Personaggi: Chakuza, Fler
Genere: Humor
Avvisi: Slash, pinguini
Rating: PG
Prompt: Vale per la HMS Maouropia Treasure Hunt di Fanfic_Italia
Note: Ah! I pinguini, questi adorabili animaletti. Dunque, se cercate un senso a questa storia, io temo che non ce l'abbia. Mi servivano dei pinguini per completare un altro pezzo della mappa di Fanfic Italia e il Flerkuza si è prestato, gentile come sempre. E basta perché queste note mi stanno drenando. Non c'ho voglia.

Riassunto: "E' stato il pinguino,” esclamo alla fine. “Non è colpa mia."
UNA QUESTIONE DI PINGUINI


Oggi è successa una cosa assurda.
Non che ieri, due giorni fa, o se per questo anche domani, non ne siano successe e non ne succederanno di altrettanto assurde – perché qui la follia è all'ordine del giorno – ma quella di oggi sono certo che, a raccontarla in giro, forse ci si crede perché si tratta pur sempre di me e di Fler, ma di certo la gente scuoterebbe la testa e mi direbbe che sono pazzo, che è pazzo lui e che dovrebbe essere illegale che noi si stia insieme, perché le nostre due pazzie unite in uno spazio ristretto qual è casa mia potrebbero generare danni a noi ma, soprattutto a chi ci sta intorno. Siamo una causa potenziale di catastrofe, come le centrali nucleari vicine alle grandi città; si fonde il nucleo e BAM! Pompei due – versione plutonio.
Il nostro reattore nucleare esplode circa due volte al mese e quasi sempre ciò avviene per un problema di incomunicabilità di qualche tipo che evidentemente ci impedisce di renderci conto di quando la fusione del nocciolo è vicina. In pratica, di punto in bianco, iniziamo a parlare lingue aliene e si svolgono queste scene surreali in cui Fler parla parla ma per me è come se facesse le bolle, tipo, non lo so e quando tento di spiegargli il mio punto di vista, si vede che le sue orecchie percepiscono solo ruggiti o chissà cos'altro. La conclusione è che nessuno preme il bottone di raffreddamento, il reattore scoppia e tanti saluti.
Una delle più grandi esplosioni è avvenuta stamattina e io vi giuro che non so esattamente come sia stato possibile, ma la colpa è senza dubbio del pinguino.
Dunque, innanzi tutto occorre precisare che io non ho un buon rapporto con la tecnologia, nel senso che io la odio e le odia me, e per gran parte del tempo in cui siamo costretti a relazionarci, io impreco e lei non funziona. Non è questione di imparare o meno come si fanno le cose, è che per quanto io possa leggere ed informarmi, non sono naturalmente predisposto verso le nuove tecnologie. Diciamo che non sono compatibile e quindi sono costretto a limitarmi all'uso di oggetti ideati e realizzati nel periodo in cui sono nato o in quello che precede la mia nascita perché quelli funzionano e tutto quanto il resto no.
Gli oggetti tecnologici si ribellano alla mia persona e si rifiutano di asservirsi, sono la nuova generazione, sono la versione adolescente degli oggetti che io amo, che so usare e che collaborano con me.
Prendete ad esempio il videoregistratore. Ricordo che è stato il primo vero oggetto costoso che mio padre mi abbia comprato e io lo amavo. Lo pulivo, lo lucidavo e sapevo come settare qualunque funzione, anche quella più inutile a cui il manuale delle istruzioni dedicava due righe in fondo, giusto per dire che qualcosa di scritto a riguardo c'era. E lui funzionava. Mandava avanti le cassette, le mandava indietro, a volte s'incastrava ma mi bastava aprire lo sportellino, tirare fuori con cura la cassetta, riavvolgere il nastro e tornavamo amici come prima, d'altronde a volte capita che uno s'inceppi, lo posso pure capire. Il videoregistratore era semplice e non aveva pretese. Quando ho avuto a che fare con un lettore DVD per la prima volta è stata una tragedia, perché quello voleva da me cose che non capivo, possedeva bottoni mai visti e faceva tutto da solo, che può sembrare una bella cosa fintanto che le cose funzionano ma poi, quando s'incanta, sono cavoli tuoi perché negli impianti meccanici capisci a logica dove mettere le mani, ma con i circuiti o quelle cose odiose che hanno dentro gli apparecchi nuovi, non puoi fare niente se non riportare tutto al negozio dove l'hai comprato e sperare che non ti chiedano un occhio della testa per ripararlo.
