e l'altra. Ma oggi è diverso. Oggi Langley non si è presentato con corde e manette, o con giochi dall'aspetto inquietante, né lo ha trascinato ad un appuntamento vergognosamente romantico con troppe candele e troppi petali di rosa. Oggi Langley sembra particolarmente remissivo. Shannen passa la maggior parte del suo tempo a dirgli di voler essere lasciato in pace, ma ogni tanto quello che vuole è non essere continuamente assaltato per poter fare un po' di assalti anche lui, e oggi è abbastanza di buonumore perché si tratti del secondo caso.
"Certo, studiare," annuisce ridendo. "Ma se lo sanno tutti che non studi mai?" Gli sussurra sulle labbra, prima di baciarlo di nuovo. Langley mugola qualcosa, forse una protesta in risposta a quello che gli è appena stato detto, ma le parole si trasformano in un sospiro e poi in un gemito. Shannen lo asseconda quando le mani di Langley si stringono intorno alle sue spalle e lo spingono giù. Si stende e se lo tira addosso quando Langley gli scivola sopra e lo blocca col proprio peso sul materasso. Shannen si aspetta di sentirlo rilassarsi sotto le sue dita, invece tutto il suo corpo è teso e rigido, poco confortevole.
Langley lo bacia a lungo, questo è vero, ma i suoi baci non sono quelli di sempre, sono affamati, sì, ma frettolosi e si muovono molto presto lontano dalle sue labbra, e quando questo succede, Langley sospira e si strappa via da lui con un gesto secco, tornando a sedersi. "Mi sei mancato," dice, guardandosi le mani, e non è una giustificazione per averlo appena steso sul letto e poi abbandonato.
Anche Shannen si siede. "Ti sono mancato?" Chiede scettico, un sopracciglio inarcato. "A guardarti non si direbbe."
"Ma è vero!" Langley protesta indignato. Per farlo alza lo sguardo e poi lo sposta di nuovo, non altrove, solo leggermente più in basso. "Pensavo solo che magari potremmo parlare un po'. Ti lamenti sempre che ti sto sempre addosso."
"Sì, ma questo non significa che voglia parlare."
"Com'è andata la giornata?" Langley insiste. Questa volta lo guarda negli occhi e tenta un sorriso che però esce debole e un po' storto, forzato.
Shannen comincia ad irritarsi, ma la situazione è così completamente assurda che prendere la borsa e andarsene non è la prima cosa che gli viene in mente di fare. Chiunque conosca Langley – e lo conoscono tutti in un raggio di chilometri – sa che questo seduto sul letto non è lui. O per lo meno, c'è qualcosa che davvero non va in lui. Forse tutto quel sesso gli ha rotto qualcosa nel cervello. D'altronde doveva accadere prima o poi, nessuno ha una media del genere senza conseguenze. Ad ogni modo, se Shannen vuole capire come stanno le cose, deve restare. E poi, francamente, non ha nessun altro posto dove andare al momento. "Come vuoi che sia andata? Sei ore di lezione, una di pranzo," elenca distrattamente."Ho dato fuoco ai capelli di una del secondo anno."
"Chi?" La voce di Langley suona un po' distante, ma d'altronde anche il suo sguardo è scivolato di nuovo più in basso. Shannen cerca i suoi occhi, li aggancia per qualche istante, ma poi Langley si distrae di nuovo.
"Non lo so come si chiama. E' una spilungona bionda con la faccia da topo," risponde, agitando la mano.
"Interessante," annuisce Langley.
"E poi ho trovato un iguana nel bosco, l'ho innaffiata con un po' d'acqua e in due giorni è diventata un drago che ho cavalcato fino alla fine del mondo e ritorno," continua Shannen.
Langley annuisce di nuovo. "Certo, dev'essere stato stupendo."
