Personaggi: Cistifellea, Buscopan, i Calcoli
Genere: Romantico, Drammatico
Avvisi: Violenza, Organi interni vari, Massiccio uso di farmaci
Rating: PG 13
Prompt: Scitta in occasione della Challenge: Gentil sesso di Fiumi di Parole.
Note: Era da qualche mese che volevo scrivere qualcosa su Cisty e la challange me ne ha dato finalmente la possibilità. Il brutto è che scrivendone, mi sono affezionata e ora sarà ancora più difficile fare a meno di lei. Sono notevolmente soddisfatta di questa cosa sempre per i soliti due motivi: è un'originale e l'ho scritta in una settimana. Due miracoli al prezzo di uno. Oh, sì.
Che altro? Per chi non lo sapesse, il “Buscopan” è un medicinale, il cui principio attivo è, appunto, il N-butilbromuro di joscina (per gli amici anche N.B.). Esiste un secondo antispastico che ultimamente ho cominciato ad usare, che è il Rilaten, molto più potente del buon vecchio Buscopan e, chissà, potrebbe anche aspettarci una threesome ;)

Riassunto: Il dolore era iniziato lentamente, una specie di fastidio sordo, concentrato nella zona dello stomaco ma non individuabile precisamente...

ROSSO AMORE, VERDE BILE


Da una parte, il territorio sembrava uno dei più facili da difendere: non molto ampio, nessuna via d'uscita e un'ottima postazione dalla quale individuare gli eventuali intrusi. Niente di più facile per le pattuglie speciali. Dall'altra, non rappresentava un punto strategico, ergo nessuno era veramente interessato a mantenerlo, tanto più che in caso fosse finito nelle mani del nemico, ci voleva un niente per tagliarlo via dal resto delle zone sotto controllo e lasciarlo in mano a chiunque si fosse preso la briga di conquistarlo. Era proprio per la facilità con la quale se ne poteva fare a meno in ogni momento, però, che si finiva ad ignorarne i problemi, nonostante mantenerlo costasse più che liberarsene. Era una questione di priorità, c'era sempre qualcosa di più importante che occuparsi della Questione Cistifellea. O meglio, si pensava che ci fosse sempre qualcosa di più importante e poi ci si ritrovava in queste situazioni di emergenza e i grandi capi dei piani alti chiedevano a lei – Cistifellea – che diavolo stessero combinando loro laggiù nelle terre di nessuno, al di sotto della Bocca dello Stomaco.
Il capitano Cistifellea era stanca di dover spiegare ogni volta che loro laggiù non stavano facendo un bel niente se non il loro lavoro ma d'altronde ogni comunicazione ci fosse tra la sala di controllo nel Cervello e il suo ufficio, era unilaterale. Niente di ciò che lei diceva veniva realmente ascoltato, aveva perso il conto ormai di quanti segnali di dolore avesse mandato nel tentativo disperato di far capire che lei da sola con quel poco che aveva non poteva far fronte alla situazione, ma tutto ciò che riceveva in risposta, quando poi una risposta c'era, erano promesse mai mantenute di interventi esterni e, nei casi più recenti, quantitativi sempre maggiori di N-butilbromuro di joscina, soluzione che era stata ottimale agli inizi ma che adesso poteva ben poco contro un'invasione che aveva messo radici dall'interno.
Il capitano chiuse la porta del proprio ufficio e si tolse la giacca, lasciandola cadere sulla prima poltrona disponibile che non ospitasse già i quintali di rapporti ancora da smaltire. Era stata una notte tremenda, non una delle peggiori, ma di certo lei e i suoi uomini se l'erano vista brutta e non volevano ripetere l'esperienza. Si fermò a guardare l'iridescenza rossastra del fegato aldilà del vetro prima di chiudere le veneziane e collassare sulla poltrona dietro la scrivania. Forse all'alba delle cinque poteva dormire un po' e sperare che a qualcuno lassù non venisse in mente di fare colazione quando sarebbe arrivato il momento.
Naturalmente il biondo capitano sapeva che sperare di poter realmente dormire per più di qualche ora era pura utopia, ma di tanto in tanto era piacevole fingersi qualcun altro, magari un globulo rosso, libero e felice, con nessuna responsabilità al mondo tranne quella di lasciarsi trascinare dal flusso sanguigno; ma Cistifellea era un militare e, pur sognando, aveva i piedi per terra e non dimenticava mai i propri doveri, per tanto accolse con un sospiro rassegnato il bussare che la svegliò non molto più tardi. “Avanti,” esclamò, tirando giù i piedi dalla scrivania e guardandosi intorno nel tentativo di recuperare una giacca che era dall'altra parte della stanza.
“Buongiorno capitano,” cinguettò Colette, che era tanto carina quanto effimera con gli strettissimi ricci biondi che le incorniciavano la testa come una nuvola. La ragazza dimenticava gli appuntamenti, perdeva i documenti importanti e aveva la fastidiosa tendenza a farsi prendere in ostaggio dal nemico almeno due volte la settimana ma Cistifellea non poteva licenziarla perché Colette era figlia di uno dei sotto-segretari addetti alle valvole cardiache e poi perché aveva la sensazione che, lasciata sola al suo destino fuori dal loro minuscolo organo semi-sconosciuto e semi-inutile, Colette avrebbe trovato il modo di fare molti più danni. Inoltre sapeva per esperienza che non era mai saggio allontanare l'unica persona in grado di fare il caffè quando passavi metà della tua vita sveglia.
“Buongiorno,” bofonchiò, accettando con gratitudine l'enorme tazza che l'altra le porgeva con grande fatica, cercando di non far cadere la pila di fogli che reggeva con l'altro braccio. “Caffè, che il cielo ti benedica, Colette.”
“E benedica lei,” commentò allegra la segretaria. “Non avrà dormito in ufficio anche oggi?”