Adesso vi ho fatto un esempio, ma il mio problema si estende a qualunque apparecchio abbia avuto un qualche tipo di miglioria, anche minima, nel corso degli ultimi dieci anni, il che vale a dire più o meno tutti. L'unica cosa che veramente mi è utile e per la quale ringrazio un po' chiunque vi abbia avuto a che fare è la lavastoviglie, ma solo perché mi piace cucinare e sono pigro, due caratteristiche che unite insieme nella stessa persona portano a pile di piatti sporchi che toccano il soffitto senza che nessuno si occupi di loro – ma d'altro canto la lavastoviglie non fa molto testo perché ha solo tre pulsanti e quando l'accendo non mi chiede niente, non si pianta mai e non l'ho mai vista sostenere di aver bisogno di riavviarsi per installare aggiornamenti spegnendosi da sola e distruggendo ore di lavoro non salvato.
Queste sono tutte caratteristiche tipiche del mio nemico naturale: il computer.
Del pc, io avrei fatto volentieri a meno. Dico sul serio, vengo dalle montagne e nonostante io sia nato negli anni ottanta, non ho passato la mia adolescenza attaccato ai videogiochi per cui non sono legato a mouse e tastiere, non m'interessano e comunque tanto non ci capisco niente. Ho vissuto circa vent'anni della mia vita senza vedere lo schermo di un computer al di fuori dalle aule scolastiche e stavo bene.
Poi, finita la scuola, ho avuto quest'alzata d'ingegno di non fare quello per cui avevo studiato e di darmi al rap e per fare quello, al giorno d'oggi ma anche al giorno di ieri, c'è bisogno per lo meno di un mixer e ora sono tutti digitali per cui, niente, studio di registrazione e computer.
Da lì, il mio rapporto con queste macchine infernali è stato tristemente conflittuale e, invece di migliorare come succede sempre con l'uso e con la pratica, è andato peggiorando. Il pc che avevamo in studio smetteva di funzionare quando ci passavo davanti. Io entravo nella stanza e lui si riavviava per protesta. Stickle diceva che si trattava di un problema di sistema elettrico, ma a meno che io non avessi una centralina elettrica impiantata sulla schiena senza saperlo, evidentemente era che quel coso mi odiava perché con lui versi del genere non ne faceva mai.
Poi è arrivato il portatile, e neanche quella è stata una mia scelta. Era il mio compleanno e io e Fler stavamo insieme da, tipo, tre mesi. Mi si presenta con questo trabiccolo e mi dice che è il mio regalo – grazie, proprio quello che volevo! – sorridendo soddisfatto, anche. Io non è che potessi mandarcelo, a quel punto, perché era stato gentile e poi perché, effettivamente, un computer a casa mi serviva così alla fine ho colto la palla al balzo e ho chiesto a Fler se m'insegnava ad usarlo. Lui si è preso benissimo, una roba mai vista. Il giorno dopo me lo sono ritrovato sul divano con un quintali di libri sull'argomento e l'espressione di uno che da lì a qualche ora ti avrà insegnato perfino come fartelo a mano, un computer, con due puntine e un caricabatterie. In realtà, anche solo per capire come impostare la password io ci ho messo tre settimane, ma ce l'ho fatta. Fler è riuscito là dove altri hanno fallito, ha avuto pazienza – tanta pazienza – e si è inventato questo fantastico metodo che prevedeva un premio ogni volta che capivo qualcosa. Il mio cervello lavora meglio con la consapevolezza di ottenere Fler disteso su qualche superficie ogni volta che riesco ad arrivare a qualche conclusione logica.
Qualcosa, insomma, grazie a lui l'ho capita e di questo sono molto felice. O meglio lo ero fino a stamattina.
Quando mi sono svegliato, deciso ad approcciarmi con la mia macchina del demonio in maniera più amichevole e, in questo modo, convincerla ad aiutarmi nelle mie eroiche imprese, io ero ancora molto orgoglioso delle mie piccole conquiste: come scaricare la posta, visitare le pagine dei giornali che leggo, navigare su Youtube e usare quel maledetto programma che mi serve per lavorare e che prima non faceva che chiudersi senza salvare o impiantarsi quando salvavo o chissà che altra diavoleria pur di darmi sui nervi.