"Ho anche sconfitto due lupi mannari che stavano per mangiarsi una donna, la quale per ringraziarmi mi ha donato il suo primogenito maschio," insiste Shannen, cercando di guardarlo in faccia, ma anche quando ci riesce, Langley ha lo sguardo perso e la testa chiaramente da un'altra parte. "Ci sposiamo domani e tu non sei invitato."
"Capisco."
Shannen sbuffa irritato. "D'accordo, adesso basta," esclama a voce così alta che, finalmente, Langley sembra riscuotersi. E dall'occhiata che gli lancia sembra quasi che sia comparso all'improvviso nella stanza e non abbia idea del perché Shannen si trovi lì. "Si può sapere che cos'hai? Sei sotto anestetici per caso? Ti droghi?"
Langley sospira. "No, sono solo un po' distratto," mormora.
"Beh, se ti annoio puoi anche dirmelo, una soluzione la troviamo," replica Shannen. "Non sei granché divertente nemmeno tu."
Langley sospira di nuovo, lentamente. Troppo lentamente. "Non è questo..."
"Qualsiasi cosa sia, potresti fare lo sforzo di fingerti interessato a quel che ti dico dopo che mi hai chiesto tu di dirti qualcosa," protesta Shannen. "Sai cosa? Non so nemmeno perché sono venuto qui, per una volta che non mi rompevi i coglioni."
Shannen si alza e si avvia a grandi passi verso la porta, afferra al volo la propria borsa ma si ferma quando la voce di Langley lo colpisce alle spalle come una stilettata. "E' per via del sangue," dice con voce stanca.
Shannen si gira molto lentamente, facendo perno sul tallone di un piede. "Quale sangue?" Chiede sospettoso.
Langley batte sul materasso con la mano. "Torna qui, per favore."
Shannen non si muove, ma anzi incrocia le braccia al petto. "Quale sangue?" Chiede ancora.
"Lo sai che sono in parte vampiro," dice Langley.
"Sì, ma è una piccola parte e pensavo che il sangue non ti servisse per vivere," commenta Shannen. A scuola sono in pochi a saperlo, non è un'informazione di dominio pubblico, ma lui non è rimasto troppo sconvolto quando Langley glielo ha detto – un sacco di gente non è del tutto umana da quelle parti – l'unica cosa che si è chiesto e come avesse fatto a nascondere i canini a quasi tutti quelli con cui è stato perché non sono proprio enormi, ma non sono nemmeno denti normali.
"Non mi serve per vivere, infatti," conferma Langley. "Ma ogni tanto devo berlo comunque. E' il mio corpo che me lo chiede, come quando hai un calo di zuccheri e hai bisogno di un cioccolatino. Se non bevo, non muoio né impazzisco e divento una bestia come i vampiri completi, ma il sangue diventa un pensiero fisso, una voce in fondo alla testa che non riesco a zittire. E magari non aggredisco nessuno, ma non riesco a concentrarmi. In genere faccio in modo che non succeda mai. Ne bevo un po' da qualcuno ad intervalli regolari, non è niente di pericoloso per nessuno e io non ne sento più il bisogno per settimane."
Shannen lo ascolta attentamente e annuisce. "E allora che succede? Perché stai così?"
"Perché non bevo da settimane," sospira Langley.
Shannen si acciglia. "E perché?"
Langley si stringe nelle spalle, imbarazzato. "Mordere qualcuno è un'azione molto intima, soprattutto per qualcuno come me che non ha bisogno di nutrirsi di sangue," prova a spiegare, la sua voce però si abbassa fino a diventare un sussurro quando aggiunge, "Quando l'ho fatto con te non ti è piaciuto, però, e non mi va di trovare qualcun altro, non... non mi piace, quando sto con qualcuno."
