Fandom: !Originali
Personaggi: Cristoforo Colombo, OMC
Genere: Storico, Introspettivo, Avventura
Avvisi: -
Rating: PG
Prompt: Scritta per la seconda settimana del F3.U.C.K.S. Fest di fanfic_italia (prompt: America).
Note: Che fatica! D: Riferimenti, citazioni del diario di bordo e fonti qui e qui.
La fanfiction storica non è la mia strada, ora lo so.

Riassunto: Il 12 ottobre, alle due di notte, Rodrigo de Traiana, dalla coffa della Pinta, dette il segnale di avvistamento.

TRADE WINDS


Josue si era imbarcato per non dover più sentire suo padre che si lamentava ogni giorno di come fosse dura la vita tra i banchi del mercato. Si era imbarcato perché al mercato non ci voleva stare e perché il pensiero di una vita a vendere cavoli e rape lo rattristava a tal punto che alle volte, mentre era nascosto da qualche parte per non farsele dare di santa ragione, un po' gli veniva da piangere.
Pensava spesso alla madre che era stata una donna sola e triste e che, quand'era morta, aveva sorriso come se fosse il momento più bello della sua vita, quello in cui avrebbe smesso di alzarsi all'alba per tornare a casa al tramonto e avere le mani sempre sporche di terra.
Josue aveva due sorelle e un fratellino più piccolo – l'ultimo sforzo che sua madre avesse fatto prima di chiudere gli occhi – che forse avrebbe preso il suo posto o che forse, se l'inverno sarebbe stato rigido e il raccolto scarso, sarebbe morto ancora prima di poter imparare a lamentarsi. Quando Josue gli aveva tirato un buffetto, prima della partenza, non sapeva se l'avrebbe più rivisto. Non sapeva nemmeno se sarebbe tornato, se c'era davvero qualcosa oltre quella gigantesca distesa d'acqua o se, una volta passato l'orizzonte, il mare li avrebbe inghiottiti per non risputarli mai più.
L'idea di andarsene non gli era girata in testa da subito. Era stato un guizzo, una specie di tuffo al cuore quando, al porto, aveva cominciato a circolare la voce che Colombo sarebbe effettivamente partito per le Indie e che cercava uomini da imbarcare.
Josue non era un uomo, ma non era nemmeno più un bambino; così non c'era un posto nel mondo in cui potesse davvero stare. Le acque del mare, sempre in movimento e mai precisamente uguali a se stesse, sembravano il luogo ideale per chi, come lui, non era ancora niente e doveva diventare qualcosa. Immaginava che prima o poi la trasformazione sarebbe avvenuta e che poteva aspettare quel momento su una nave; forse visitare il mondo avrebbe velocizzato il processo.
Allora non era stato certo che Cristoforo Colombo avesse intenzione di imbarcare marinai inesperti e tanto giovani ma aveva pensato di avere una possibilità se si fosse dimostrato abbastanza risoluto, abbastanza forte e abbastanza duro da sopportare la vita del marinaio.
Nessuno gli aveva chiesto l'età, però. Nessuno gli aveva chiesto niente, a dire il vero. Aveva soltanto firmato col suo nome sotto una lunga lista di altri nomi, e questo era quanto. Quello che si richiedeva ai marinai di Colombo era che fossero pronti a combattere contro i selvaggi, nel caso questi si fossero dimostrati aggressivi; ma di questo Josue non aveva paura perché i selvaggi sarebbero stati armati di lance mentre le tre caravelle erano ben armate. Uno dei marinai gli aveva mostrato dove si trovassero le bombarde e i falconetti di cui ogni nave era fornita e che lui, in tutta la sua vita, non aveva mai visto da vicino. Nelle stive c'erano anche palle di cannone e polvere da sparo, moschetti e balestre. Josue si sentiva ragionevolmente al sicuro da quel punto di vista, anche se lui personalmente non aveva idea di come si usasse nessuna di queste armi: ma il viaggio sarebbe durato mesi e lui avrebbe impiegato quel tempo per imparare.