Ma, quando ho aperto il computer, Lui era lì e mi guardava pieno di entusiasmo e aspettativa come se qualunque persona sana di mente e convinta di conoscere il proprio portatile potesse essere felice di accenderlo e trovarci lui, là dove prima c'era una foto di Megan Fox come sfondo.
Per lui, naturalmente, intendo il pinguino. Un pinguino-pinguino, di quelli neri e con le zampe gialle, seduto sullo sfondo del mio computer. E prima non c'era, ne sono certo, altrimenti me lo sarei ricordato.
La prima cosa che mi viene in mente di fare è riavviare, perché è la prima cosa che Fler mi ha insegnato e io me la ricordo abbastanza bene perché è facile. Quando qualcosa non quadra, riavvia. E io riavvio perché il pinguino non quadra. Quando il computer si riaccende, però, lui è sempre lì e la sua espressione non è cambiata. Non so cosa voglia da me, ma non m'interessa. Io rivoglio Megan Fox.
A quel punto cerco il pannello di controllo dal quale di solito cambio le immagini di sfondo. Avevo un biglietto da qualche parte, una volta, ma chissà dov'è finito, quindi vado un po' ad occhio. E' una cosa che faccio spesso, per cui dovrei ricordarmi, eppure non c'è. E ora che guardo meglio mi rendo conto che non ci sono molte delle cose che prima c'erano, è tutto diverso. Il pinguino, è lui la causa. Io lo so.
La mattinata la passo a cercare di capire che cosa ci faccia nella mia vita questa bestia e cosa dovrei farmene io di lui, se adottarlo, cercare di ucciderlo con l'anti-virus oppure imballare di nuovo il computer e portarlo al negozio per vedere se riescono a far migrare questo pinguino da qualche altra parte. Poi però, mentre mi sto preparando un caffè, mi prende la rabbia perché quel computer di là è una cosa e non ha un cervello, pertanto io dovrei esserle superiore. Capire come stanno le cose diventa una questione di principio.
Prendo la mia tazza, l'appoggio accanto alla tastiera e comincio a cliccare qualunque cosa mi sembra possa avere un qualche nesso con il pinguino; naturalmente tre ore dopo non ho scoperto niente di quello che mi serviva, però ritrovo cartelle che pensavo fossero sparite. Si sono solo spostate o sono sotto nomi diversi. Dopo un'attenta analisi, otto dei venti libri che Fler mi ha prestato e qualche giro in internet, riesco a capire che quello che ho davanti è un sistema operativo diverso da quello che avevo prima e che il pinguino né è la mascotte, e ha pure un nome. Tux.
Conosci il tuo nemico, dicono. E io lo conosco, si chiama Tux e si è impossessato del mio computer. Sinceramente, in quel momento di odio e di rabbia, non mi passa neanche per l'anticamera del cervello che ieri sera Fler è stato qui e che probabilmente è stato lui ad installare il pinguino mentre io cucinavo. Per quanto mi riguarda, è comparso da solo. Il punto è che non mi serve a niente elaborare teorie complottiste su una rivolta di pinguini che prendono possesso dei pc altrui, perché tanto lui lì rimane e io da solo non so disinstallarlo, per cui... alla fine scendo a compromessi. Dico a Tux che può restare se promette di non dare fastidio, e poi comincio a girovagare per la rete, cercando di recuperare tutti i messaggi, le e-mail e le robe su Facebook che mi sono perso mentre m'informavo sul nemico. Non è che io tenga d'occhio tutto quello che mi arriva, è solo che se non cancello i vari messaggi e le varie notifiche, poi mi ritrovo che ne ho migliaia e mi spuntano avvisi da tutte le parti. Già che ci sono, aggiungo anche un paio di link al mio profilo e cambio alcuni dettagli che mi sono venuti in mente due o tre settimane fa ma di cui non ho mai avuto voglia di occuparmi. E' in quel momento che probabilmente la tragedia si compie, solo che io non me ne rendo conto perché, se anche la scateno, non sono io personalmente a farlo ma la mia incompatibilità con i social network. Sono innocente.

