Personaggi: Bill e Tom Kaulitz, Ville Valo, gli Sturm und Drang
Genere: Comico, Demenziale
Rating: PG
Note: Questa storia è stata scritta come regalo per il compleanno di Lokex. Il titolo è un gioco di parole che la stessa Lokex creò involontariamente, scrivendo "HIMage" al posto di "image": una deformazione affettiva essendo lei una grande fan di sua maestà finnica Ville Valo e della di lui band. Credo che da qualche parte esistano anche le prove visive dello sbaglio di battitura.

Riassunto: Il cielo non è più nero. E sua maestà non è affatto contento di questo."
THE HIMAGE OF THE KAULITZ TWINS


Il cielo non è più nero.

Non quanto piace a lui, per lo meno. Il problema col nero è che possiede un sacco di sfumature. Adesso, ad esempio, il cielo è di una tonalità antracite, che intorno alle nuvole sfuma in qualcosa di simile al nero del fumo. Per non parlare della linea dell’orizzonte, quella è già quasi blu.

Non che qualcuno oltre a lui lo noterebbe, sia chiaro.
I profani non capiscono le sfumature del nero. Il nero è nero, per loro. E questo è quanto, figurarsi!
D’altronde, quei bifolchi, non hanno ancora neanche capito che non è il governo illuminato a governarli bensì lui, lì. Dalla sua torre.

Ride.

Non sanno, poveri stolti, che il suo piano si sta compiendo; che i loro occhi, ciechi al suo potere, non vedono quanto esso si sia già insinuato nelle loro menti e nelle loro vite. Essi ignorano – oh! Se ignorano! – che ogni cosa si sta muovendo secondo il suo volere e che, molto presto, in tutto il regno finalmente si diffonderà il Sacro Fuoco del Lov-

Bussano e lo interrompono.

Odia essere interrotto, soprattutto quando si trova in posizioni epiche come quella.
Scende dalla cassetta della frutta sulla quale è salito per darsi un tono, mentre guardava con occhio pieno di tristezza intrinseca il paesaggio fuori dall’enorme finestra gotica.

Scende, dunque, e sospira.
Peccato, stava venendo un così bel discorso.

”Avanti.” La voce è bassa e languida, come si addice ad uno della sua gente.
E ovviamente è piena di trasognato auto-compatimento.
Sa di essere particolarmente bravo in questo.

La figura che entra è tutta nera.
Questa volta di un nero che piace a lui. Un nero decadente, lo definirebbe.
Qualcuno direbbe che per lui è decadente tutto quanto, ma queste sono quisquiglie e pinzillacchere per le quali certo non si abbasserebbe a tediarsi.
La figura in nero, comunque, si inchina.

E cadono piume di corvo.

“Sua Altezza Finnica?”

Lui non ha parole.
Si volta, facendo si che la sua figura si stagli vampirica contro la luna piena.
Sua Altezza Finnica è molto alto e magro, quindi contro la luna si staglia proprio bene.
Quando lui sta alla finestra, c’è sempre il plenilunio.
Controlla personalmente.

L’almanacco di Frate Indovino sul comodino serve a quello.

”Volevo solo-“

”Lauri.”
Non si spreca neanche a pronunciare il punto esclamativo. Non sarebbe appropriato per lui far trasparire dalla voce un tono diverso dalla certamente più consona disperazione di vivere. Alza un sopracciglio, però.
E questo è quanto.

Lauri alza gli occhi al cielo. “Uouo. Sua Altezza Finnica, uouo.” Specifica, molto velocemente e con ben poco entusiasmo.

Gli splendidi occhi verdi di Sua Altezza Finnica si stringono appena sulla figura di Lauri. Espira dal naso, ma non si scompone, nonostante il suo incredibile fastidio sia evidente. “Quante volte ancora devo dirtelo? Devi mettere il uouo in fondo alle frasi se non sei riuscito a metterci neanche un notte, tomba o amore…. insomma, una delle parole chiave del Love Metal!”

“Senti un po’ Ville, io sono stufo!” Sbotta Lauri, perdendo un po’ la posa che aveva avuto fino a quel momento, per quanto di posa si possa trattare. “Chi l’ha deciso che io devo fare il maggiordomo?”