“Non ti sfugge niente,” commentò Cistifellea, osservandola mentre si aggirava per l'ufficio ad appoggiare documenti e a tirare di nuovo su le sue tapparelle che si lamentarono con un cigolio disperato. L'iridescenza del fegato si era fatta più luminosa, dovevano essere già le otto ormai. “Tre ore di sonno,” commentò ironica il capitano. “Posso ritenermi fortunata.”
“Dovrebbe dormire di più,” Colette constatò l'ovvio. “Non sarà utile a nessuno se non tiene gli occhi aperti.”
“E' stata una pessima nottata.”
Colette alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Sempre la stessa storia.”
“Già,” il capitano aveva ritrovato la propria giacca e l'aveva indossata, perché farsi vedere senza divisa la metteva in agitazione. Si sedette sulla sua poltrona e accese il computer, sperando che il vecchio catorcio avesse voglia di lavorare quel giorno. Solo allora si rese conto che Colette era ancora lì, in piedi come un attaccapanni con qualcosa da dire. “Sì?” Chiese allora, garbatamente.
“Sono arrivate due comunicazioni dalla Sede Centrale del Cervello,” mormorò la ragazza. “Mentre dormiva,” specificò. Colette sapeva che quello era un argomento delicato, uno di quelli che portava l'altrimenti stoica e imperturbabile capitano Cistifellea a mostrarsi in tutta la sua isterica femminilità e scagliare oggetti per ogni dove, maledicendo l'universo mondo e, in generale, a prendersela con chiunque si trovasse sulla sua strada per il primo motivo random che le capitasse di avere sotto mano.
“Che cosa dicono?”
Colette tirò fuori il suo blocco per gli appunti, fece un passo indietro e si schiarì la voce. “Dalla Bocca dello Stomaco vogliono sapere perché hanno avuto problemi anche loro. E dal Cervello, chiedono di parlarle.”
“Di cosa?” Sibilò il capitano.
“Non hanno specificato.”
Cistifellea annuì e congedò la segretaria, quindi decise di togliersi subito entrambi i problemi prima di iniziare una giornata che si preannunciava catastrofica con la prospettiva di nausee e l'impossibilità di digerire praticamente qualsiasi cosa. Digitò a memoria l'interno dello Stomaco e ascoltò dodici ripetizioni del notturno di Chopin prima che qualche ragazzina appena scampata all'adolescenza alzasse la cornetta e biascicasse uno svogliato, “Qui Bocca dello Stomaco, sono Sandy, come posso aiutarla?”
Cistifellea controllò velocemente la posta elettronica mentre rispondeva. “Capitano Cistifellea, divisione fegato. Qualcuno mi ha cercata stamattina.”
“Attenda in linea, prego.”
Altro Chopin.
Cistifellea ebbe il tempo di eliminare lo spam nella sua casella di posta e rispondere ad un paio di e-mail urgenti prima che qualcuno si decidesse a rispondere. Si chiese come potessero pretendere da lei dell'efficienza se poi doveva stare al telefono le ore anche solo per capire il motivo per cui aveva telefonato. “Capitano Cistifellea?”
“Agli ordini,” sospirò la donna, appoggiando la schiena alla poltrona. “Ho sentito che mi cercavate.”
“Ha sentito bene, capitano. Temo che questa non sia una telefonata di piacere.”
Cistifellea sorrise. “Non ricordo telefonate simili da che vi conosco, il che significa quasi trent'anni ormai,” commentò. “Allora, che succede?”
“Me lo dica lei, capitano. Ho qui almeno due taniche di riflussi gastrici per i quali, naturalmente, non ho bolla di consegna né tanto meno una richiesta di stoccaggio.”
“Deve scusarmi, devo aver dimenticato di avvisarla quando i vasi biliari sono stati ostruiti e abbiamo dovuto sbloccarli di forza per evitare la peritonite,” rispose. “Si tende ad avere la testa da un'altra parte in queste occasioni.”
“Non faccia la sarcastica con me, capitano.”
“E lei pensi a quello che dice prima di parlare,” Cistifellea si raddrizzò sulla sedia, vagliando se fosse ho meno proponibile iniziare ad offendere prima dell'ora di pranzo. “Se avevo dei riflussi gastrici in eccesso è perché qua la digestione non funziona.”
“La digestione è un suo problema, capitano.”
“La digestione sarà anche un suo problema quando quei sassi sforeranno nel pancreas,” replicò la donna. “Più merda mi mandate da smaltire e più ve ne rimanderò su, se lo ricordi. Io non posso fare tutto da sola.”
Dall'altra parte della cornetta ci fu silenzio per un solo, lungo istante e poi il vecchio burocrate tirò su col naso. “Voglio quelle bolle di consegna in giornata,” concluse.
“Stronzo,” Cistifellea attaccò il telefono con uno schianto.
Questo era il problema dell'essere la ruota centrale del meccanismo di digestione. Chi si occupava di fare entrare il cibo, non si preoccupava di fare una cernita perché ci avrebbe pensato lei a processare ogni cosa, e chi si occupava di smaltirlo, se ne preoccupava ancora meno, perché di certo lei aveva già ridotto tutto a materia digeribile. In sostanza chiunque facesse parte della catena, scrollava le spalle convinto che Cistifellea potesse fare miracoli, ma lei non era Dio. Era un organo di dieci centimetri – per la miseria! – e per quanto disponesse di potenti getti di bile, aveva i suoi limiti. E ne aveva ancora di più da quando erano arrivati i Calcoli.