*


Io e Fler ci vediamo quasi tutti i giorni e se non ci vediamo ci sentiamo al telefono, anche se lui al telefono non parla: sta lì con la cornetta in mano e risponde a monosillabi quando gli fai una domanda. Basta. Non gli riesce di esprimersi se non ti guarda in faccia, per questo in generale cerchiamo di vederci perché a me fare i monologhi non è mai piaciuto, e poi mi sento anche scemo a girare per casa e a raccontargli cos'ho fatto e cosa non ho fatto, sentendolo respirare e basta dall'altra parte. Quando ha il raffreddore sembra un maniaco.
Comunque oggi non l'ho sentito, nemmeno un messaggio, quindi aspetto di vedermelo spuntare a casa da un momento all'altro. E difatti verso le cinque eccolo che suona, vado ad aprire con un sorriso che è tutto un programma, ma lui non sembra apprezzare. Entra spingendomi indietro ed è così arrabbiato che comincio a pensare gli abbiano fatto qualcosa di veramente tremendo. “Potevi almeno dirmelo di persona!” Mi abbaia addosso, con gli occhi stretti e le labbra serrate.
“Dirti cosa?”
“E invece lo devo venire a sapere da Facebook!” Continua. E poi inspira, tanto. Quando Fler inspira profondamente è perché si deve calmare. E' perché se non inspira profondamente fin quasi a non aver più aria a disposizione finisce che perde il controllo. “Dio, Chakuza, ma non hai proprio decenza!”
Ci sono molte cose che io faccio senza rendermi conto che non dovrei. A volte dico magari qualcosa e non ne sono nemmeno cosciente, cioè so che sto dicendo quella determinata cosa, ma non capisco che possa essere intesa in un altro modo, o che poteva essere detta in un altro modo, non ci arrivo proprio perché se io non avevo in principio l'intenzione di offendere o far star male qualcuno, mi sembra impossibile che ciò avvenga, perché io non l'ho voluto. Non so se mi seguite. Quindi, quando invece poi magari succede, io rimango sorpreso quanto chi mi sta a sentire perché non avevo preso in considerazione la possibilità nemmeno alla lontana.
Immagino che qui sia successo qualcosa di simile. “Che cos'ho fatto, stavolta?” Chiedo. Forse se faccio domande dirette otterrò risposte dirette e risolveremo il problema molto più velocemente. D'altronde se spero di arrivarci da solo allo sbaglio che ho fatto, possiamo anche prepararci a passare l'inverno in questa stanza.
“Che cos'hai fatto?” Grida lui. “Che cos'hai fatto?” Si aggira per la stanza con aria sconvolta. “Certe volte non so se sei davvero un coglione o se sei uno stronzo talmente stronzo che proprio non te ne frega un cazzo di dire cazzate che fanno male alla gente!"
Io non capisco, e giuro che non capisco sul serio. Fler, generalmente, quando faccio una cazzata me lo dice in faccia, m'insulta e, in linea di massima, si propone di strangolarmi o di schiantarmi forte la testa contro qualche angolo, ma non si agita mai; cioè non è mai capitato che entrasse in casa e prendesse a vagare per il mio salotto, agitando le braccia e guardandomi incredulo come avessi fatto chissà cosa, che poi può anche darsi che io l'abbia fatta, ma non è roteando le braccia in aria e ripetendo "Non ci credo! No, davvero, questo è troppo" che la capirò.
"Okay, potresti calmarti un secondo?" E cerco di dirlo con tono tranquillo, non come uno che pretende da lui qualcosa. Se sono nel torto non posso pretendere, anche se pretendere della calma per capire quello che ho fatto non mi sembra proprio così fuori dal mondo.
"No che non mi calmo!" Sbraita lui, naturalmente. "Non mi calmo perché tu sei stronzo e io non so perché sono ancora qui a dirti che lo sei, perché è evidente che tu sai di esserlo! Se non lo sapessi, vorrebbe dire che sei scemo e io non posso pensare che tu lo sia davvero così tanto!"
"D'accordo," sospiro rassegnato. "Ti ho perso, davvero."