*


Aldilà del Mare Oceano, oltre la linea azzurra che brillava di riflessi dorati quando il sole ci si immergeva la sera, non poteva esserci che l'Asia.
Colombo ne era stato convinto fin dall'inizio ed era stata quella sua convinzione, mista alla testardaggine che gli derivava dal padre che lo aveva portato fin lì, a poggiare i piedi sulle solide assi di legno della Santa Maria. Le grandi scoperte dell'umanità non se ne stavano lì pronte a farsi trovare; bisognava perseverare, e ostinarsi, e studiare, e Dio solo sapeva se non aveva sudato sette camice tra i testi che aveva letto e le richieste perpetrate a sua Maestà.
Certo se non fosse stato per il buon Duca di Medinaceli, che aveva infine trovato un accordo con la regina Isabella, superando anche l'ultima briciola rimasta delle sue perplessità, allora forse il viaggio non sarebbe mai stato possibile, ma Colombo si era affidato al buon Dio consapevole di avere abbastanza fede e abbastanza intuito perché le sue fatiche fossero premiate. E così era stato.
Venerdì 3 agosto 1492 – aveva scritto sulla prima pagina del diario di bordo – Partimmo alle otto, dalla barra di Saltes, e andammo con forte virazione fino al tramonto verso il Sud per 60 miglia, che sono 15 leghe, e poi ancora verso il Mezzodì, quarta di Sud-Ovest, che era la rotta per le Canarie. Rilesse quelle prime parole che segnavano l'inizio del suo viaggio e vi passò sopra le dita quasi affettuosamente.
Era passato più di un mese da allora e dopo il rifornimento e le necessarie modifiche alla velatura, le tre navi erano pronte a riprendere il largo. Colombo si sentiva fiducioso.