“Beh, mi pare che sia una scelta piuttosto automatica, quando si parla di Love Metal” commenta Sua Altezza Finnica, indicando l’heartagram che porta appeso al collo. “Io l’ho inventato, io sono il capo.”

“Non è che in generale nel mondo te e quel pirulino abbiate più importanza di me!”

Sua Altezza (Finnica, sempre) si limita a fulminare con lo sguardo il triste cantante dei The Rasmus, e questo indietreggia sconfitto. C’è tutto un mondo di funerali in quello sguardo.
E non saranno quelli di sua Altezza.

“Così va meglio,” commenta Ville, guardandosi distrattamente le unghie dipinte di nero. “Dovresti seguire i miei consigli e darmi ascolto.”

“Avete ragione, vostra altezza. Uouo,” dice Lauri. “Siete molto saggio.”

”E’ per questo che io sono io e tu sei la mia copia di quattro taglie sopra.” Conclude Sua Altezza, per poi attraversare la sala e sedersi su un gigantesco, tronfissimo trono eccessivamente gotico perfino per gli standard del dark medio. Quando sua Altezza ordina all’Ikea, le cose le fa per bene.
Non bada a spese quando si parla di truciolare.

“Certo, Altezza” ripete ancora Lauri, con un sospiro rassegnato. E poi in fretta ricorda: “Uouo.”

“Eri venuto a dirmi qualcosa?”

”Anche sì, altezza.”

”Parla, ma non metterci molto. Ho un sacco di lavoro da fare.” Sospira rassegnato. Essere il capo è estremamente dura a volte. “Atteggiarsi in maniera disperata porta via un sacco di tempo oggi giorno.”

“Il mago di corte reca notizie, Maestà.”

”Perché non stai dicendo uouo?”

”Mago mi sembrava una parola sufficientemente decadente, altezza.”

Ville ci pensa su qualche istante, poi ondeggia la testa soppesando la cosa e infine alza gli occhi al cielo, decidendo che può andare. “Un filone un po’ epic metal, ma te lo passo. E cosa dice quello sciroccato?”

Lauri tossisce, imbarazzato. Lo sciroccato in questione è un illustre luminare riconosciuto in tutto il mondo.
Peccato che sua Altezza divida il mondo in due: quelli che sono degni del Love Metal, e quelli che non sono degni. E poi ci sono quelli che lo sarebbero, ma non ci pensano neanche, gli sciroccati appunto.
“Egli sostiene di aver trovato il motivo per cui il suo cielo si sta scolorando, maestà.”

Sua Altezza ha un solo grosso problema, oltre ai diecimila che finge di avere per essere un buon poser gotico. E questo problema è che il cielo sta perdendo colore. Un po’ come tutti i suoi vestiti dopo due cicli di lavaggi. E’ successo da un giorno all’altro. Prima era tutto quanto nero, di un bel nero lucido d’ossidiana. Di quei neri che fanno bene al cuore dei darkettoni. Ed era bello da vedere.
E poi, niente. Senza un motivo, improvvisamente, il nero non è più nero.
Sua Altezza non sa cosa farci.

Eppure ha anche usato il ciclo delicato.

“E quale sarebbe questo motivo?” Chiede. “Sono mesi che lo cerca e quello che trova non va mai bene.”

“Questa volta sembra essere quella giusta.”

“Sentiamo.”

“Pare che ai confini del regno, oltre le sette colline fatate, oltre le sette cascate ci sia-“

“Lauri, ma da quelle parti non ci stava Biancaneve coi sette nani?” Chiede confuso sua Altezza.

“Sì, fino all’anno scorso.” Annuisce Lauri. “Poi lei ha intrapreso la carriera da modella ed è finita a fare video per i Rammstein si ricorda? E’ finita male, poverina, una brutta storia di droga. I nani poi hanno deciso che non potevano più stare in quella casa.”

“Era quella casettina tanto caruccia, con il laghetto?”

“Sì, aveva una dependance troppo carina! E delle adorabili tendine a quadri.”