"Oh che tu mi abbia perso è indubbio," sbotta lui, annuendo a se stesso. "Se credi che ti lasci passare questa, stai sognando, austriaco. Con me hai chiuso e sarai fortunato se, incontrandoti per strada, non ti strangolerò con le mie stesse mani per il solo gusto di vederti stramazzare a terra senza fiato e agitare quelle tue gambettine inutilmente!"
Potrei starlo a sentire. Potrei continuare a starmene seduto qui comodo ed aspettare che la tempesta passi, sono sicuro che passerà, perché nessun essere umano può andare avanti a sbraitare girando in tondo in quattro metri quadrati di spazio all'infinito, solo che sento su di me il peso di un qualche tipo di responsabilità, fosse anche il fatto che dovrei cercare di tranquillizzarlo, o di giustificarmi... o di abbatterlo, non so, qualcosa! Visto che comunque lui si sta sfogando un casino e quindi si suppone che io in qualche modo reagisca.
"Ma tu cosa fai?" Chiede lui, fermandosi e indicandomi a braccio teso. "Niente. Tu non fai niente, naturalmente. Ormai hai deciso, senza consultarmi, senza una spiegazione, niente e tanto ti basta. Non pensi che forse avrei bisogno di sentirmi dire qualcosa, vero? No che non ci pensi."
Apro bocca per dire qualcosa, tipo che non ho ancora capito di cosa stia parlando, ma lui mi gela con uno sguardo terrorizzante, una specie di raggio rosso dagli occhi che m'inchioda lì dove sono e mi fa richiudere la bocca.
"E non provare a rifilarmi la storia che non ti sei reso conto di quello che stavi facendo perché non ci credo più! Anzi, io credo che tu capisca perfettamente quello che fai ma che ti faccia molto comodo passare per coglione! Fai, dici, crei danni e poi tutti, ovviamente, ci passano sopra perché tu sei fatto così. Sei fatto così il cazzo! Tu sei fatto male, ecco come sei fatto!"
Si ferma un po' più a lungo di prima, quindi stavolta riesco a recuperare il fiato necessario per parlare. "Ascolta, qualunque cosa io abbia fatto, mi dispiace, d'accordo?" Mormoro. "Solo che non so cos'è."
"Tu non puoi non sapere che cos'è, Chakuza."
Mi stringo nelle spalle.
Lui mi guarda e ansima ancora per lo sforzo che ha fatto a furia di urlarmi contro e mi guarda, dritto negli occhi, come se si aspettasse di vedermi cedere o, non lo so, togliermi la maschera e sorridere beffardo mentre gli dico "E va bene, me l'hai fatta, Fler! Sono io che ho rubato il diamante al museo" come in un qualche film poliziesco o che so io. Solo che non ho rubato niente e il massimo che possiamo ottenere, noi due, stando qui a fissarci è di ipnotizzarci a vicenda.
Alla fine lui cede e lo fa fisicamente. Abbassa le spalle e anche il viso gli si allunga verso il basso, gli angoli degli occhi si piegano nella tristezza sconfinata che li caratterizza sempre quando qualcosa lo fa veramente soffrire e poi si lascia andare seduto sul divano con un sospiro talmente rassegnato che mi si stringe il cuore. Vorrei sapere cosa diavolo ho fatto; solo un tradimento, credo, giustificherebbe un'incazzatura simile ma non l'ho tradito. Giuro. Nemmeno vagamente. Non ci ho proprio pensato, sono felice così.
"Perché non me lo hai detto che non volevi più stare con me?" Chiede. E la domanda arriva talmente inaspettata ed è talmente assurda che lì per lì non ne capisco nemmeno il senso. Quando, esattamente, nel corso degli ultimi minuti, ore, giorni, settimane o mesi, ho mai espresso la volontà, anche remota, anche scherzosa, di mollarlo? Non me lo ricordo e sono certo che, se lo avessi fatto, me lo ricorderei. "Pat," dico allora, rassicurato. E' ovvio che si tratta di un malinteso, a questo punto. "Io non ho mai detto niente di simile."
"No, infatti tu non l'hai detto!" Sbotta di nuovo, ma non si alza. "Ti sei guardato bene dal dirmelo! Ho dovuto saperlo da Facebook, che se per caso oggi non accendevo il computer nemmeno lo scoprivo e magari non lo scoprivo nemmeno domani o dopodomani e finiva che passavo una settimana intera convinto di stare insieme a te e invece tu magari stavi con la lattaia sotto casa!"