Shannen ricorda molto bene quando è successo, ma gli capita così spesso di dover respingere Langley – per davvero, per scherzo o per dispetto – che non ha dato molto peso alla cosa. Nemmeno Langley lo aveva fatto, o almeno così gli era sembrato. Era una di quelle sere in cui erano tornati in camera particolarmente rilassati, ossia vagamente ubriachi, dopo una libera uscita. Era una di quelle sere in cui perfino spogliarsi era un'impresa che richiedeva un grande sforzo di concentrazione. Shannen ricorda di avergli tolto la maglietta a fatica, ricorda Langley armeggiare con i suoi pantaloni e poi brontolare irritato perché non venivano via. Ricorda un sacco di baci confusi e storti – quelli di cui non parlano perché sono la vergogna di una tecnica altrimenti perfetta che entrambi si fregiano di avere – e mani infilate veramente dappertutto. Quando lo fanno, non è mai come si sente raccontare. Prima di funzionare alla perfezione è sempre una gran confusione di braccia che non sanno dove mettere o di denti che si scontrano e un sacco di risate, ed entrambi che si arrabbiano quando vogliono toccarsi e non ci riescono subito. Ricorda che è stato molto intenso e che ad un certo punto i baci di Langley hanno cominciato a fare male perché i suoi canini gli graffiavano il collo o la lingua. Langley ha leccato le prime gocce di sangue e poi lo ha morso. Shannen non se lo aspettava e lo ha spinto via. Non è stato un gesto violento, quanto sorpreso, pensava solo che Langley non si rendesse conto di quello che faceva. Langley ha chiesto scusa, hanno ripreso a baciarsi, è finita lì. Non ci hanno più nemmeno pensato. Beh, Shannen non lo ha fatto, evidentemente Langley sì.
"Sei ridicolo," gli dice.
Langley non sa cosa si aspettava, ma quelle parole gli fanno male lo stesso. "Non posso farci niente," mormora avvilito. "Non ho chiesto io di essere in parte vampiro. E comunque tu lo sapevi che sono così, a te l'ho detto subito."
Shannen stavolta si avvicina, scuotendo la testa. "Anzi no, non sei ridicolo, sei un coglione," si corregge, sedendosi sul letto.
"Sì, certo, continua pure," momora Langley. "Se vuoi mi stendo a terra, così puoi prendermi meglio a calci, che ne dici?"
Shannen sospira come se avesse di fronte qualcuno che non è mentalmente equipaggiato per fare un discorso razionale, e forse è così. "Fammi capire, dal momento che stai con me, non vuoi più bere da altre persone perché per te è una questione legata anche al sesso, dico bene?" Gli chiede.
Langley annuisce, arrossendo un po'.
"E, per tua stessa ammissione, questa cosa che abbiamo io e te dovrebbe essere duratura, dico bene?"
"Certo! Te l'ho detto che sono perfettamente capace di avere delle relazioni serie quando voglio. E con te voglio," precisa Langley.
Shannen ghigna. "E allora come pensavi di andare avanti con la tua vita stando con me e non bevendo mai più? No, perché se la tua idea è quella di restare inebetito per sempre, te lo dico, molliamoci subito perché già averti come ragazzo è una bella piaga, averti pure ebete, no grazie, non ho firmato per questo."
Langley gli tira un pugno contro una spalla. "Stronzo."
"Idiota," replica Shannen ridendo, poi sospira. "No, davvero, come credevi di fare?"
"Non lo so, non ci ho pensato molto, va bene?" Sbuffa Langley. "So solo che non voglio bere dal primo che passa. Troverò una soluzione."
Shannen inarca un sopracciglio. "Certo! E chissà quanto tempo ci metterai! Nel frattempo io dovrei tenerti con quello sguardo perso che è la rappresentazione grafica del vuoto cosmico che hai nel cervello," commenta, inclinando la testa e offrendogli il collo. "Bevi, avanti."
"Cosa? No!" Langley scuote la testa. "Se non vuoi, non vuoi. Non ne ho bisogno."
"Non ho mai detto che non voglio."