Sua Altezza si raddrizza all’istante, facendosi serio. “Lauri adesso stai esagerando.”

Lauri china la testa, con fare contrito. “Ha ragione, Maestà. Uouo.” Si schiarisce la voce. “Comunque sì, pare che da quelle parti ci siano…oh!”

Il giovane piumato sembra non riuscire a trovare le parole.

“Beh?”

”Sembra che ai confini, proprio nei pressi della casetta, ci siano.. oh, è terribile!”
Lauri scuote la testa. Non ce la fa.

”Per tutti i poeti maledetti che nemmeno conosco perché tendenzialmente non mi si richiede un’istruzione approfondita, quanto piuttosto il fingere di averne una… vuoi parlare sì o no? Mi stai facendo salire l’ansia! Lo sai che non mi piace! Poi sudo!”

Lauri annuisce. “Si tratta di una band, Maestà! Ecco, l’ho detto!”

Il sopracciglio finnico si solleva. “Di che tipo di band stiamo parlando? Una cosa tipo Hanson, o una cosa tipo Lacuna Coil?”

“E’ una domanda piuttosto complessa, sire. Perché musicalmente sono come gli Hanson, ma hanno una cantante come i Lacuna Coil.”

Sua Maestà Finnica si ritiene improvvisamente interessato. “Una cantante, eh? Hai una foto?”
Lauri si rovista tra i capelli e dopo svariate piume di corvo riesce a tirar fuori anche una fotografia. “Ecco qua, Sire.”
Ville osserva molto attentamente. Tre dei quattro elementi nella foto non hanno niente di particolare. Uno è piccolo e imbronciato, con un cipiglio incazzoso; l’altro ha i capelli lunghi e lisci, sembra il suo chitarrista – Jani - ma molto meno etero. Poi c’è un ragazzetto biondo con i dreadlock che sembra una bella bambolina.
E infine lei.

“Pseudo-rock?”

“Peggio.”

“Finto emo con problemi esistenziali?”

Lauri annuisce.

“Temevo che fosse qualcosa di tremendo.”

“Anni?”

“Diciotto, Sire. Appena compiuti.”

Ville sospira in maniera vagamente melodrammatica. “Diciotto? Un altro po’ e andranno a prenderli all’asilo!”

“Posso ricordarle, Eminenza, che i suoi cavalieri sono anche più giovani?”

“Questi… a proposito qual è il nome?”

“Tokio…” Lauri controlla su un foglio di pergamena. “…Tokio Hotel.”

“Questi Tokio Hotel sono bravi quanto i miei cavalieri? Sanno suonare?”

“Assolutamente no. Sono un fenomeno mediatico ben impacchettato. Le slasher ci stanno andando a nozze.”

Ville sorride. “Adoro quelle adorabili signorine, sono così decadenti e perverse. S’inventano sempre delle cose straordinariamente curiose.” Poi sospira. “Chiama i ragazzi, ho una missione per loro.”

*


I ragazzi sono cinque.

E si presentano di fronte a sua altezza in formazione. Sono giovani, belli – beh, in realtà uno solo è bello, gli altri provano intensamente ad esserlo ma non sono capaci - e hanno armature scintillanti.
Ma soprattutto sono finnici, qualità indispensabile per vivere al castello di sua Maestà.
Poco importa che sua Maestà in persona sia per metà ungherese. A lui i dettagli non interessano.

“Voleva vederci, maestà?” Dice uno.

Gli altri quattro battono i tacchi e parte il coretto. “Uouo.”

Sua Altezza Finnica è molto compiaciuta. “Sì, André. Ho bisogno che recuperiate qualcosa per me.”

André annuisce, seriamente. “Ditemi di che si tratta, Altezza.”

Gli altri quattro battono i tacchi e parte il coretto. “Uouo.”

“Sono delle persone.”

“Mortali?”

“Forse.” Ville guarda fuori dalla finestra. Nel suo mondo di notte continua, il cielo sembra quello del primo mattino. E ciò è inammissibile. “Ma di certo c’è qualche magia, dietro. E’ colpa loro se presto la Luna brillerà in un cielo mattutino.”