"La lattaia sotto cas...Patrick cosa stai dicendo?"
"Questo sto dicendo!" Lui si alza come una furia e, per un istante, ho anche paura che mi salti addosso e me le tiri, ma lui mi sorpassa, apre il computer, ci smanetta un po' e poi indica lo schermo. "Questo! Ora giustificati, cazzo, voglio proprio sentirti!"
Io mi avvicino a lui e devo ammettere che ho anche un po' di paura perché non so cosa contenga esattamente quel computer e non posso garantire che non ci sia del porno là dentro, anche se non credevo che a Fler potesse dare tanto fastidio.
Quello che lui mi sta mostrando sullo schermo è la mia pagina personale di Facebook, dove non noto assolutamente niente di strano. C'è il post che ho fatto qualche ora fa quasi sommerso da quintali di post altrui e dalle foto che non mi riguardano ma sulle quali, nonostante questo, vengo taggato senza pietà. Quindi, direi, è tutto normale. “Che c'è?” Chiedo. Gli appoggio una mano sul polso ma lui si ritrae, nemmeno lo avessi punto.
“Ma come cosa c'è? Non prendermi per il culo, Peter!”
E' a quel punto che mi prende la nuca con quella mano immensa che si ritrova e praticamente mi spalma la faccia sullo schermo del portatile, tanto che per un certo momento vedo solo pallini di vari colori e poco altro. Quando si rende conto che non può pretendere che io veda da così vicino, mi scosta un po' e allora noto anche l'indice che preme sulle mie informazioni personali, soprattutto su situazione sentimentale. Non capisco ancora cosa voglia da me, c'è scritto fidanzato. Solo che non è proprio il caso di prendersela se non ho specificato, non è che il mondo sappia di noi due, o che sia pronto per saperlo. E' una questione di etichette, oltre che di infarti a catena nella mia famiglia e nella sua. Non è che di punto in bianco possiamo far sapere che ci sono dei rapper gay. E poi ne abbiamo già discusso e questa è una soluzione abbastanza accettabile, il mondo può sapere che non siamo più uomini liberi, ma non può sapere perché. Fine. Quindi qual è il problema di aver scritto Situazione sentimentale: … single.
Devo riguardare almeno tre volte per essere sicuro che in effetti ci sia scritto così. E non dovrebbe. Insomma, io so che cos'ho scritto, ieri c'era, non volevo. Io non c'entro, sono innocente.
Quando mi volto verso di lui, Fler ha incrociato le braccia al petto ma credo stia misurando a spanne quanto sono alto per vedere se il mio cadavere potrà essere facilmente arrotolato nel tappeto del soggiorno. La risposta è sì. Adesso immagino che mi strangolerà oppure mi chiuderà la testa nel portatile, quindi mi porterà giù in spalla per due piani di scale, avvolto nel tappeto e mi butterà nel canale di Tempelhof dove il mio cadavere, le mie tracce, la mia vita e quel poco che posseggo e sono si perderanno per sempre. Chissà, magari accompagnerà anche mia madre fino alla mia bara vuota, dicendole che era il mio migliore amico e lei, naturalmente, gli crederà perché come puoi non credere a quegli occhioni azzurri?
“Posso spiegare,” dico. In realtà no, ma è la prima cosa che mi esce sempre di bocca quando combino qualche danno e lui si presenta per terminarmi.
Fler mi guarda in silenzio, come un monolite e questo non mi aiuta perché è come se non mi credesse già in partenza, come se ne stesse lì a dimostrarmi che qualunque cosa io dirò sono destinato a fallire.
Poi mi viene un'illuminazione. E' uno di quei momenti ascetici in cui la luce divina cala dall'alto entrando da un lucernario che tu, in casa tua, non hai mai posseduto e t'illumina dandoti un'aurea di onniscenza. “E' stato il pinguino,” esclamo alla fine. “Non è colpa mia.”