Cistifellea ricordava bene com'erano andate le cose perché lei era stata presente, naturalmente. Il problema si era presentato da un giorno all'altro senza preavviso, appena poco dopo le feste, tanto che inizialmente si era pensato ad un'infiammazione dovuta al cenone natalizio. Il dolore però era troppo concentrato in un punto soltanto e troppo sordo perché si trattasse di una semplice infiammazione. Al cervello la spiegazione non era mai sembrata sufficiente, così le indagini si erano spostate verso l'appendice. Il dolore andava aumentando e bruciava ad ondate, inoltre – dopo un primo rilevamento – si era spostato verso il basso, per cui la tesi dell'appendicite aveva retto per un po'. Cistifellea ricordava bene che nel momento esatto in cui si era paventata l'ipotesi, il governo razionale era caduto per lasciare spazio al panico. Per quasi quattro ore, nessuno degli organi interni aveva funzionato a dovere. Soprattutto il cuore che era andato su di giri e i polmoni che, come sempre quando il panico rovesciava il governo centrale, si erano chiusi incuranti di qualsiasi altra cosa – Cistifellea ancora doveva capire che razza di sistema di difesa fosse quello di togliere ossigeno a tutto il corpo – con il risultato che era stato difficile abbassare i livelli di panico quando quelli dell'ossigeno che arrivava al cervello erano ai minimi storici.
L'idea di vedere un medico non era passata nemmeno per l'anticamera del Cervello o, se c'era passata, probabilmente una qualche segretaria molto distratta aveva poi perso il fax o l'aveva messo sulla scrivania sbagliata. Oppure, come in effetti Cistifellea sosteneva ormai da anni, c'era qualcuno hai piani alti che non era evidentemente lì a fare il bene del popolo che stava governando e per qualche motivo che le sfuggiva totalmente, trovava più favorevole ai propri interessi farlo soffrire come una bestia piuttosto che andare dal medico e risolvere i problemi. Un ragionamento che fuori di lì poteva anche avere una sua logica, soprattutto in previsione di un espatrio verso un altro paese dopo aver rubato, truffato e, in generale, fatto il cazzo che uno voleva; ma non è che il cervello potesse andare da chissà quale altra parte una volta fuori di lì. Dal punto di vista di Cistifellea era un po' come stare seduti su una barchetta a remi in mezzo ad un lago e fare un buco sul fondo senza avere la minima nozione di come si nuoti.
Ad ogni modo, l'attacco era finito così com'era iniziato. Nessuno aveva ben capito che cosa fosse successo ma il pericolo era rientrato e dal Cervello nessuno aveva più voluto risollevare la questione. I giornali del mattino non ne avevano fatto parola e Cistifellea l'aveva trovata una cosa disgustosa. Era stato allora che aveva cominciato a notare i cambiamenti, non tanto perché fossero evidenti, ma perché in effetti lei – a differenza di chiunque altro – li stava cercando.
Inizialmente era stata solo qualche faccia poco conosciuta in mezzo al traffico cittadino. Il territorio era piccolo e Cistifellea conosceva chiunque, non era come giù al sud - nello Stomaco e nell'Intestino – dove il flusso turistico era cento volte più intenso e per la polizia locale era praticamente impossibile sapere chi frequentasse il territorio.
Il capitano aveva fatto richieste di verifica al comando centrale, come voleva il regolamento, ma ovviamente non era stata ascoltata, anzi l'avevano accusata di paranoia e, dal momento che dopo il primo avvenimento in effetti non era più successo niente di simile e, tra le altre cose, i suoi avvistamenti si erano poi ridotti di numero, anche lei aveva abbassato la guardia ed era tornata a fare quello che faceva di solito, ossia dirigere i flussi di bile che venivano prodotti dagli epatociti e che dovevano essere immagazzinati in attesa del processo digestivo.
Era un lavoro di grande responsabilità ed organizzazione e i suoi livelli di stress erano sempre alle stelle. I camion che portavano i bidoni di bile non erano mai in orario o non avevano la documentazione adeguata o, e questa era la parte peggiore, ne arrivavano troppi o troppo pochi e lei finiva per avere problemi di parcheggio.
Quando la sera tornava in ufficio stravolta, aveva soltanto voglia di andare in pensione, magari in un posto tranquillo, anche se non aveva ancora ben deciso quale potesse essere giacché in quel corpo si finiva per fare un dramma di qualsiasi cosa.
Poi un giorno le cose erano precipitate in maniera drastica e lei aveva finito col darsi dell'imbecille perché era convinta che avrebbe potuto evitare quello che stava accadendo semplicemente continuando ad indagare sulle persone sospette e ignorando – come aveva sempre fatto – gli ordini dall'alto che la volevano zitta e buona nel suo angolino dimenticato da tutti.
Il capitano Cistifellea era famosa, infatti, per fare bianco quando le si diceva di fare nero e nero quando le si diceva di fare bianco, per non parlare di quando ne faceva di tutti i colori se le era stato espressamente detto di non fare un accidente. Quella volta lì però no, forse perché si era stancata di non essere mai creduta e degli ordini menefreghisti del Comando Centrale o forse perché anche lei era caduta nell'errore di credere che certe cose a lei non potessero mai capitare. Semplicemente non ci aveva pensato.
Il dolore era iniziato lentamente, una specie di fastidio sordo, concentrato nella zona dello stomaco ma non individuabile precisamente. I Ricettori del Cervello erano subito intervenuti con un'indagine a tappeto ma quello che ne era venuto fuori era che il dolore sembrava provenire un po' da ogni parte. La Bocca dello Stomaco si era subito lamentata di accusare fastidio fino ai margini più esterni, verso la Schiena, e gli uomini di Cistifellea – che lei per altro aveva mandato in avanscoperta molto prima che arrivasse qualsiasi richiesta da parte del Cervello – sostenevano che ci fosse un principio di infiammazione anche se non riuscivano ad individuarne le cause. Quando anche la vescica aveva iniziato ad accusare un senso di pesantezza - “Come se Cistifellea ci stesse pesando addosso,” queste erano state le esatte parole del comunicato, di fronte alle quali Cistifellea non aveva potuto fare a meno di scoppiare a ridere di cuore. C'erano almeno tre diversi organi tra lei e la Vescica, se avesse fatto tanto di ingrossare al punto da pesargli addosso, allora forse sarebbe anche scoppiata da un momento all'altro. A volte si chiedeva se lì dentro qualcuno avesse anche solo una vaga idea di com'erano posizionati gli organi. Eppure ricordava delle lezioni di anatomia a scuola! – a quel punto il problema era già così radicato che era troppo tardi per intervenire dall'interno.