“Vuole che spediamo un Corvo a controllare?”

“No, non abbiamo tempo. Dovete andarci voi.”

“Partiremo immediatamente, Maestà.”

Gli altri quattro battono i tacchi e parte il coretto. “Uouo.”

Ville indica il quartetto di coristi. “Sai che li adoro?”

*


Tom è seduto sul divano, in attesa di suo fratello.

Il che vuol dire che rimarrà seduto su quel divano per un quantitativo notevole di tempo, quantificabile dalle 2 ore ad infinito. Quando Bill entra in bagno, si fa in tempo a dichiarare guerra a tre o quattro paesi, combattere, vincere o perdere, contare le vittime e quindi sigillare una pace duratura – e viverla anche per un po’! – prima che suo fratello finisca.
Perché Bill non si trucca.

No, si ristruttura.

”Bill, hai finito là dentro?”

“No!” Strilla isterico. “No che non ho finito. Sono qui dentro da appena cinque minuti.”

“Certo, secondo l’orologio biologico rotto che ti ritrovi!” Sbraita di rimando Tom. “Sono tre ore che sei lì dentro e noi dobbiamo andare. Senza contare che me la sto facendo addosso!”

La porta si spalanca di scatto, quasi scardinata, e travolge Tom sul naso, in un allegro fiotto di sangue.
”Toh! Il bagno è libero! Sei sempre il solito rompiscatole!” Esclamò sbuffando il fratello minore. “Poi sono io che perdo tempo, cosa ci fai lì in terra in un lago di sangue?”

Tom non trova la forza di rispondere.
O meglio, non vuole.
Non vuole perché se si alza da terra lo uccide. E il cantante gli serve.
Se non altro per sopravvivere a David.

Ad ogni modo, in quel momento suona il campanello.

In realtà non è che suona. Emette l’intera versione acustica strumentale di 99 Luftballoons.
E Bill la canta.

Tutta.

*


Quando i ragazzi tornano, Lauri si sta sistemando i capelli.

”Abbi pietà, vuoi?” Esclama lo specchio attaccato al muro. “Non ne posso più della tua faccia.”

“Lauri non molestare lo specchio parlante!” Arriva la voce di Ville, che sta guardando fuori dalla finestra. Il cielo si fa sempre più chiaro. Ormai, all’orizzonte, è già quasi mattino. Che ne è del suo regno?
Che ne è della filosofia oscura del Love Metal? Si sta forse indebolendo?

Ville è ancora perso nelle sue tristi e oscure elucubrazioni quando una nube nera appare all’orizzonte.
Ben presto i cinque cavalieri sono visibili e il ponte levatoio della torre si abbassa per farli passare.

”Lauri?”

”Sì, maestà?” Lauri tossisce. “Uouo, naturalmente.”

“Perché abbiamo un ponte levatoio se non abbiamo un fossato?”

“Il signor Bam pensava che fosse una cosa molto figa.”

“Bam è un cretino.”

*


I cinque cavalieri, quando gli chiedi di fare qualcosa, la fanno.

E non importa quanto sia difficile.
Non importa un bel niente.

Loro quello che ordini, lo eseguono.
Sempre.

Che piova, o ci sia il sole.

Che il cielo si scolori.

Che debbano aspettare per dieci minuti, come cinque cretini di fronte ad una porta chiusa che un individuo dalla sessualità dubbia finisca di cantare tutta l’armonia del campanello.

Essere un Cavaliere è dura.
Ma si sopporta.

Perché loro sono i Cinque Cavalieri di Sua Maestà, come le cinque dita della sua mano inanellata.
Come i cinque sensi.

Come i cinque giorni lavorativi della settimana. Perché il sabato e la domenica non si lavora neanche da queste parti. Il fine settimana è sacro, c’è da portare i bambini al parco.

Sua Maestà non ha bambini.
E’ per questo che ogni venerdì sera devono rapirne uno, così lui poi può portarlo al parco il giorno dopo.
I Cinque cavalieri servono anche a questo.

