Personaggi: Fler, Chakuza
Genere: Commedia
Avvisi: Slash, Language
Rating: PG 15
Prompt: Storia scritta per la maritombola di Mari di Challenge (prompt nr.6: "Portafoglio").
Note: - Come ogni altra storia prima di questa, anche Walletgate ha passato momenti di paura e panico ed ha anche rischiato di essere cestinata in toto per essere sostituita da una trama completamente diversa, ma il culopeso ha vinto e quindi è rimasta fedele all'idea originale che lascia un po' il tempo che trova ma filla la cartelletta, quindi è cosa buona e giusta. Vogliatele un po' di bene, se potete.

Riassunto: Il portafoglio di Chakuza non è veramente un portafoglio.
WALLETGATE


Questa settimana Chakuza è uscito sei volte senza dirmi dove andava.
Si è alzato, si è messo il capotto, mi ha baciato e poi è sparito dalla circolazione senza un'indicazione, salvo quella di chiamare se avevo bisogno – cosa del tutto inutile visto che il suo cellulare risulta spento o irraggiungibile a qualunque ora tu lo chiami.
Ora, io non sono un tipo geloso. Non sono uno di quelli che crede di possedere una persona quando ci sta insieme e, tra l'altro, col fatto che io e Chakuza non è che ci siamo mai messi lì seduti ad un tavolino a decidere se quello che siamo è una coppia o meno, non avrei nemmeno il diritto di essere geloso, se lo fossi. Ma non lo sono.
Il punto è che quando alla fine, dopo che lui si è messo il cappotto, mi ha baciato ed è uscito, io finalmente mi sveglio e trovo la forza di strisciare fuori dal letto, è un po' disturbate ritrovarmi in casa sua senza di lui e non sapere quando tornerà e se lo farà mai, per altro, oppure se devo aspettarmi che un agente immobiliare faccia irruzione in questo salotto disastrato e spieghi ad una giovane coppietta di sposini che, una volta ristrutturato, questo sarà un delizioso bilocale con cucina abitabile e che, volendo, la sala è abbastanza grande per dividerla a metà e farci una stanza per i bambini.
A parte che per ristrutturare questo appartamento in modo che diventi anche solo a malapena vivibile ci vorrebbero tanti di quei soldi ma, soprattutto, tanto di quel tempo che i due amabili piccioncini ci verrebbero ad abitare in età pensionabile, io non voglio essere qui mentre questo succede. Dovrebbe esserci lui a spiegare ai compratori perché dovrebbero tirare fuori del denaro per questa topaia, ma lui non c'è.
Lui è Dio solo sa dove a fare Dio solo sa cosa, in un posto che non è lo studio di registrazione, casa di sua madre, casa di Bushido o la casa di chiunque altro io conosca. Quando esce, non va mai in un posto di cui io possiedo il numero o anche solo una vaga indicazione, quindi ne devo supporre che non vuole essere rintracciato e questo, naturalmente, mi scazza e modifica totalmente la mia politica sulla gelosia e sul controllo altrui, perché io non sono geloso di Chakuza, ma se c'è una donna o un uomo in questa città che gli mette le mani addosso oltre a me, io lo ammazzo. Non potrebbe essere più semplice di così.
Non è una questione di gelosia, capite?, è solo che mi stanno antipatici gli agenti immobiliari, e non sopporto che mi si lasci solo a discutere con loro, anche se sono immaginari. Tutto qui.
La prima cosa che ho fatto è stata interrogare gli altri ragazzi, volevo capire se loro sapessero qualcosa di dove andava e cosa faceva Chakuza quando lasciava questa casa, ma naturalmente nessuno ha aperto bocca come mi aspettavo. Il problema è che io posso anche aver lasciato il nemico da mesi ed essere tornato con Bushido, ma per tutti quanti rimango comunque un esterno a cui è momentaneamente permesso di soggiornare da queste parti, così vengo sempre tagliato fuori da tutte le questioni ed è ovvio che, se Chakuza ha bisogno di essere coperto, loro lo fanno subito.