Il dolore si era fatto più intenso ad ogni minuto che passava e la Bocca dello Stomaco aveva iniziato a vedere i primi reflussi, riversando qualsiasi tipo di accusa su Cistifellea, naturalmente. E, mentre le visite al bagno si facevano sempre più frequenti, Cistifellea aveva dovuto ammettere che le cose dalle sue parti cominciavano a non funzionare. Così era scesa in prima linea con i soldati ed erano iniziati i rastrellamenti. Il primo dei Calcoli era stato avvistato verso l'ora di cena, un bastardo di non più di qualche millimetro, tutto colesterolo e muscoli. Cistifellea ne aveva visti così solo in qualche brutto film d'azione di serie zeta. Lei e i ragazzi avevano beccato il tipo sulla strada per le vie biliari ma tutto ciò che avevano potuto fare era stato impattare contro di lui con tutta la jeep e deviarlo dalla sua traiettoria originaria. Questi bastardi avevano un unico compito che era quello di bloccare i condotti della bile, innescando le contrazioni dell'organo, e creare quanto più casino possibile, dal blocco della digestione a cose alle quali generalmente nessuno voleva pensare. E Cistifellea e il resto della sua squadra non potevano fare nient'altro che spingere gli intrusi il più lontano possibile dai punti nevralgici, perché quelli erano macchine da guerra corazzate e non si fermavano davanti a niente. Erano pronti a travolgere interi squadroni di soldati armati di antispastico senza esitazione. Riuscire o morire, questo era il loro motto. E in genere riuscivano perché erano duri come la roccia e sembravano non avere nessun punto debole.
Cistifellea ricordava ancora quell'orribile prima battaglia. Dopo tre ore di scontri, il Corpo si era piegato su se stesso nel tentativo di alleviare il dolore. Le pareti di Cistifellea si erano chiuse su di loro, senza impedire il movimento dei calcoli ma rendendo più difficili le comunicazioni tra i soldati della squadra. Per trenta lunghissimi minuti, Cistifellea era stata convinta che non ce l'avrebbero fatta. Poi era arrivata la flebo e gli spasmi si erano calmati. Quando il dolore si era ritirato, tornado ad essere solo un vago indolenzimento pulsante e le contrazioni si erano calmate, permettendo alla squadra di comunicare e riorganizzarsi, i Calcoli erano spariti, nascosti chissà dove. Allora Cistifellea non sapeva che quello era stato soltanto uno delle decine di attacchi che poi sarebbero venuti in seguito. Aveva sperato che il Cervello facesse qualcosa, che si decidesse per un aiuto esterno, ma non era mai successo. C'era chi le chiedeva se si rendesse conto che un'operazione avrebbe significato la totale rimozione della sua zona di giurisdizione ma lei che poteva farci? Presto o tardi i Calcoli avrebbero trovato il modo di perforare il peritoneo e allora nessuno avrebbe più avuto una zona di cui rivendicare la giurisdizione. Si trattava solo di una questione di priorità: la sua era quella di non far crepare nessuno.
Il problema con i Calcoli era che non venivano dall'esterno. Si erano formati all'interno della cistifellea, lentamente, senza dare nell'occhio come invece avrebbero magari fatto entrando insieme alla bile che proveniva dal fegato – se questo fosse stato possibile, per dire –, in quel caso il sistema di monitoraggio li avrebbe individuati e il Capitano Cistifellea avrebbe fatto in modo di liberarsene istantaneamente. E invece no, quelli avevano messo radici proprio sotto ai suoi occhi, si erano ambientati, avevano imparato il territorio e ora lo conoscevano alla perfezione, come del resto faceva la squadra del capitano e quindi era un gioco alla pari. Non potendo più uscire dal luogo in cui erano nati senza scatenare un'infezione mortale che avrebbe anticipato di troppo il loro obbiettivo, avevano imparato a tenersi nascosti per poi agire quando più gli conveniva. E tra un attacco e l'altro si volatilizzavano come se non fossero mai esistiti. Cistifellea cercava il loro nascondiglio ormai da dieci lunghi anni e non era riuscita a scoprire che il rifugio di uno o due dei pesci più piccoli. Era una cosa frustrante.
Colette fece capolino nella stanza, bussando sulla porta aperta per annunciare la propria presenza e risvegliandola dai brutti ricordi. “Capitano, dal Cervello l'hanno cercata di nuovo,” annunciò con un'espressione più che esplicativa. Era chiaro dalla sua smorfia e dall'arricciarsi del suo nasino a punta che probabilmente il Cervello non aveva chiamato, quanto piuttosto urlato nella cornetta che il capitano si mettesse subito in contatto con la sede centrale, pena la corte marziale.
Cistifellea sospirò e allungò la mano sul cordless con aria svogliata. “Grazie Colette, li chiamo immediatamente.”
Aspettò che i riccioli della segretaria fossero di nuovo spariti nel corridoio prima di comporre effettivamente il numero e prepararsi all'ennesima lunghissima e sfibrante conversazione. La sede del Cervello non aveva un call center pronto a smistarti da un ufficio all'altro all'infinito per poi far accidentalmente cadere la linea, da loro c'era una sola segretaria pronta a dirti di no qualunque fosse il tuo problema e a riattaccarti in faccia senza sensi di colpa. Questo a meno che tu non fossi stato esplicitamente chiamato dai grandi capi.
“Sede Centrale del Cervello, buongiorno,” rispose la voce suadente di questa donna che Cistifellea non aveva mai visto ma che, dati gli standard generali, doveva essere incredibilmente bionda, incredibilmente bella e anche incredibilmente stronza.