*


Imparare a convivere in uno spazio ristretto con altri quaranta uomini non era stato complicato per lui che aveva dormito con tutta la sua famiglia stipata in un angolo dell'unica stanza che componeva la sua casa. Più difficile era stato farsi prendere sul serio, perché era minuto e anche incredibilmente buffo da vedere ora che i capelli gli si erano così arruffati e increspati per l'acqua salmastra da non poterli più pettinare. Lo chiamavano Ratto, senza voler citare i soprannomi peggiori, e non poteva certo biasimarli perché un topo – con il viso un po' a punta e i denti sporgenti – era esattamente ciò che vedeva quando si guardava allo specchio. Di bello c'era che aveva ancora la fortuna di avere tutti i denti in bocca, cosa che non si poteva dire della metà dei suoi compagni di viaggio che li avevano persi durante il primo mese di traversata o che proprio non li avevano neanche prima di salire a bordo.
Le prime settimane non erano state male. Il lavoro era duro ma Josue se l'era aspettato e aveva stretto i denti anche quando maneggiare le gomene con le mani bagnate gli aveva fatto venire i calli; anche perché, quando non c'era proprio niente da fare – il che capitava di rado, in effetti – la compagnia era allegra e rumorosa. E ubriaca, la maggior parte delle volte.
Ma le cose erano cambiate una volta ripartiti da La Gomera: erano tutti un po' più nervosi. Non che lo dicessero apertamente, o che lo dicessero a lui quantomeno, ma Josue lo sentiva nell'aria che qualcosa non andava; forse perché da un certo punto in poi, Josue non sapeva indicare esattamente quando perché era stato troppo impegnato a cercare di capire come non essere d'intralcio sul ponte durante le manovre, il clima era diventato insostenibile e dal cameratismo vociante si era passati ad un silenzio quasi tombale rotto soltanto dalle grida utili ad avvertire i compagni di fare una cosa o l'altra.
Una sera, durante la cena, Josue prese da parte uno degli uomini più anziani e quello che, ad occhio, gli sembrava più sicuro interrogare. Carlos aveva un'età indefinita, Josue non avrebbe saputo indicarne una nemmeno se ne fosse andato della sua vita, perché anche se il viso era pieno di rughe, quello poteva essere imputato al sole dal quale su una barca non c'è riparo, mentre gli occhi verdi erano vispi e attenti, come i suoi, per cui a volte Josue pensava che Carlos potesse avere cinquant'anni oppure sedici e che le due ipotesi sarebbe andate ugualmente bene.
“Qualcosa non quadra, ragazzino,” rispose l'uomo, prendendo a morsi il suo pezzo di pane senza guardarlo, come se non stesse effettivamente parlando con lui. “Il vento soffia da quando siamo partiti.”
“E non è un bene che soffi sempre?” Chiese Josue che di navigazione non sapeva ancora molte cose ma l'unica che aveva capito era che la bonaccia non andava mai bene, quale che fosse il motivo.
“Ogni cosa va bene finché non è eterna,” commentò Carlos e Josue immaginò che fosse una di quelle massime da tenere a mente perché prima o poi le avrebbe capite e sarebbe arrivato un altro ragazzino a chiedere a lui il perché e il percome di qualcosa e allora lui avrebbe potuto guardarlo – vecchio e rugoso, ma saggio e pieno di esperienza come sarebbe stato – e gli avrebbe detto quel che sapeva. Carlos aveva masticato un altro po' con i denti in fondo alla bocca e aveva buttato giù un gran sorso di vino, incurante della gomitata del vicino che gliene aveva fatto spillare un po' sui pantaloni. Nessuno di loro era più pulito da settimane e Josue non aveva alcun problema a riguardo, visto che non è che fosse tanto pulito nemmeno quand'era salito e le pulci non erano un gran danno rispetto a tante altre cose, tipo lo scorbuto che prima o poi – a detta di tutti quanti – avrebbe cominciato a farsi vivo con una traversata così lunga, soprattutto se non se ne vedeva la fine.
“Stiamo andando verso ovest,” riprese Carlos, questa volta guardandolo. Un paio di altri uomini si voltarono verso di lui ma non dissero niente. “E i venti non hanno smesso di soffiare, in questo modo non potremo tornare indietro.”
Così preso dall'entusiasmo di mettere piede nelle Indie, non aveva mai davvero pensato a tornare ma l'idea improvvisa di non poterlo più fare era incredibilmente spaventosa.
“Se continuiamo così, finiranno i viveri e allora cominceranno i guai,” continuò a ragionare l'uomo.
A Josue sembrava impossibile che potessero finire tutte le scorte che avevano imbarcato alle Canarie, ma a questo punto poteva anche essere, che ne sapeva lui? “Da qualche parte dovremo pur arrivare,” azzardò. “E a quel punto faremo altre scorte.”
“Se c'è terra,” commentò uno degli altri. “Altrimenti finiremo alla deriva a mangiarci tra noi.”
Josue rabbrividì.

*


Gli uomini erano nervosi.
Diego de Harana, che era l'ufficiale di polizia addetto a mantenere l'ordine sulla Santa Maria, lo aveva avvisato una mattina mentre facevano colazione nella sua cabina. Colombo aveva sollevato la testa dalle carte di navigazione che si portava dietro ossessivamente, sempre pronto a ricalcolare la rotta nel caso in cui avessero avvistato qualcosa o qualcosa fosse cambiato nei venti. “Nervosi?” Aveva chiesto, senza sollevare lo sguardo. Harana entrava appena nella sua visuale, giusto la punta delle dita premute le une contro le altre, e già lo infastidiva in maniera considerevole. Colombo non sapeva se fosse il mattino a renderlo tanto irritabile o fosse l'ufficiale che, con le sue problematiche del tutto irrilevanti, lo distraeva dai propri calcoli.
“Sostengono che non toccheremo mai terra, signore,” specificò l'uomo.
“Sciocchezze,” lo liquidò Colombo, misurando la distanza che avevano percorso nell'ultima settimana e prendendo appunti sul diario di bordo. Di tutto quello che c'era in tavola aveva toccato solo un pezzo di focaccia, troppo impegnato com'era con i suoi calcoli. “La terra c'è, devono solo avere pazienza.”
“Sono settimane che non ne vedono e cominciano a farsi inquieti,” insistette Harana.
Colombo si sciolse in un sospiro tanto seccato che tutta la faccia gli si contorse in una smorfia di disgusto generale. “E sia, me ne occupo io,” commentò.