Così, visto che la cosa va avanti ormai da giorni e che da parte loro non posso aspettarmi nessun aiuto concreto, mi vedo costretto a prendere misure drastiche nei confronti di quest'uomo pelato con il quale, bene o male, mi ritrovo a dividere il letto più spesso di quanto si potrebbe pensare, non conoscendolo.
Quando vuoi scoprire qualcosa di un uomo e tutto il resto ha fallito, l'unica cosa che ti resta da fare è guardare nel suo portafoglio. E' incredibile la quantità di cose che puoi trovarci dentro.
Da piccolo, quando ancora mia madre era abbastanza giovane da uscire ancora con qualche uomo e magari ci usciva abbastanza a lungo da portarlo a casa a conoscermi, io facevo sempre in modo di mettere le mani nel suo portafoglio perché ero convinto che, se si trattava di un uomo che per lei non andava bene, di certo l'avrei capito guardandoci dentro. Alle volte funzionava.
Così mi tengo pronto all'impresa e, per quando Chakuza finalmente si degna di rientrare – che ormai è ora di cena – io ho già un piano. Immagino che sarà stanco, visto che è stato fuori tutto quanto il giorno, e quindi vorrà lavarsi. Aspetterò che s'infili in doccia e poi scivolerò silenziosamente in bagno per recuperare il portafoglio dalla tasca posteriore dei suoi jeans. Lui non si accorgerà nemmeno che sono lì perché, generalmente, una volta che ha aperto il rubinetto, si mette a cantare e non sente più nulla. Io glielo dico sempre che finirà per farsi ammazzare nudo con una saponetta in mano mentre canta a squarciagola Alejandro di Lady Gaga, e a quel punto nessuno saprà dire se è più imbarazzante che sia morto col pisello di fuori o che il suo assassino abbia scoperto i suoi veri gusti musicali.
Chakuza però è famoso per non fare mai niente di quello che ci si aspetta da lui, il che non significa che è un uomo capace di sorprenderti in maniera positiva, ma solo che si comporta sempre in modi randomici che esulano dalla comprensione tua e, in generale, dell'intero genere umano di cui lui non fa parte.
Così, un uomo che negli ultimi sei mesi è rientrato a casa e, qualunque ora fosse, ovunque fosse andato, per quanto fosse stanco, affranto e scazzato si faceva la doccia professando di averne bisogno prima di dedicarsi a qualunque altra attività, fosse anche cambiare le pile al telecomando del televisore, ecco che oggi ne fa a meno e con un sorriso amorevole dichiara: “E' tardi, preparo la cena, che dici?”
“Perfetto, sono affamato,” sorrido, raggiungendolo in cucina, dove si è già legato il grembiule in vita, guardandosi intorno per decidere che cosa mettere insieme in dieci minuti.
“Potrei saltare un po' di verdure o condire un po' di insalata. Se hai pazienza dieci minuti in più posso fare la pasta.”
“Oppure potresti farti limonare un po,” dico, tirandomelo addosso. “Come aperitivo, magari.”
Lui non mi delude e obbedisce subito all'invito implicito di allungare le mani. Lo sento che mi accarezza la schiena mentre ci baciamo e sorrido contro le sue labbra. Su questo, Chakuza, non manca mai di essere coerente con se stesso e immagino che anche questa sia una qualità, a modo suo. C'è chi è sempre disponibile per una birra, e lui lo è sempre per un po' di palpeggiamenti. Ad ognuno il suo.
Comunque, prima che il suo cervello riassesti le priorità e abbandoni l'idea di cucinare per dedicarsi a cose ancora più gratificanti, mi scosto leggermente. “Adesso però cucina,” scherzo. “Non credere di cavartela con un po' di lingua.”
“Tu sei uno schiavista,” protesta lui debolmente.
“La cucina è la tua punizione per il fatto che mi costringi a sopportarti, Chakuza,” lo liquido con un gesto secco della mano, mentre torno in salotto. “Quindi non ti lamentare.”