“Capitano Cistifellea, divisione fegato. Qualcuno mi ha cercata stamattina,” ripeté per la seconda volta quel giorno. Per essere una che aveva fatto l'accademia militare ed era stata allenata a fare la guerra e a sopravvivere intere settimane in trincea, passava un sacco di tempo seduta dietro ad una scrivania a cercare di farsi passare gente o a rispondere a chi la cercava.
“Un attimo solo, capitano,” rispose cortesemente la segretaria infernale. “Le passo subito l'interno.”
Questa volta Cistifellea non fece nemmeno in tempo a capire quale musichetta le avessero propinato nell'attesa, perché dall'altro capo la risposta fu quasi immediata. “Capitano Cistifellea?”
“In persona,” commentò lei, firmando al volo fogli che Colette era silenziosamente entrata nell'ufficio a porgerle per poi sparire subito dopo. “Qualche problema?”
“No, no, non si preoccupi,” disse la voce dell'altra parte, quella del Presidente in persona. Cistifellea non poteva sbagliarsi, dal momento che ormai chiamava più lui che sua madre. “Nessun problema.”
E non poteva sbagliarsi neanche sul fatto che un problema dovesse esserci, invece. Sospirò. “Mi fa piacere, Presidente,” commentò. “A cosa devo l'onore, allora?”
Ci fu un attimo di silenzio dall'altra parte, poi il Presidente si schiarì la voce. “Questa sera è programmata una cena,” iniziò lentamente e Cistifellea capì al volo doveva stavano andando a parare, ma non disse niente. “E ho bisogno che lei mi garantisca il processo digestivo.”
“Sa benissimo che non posso farlo,” rispose il capitano. “A meno che non si tratti di un'insalata, ma dal momento che mi sta chiamando ne devo dedurre che siamo di fronte ad un apporto di grassi superiore alla norma.”
“Esattamente.”
Cistifellea scosse la testa, anche se lui non poteva vederla. “Sa perfettamente che la zona non è sicura e non possiamo rischiare. Facciamo già fatica a difendere il territorio in condizioni normali.”
“Di cos'ha bisogno?”
Il capitano sbuffò una risata più isterica che divertita. “Di un intervento esterno, Presidente,” rispose, come se non avesse passato gli ultimi dieci anni a rispondere alla domanda nello stesso identico modo.
“Terrà sotto controllo le vie biliari in via preventiva,” disse invece il Presidente, ignorando sia la risposta che l'ironia.
“Lo facciamo già e non è sufficiente,” replicò il capitano, impedendogli di continuare. “L'unica possibilità che abbiamo è trovarli prima che si mettano in moto.” Se proprio non si voleva calcolare l'intervento esterno, naturalmente. Ma Cistifellea era arrivata il punto che qualsiasi cosa diversa dall'ignorare il problema sarebbe stata un traguardo, se solo l'avessero ascoltata.
“Nel caso si rendessero necessari dei rinforzi,” continuò il Presidente, “Le invieremo una task-force.”
“Gentile da parte sua,” commentò irritata il capitano.
“Non usi quel tono con me, capitano.”
Cistifellea serrò la mascella, ma non disse niente.
“E ora, se vuole scusarmi,” continuò il Presidente, “ho altre urgenze di cui occuparmi. Conto su di lei, Cistifellea.”
La telefonata si chiuse mentre il Capitano lanciava il telefono dall'altra parte della stanza, mancando Colette di qualche centimetro soltanto.

*


Naturalmente controllare le vie biliari in via preventiva non era servito a niente, come non era mai servito negli ultimi tempi. Certo era bene evitare che venissero ostruite ma, anche quando succedeva, quello era di norma il culmine di un attacco che era magari iniziato ore prima ed era questo il punto dell'intera faccenda. Quando finalmente i bastardi si facevano vivi – qualunque fosse il nascondiglio dal quale uscivano – era già troppo tardi per impedire qualunque cosa perché quelli si mettevano in moto e iniziavano a schiantarsi sistematicamente contro le pareti cercando di sfondarle senza che la sua squadra potesse fare poi molto se non tentare di palleggiare quelle grosse palle da una parte all'altra, tra i sussulti del terreno che rendeva ovviamente complicato qualsiasi spostamento.
“Squadra due e tre a sud,” gridò Cistifellea, in cima ad una delle colline della colecisti, tuta mimetica e fucile d'assalto ben saldo tra le mani. “Squadra quattro a nord. Non voglio vederli toccare le pareti!”
Tre teste le fecero un cenno positivo e poi le squadre si divisero.
Cistifellea osservò le poche centinaia di uomini di cui disponeva scemare lungo i crinali e piombare su tre diversi calcoli, circondarli e tentare di limitare i danni. Poi fece un cenno alla squadra alle sue spalle e quindi si avviò verso est dove uno dei calcoli più grossi stava rotolando lungo le pareti più deboli. Inviò metà della squadra sulla destra e prese quel che restava per placcare il bastardo sulla sinistra. Se riuscivano a tagliargli la strada in entrambe le direzioni, il calcolo avrebbe rimbalzato contro la parete, così loro avrebbero potuto infilarsi nello spazio che il rimbalzo avrebbe creato e spedirlo altrove. Sperava solo che la parete reggesse ancora per un po', altrimenti sarebbe stato il disastro e sarebbe stata colpa sua.
Ad occhio il Calcolo raggiungeva i due o tre centimetri di dimensione, decisamente sopra la media della colonia, corazza esterna di colesterolo quasi all'80%, a giudicare dal colore, e la faccia più brutta che Cistifellea avesse mai visto.
“E' enorme, capitano!” Esclamò uno dei soldati.