Sono orgoglioso di poter dire – anche se non so esattamente perché ci sia dell'orgoglio in me al riguardo – che Fler perde in un istante tutta la rabbia che lo aveva spinto fin qui e la smorfia che aveva sul volto è sostituita all'istante da un'espressione talmente interrogativa che mi viene quasi da ridere ma non lo faccio perché, se ho avuto la fortuna di farlo passare dall'incazzatura al dubbio, è meglio se non sfido troppo la sorte e ci vado con i piedi di piombo.
“Il pinguino?” Fa lui, poi però si acciglia di nuovo. “Senti, non so cosa ti passi per il cervello, forse niente visto che si parla di te, ma non m'interessa, ok? Tu sei uno stronzo, io voglio solo sentirtelo dire. Poi mi fai la cortesia di prendere uno degli scatoloni che è ancora chiuso col nastro adesivo da quando ti sei trasferito, svuotarlo delle tue cianfrusaglie, metterci dentro gli oggetti che ho lasciato qui pensando erroneamente che avrei voluto passarci più tempo e portarmelo. Io ti aspetto qui sul divano e mi sforzo di non ucciderti.”
“No.”
“No?” E lo dice non come uno che ti sta chiedendo se ha sentito bene, ma come uno che ci tiene a far sapere che è alto un metro e novanta mentre tu no.
“C'è un pinguino nel mio computer,” dico “e lui ha modificato tutto. Non trovo più niente. Deve aver fatto casino fra le mie cose, cioè io devo aver fatto casino ma per colpa sua, del pinguino.”
Fler si passa una mano sul viso. L'arrabbiatura non gli passa davvero, però è stanco e sfiduciato, come quando ha portato a casa mia il suo robot per fare le pulizie, uno di quei cosi tondi che girano e vanno da soli. Dopo meno di due ore che era lì è stato costretto a spegnerlo perché quel coso non faceva che inseguirmi e io non facevo che urlare, cercando di abbatterlo con il bastone della scopa.
“Peter, per favore...” espira alla fine. “Non tirarla per le lunghe, d'accordo? E' solo più imbarazzante.”
“Non sto tirando per le lunghe niente, non l'ho messa io quella parola e se l'ho fatto non volevo,” replico con decisione. Non mi capita spesso di sapere con assoluta certezza di avere ragione per cui, quando capita, insisto con le unghie e con i denti. “Se ti devo mollare, te lo dico in faccia, non certo attraverso un oggetto che non so usare, ti pare? Allora tanto valeva montare su un biplano e cercare di scrivertelo in cielo con la scia dell'aereo!”
Lui a quel punto sorride, anche se non sembra tanto convinto.
“E poi perché dovrei lasciarti? Eri qui ieri! Siamo stati bene!”
Bene nel senso che abbiamo mangiato, visto film, scopato e mangiato di nuovo e poi fatto i piatti, giocato e perfino lavorato un po'. Fler è stato qui come se qui ci vivesse, e a me è piaciuto, quindi non vedo secondo quale logica dovevo prendere e decidere che così non andasse più bene, comunicandogli il tutto tramite internet. Dove sta la logica in tutto questo? Va bene che io ne sono spesso sprovvisto, ma nelle cose pratiche ce l'ho eccome. Ce l'ho un sacco! Sono un cuoco, devo essere pratico. Comunque credo di stare a qui convincermi da solo, in questo momento, il che non è bello.
“Non lo so perché! Il tuo cervello non funziona come quello delle persone normali, Chakuza! Permetti che posso pure andare a pensare cose simili?”
Ecco appunto. “Beh, comunque no. Non ti ho lasciato.”
“Bene.”
“Perfetto.”
Rimaniamo in silenzio molto a lungo, guardando la stanza con un interesse esagerato. Vedo che nell'angolo in alto a destra, proprio sopra la libreria, c'è un ragno così grosso che potrebbe mangiarci entrambi se solo decidesse di farlo e penso che forse, ma forse eh!, sarà il caso di dare una pulita dopo che tutto questo casino sarà finito, se mai finirà.
Alla fine conto le crepe sul muro e le costole dei libri sparsi in salotto, le riviste impilate e i barattoli di spezie che intravedo sulle mensole in cucina. Avevo provato a contare anche tutte le mattonelle del pavimento ma ho perso il conto tre volte e quindi ci ho rinunciato.