Lui borbotta, ma si avvicina comunque ai fornelli.
Io sorrido e stringo il suo portafoglio.

*


A rubare i portafogli ho imparato che avevo appena sei anni, ed ero già in ritardo rispetto alla media degli altri ragazzini con cui passavo il tempo all'epoca. Ce n'erano un paio, giù in fondo alla strada, che lo facevano già da qualche anno e ne avevano uno meno di me. Io avevo visto come facevano loro e avevo cominciato a farlo anch'io, soprattutto nei tunnel della metropolitana, dov'è più facile che la gente non si accorga di un bambinetto alto un metro e venti che le infila le mani nella tasca dei pantaloni. Nel giro di un paio d'anni ero diventato un mago e avevo più o meno tutti i soldi che mi servivano per comprarmi le cose che volevo, anche se ogni tanto continuavo a chiedergli a mia madre perché non si insospettisse.
Quando sono diventato più grande e più grosso, e mi era più difficile non farmi notare, ho cominciato a farmi più furbo e veloce, mi bastava un attimo di distrazione per fregare borselli alla gente anche dentro alle borse. Ero così bravo che non mi hanno mai preso; almeno non con la refurtiva in tasca.
Ho continuato a rubare portafogli fino a sedici anni, quando è arrivato Bushido e mi ha tolto il vizio a suon di sberle. Lui ha sempre sostenuto che stare per strada non significa vivere senza regole, che un vero delinquente ha una dignità e non infila le mani nelle cose non sue.
Per Bushido la strada non è un posto merdoso in cui crescere, dove sopravvivi solo se hai fortuna e segui la legge del più forte. Lui, della strada, è innamorato. Quando è stato abbastanza grande per capire in che razza di schifo lo avesse messo al mondo sua madre, invece di cercare di scappare, lui ha cercato di diventarne padrone, e c'è anche riuscito in un certo senso. Vede il ghetto come un mondo a parte con un codice d'onore che regola gli uomini dignitosi, e per lui i ladri non lo sono. I ladri, dice, non giocano alla pari con le loro vittime perché quelle non sanno di venire derubate. Per questo è sempre stato nel giro della droga. Dice che quando la gente viene a chiederti roba, lo sa che sta comprando merda, non la stai affatto fregando. Certo è più facile pensarla così quando la vendi a chi viene a prendersela in Mercedes, e non la metti a tradimento nel bicchiere delle ragazze in discoteca per poi fartene chiedere altra la volta dopo, ma immagino che a lui queste cose non capitassero mai perché lavorava per Arafat, e quello rifornisce i piani alti, mica la merda dei bassifondi che quando si sveglia la mattina a malapena ricorda il proprio nome.
Bushido ha una serie di valori completamente sballati, ma ci crede con una tale intensità che alla fine gli dai ragione, perché è più bello credere a quello che vede lui invece che alla realtà.
Una piccola parte di me, comunque, quella che ancora lo prende per il culo, continuerà per sempre a credere che se la prese per la storia dei furti soprattutto perché il portafoglio l'avevo rubato anche a lui quella sera; non per prendergli i soldi, naturalmente, ma per fargli vedere quanto ero bravo. E' per questo che mi ha preso a ceffoni.
Comunque mi sto perdendo nei ricordi, la nostalgia dei bei tempi passati a scappare correndo dalla polizia mi fa quasi venire il magone mentre mi rintano in camera di Chakuza con una scusa qualsiasi – che lui comunque non può sentire perché sta usando il frullatore ad immersione – e mi accingo a frugare nel portafoglio appena conquistato con quella che è stato, se posso permettermi, un lavoro da maestro.