“Non ci pensate, spingetelo avanti. Voglio che rimbalzi!” Gridò di rimando Cistifellea. Lei e i ragazzi piantarono bene i piedi a terra e, tendenzialmente, iniziarono a pregare di poter reggere l'impatto. Il colpo fu devastante, Cistifellea strizzò gli occhi e tentò di non ascoltare le grida di quelli che erano caduti a terra, non aveva tempo di occuparsi dei danni finché quella palla non era lontana da loro. Sentì la sua spinta e quella degli altri rimandare indietro il Calcolo che rimbalzò come previsto contro la parete, la squadra si riunì in un attimo e lo puntò con i fucili. A quella distanza potevano sparargli senza rischiare di frantumarlo. Vide i trenta getti laser colpire la massa rocciosa e spedirla aldilà della collina, lontano dalle vie biliari e, sperava, da tutti i suoi soldati.
Aspettò solo qualche istante, per assicurarsi che non ricomparisse prima di ordinare il recupero dei feriti. La radio si mise a scricchiolare contro il suo fianco. “Cistifellea,” abbaiò, cercando di sovrastare il rumore delle esplosioni.
“A...mo ...zi,” La voce arrivava a tratti, le scosse di terremoto dovute ai piegamenti erano già troppo forti.
“Ripeti soldato.”
“R... on... ppi.”
La radio emise una scarica statica e poi rimase muta. “Merda!” Cistifellea provò a battersi la radio su una mano ma non ottenne nessun segno di vita, così si guardò intorno e poi agguantò uno degli uomini che veniva da dietro la collina. “Situazione!”
“Abbiamo perso il lato sud e quello ovest, capitano,” rispose quello. “Ci servono rinforzi.”
“Stanno arrivando,” gridò lei e gli dette una pacca sulla spalla per ringraziarlo e congedarlo.
Conoscendo i meccanismi del Corpo, Cistifellea aveva chiesto rinforzi molto prima che la situazione degenerasse fino a sfuggire al loro controllo. Non potendo sperare in una flebo, che avrebbe di certo risolto gran parte dei loro problemi in tempi brevi, il capitano sapeva che avrebbero spedito del N-butilbromuro in pastiglie e quelle ci avrebbero messo ore ad attraversare lo stomaco, sempre che da quelle parti le facessero passare. Cistifellea pregò che non facessero storie o che non le assorbissero com'era già successo perché altrimenti, prima di crepare, avrebbe trovato il modo di risalire lungo il tubo digerente e fare a pezzi chi di dovere con le sue mani.
Rimise la radio nella fondina al suo fianco, imbracciò il fucile e quindi riprese ad abbaiare ordini. Riunì le quattro squadre sul versante est della collina dove ormai erano concentrati tutti i Calcoli e mentre ne colpiva uno per evitare che schiacciasse uno dei suoi, sperò che avessero tutti abbastanza forze per resistere fino all'arrivo dei rinforzi. Non ne era sicura.

*


Venti minuti dopo le erano rimaste soltanto due squadre, un terzo delle quali ferito. “Piegate a destra!” Gridò ansimando, un ginocchio ancora a terra dopo che si era chinata a controllare che uno degli uomini fosse ancora vivo. “Sta tranquillo, ti porto via di qui,” sussurrò all'uomo ai suoi piedi. “Ce la farai. Ce la faremo tutti.”
Quello si lamentò senza poter dire qualcosa di più comprensibile. Aveva una gamba a pezzi e a giudicare da tutto il sangue che stava sputando, nemmeno i suoi organi interni stavano benissimo.
“Capitano...”
“Non parlare,” gli ordinò lei, infilandosi il fucile in spalla e afferrandolo saldamente per i polsi. “Ti sto portando via di qui. Nessuno viene lasciato indietro.”
Il soldato gorgogliò altro sangue: forse poteva evitare di lasciarlo indietro, ma di certo non poteva evitare di seppellirlo subito dopo. Ringhiò e prese a trascinarlo. Qualcuno, nel buio creato dalla polvere gridò che coprissero la sua ritirata e poi partì la grandinata di proiettili che avrebbe permesso a lei e al ferito di mettersi al sicuro. Non aveva più la forza di ricordare a tutti che non dividessero i calcoli. Tanto a cosa poteva servire? Erano nella merda fino al collo, peggio di così non poteva andare.
Il capitano Cistifellea trascinò il corpo del soldato ferito lungo l'interminabile crinale della collina. Intorno a lei, il fragore delle esplosioni e le grida degli uomini che tentavano ancora di arginare l'assalto dei Calcoli che non sembravano perdere terreno nemmeno un po'. Cistifellea non dubitava che questa volta avrebbero tentato di sfondare, scatenando la peritonite. Era solo questione di tempo. Sistemò il soldato contro il muro della base e gli versò un po' d'acqua sulle labbra. “Coraggio,” mormorò, riprendendo fiato.
Fu allora che sentì il rumore inconfondibile di un calcolo che rotolava nella sua direzione. Si girò solo per guardare in faccia la morte, non per essere certa di cosa le stava arrivando addosso, quello già lo sapeva. Il Calcolo, uno di quelli grossi, spuntato da chissà dove, avanzava verso di lei ad una velocità impossibile perché lei potesse anche solo pensare di alzarsi e reagire. Chiuse gli occhi e pregò che fosse indolore, non voleva agonizzare sul pavimento di un organo che stava letteralmente per esplodere. “Portami via in fretta,” mormorò. “Non farmi soffrire.”
Sentì il rumore dell'impatto ma non il dolore. Qualcuno doveva averla ascoltata.
“Non ti facevo così epica, Cis,” rise una voce maschile.
Cistifellea aprì prima un occhio e poi l'altro, cercando di capire se fosse ancora viva oppure no. Di fronte a lei c'era un uomo che le sorrideva e le tendeva la mano. Indossava una tuta mimetica e sull'elmetto aveva tre vistose strisce, una gialla e due verdi. “Buscopan!” Esclamò lei mentre si tirava su in piedi con il suo aiuto. Non poté fare a meno di apparire sollevata anche se si sarebbe uccisa piuttosto che ammetterlo.
“In carne ed ossa,” commentò lui, senza perdere il sorriso. “Beh, si fa per dire.”