*


Il capitano li chiamò sul ponte verso mezzogiorno.
Era il 16 settembre del 1942, dieci giorni dopo aver preso il largo dalle Canarie e a più di un mese di distanza dalla partenza da Palos.
Josue aveva legato bene le vele e quindi aveva raggiunto gli altri che fissavano l'uomo con grande sospetto.
Colombo se ne stava in piedi, le braccia dietro la schiena e il viso severo, con le piccole rughe intorno alla bocca come se sorridesse sempre e solo a metà. Non li guardò, guardava il mare e le piccole onde create dal passaggio della Santa Maria. “Signori,” disse e la voce gli uscì così potente che Josue ne rimase sorpreso. Colombo non era un uomo così imponente da dare l'impressione di possedere una voce simile. “La terra non è lontana.”
Nessuno esultò, ci fu solo un mormorio sommesso che serpeggiò da un uomo all'altro, e all'improvviso tutti stavano parlando e nessuno ascoltava il capitano. Questo però Josue se l'era aspettato. D'altronde la preoccupazione si era fatta ormai così profonda che la semplice rassicurazione che ci fosse della terra da qualche parte non sarebbe bastata a placare gli animi. Non placava il suo per lo meno, adesso che sapeva che potevano finire a mangiarsi tutti quanti tra loro. Non era un bell'inizio per la sua carriera di avventuriero dei mari quella di aver quasi voglia di farsela sotto di fronte alla prima vaga possibilità che qualcosa potesse andare storto. Non era affatto fiero di sé, anzi era piuttosto deluso. Era convinto di essere un po' più forte, e invece... “Non stiamo mica colando a picco,” si disse per darsi coraggio. “Se stessimo colando a picco sarebbe peggio.” Avrebbe voluto darsi del cretino per la stupidità della conclusione, ma non ne ebbe il tempo perché Colombo aveva ripreso a parlare.
“Guardate,” disse mentre indicava la superficie dell'acqua ricoperta ora di un'enorme quantità di alghe, come Josue non ne aveva mai viste. Lui e gli altri marinai della nave si affacciarono dalle paratie per osservare quel manto verde appoggiato sull'acqua come una coperta. Dall'alto della nave sembravano viscide e Josue pensò che era la prima volta in vita sua che non desiderava tuffarsi, per nessun motivo al mondo. “La loro presenza ci indica chiaramente che presto toccheremo terra. Non sono altro che foglie cadute in mare e portate a noi dalla corrente. Non possiamo essere lontani.”
Josue osservò attentamente e così tutti gli altri. A lui sembravano alghe e le alghe stavano in mare sempre, che fossero a riva oppure no, però gli altri sembrarono in qualche modo rassicurati e quindi anche a lui non restava che esserlo. D'altronde pensare che le alghe significassero terra era meglio che angosciarsi all'idea di dover morire di fame chissà dove in balia di venti che non avrebbero mai smesso di soffiare.
“Non dovete preoccuparvi,” ripeté il capitano. “Siamo sulla buona strada.”

*


Colombo si era lasciato alle spalle l'episodio, convinto di aver risolto la questione una volta per tutte; non che, in effetti, se ne fosse interessato poi molto dal momento che queste erano cose che spettavano a Diego de Harana, ma alle volte era meglio rassicurare gli uomini personalmente prima che cominciassero ad associare situazioni perfettamente prevedibili – non si poteva certo partire per le Indie e sperare di arrivarci il giorno seguente – ad invenzioni mitologiche come mostri marini o maledizioni di qualche strega del mare.
Il capitano stese la mappa sul tavolo della propria cabina e la fermò agli angoli con quattro oggetti pesanti che si ritrovò sotto mano senza nemmeno guardarli. E mentre un boccale d'oro che avrebbe alleggerito la nave di qualche chilo copriva il Regno di Francia e quello di Spagna, lui controllava la rotta per l'ennesima volta, con la stessa ossessione con la quale la controllava praticamente ogni minuto.
“Dunque quando pensa che arriveremo davvero nelle Indie?” Nella voce di Rodrigo Sanchez, Colombo sentiva una debole nota di terrore; era lì, alimentata dall'incertezza del loro arrivo e, se anche l'uomo era bravo a trattenerla, non lo era abbastanza da nasconderla del tutto. Il capitano osservò l'ombra scura del tesoriere delinearsi sulla mappa del mondo conosciuto, curiosa metafora essendo quella l'ombra di un uomo al servizio della regina.
“Tra poco,” ripose vago. “Ogni cosa a suo tempo.”
“Se avessimo una data più precisa potremmo...”
“Far cosa, di grazia? Programmare la vostra villeggiatura?” Esclamò esasperato, posando per un attimo il compasso nautico e stropicciandosi gli occhi. “Se fossimo diretti in qualche posto noto allora saprei quantificarle il viaggio, ma così...”
“Siamo nelle mani di Dio, dunque.”
“No, signor Sanchez. Siamo nelle mie.”