Il portafoglio di Chakuza non è veramente un portafoglio. Ce l'ha da così tanto tempo che ormai ha perso la sua forma originaria e adesso è curvato a banana, per via del fatto che lo tiene nella tasca posteriore dei pantaloni e non si prende il disturbo di toglierlo di lì prima di sedersi. Forse una volta era fatto di cuoio, adesso non saprei dire, la superficie ormai lisa, piena di graffi e a chiazze verdognole parla di avventure in luoghi inenarrabili il cui solo pensiero sarebbe in grado di far impazzire la mente di un uomo. Credo che questo oggetto, che ora giace inerme fra le mie mani, stia sperando in una morte misericordiosa e io vorrei dargliela, sono mesi che ci tento utilizzando ogni festa disponibile come scusa per avanzare l'ipotesi di regalargli un nuovo portafoglio, ma il nano non è d'accordo, si lamenta subito, dice che ci è affezionato e poi ormai si è abituato a questo e quindi farebbe una gran fatica ad usarne uno diverso, sostiene che sicuramente non ci sarà mai nel mondo un altro portafogli così bello e capiente e comodo con tutti quei begli scomparti per metterci le mille inutili tessere che possiede, più l'unica carta di credito che la banca gli ha concesso, credo, per pietà e misericordia. Immagino che dovrò prima disfarmi di questo se voglio davvero regalargliene uno degno di questo nome, ma al momento poco mi importa perché ho altre urgenze.
Apro questo residuato bellico e in parte mi rimane in mano. Due grossi pezzi di cuoio si staccano e finiscono sul letto, a guardarmi con aria disperata e colpevole. Come pensavo, dentro non c'è nemmeno un euro. Chakuza non tiene i soldi nel portafoglio, ma li accartoccia in quelle sue mani tozze e grosse e se li infila in tasca, un po' come capita, esattamente come se avesse sei anni. Alle volte andiamo al bar a pagare, lui infila una mano nella tasca del giubbotto ed estrae questa palla di pezzi da cinque euro, monetine, caramelle e lanugine che poi rovescia sul bancone sotto gli occhi inorriditi del barista. E quelle sono le volte in cui va bene, perché Chakuza in tasca può avere di tutto. L'ultima volta che siamo andati al ristorante, mentre cercava i cinque euro che mancavano al conto, ha messo sul tavolo il telecomando del televisore, che avevamo perso il giorno prima e non riuscivamo a trovarlo da nessuna parte, per dire.
Sfilo le sue tessere e le guardo tutte, ma a parte una nuova che gli dà diritto al 15% di sconto nel reparto giardino del negozio del bricolage – che immagino sfrutterà per curare la sua piantina di basilico sul lavandino in cucina, visto che non ha nemmeno il terrazzo – non c'è niente di nuovo.
Le cose interessanti sono nella tasca laterale. Ci sono quattro scontrini dall'ultima spesa al supermercato, e due della lavanderia ma, soprattutto, ce n'è uno di un ristorante che non ho mai sentito nominare avvolto intorno ad un biglietto da visita, intestato alla signorina Hilda Braun, che ha la venere del Botticelli con i lunghi capelli al vento disegnata da una parte e un numero di telefono scarabocchiato dalla grafia rotonda e inammissibile di Chakuza.
Hilda non ha un lavoro, o almeno non uno che si preoccupa di indicare sui suoi biglietti da visita, il che la dice lunga su come si guadagni da vivere. A questo punto mi sembra chiaro che se io non sono andato a mangiare la pizza “Da Nino”, dev'esserci andata lei. Chakuza, ti ammazzerò con una lentezza tale, che tra un mese a quest'ora non avrai ancora finito di agonizzare.
“Che stai facendo?” La voce di Peter mi coglie di sorpresa, quindi anche se non è accusatoria, io lancio tutto per aria e quando mi giro una pioggia di scontrini, tessere e biglietti da visita scende dall'alto su di me come neve.
“Niente,” dico.
“Ma è il mio portafoglio?” Chiede, tastandosi il sedere. “Sì che lo è. Cosa ci fai tu col mio portafoglio?”
Lo osservo mentre si china a raccogliere tutto quello che mi è piovuto addosso e io sfrutto questo tempo per riprendermi e rendermi conto che non sembra minimamente preoccupato dal fatto che io ci stessi frugando dentro e potessi scoprire il suo tradimento. “Chi è Hilda?”