“Che poi tu mi devi spiegare che cazzo c'entra il pinguino,” esclama alla fine, senza nemmeno guardarmi. Sta fissando un punto indefinito sul bastone della tenda. Quando si volta ha le sopracciglia piegate una verso l'altra. “Quale pinguino?”
“Questo!” Recupero il portatile, chiudo tutte le finestre ed ecco che lui compare in mezzo allo schermo, tra le mie icone, con la sua aria di beatitudine. Se ne sta in panciolle come se, a causa sua, non avessi appena rischiato un disastro di proporzioni cosmiche. “Si chiama Tux,” dico, che poi è l'unica cosa che io sia veramente riuscito a scoprire di lui e del sistema operativo che si porta dietro.
A quel punto Fler inizia a scuotere la testa con un sospiro rassegnato e affranto, ma sorride anche. E' l'atteggiamento che ha quando sono particolarmente cretino; tipo quando litigo con la lavastoviglie, prendo a randellate il suo robot delle pulizie e me la prendo con il televisore se non mi fa vedere quello che voglio io.
“Come sei riuscito a fare danni con Linux, Peter?”
“Io non ho fatto niente!” Protesto. “Non so nemmeno da dove è saltato fuori! Ieri non c'era! Forse ho preso un virus.”
“Sì, al cervello,” fa lui, smanettando per ripristinare il mio status sentimentale in modo che lo comprenda. “I virus non ti cambiano il sistema operativo con uno più funzionale. Al massimo ti sputtanano quello che hai.”
“Ah. E allora lui come c'è finito lì dentro?”
“Si sarà intrufolato attraverso le prese USB,” dice serio, girando il computer. “Vedi? E' entrato da qui e poi è risalito fino allo schermo.”
“Tu dici?”
Mi guarda storto. “No, coglione, l'ho installato io.”
Io spalanco la bocca, sconvolto. Quest'uomo qui, questo seduto sul mio divano, ieri sera ha preso il mio portatile e ci ha trafficato sopra senza che io me ne accorgessi! La cosa più sorprendente è che non vedo come sia possibile visto che sono sempre stato con lui. Fler deve leggere il mio sguardo con la coda dell'occhio perché, mentre preme tasti e fa Dio solo sa cosa, commenta: “Tu dormivi, sei tipo collassato con la bava alla bocca dopo il secondo film, e io mi annoiavo. Potevo stuprarti nel sonno o cambiarti il sistema operativo e, per qualche strana ragione, sapevo che ti avrei creato più problemi con Linux.”
Lo guardo.
Lo guardo molto più intensamente.
Lo guardo molto più intensamente di quanto lo abbia mai guardato fino a quel momento e, già che ci sono, assottiglio gli occhi per dare un aspetto più laser al mio sguardo infuocato.
Lui a quel punto alza gli occhi e ride, così tanto che quando gli tiro un cuscino in faccia non si prende nemmeno la briga di coprirsi. Si fa prendere in pieno e ride.
“E poi sono io lo stronzo?” Commento.
“Beh io ti ho fatto andare il computer più veloce, tu mi hai lasciato su Facebook,” le sue sopracciglia si fanno un volo sulla fronte prima di tornare a posto. “Le due cose non sono nemmeno paragonabili. La mia vita sociale ne è stata irrimediabilmente compromessa.”
“Cosa?”
“Dovrai espiare, caro mio,” insiste lui.
Non mi piace quella parola. E con quella non mi piace neanche: ripagare, perdonare, penitenza.
Soprattutto quando non è colpa mia se lui installa cose che non dovrebbe installare invece di abusare di me mentre dormo e io poi faccio danni. Lo guardo e ho paura.
Lui mi guarda serio per un po' e poi sul viso gli si apre un ghigno che gli va da un orecchi all'altro. “Forse, se mi va, potrei anche decidere di mettere mano al tuo, di sistema operativo.”
Mi ci vuole un po' per capire, e in quei due o tre minuti le mie rotelle fanno un rumore talmente fastidioso che non riesco nemmeno a sentire quello che sto pensando, poi però ingranano e mentre ghigno, lui ghigna di più. Io devo espiare quello che non sapevo di aver fatto, ma lui ha un pinguino di cui rispondere.
Fler mette a dormire Tux e chiude il computer, io mi dirigo con noncuranza in camera.
Sarà una lunga serata di spiegazioni.
Più o meno.

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