Lei rimase a guardarlo per qualche istante, come se non credesse ai propri occhi e lui sembrò riempirsi d'orgoglio di fronte allo sguardo di lei. Finché Cistifellea non lo spintonò indietro per passare e recuperare l'elmetto che le era caduto .
“Non avevo bisogno né delle tue quattro ossa né di te,” ringhiò il capitano, cercando di dissimulare la vulnerabilità appena dimostrata. “Me la stavo cavando benissimo da sola.”
Buscopan alzò gli occhi al cielo e si sistemò meglio il fucile laser su una spalla. “Certo, naturalmente,” annuì ironico. “Non ti preoccupare, non dirò a nessuno che ti sei fatta salvare.”
“Io non mi sono fatta salvare!” Puntualizzò lei, voltandosi e piantandogli un dito in mezzo al petto. “Sei stato tu a salvarmi senza permesso.”
“La prossima volta lascerò che le palle di roccia ti spianino come pasta per la pizza, promesso,” ridacchiò lui andandole dietro passo passo. “Almeno finché non mi scriverai di tuo pugno il permesso di salvarti, s'intende.”
“Piantala di fare il cretino,” commentò Cistifellea, sistemandosi i ciuffi biondi sotto l'elmetto che aveva appena allacciato al mento. “Comunque non ci sarà un'altra volta. Siamo finiti. E tu sei arrivato troppo tardi, come al solito.”
“Non è colpa mia se ci fermano allo Stomaco!” Replicò, aiutandola a trasportare il soldato ferito all'interno della base, senza che si fossero messi d'accordo per farlo. “Ho perso quattro dei miei lassù.”
Cistifellea non rispose. In silenzio, adagiarono il soldato su una brandina e lo lasciarono alle cure delle due infermiere di cui disponevano e che stavano già facendo l'impossibile con le centinaia di feriti che erano arrivati.
“Quanti uomini hai con te?” Gli chiese il capitano, quando furono di nuovo fuori.
“Tre squadre da 100,” rispose lui.
Cistifellea sospirò, scuotendo la testa. “Non basteranno. I Calcoli sono aumentati. Ne abbiamo contati almeno una decina, tre dei quali sopra il centimetro. I miei uomini sono stanchi e i tuoi troppo pochi per fermarli. E poi...” L'ennesima scossa quasi li gettò entrambi a terra. Le pareti dell'organo si contraevano e rilassavano a distanza di pochi decimi di secondo. “... vedi? Stanno aumentando.”
“Io sono qui per questo.” S'indicò sorridendo. “Sono un antispastico, ricordi?”
“Come diavolo fai ad essere tanto tranquillo in una situazione del genere?” Lo guardò incredula, come si guardano i pazzi quando non sanno di esserlo e si ha pietà di loro.
“E' facile quando hai tre cariche da 10 mg di N-butilbromuro già piazzate in punti strategici da far esplodere,” rispose lui, indicandole una ad una e godendosi l'espressione di lei che si meravigliava di più ad ogni carica indicata.
“Non ci credo,” commentò il capitano, gli occhi sgranati.
“Credici perché è vero,” Buscopan coccolava le sue cariche con gli occhi.
“Ma è un sovra-dosaggio. Potrebbe fare danni.”
“Peggio di così?” Buscopan spalancò le braccia indicando il campo di battaglia. “Se non usiamo le cariche, i tuoi Calcoli sfonderanno le pareti e possiamo dire addio anche al Pancreas, se invece usiamo le cariche di certo salviamo questo posto. Sì è vero, c'è un cinquanta percento di possibilità che lo stomaco subisca dei danni, ma è un rischio che possiamo correre, che ne dici?”
Il capitano Cistifellea dovette ammettere che aveva ragione. “Dico che il cinquanta percento è una buona percentuale,” sorrise lei. “Dimmi che cosa devo fare.” Lui le lanciò un'occhiata molto esauriente. “E niente battute dozzinali.”
Il moro scoppiò in una risata argentina. Una di quelle che lei si ricordava per giorni anche dopo che l'attacco era passato e Buscopan non era più lì. Una di quelle che lei non ammetteva di ricordare mai, per altro. “Le cariche sono già al loro posto, ho solo bisogno che la tua squadra attiri quei bestioni nei punti giusti. Credi di poterlo fare, bambolina?”
Cistifellea annuì. “Li avrai esattamente sopra,” commentò. “Ma chiamami bambolina un'altra volta e ti giuro che non sarà attraverso il sangue che verrai evacuato, stavolta!”
“Ouch!” Lui fece una smorfia. “Questa sì che è una minaccia! Sai che la segretaria dei piani alti mi ha detto la stessa cosa?”
Cistifellea aspettò che avessero raggiunto entrambi la cima della collina per riprendere fiato e rispondergli mentre si stendevano a terra per prepararsi all'attacco. “Chi, la strega?”
“Se è così che chiamano adesso le belle bionde con due tette enormi e un culo da urlo, allora sì.”
“Sei un uomo schifoso,” commentò lei osservando la zona col binocolo a infra-rossi.
“Mi ha detto anche questo,” esclamò lui, quasi euforico. “E vi assomigliate pure. Se non sapessi che sei figlia unica, direi che siete gemelle.”
“Tu non sai che sono figlia unica,” disse Cistifellea, senza staccare gli occhi dal binocolo.
“E' la tua gemella?” Chiese lui, quasi scardinandole una spalla per costringerla a girarsi verso di lui.
“No!” Fu la risposta.
Se avesse potuto, Buscopan avrebbe abbassato anche le orecchie oltre alle spalle. “Peccato.”
“E per cosa di grazia?”
“Stavo immaginando come sarebbe stato vedervi limonare se fosse state gemelle.”
“Dio Bu, piantala!”
“Era solo un filmino!”
“Beh ti sarei molto grata se tenessi i tuoi filmini ben chiusi nella tua testa e non me ne rendessi partecipe, grazie!”
“Ma il problema è che nel mio filmino stai limonando con la tua gemella o che stai limonando con una donna?”