Lui si raddrizza e sbianca. Si volta a guardarmi serissimo. “Quindi ci stavi davvero guardando dentro.”
“Chi è Hilda?” Ripeto.
“Tu dove lo hai preso il mio portafoglio?” Chiede lui di rimando. Poi ci pensa e sgrana gli occhi, riesco quasi a vederci nelle sue iridi mentre limoniamo e io gli infilo la mano in tasca. “Me lo hai rubato? Fler, mi hai rubato il portafoglio prima in cucina? Ma sei scemo?”
Io raccolgo il bigliettino di Hilda prima che lo faccia lui. “A quanto pare ho fatto bene,” gli dico. Ritengo che la mia parziale colpevolezza in questa faccenda sia assolutamente trascurabile di fronte alla sua gravissima mancanza. “Altrimenti non avrei mai scoperto di Hilda.”
“Allora potevi fare a meno di fregarmi il portafoglio, visto che non c'è niente da scoprire su Hilda.”
“Ah no?” Gli mostro pure la ricevuta del ristorante. “E questa allora?”
Lui la prende, la osserva bene e sospira. “E' la ricevuta di un ristorante.”
“Allora lo ammetti!”
“Di essere stato a mangiare fuori? Sì, Fler. Sono stato a pranzo da Nino, la settimana scorsa.
“Con lei!” Esclamo. “Certo che sei proprio stronzo, non tenti nemmeno di negarlo!”
Chakuza finisce di ricostruire quel che resta del suo portafoglio e se lo rimette in tasca. “Non è assolutamente come pensi.”
“Certo,” dico ironico. “E' solo una tua buona amica, immagino.”
“Anche, sì. Ma ti assicuro che qualunque cosa tu stia pensando, non ci vai nemmeno vicino.”
Io boccheggio, lo ammetto. Non è la prima volta che mi capita di beccare qualcuno che mi fa le corna, d'altronde di zoccole ne ho incontrate parecchie, ma che la reazione fosse urlarmi addosso oppure giurarmi e spergiurarmi che non era vero niente, di sicuro nessuna mi ha mai guardato con quest'aria stanca e afflitta con cui mi guarda Chakuza, che non fa niente – e dico niente! – per smentire o spiegare. “Allora dimmelo un po' tu che cosa ci facevi a pranzo con questa troia la settimana scorsa e chissà quante altre volte prima di quella! Ce la porti prima o dopo essertela scopata in qualche hotel?”
“Oh signore, Fler...” lui alza gli occhi al cielo. “Si vede che non hai proprio un cazzo da fare, in questi giorni. Si può sapere che filmini ti fai?”
“Filmini? Chakuza, mi prendi per il culo? Sono settimane che esci tutti i giorni, stai via tutto il giorno e non c'è modo di rintracciarti nemmeno con la tecnologia aliena, nel portafoglio ti trovo il biglietto da visita di una squillo e la ricevuta di un ristorante dove hai candidamente ammesso di aver pranzato. Che altro mi serve per stabilire che sei un bastardo?”
“Ti servirebbe magari sapere come sono andate davvero le cose, tu che dici?”
Io ringhio di frustrazione perché quest'uomo qui dovrebbe darmi un altro tipo di reazione, qualcosa che mi dia soddisfazione e invece no, eccolo lì calmo e tranquillo come se niente fosse. Mi siedo e gli faccio cenno col capo, con tutta la cattiveria che mi riesce di trovare, giusto per renderlo qualcosa di serio, visto che come gesto era anche un po' triste. “Allora spiegami, dai. Voglio proprio vederti mentre ti arrampichi sugli specchi, scivoli, ti spacchi la testa e muori.”
“In questi giorni ho avuto delle cose da fare.”