A rapire i bambini e a riportarli la domenica sera.
Entro le 21.00, mi raccomando – sennò poi le madri si arrabbiano.

Comunque, André è il primo ad entrare. Lui è sempre il primo, perché è bello; e il bello ha la precedenza nel regno di sua Maestà. Gli altri quattro lo seguono, recando con loro due enormi sacchi della spazzatura.

”Siete tornati!” Esclama moderatamente euforico Sua Maestà. L’euforia totale è un’emozione non contemplata nelle dure leggi del Love Metal. “Avete con voi ciò che vi ho chiesto?”

André s’inchina e fa un cenno verso i grossi sacchi della spazzatura che vengono immediatamente rovesciati.
Quello che cade a terra è un ammasso di lunghi arti e un tripudio di pettinature tremende.

Sua Maestà è perplesso.

Uno dei due ammassi strilla.

*


E continua a strillare.

Cioè, non smette. E la cosa è seriamente fastidiosa.
”Come diavolo si spegne questa pertica?” Sbraita Sua Altezza Finnica, tappandosi entrambe le orecchie con le mani.

Accanto a lui, una ragazza alta come un palo della luce, sta strillando come una gallina con la bocca spalancata. E quando la indica, strilla ancora di più.

”Ehm, signorina si calmi…” prova ad intromettersi Lauri, con tutta la cortesia che gli è rimasta dopo venti minuti di urla garrule.

”SIGNORINA TUA SORELLA!” Replica di botto lei, sventolando mani come pale da pizza.

”Cielo, è veramente sgradevole. Offende la mia sensibilità sonora,” commenta stanco Ville, lasciandosi andare sul trono.

“Una Miseria, senza dubbio,” annuisce il giovane Primo Cavaliere.

Ville lo guarda con muta riconoscenza. E’ sempre bello trovare qualcuno che condivide con te l’assoluto baratro della disperazione. La vita è decisamente complicata. “André, sii gentile, portami dei tappi per le orecchie.”

Mentre il cavaliere sparisce a soddisfare le richieste di sua Maestà, Ville si rivolge nuovamente a ciò che è uscito dai sacchetti della spazzatura. “Suppongo voi siate i Tokio Hotel.”

”Una metà, sì,” risponde quello che non urla. Ville riconosce in lui la bella bambina della fotografia.

”Chi siete?”

“Sono i Tokio Hotel, sire,” s’intromette Lauri, un po’ inquieto.

”A parte che non ti ho rivolto nessuna domanda e quindi era presumibile che non volessi da te nessuna risposta,” commenta Ville, molto seccato. “A parte questo, non volevo sapere chi fossero loro-gruppo, ma loro-loro.”

”Loro-loro, chi?” Chiede Tom.

”Loro, voi!”

”Noi, o loro?” Chiede ancora Tom.

”Tu e lei!” Replica Ville, sempre più nervoso.

”Perché mi da del lei?” Bill è confuso e smette di urlare.

”Non saprei dirti.” Commenta Tom.

Ville si stampa una mano in fronte. “Dio, ma chi me li ha mandati questi?”

Lauri avanza di qualche passo, spargendo piume. “Se posso permettermi, mio signore…”

”Cosa?”

”Non glieli ha mandati nessuno. E’ stato lei a-“

”FUORI DI QUI!” Comanda sua altezza, con un urlo sonico che spettina un po’ tutti quanti. Bill si nasconde prontamente dietro suo fratello e suo fratello, saldamente, lo nasconde all’ira funesta del padrone di casa.

Perché il twincest regna. Sempre.

Lauri, dal canto suo, non avendo neanche un cane dietro cui nascondersi, si limita a schermarsi il viso e a piangere amaramente sulla pettinatura perduta.

Piume che cadono da tutte le parti.

”E PORTATI VIA QUELLE DANNATE PIUME!” Ordina ancora.
Lauri sparisce. Il vento si placa.

Ville espira e chiude gli occhi. Si ricompone.
Assume di nuovo la sua espressione di insoddisfatto anelito.
”E ora veniamo a noi.”

*


“Veniamo a noi.”