"L'ultima volta mi hai spinto via," precisa Langley. "E hai tutto il diritto, va bene, non è un problema. Voglio dire, non è obbligatorio che ti piaccia essere morso. Anzi, in genere non piace quasi a nessuno, nella teoria, nella pratica poi è un'altra storia, ma mi rendo conto che uno non deve per forza provare solo perché qualcuno gli dice che sembra spaventoso, ma poi, invece, è una bella sensazione. Questa storia del se non provi, non puoi saperlo è assolutamente sopravvalutata e—"
Shannen lo bacia, che è l'unico modo ufficialmente riconosciuto per farlo tacere, e non si trattiene, decidendo di limonarlo, anche perché se un bacio lo zittisce, forse tre o quattro lo renderanno muto abbastanza a lungo senza dover rendere questa cosa il delirio che già si avvia ad essere. Quando finalmente ritiene di avergli infilato in gola abbastanza lingua, Shannen si fa indietro e lo guarda con l'aria scocciata che gli è propria per natura. "Stai zitto e bevi," gli ripete.
Langley annuisce e gli scivola addosso, sedendosi su di lui. Gli dà un altro bacio, più dolce, prima di lasciar scivolare le labbra più in basso e di chiuderle sul suo collo. Il morso non fa così male, è poco più forte di una puntura, ma anche se ne avesse fatto, sarebbe stato completamente spazzato via dal brivido che gli percorre la schiena quando Langley comincia a bere. Tutto il suo corpo si tende e si irrigidisce, le braccia di Langley si serrano intorno a lui come se fosse una preda, ma non fa paura perché il suo profumo è più intenso ed è così vicino che sente il battito accellerato del suo cuore contro il proprio petto. Non sente il sangue che scorre, ma lo immagina sulla lingua di Langley, non può vedere il suo viso, ma lo immagina dai suo mugolii di piacere. E' molto più intimo di quanto immaginasse, ma molto più piacevole di quello che potesse sperare. Getta la testa indietro, offrendo completamente il collo a Langley, il cui morso si allenta un po' mentre il suo intero corpo sembra rilassarsi. Shannen si rende conto che non è più bisogno neanche per lui, che è solo un piacere ormai, ma non lo scosta. Lo abbraccia invece, passa le dita tra i suoi capelli e aspetta, cullato nel calore che si è creato tra loro, che Langley rallenti, che schiuda le labbra, che lecchi piano la minuscola ferita creata dai suoi denti per aiutarla a chiudersi.
Quando Langley solleva la testa, le sue labbra sono più rosse e il suo sguardo è un po' sonnolento, ma presente. Guarda Shannen, e lo vede. "Se ti ritrovo in queste condizioni, ti stacco la testa," mormora Shannen, prima di baciarlo. Si aspetta di sentire il sapore del sangue, ma non ce n'è traccia. Langley sa di Langley, come sempre. "Devi venire da me."
Langley sorride e lo bacia di nuovo, mentre con una mano tocca molto più in basso e sorride. "Hai scoperto che c'è un lato positivo, eh?"
Shannen ringhia, prima di ribaltarlo sul letto. "Taci."
Personaggi: Langley, Shannen
Genere: Introspettivo
Avvisi: -
Rating: PG-13
Prompt: Scritta per far guadagnare punti alla squadra dei vampirli Ombrarossa, nel Cow-T di MDC (Missione 1, Sacrificio).
Note: Aw, Langley <3

Riassunto: Langley dovrebbe passare le sue giornate a studiare, come lo studente che è, ma sarebbe troppo noioso, perciò trascorre le sue giornate facendo atti di vandalismo, seppur artistici. E ne vale la pena se questo gli permette di intaccare la dura corazza di pietra del gelido Shannen.
ART FOR ART'S SAKE


Langley era molto fiero di sé.