“Hai solo iniziato,” lo informo. Chaku sbuffa, si agita sul posto e vorrebbe palesemente uscire da questa stanza, ma sarò morto prima di lasciarglielo fare. “No guarda, è inutile che fai il cavallo imbizzarrito, ora mi rispondi. Se proprio devi infilarlo altrove, almeno dimmelo in faccia, così prendo, me ne torno a casa mia dove inizierò ad augurarti di morire solo come un cane malato.”
“Non ti sto tradendo!”
“E sei alto un metro e novanta, sicuro” dico annuendo. “Come potrei dubitarne.”
“Stai essendo stronzo.”
“E' quello che ti meriti.”
Lui sospira per l'ennesima volta e guarda altrove quando dice: “E' una specialista.”
“Non lo metto in dub-”
“E' un medico, Fler!” Sbotta all'improvviso. “Hilda Braun è un medico tricologo e ho appuntamento con lei due volte la settimana, e tutto il resto del tempo ho avuto esami su esami e già che c'ero un paio di visite a mia madre. Contento?”
Io lo guardo tutto per quanto è lungo, cioè poco. “E cosa ci stai andando a fare?”
“A farmi aiutare per il mio piccolo problema di calvizie?” Chiede ironico.
Io guardo perplesso il suo testone rotondo su cui brilla il riverbero della lampadina appesa al soffitto priva di paralume, come ogni altra lampadina di questa casa. E' liscio e sferico, senza nemmeno l'ombra di una qualche peluria. “Non si vede per niente,” commento.
“Siamo solo all'inizio,” puntualizza lui, piccato.
“Con i capelli potresti stare malissimo,” mi sovviene all'improvviso. “Sai come quando da un giorno ad un altro qualcuno si lascia crescere i baffi e poi scopri che gli stanno uno schifo. Solo che in quel caso al massimo li tagli, tu che farai? Non vorrai mica spendere un mare di soldi per una capigliatura che poi ti renderebbe ridicolo, costringendoti a rasarti ogni giorno. Non hanno delle parrucche di prova o-”
“Fler, sai che ti dico? Vaffanculo!” Prende ed esce dalla stanza a grandi falcate, così scoppio a ridere e lo raggiungo con una corsetta.
“Ehi! Ehi, Peter! Vieni un po' qui,” lo tiro per un braccio e quando fa resistenza lo tiro un po' di più, così mi finisce addosso e posso abbracciarlo. “Stavo scherzando.”
“Non facevi ridere.”
Gli do un bacio proprio in cima alla testa e me lo stringo addosso. “Tu sì, però. Un sacco anche.”
“Non stai migliorando la tua situazione,” mugugna, da qualche parte nella trama della mia felpa.
“Non puoi farmene una colpa se ero geloso. Che dovevo pensare? Ma poi si può sapere perché te la porti a pranzo fuori la tua tricologa? Va bene l'adorazione per l'unica donna al mondo che desideri senza per questo volertela portare a letto, ma insomma...”
Lui mi tira un pugno. “Cretino. E' un'amica di famiglia e visto che ha una lunghissima lista di pazienti e dovrei aspettare per mesi, mi sta facendo un favore.”
“Oh, tutti questi malvagi uomini pelati che la tengono prigioniera!”
Questa volta ride anche lui e se ne sta un po' lì, rannicchiato contro di me, che è una cosa che mi piace tanto perché non la fa spesso, si sente troppo uomo per farlo. Poi solleva la testa e mi bacia. “Sei più tranquillo adesso?”
“Sì.”
Mi bacia ancora una volta e rimane lì con il naso premuto contro il mio, anche se questo mi costringe a piegare il collo come una giraffa. “E lascerai stare il mio povero portafoglio?”
“Solo se posso comprartene uno nuovo.”
A quel punto lui si scosta, sconvolto. “Ma ci sono affezionato! E poi ormai mi sono abituato a questo e farei un sacco di fatica ad usarne uno diverso,” sbraita, estraendo il portafoglio e coccolandolo. “Nel mondo non ce n'è un altro così bello e capiente e comodo con tutti questi begli scomparti per metterci le mie tessere...”
La prossima volta che glielo rubo, devo anche ricordarmi di farglielo a pezzi.

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