Ora, quando sua maestà dice veniamo a noi, non vuole intavolare un’amabile conversazione sul tempo e su come, signora mia, lei non sa i giovani d’oggi.

No.

Lui intende dire che bisogna raccontargli tutto quello che vuole sapere. E subito.
Solo che Sua Eccellenza prende un piccolo abbaglio.

La sua domanda, infatti, è: “Come ci siete arrivati voi, nel mio regno? Chi vi ha fatti entrare?”

Lui, in effetti, si rivolge al biondino; ma quello che Sua Eccellenza non sa è che il ragazzo non ha mai avuto la possibilità di rispondere ad una domanda in diciotto anni di vita.
E che dopo quasi due decadi, il biondo, c’ha rinunciato.

Quindi, è Lei a rispondere.

E la giovane donzella – che per altro ha una mascella da paura, nota il re – ha tanti adorabili doni ma non, che Dio ci perdoni, quello della sintesi.

Tom si siede a terra, e sospira.
Ville non comprende.

*


Comprenderà quattro ore più tardi.

Quando Bill è ancora impegnato a raccontargli come lui e suo fratello, all’età di sei anni sono stati divisi per una settimana al campeggio.

*


Otto ore più tardi, Ville non ha ancora capito molto del racconto.

Tranne che deve essere colpa di un certo David.

Tom, dorme.

*


“… e quindi un signore tanto gentile ci ha aperto i cancelli del regno.” Conclude finalmente Bill, dopo diciotto ore e mezzo di racconto.

Ville è svaccato sul trono e Tom si è ormai fatto un nido nel suo lungo mantello nero, che ricade sul pavimento di plausibile nera ossidiana.

”Signor Ville Valo?” Chiede Bill.

”Eh?” Ville si riprende, cercando di mettere a fuoco. Nel muoversi, strattona il mantello e Tom rotola di testa sui tre scalini che rialzano il trono.

”Ho concluso”

”Siano ringraziati gli Apocalyptica…” borbotta il Sovrano, lanciando un’occhiata all’altarino votivo che reca l’immagine dei santi musicisti. Quindi, stira le membra indolenzite e si ripulisce la bavetta dalle labbra. “Ma non ti si secca mai la gola a te?”

”Non capisco.”

”Lascia perdere. Credo di aver capito io.” Ville sospira. “Il problema, signorina…”

Bill sembra innervosirsi.
Tom tossisce.

Ville lo guarda, alza un sopracciglio.
Tom scuote la testa.

”Oh, pardon. Il problema, signora…”

Bill batte il piede in terra.
Tom si spalma una mano in faccia.

”Lei non mi ha ascoltato,” esclama stizzito Bill, incrociando le braccia al petto e guardandolo puntiglioso.

”Beh mi sarò perso qualche dettaglio ma, sa, in diciotto ore può anche succedere.”

”Sono un maschio.”

”Ecco, la visita a Casablanca mi era sfuggita,” ammette Ville. “Chiedo perdono. Comunque hanno fatto un ottimo lavoro, complimenti!”

Tom riesce ad intervenire prima che l’inarrestabile furia della Diva si abbatta su Sua Altezza Finnica, sul suo Castello e – con ogni probabilità – su tutto ciò che può essere raggiunto dai media da qui a centinaia e centinaia di chilometri. “Altezza, mio FRATELLO,” esclama, calcando particolarmente la parola, “Si chiama Bill e si è sempre chiamato così. Capisce?”

Ville rimane in silenzio.
Bill batte di nuovo il piedino a terra, con fare sempre più stizzito.

La cantante dei Lacuna Coil è l’unica donna che sia stata nominata in queste nove pagine.
La consapevolezza di questa affermazione colpisce Ville come una pedata in piene gengive.
Quello, non è una donna.

E dire che voleva esordire con un collaudatissimo, ‘Te lo ha mai detto nessuno che somigli a Paola Turci?’

Tom legge nei suoi occhi la conclusione a cui tutti prima o poi arrivano.
”Sì, ha anche il pomo d’Adamo,” annuisce, espirando. Sa di aver evitato la catastrofe. “Ora, ehm, crede di aver capito perché il suo cielo si scolora? Se è colpa nostra, credo che non lo abbiamo fatto a posta. E comunque sicuramente non siamo noi i diretti responsabili, ma il nostro manager, David.”