*


Come Josue ebbe modo di notare nei giorni seguenti, la spiegazione sulle alghe non aveva convinto nemmeno gli altri marinai. Alcuni, certo, si erano dati pace, ma altri – la maggioranza – guardavano Cristoforo Colombo, se possibile, ancora peggio di prima.
E fra questi Carlos sembrava il meno felice della situazione. Josue gli si sedette di fianco all'ora di pranzo. Nonostante avessero lavorato parecchio quel giorno, il suo stomaco non brontolava affatto e nemmeno sentiva la fame, era la scarica elettrica nell'aria e gli sguardi che gli uomini si erano lanciati per tutto il giorno a renderlo incredibilmente nervoso. Aveva come l'impressione che da lì a poco sarebbe successo qualcosa e non era sicuro che fosse una buona cosa. Anche perché sarebbe stata la prima, a ben guardare, visto che fino a quel momento avevano conosciuto soltanto disastri, piccoli o medi che fossero, fino a quello peggiore di tutti, ossia che non c'era terra da qualunque parte guardassero e che, probabilmente, con i venti che soffiavano ad ogni ora del giorno e della notte, non sarebbero mai più tornati a casa.
Josue mangiò un po' di quella brodaglia che il cuoco chiamava zuppa, giusto per darsi coraggio e ricordarsi di essere ancora vivo, in salute, con del cibo e ancora qualche speranza.
“Che cosa succede?” Chiese, cercando di apparire disinvolto.
Carlos nemmeno si voltò, come suo solito. “Che cosa dovrebbe succedere, ragazzino?”
“Intendo, gli altri. Sembrano molto nervosi.”
“Forse perché lo sono”, disse Carlos, pulendosi tra i denti con una scheggia del ponte.
“C'è forse qualcosa che non so? Sembra che aspettino qualcosa.” Carlos continuava a non guardarlo e Josue, che generalmente sopportava quell'atteggiamento, in quel preciso momento cominciava a trovarlo insostenibile. Stava per aprire bocca e continuare dicendo che non era granché educato, nemmeno per un marinaio imbarcato su una Caravella, non guardare in faccia le persone, quando Carlos lo prese per un avambraccio e lo trascinò in un angolo, lontano dal tavolo.
Quando finì spalle al muro, neanche troppo garbatamente, Josue aprì di nuovo la bocca per protestare ma Carlos lo zittì con una di quelle occhiate tremende con le quali – dicevano tutti gli altri – una volta aveva convinto uno squalo a fare dietrofront e non mangiarselo vivo mentre era in acqua. “Abbassa la voce,” gli sibilò, posandosi il dito sulle labbra.
“Perché, che succede?”
“Gli uomini non sono contenti,” fu la risposta. Niente che Josue già non sapesse. Nemmeno lui era contento. Come si poteva esserlo quando all'orizzonte si profilava un destino di morte per fame o per cannibalismo? Se c'era stato un solo momento in cui aveva pensato di tornare a casa era stato quando aveva saputo come sarebbe morto. E ora non sapeva se lagnarsi perché sarebbe morto o perché era totalmente incapace di accettare l'eventualità. “Non stiamo andando da nessuna parte.”
“Il capitano dice che siamo vicini alla terra.”
Carlos sputò a terra. “Il capitano mente,” sibilò. “E questo è il problema più grave di tutti, Josue. Se il capitano mente, la sua ciurma non può fidarsi.”
“E se la ciurma non si fida?” Chiese lui, temendo già la risposta.
“Si riprende la nave.”