Non che gli capitasse di rado – aveva quel tipo di carattere, come diceva sempre suo padre con orgoglio, che gli dava la capacità di sentirsi sicuro di stare facendo la cosa giusta nonostante il resto del mondo potesse incautamente pensare il contrario o le conseguenze potessero dimostrarlo – ma stavolta si era decisamente superato. Non si era mai neanche considerato un artista – le sue capacità, e questo lo sapevano tutti, riguardavano ben altri ambiti – ma quella mattina si era svegliato evidentemente pervaso dal sacro fuoco dell'arte e vi aveva dato sfogo in maniera squisita. Per quante critiche gli si potessero fare – e immaginava che ce ne fossero almeno un paio che sarebbero arrivate da lì a qualche ora – di certo non si poteva dire che la sua opera non avesse quel qualcosa in più che la distingueva da un tentativo qualunque di espressione artistica, sebbene amatoriale. Era stato un gesto nato di getto, ma non per questo affrettato. Fare le cose a metà o farle male non era da lui. Anzi, c'era una buona dose di pignoleria in tutte le cose che faceva, il che forse era anche quello che lo rendeva tanto bravo in materie come pozioni e unguenti. Le quantità degli ingredienti erano numeri ben precisi, il quanto basta non era contemplato quando un grammo in più o in meno trasformava una pozione purificante in un veleno mortale. E Langley aveva, coscientemente o inconsciamente, esteso quella stessa filosofia a tutto il resto della sua vita. Erano i dettagli ben realizzati a distinguere un semplice atto di vandalismo, in un'azione geniale.
Si sedette sul primo gradino della scalinata all'entrata che portava ai piani superiori mentre i primi studenti che attraversavano il corridoio cominciavano a notare qualcosa di strano sugli stemmi delle quattro case appesi al muro. Si era già formato un piccolo capannello di ragazzini del primo anno che osservavano a bocca aperta quello che, con ogni probabilità, interpretavano come un evento sconvolgente, qualcosa che avrebbe sicuramente portato atroci conseguenze a qualcuno. Un dramma, tuttavia, che attendevano con ansia, perché avrebbe probabilmente scosso la monotonia della giornata. Era sempre così quando eri al primo anno, ogni cosa appena leggermente fuori dalle regole ti faceva pensare che qualcuno sarebbe stato punito severamente, consegnato nelle mani di genitori furibondi oppure espulso. Col tempo imparavi che, al netto dei veri e propri incidenti, tutto il resto degli eventi che, in un modo o nell'altro, interrompevano il normale corso delle lezioni, erano sempre azioni premeditate e quasi mai nessuno veniva espulso per questo. Langley era quasi certo che la coppa delle case fosse stata ideata con l'apposito obbiettivo di non dover mai buttare fuori nessuno dalla scuola. La politica dell'Accademia tendeva più a spronare il singolo studente a comportarsi bene per non far sfigurare il resto della sua squadra. Più ti comportavi bene, più punti guadagnavi. Era certamente più motivante sapere di poter guadagnare cinquanta o cento punti ed essere osannato dalla tua squadra che non perderne anche solo venti ed essere esposto al pubblico ludibrio dei tuoi coetanei. Ecco perché due anni prima, quando un Lunacciaio del secondo anno aveva pensato che sarebbe stato divertente aprire le gabbie dei draghi da allenamento, non era stato espulso, ma aveva perso tutti i punti guadagnati dalla sua squadra fino a quel momento (e questo nonostante uno degli esemplari più grossi si fosse quasi mangiato la preside). Dopo aver superato a stento il linciaggio dei propri compagni di casa, non si era più azzardato nemmeno ad arrivare in ritardo a lezione. Nelle intenzioni, dunque, il ragionamento funzionava. E poi c'erano gli Ombrarossa, che riuscivano perfettamente a sorvolare sulla perdita di punti se la causa era qualcosa di veramente grandioso, il che annullava completamente tutto il ragionamento di cui sopra. Non è che non volessero vincere – anzi, era imperativo farlo – ma erano più propensi a lavorare il doppio per riguadagnare i punti persi che a non perderli per evitare di infrangere le regole. Era tutta questione di come ti approcciavi alla faccenda delle regole, pensava Langley. Per gli Ombrarossa, ma soprattutto per lui, c'era da dire, non erano tanto regole quanto indicazioni. E lui ne teneva conto quasi quanto le previsioni del tempo.