Ville annuisce, assente.

Fa loro cenno di avvicinarsi ad uno sgabello che si trova in un angolo della sala. E i due eseguono, obbedienti. Per abitudine, Tom raccoglie la chitarra da terra e si siede, Bill si appoggia al microfono.

”Suonatemi qualcosa,” ordina. “Temo sia la vostra musica.”

I due si guardano, quindi suonano.

Cioè non proprio.
Tom fa quello che Ville non può che definire – in un gergo altamente tecnico - plen plen e Bill si strozza come una gallina incastrata in una porta.

In die Nacht.
Nella notte.

Il cielo si scolora.

”Il cielo si scolora per forza, porca di una renna!”
Ville si ficca bene nelle orecchie i tappi che André gli ha portato tra il racconto della prima volta che Bill ha fatto la cacca nel vasino e una qualche malattia infantile contratta da Tom all’età di cinque anni e mezzo.

I due, intanto, tubano felici come colombe.

Si cantano addosso quanto sono belli insieme.
Bill strepita che nella notte, ci sarà sempre Tom.

Tom lo ignora, ma ride.
E spettina la chitarra.

Quando Bill è già pronto, il viso rivolto al fratello e la mano tesa quasi a volerlo sfiorare nell’estasi della passione incestuosa, insomma: quando stanno per ripetere il ritornello per l’ennesima volta… Ville li ferma.

”Ok! Ok! Basta!”

”Ma io stavo-“

”-per devastare due millenni di cultura musicale, lo so figliolo. Fermati, prima che sia costretto ad ammazzarti.”

I due si fermano, e attendono.

”Dunque, io credo che sia la vostra musica. Il mio cielo non … come dire?” Ville cerca le parole. “Non vi regge, praticamente.”

”Siamo troppo bravi?” Chiede timidamente Bill.

”No, fate sostanzialmente schifo.”

Il labbro di Bill inizia a tremare incontrollato e ovviamente Tom scatta ad abbracciare il fratellino sconvolto da un giudizio tanto sbagliato e insensibile. “Ma come si permette?”

”Biondino, ti permetteresti anche tu se avessi un paio di orecchie sotto quella fascia. Ora, dammi il numero del vostro manager.” Ville allunga una mano e Tom gli passa il numero, scribacchiato su un foglietto.

Sua Altezza estrae il cellulare dalla tasca.
Sul telefono c’è il simbolo del Love Metal, naturalmente. Che poi è anche il simbolo dell’unica linea telefonica abilitata nel regno. Un po’ come la Telecom, ma più uouo.

Il telefono squilla dodici volte.

Nell’attesa, Ville è costretto ad ascoltarsi una pessima versione bitonale di You made me believe in magic. Remix, per giunta.

”Pronto?”

”Signor David?”

”Sì?”

”Sono Ville Valo.”

”Oddio.”

”Già.”

Silenzio per qualche minuto.
Sua Eccellenza non chiede.

Egli si fa capire col silenzio.

Perché di base Silenzio è una parola decadente.
E poi, lo senti come suona bene questa frase?

”Ehm, posso fare qualcosa per lei?”

”Il mio cielo si sta scolorendo.”

”Ha provato senza candeggio?”

”Sì, e col ciclo gentile.” Annuisce Ville. “Ma niente, certe macchie non vanno via.”

”Non lo dica a me. Ho quattro ragazzini, sa?”

”No, ne ha due.”

”Come prego?”

Ville si guarda le unghie delle mani, con noncuranza. “Ne ho qui uno biondo e uno sessualmente indeciso.”

”Sono un maschio!” Sbraita Bill.

”Tom e Bill?”

”Così mi dicono.”

”Oh cielo!”

”Ecco, qui la volevo.”

”Sono stati loro?”

” Il cielo risente della pessima musica.”

”…” David emette un sospiro che sa di mille altre situazioni simili. “Vengo a riprenderli.”

”Ecco, bravo.”

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