*


La notizia, a Colombo, arrivò la mattina, giusto prima della colazione che avrebbe saltato per controllare nuovamente la rotta e vedere se la decisione, presa due giorni prima, di seguire il volo degli uccelli verso sud-ovest li stesse effettivamente portando dove voleva. Harana bussò come al solito e lui non si voltò neanche, fece un altro segno sulla mappa e gli dette il permesso di entrare. “Sarà un'ottima giornata,” esclamò poi verso il suo ospite, più ottimista del solito.
“Capitano, forse volete voltarvi e prendere atto della situazione,” arrivò la voce dell'ufficiale di polizia. Colombo la trovò vagamente tremula e fu per questo che si voltò, non certo perché avesse interesse a prendere atto di una qualsivoglia situazione che non fosse quella della sua cartina.
Fu allora che la sua cabina fu invasa da una decina di uomini, uno dei quali – Carlos, se non andava errato – teneva Harana stretto al petto, puntandogli un coltello alla gola.
Colombo si schiarì la voce e si appoggiò con una mano al tavolo. “Signori, a cosa devo la visita?” Pronunciò calmo.
Carlos strinse più forte il braccio di Harana e gli premette il coltello sulla gola. Quello non fece una piega, ma Rodrigo Sanchez non ebbe altrettanto sangue freddo ed emise un gridolino – una cosa piuttosto isterica – e fu allora che il capitano si accorse che il suo ufficiale di polizia non era l'unico ostaggio e che il piccolo manipolo di uomini lo teneva sotto scacco con la maggioranza dei suoi funzionari.
“Capitano, siamo qui per farvi una richiesta e siamo sicuri che ci ascolterete,” disse Carlos, con un sorriso traverso ad indicare la probabile morte di Harana in caso di risposta negativa.
“Parla,” sospirò Colombo.
“Stiamo viaggiando su questa rotta da mesi, i venti non calano mai e non stiamo arrivando da nessuna parte. Quindi adesso voi virerete di nuovo verso est e ci riporterete tutti a casa.”
Colombo non si mosse. Aveva immaginato che prima o poi potesse succedere, ma sperava che sarebbe accaduto molto più tardi, magari quando sarebbe stato effettivamente sicuro che la terra fosse vicina. Non aveva mai dubitato della rotta, ma della vicinanza di una costa qualsiasi sì e, anche calcolando i venti e la velocità, non poteva fornire una risposta precisa a questi marinai estenuati dall'assenza di risultati immediati così come non aveva potuto fornirla al tesoriere quando l'aveva chiesta, così decise di tentare la sorte. Un bel tiro ai dadi, metaforicamente parlando; sperava che Harana non si offendesse troppo con la sua vita in palio. “Io non posso accettare queste minacce,” esordì, facendo qualche passo avanti. Carlos strinse di più la presa, e così fece l'uomo che teneva Sanchez. Gli altri mostrarono le proprie armi, ma Colombo sembrava imperturbabile.
“Allora quest'uomo morirà,” gli fece presente Carlos.
“E se facessimo un accordo?”
La tensione nella stanza si fece ancora più tesa. Fu come vedere una gomena tendersi di colpo, per l'improvviso gonfiarsi delle vele. Tra gli uomini presenti corse un brivido di incertezza e tutti quanti fissarono Carlos come aspettandosi qualcosa da lui. L'uomo però non guardò nessuno tranne il capitano e, per qualche istante, nessuno dei due parlò. Colombo non era mai stato un uomo d'azione e non era nemmeno particolarmente coraggioso – non tanto da potersi definire un eroe, almeno – ma non sarebbe tornato indietro, non quando i calcoli gli davano ragione, non quando aveva coccolato l'idea di quella spedizione per anni. Non quando aveva passato sette anni di frustrazione a cercare di convincere i sovrani che il progetto era valido. Così guardò l'uomo che lo guardava e sperò che capisse che non si sarebbe lasciato convincere con il sangue di un ufficiale di polizia. Né con quello del tesoriere, o il proprio, se doveva essere.
“Parla,” disse alla fine Carlos, imitando le sue stesse parole.
“Se entro tre giorni le vedette non scorgeranno alcuna terra, allora le caravelle torneranno indietro.”
Carlos ci pensò su qualche istante, nessuno degli altri osò parlare. “Tre giorni?” Chiese.
“Tre giorni,” confermò il capitano, indicando il numero con le dita. “Ormai non manca molto.”
“Ho la vostra parola, capitano?”
“La mia e quella del regno di Spagna,” confermò Cristoforo Colombo. Carlos liberò l'ufficiale di polizia come segno di assenso e l'uomo, incerto sulle gambe, quasi finì addosso a Colombo nel venir spintonato.
Diego de Harana era un uomo rabbioso, e lo era ancora di più quando aveva appena rischiato di venir sgozzato da un branco di marinai senza cervello. “Che cosa faremo se non toccheremo terra entro tre giorni?” Sibilò a Colombo, mentre gli uomini lasciavano la stanza e anche Sanchez, appena dietro di lui.
“La toccheremo,” rispose Colombo.
E questo fu quanto.