Nel frattempo, le persone di fronte agli stemmi erano diventate almeno una cinquantina, tutte ammassate contro la parete. Il mormorio era quasi assordante, ma non abbastanza da coprire un rumore di passi che conosceva benissimo. Non si voltò, aspettò che si sedesse sul suo stesso gradino, anche se a debita distanza, come sempre. “Che cos'hai combinato stavolta?” Chiese Shannen.
“Chi ti ha detto che sono stato io?” Commentò Langley, voltandosi verso di lui. Di solito non aveva problemi a parlare con chiunque. La vergogna, come gli diceva sempre Nox, lui non sapeva nemmeno dove stava di casa. Ma con Shannen era diverso. C'era qualcosa in lui che gli bloccava gli ingranaggi del cervello. Per un certo periodo Langley aveva anche pensato che Shannen gli avesse fatto qualche sortilegio, ma con suo grande disappunto aveva scoperto che era semplicemente la sua persona, la sua presenza. La cosa lo avrebbe fatto molto arrabbiare se Shannen non fosse stato così illegalmente bello da eclissare ogni altro desiderio in Langley se non quello di portarselo a letto.
“Hai il solito ghigno soddisfatto sulla faccia,” rispose Shannen. “Quindi, o hai fatto qualcosa o stai per fare qualcosa. O ti sei fatto qualcuno. Ma vista tutta quella gente, direi che stai ammirando quello che consideri l'ultimo parto della tua mente geniale.”
Langley avrebbe dovuto sentirsi offeso dal neanche tanto velato tono sarcastico delle parole dell'altro, ma l'unica cosa che riuscì a notare fu che Shannen doveva conoscerlo proprio bene per sapere così tanto di lui. “Ho pensato che il motto della mia casa avesse bisogno di un rinnovamento.”
“Hai toccato gli stendardi?”
Era una nota di ammirazione quella che Langley sentiva nella voce del suo insoddisfatto sogno erotico degli ultimi tre anni? “Ho toccato gli stendardi,” confermò.
Shannen lo guardò corrucciato per almeno cinque lunghissimi secondi, gli occhi azzurri come ghiaccio e altrettanto duri. “Tu non sei mica normale,” esclamò alla fine, con quello che sembrava disprezzo. Sì, decisamente disprezzo. “Devi avere qualcosa che non ti funziona nel cervello.”
Su due piedi, Langley non seppe cosa dire perché, onestamente, si aspettava un complimento e quella frase era stata una doccia fredda. Così, perse la possibilità di dire qualsiasi cosa perché Shannen si alzò e se ne andò senza salutarlo, sparendo dopo qualche passo nel mare di studenti che ormai si affollavano di fronte agli stendardi, nonostante la preside Flowerbloom continuasse a gridare che le facessero spazio, così da poter vedere anche lei. Shannen, invece, si fece strada a gomitate, incurante delle costole che andava ad ammaccare e dei nasi che andava a rompere, così arrivò sotto gli stendardi prima ancora che la donna, senza voce e tristemente inascoltata, potesse anche solo provare ad affrontare la massa mormorante dei suoi studenti.
A prima vista i quattro stendardi erano tutti uguali – fatta eccezione per i simboli e i motti – e tutti esattamente com'erano sempre stati, ma ad una seconda occhiata lo stendardo degli Ombrarossa, sormontato da un drago, recava un motto di due parole e non una.
Sotto alla scritta sacrificio era stato aggiunto umano, con le stesse lettere e nello stesso colore, tanto che non sembrava affatto un aggiunta, ma le legittime parole ufficiali della casa.
Shannen non poté fare a meno di sorridere. “Che deficiente,” mormorò, pur ammettendo che bisognava dargli atto di una certa bravura.
Qualche metro più indietro, oltre la quasi totalità del corpo studenti e ancora seduto sul primo scalino della gradinata, Langley sorrise nello stesso momento.