*


Josue non aveva preso parte al tentativo di ammutinamento.
In effetti non avrebbe voluto, ma non aveva neanche dovuto fingere di volerlo perché Carlos gli aveva impedito di seguirli prima ancora che la manovra cominciasse. Sei troppo giovane, aveva detto. E, per una volta, Josue si era sentito molto contento di non essere ancora adulto perché di rischiare un'accusa per tradimento proprio non aveva voglia. Ormai stava venendo a patti con il fatto di non essere un cuor di leone.
Aveva atteso con un po' d'ansia gli altri appena fuori dalla porta e quando Carlos era uscito senza ostaggi si era precipitato a sentire com'era andata. Carlos gli aveva risposto che il capitano aveva ancora tre giorni per far attraccare la barca in un posto qualunque e che dubitava che ci sarebbe mai riuscito. “Quei piedidolci non hanno la minima idea di quello che stanno facendo.” Josue non aveva detto nulla, a quel punto.
Ci volle molto meno, però, a risolvere la faccenda. La mattina del giorno dopo, uno degli uomini raccolse dall'acqua un fiore fresco e da lì a poco, gli avvistamenti di rami e piccole foglie si fece sempre più frequenti, tanto che ad un certo punto, chiunque ne aveva visto o raccolto uno sporgendosi giù dalle paratie.
“E' segno che siamo vicino alla terra!” Esultò Josue, sporgendosi, esaltato dalla scoperta e forse dalla possibilità che non sarebbero morti tutti e nemmeno il capitano. Carlos non rispose. “Carlos è così? Siamo vicini?”
Il marinaio sospirò. “Chi può saperlo. Staremo a vedere.”

*


11 ottobre 1492 – scrisse il capitano Cristoforo Colombo – sono convinto di aver intravisto nel buio una luce lontana che trema come una candela.

*


Il 12 ottobre, alle due di notte, Rodrigo de Traiana, dalla coffa della Pinta, dette il segnale di avvistamento.
Lo scampanio si propagò nell'aria e con esso le urla dei marinai.
Josue, svegliato dal rumore, si affacciò dalle paratie, strizzò gli occhi per vedere e scorse con un urlo entusiasta la linea all'orizzonte: solo una sbavatura grigiastra tra le ombre scure della notte, ma abbastanza per definirla terra. La possibilità di non crepare in mare, almeno.
“Aveva ragione lui,” esclamò, voltandosi verso Carlos che gli si era appena affiancato.
“Dobbiamo ancora scendere,” gli fece notare.
“Ma non moriremo!”
Carlos sospirò. “No, non moriremo, ragazzino. Almeno non per il momento.”
Per il momento bastava, pensò Josue, d'altronde aveva diciassette anni e per il momento poteva essere ancora un sacco di tempo.

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