“Taci.” Cistifellea recuperò la propria radio. Le scosse si stavano diradando, anche se molto lentamente, per la presenza degli uomini di Buscopan, così adesso le trasmissioni erano un po' più chiare. Il capitano dette pochi e semplici ordini che vide eseguire all'istante sotto i propri occhi.
“Saranno tutti in posizione fra sessanta secondi.”
Buscopan mostrò i tre detonatori. “Sono pronto.”
Attesero in silenzio che il tempo trascorresse, gli occhi di Cistifellea attenti e puntati sui bersagli, quelli di Buscopan che guardavano un punto imprecisato di fronte a loro. Mancavano tre secondi quando le chiese: “E' per la storia della gemella, vero?”
Lei si voltò ad urlargli ma a quel punto lui fece saltare le cariche.

*


Quando la nebbia si diradò, la prima cosa che il capitano notò fu che il movimento era cessato, di qualunque tipo di movimento si trattasse. I soldati erano stesi a terra, storditi ma vivi e le pareti della cistifellea erano immobili, salvo il lieve tremore che ne indicava il funzionamento. Dei Calcoli non c'era più traccia: ovunque fosse il loro nascondiglio, c'erano tornati di corsa. Non avevano risolto la situazione per sempre, ma potevano tirare il fiato almeno fino al prossimo attacco.
Cistifellea fece una smorfia e strizzò gli occhi. L'esplosione delle cariche le aveva lasciato un forte fischio nelle orecchie e l'aveva scaraventa in fondo alla collina. Sentiva il dolore ritirarsi, come l'onda appena infranta sulla spiaggia. Adesso era lontano, pulsante ma innocuo.
“Cis, tutto bene?” Era la voce di Buscopan da qualche parte alla sua destra.
“Credo di sì,” mormorò, ancora confusa. La raggiunse prima che lei potesse rendersi conto di dove si trovasse o cosa fosse davvero successo. Cistifellea si sentì tirare su in piedi e si appoggiò a lui senza nemmeno pensarci.
“Sei un po' impolverata ma intera,” constatò lui con un sorriso. Sotto la polvere dell'esplosione che gli ricopriva il viso, Cistifellea riusciva a vedere solo i suoi occhi neri e luminosi e i denti bianchissimi.
“Che mal di testa,” si lamentò, inciampando nelle sue stesse gambe e in quelle di lui.
“E' stato un bel botto, in effetti. Vieni, siediti un attimo.”
Lei si lasciò maneggiare senza protestare mentre l'elmetto le cadeva dalla testa, lasciando i suoi boccoli biondi liberi di scenderle lungo la schiena. “Come stanno i miei ragazzi?”
“Qualcuno ha gracchiato qualcosa in quel trabiccolo che ti porti dietro,” rispose Buscopan, indicando la sua ricetrasmittente dell'anteguerra. Su ai polmoni avevano già le ricetrasmittenti a vibrazione vocale e loro invece quelle dismesse di dieci anni prima. La questione dei fondi e il loro utilizzo erano un altro tasto dolente da non toccare mai con Cistifellea. Erano dieci anni che la consideravano un organo di serie B soltanto perché poteva essere rimossa. “Dicono che le squadre sono salve. Una decina di feriti ma nessun altro morto.”
Cistifellea annuì anche se non aveva esattamente l'aria di sapere a che cosa. “Bene,” mormorò, guardandosi intorno. “Che cos'hai combinato esattamente?”
“Ti ho salvato il sedere, tesoro.”
Lei sorrise. “Cerca di essere più specifico.”
“Le tre cariche sono esplose contemporaneamente, proprio mentre i sassi erano sopra, grazie all'ottimo lavoro della tua squadra. Il buon vecchio N.B. Ha fatto il resto. Bam!” Buscopan mimò l'esplosione con le dita, teatrale come suo solito. “Le pareti della cistifellea si sono fermate all'istante. Niente più spasmi, niente più rimbalzi per i conglomerati di colesterolo. Sarebbe stato un momento perfetto per disintegrarli.”
“Non possiamo, lo sai. I pezzi più piccoli risalirebbero le vie biliari e finirebbero dritti nel pancreas,” spiegò Cistifellea che stava iniziando a riprendere coscienza di sé. “E l'ultima cosa che ci serve è una pancreatite cronica. Questo Corpo ha già abbastanza problemi così com'è.”
“Allora non resta che un intervento esterno.”
Cistifellea fece una risatina rassegnata. “Perché non glielo spieghi tu, stavolta?” Chiese. “Scommetto che domattina liquideranno l'accaduto come una semplice indigestione. Potresti fare pressione sulla tua bella segretaria.”
Buscopan fece una smorfia. “Naa, non so se lo farò,” mormorò per poi piegare la testa verso di lei e guardarla in quel modo che avrebbe sciolto i Calcoli se fossero stati donne e magari un po' innamorate. “Mi mancheresti.”
Lei arrossì e abbassò gli occhi sulle mani.
Anche tu, pensò. Ma non lo disse.

*


“Presidente io non credo che... “ Cistifellea aspettò che l'uomo le rifilasse le solite tre o quattro idiozie riguardo al fatto che non era il caso di allarmarsi, che il territorio sotto la sua giurisdizione stava egregiamente e che lei di certo era anche fin troppo zelante, quindi continuò per la sua strada, come se non le fosse stato detto assolutamente niente. “... credo che lei non abbia ben chiara la situazione.”
Il Presidente serrò la mascella e anche se lei non poteva vederlo, le bastò il tono della voce per immaginare che lo avesse fatto. “Capitano, vuole forse insegnarmi a fare il mio lavoro?”
Cistifellea avrebbe davvero tanto voluto dirgli di sì, ma si trattenne anche questa volta. “No, signore, vorrei solo farle capire il mio punto di vista.”
“Ma io lo capisco perfettamente, capitano, e ammiro il suo zelo,” esclamò il Presidente. Il suo tono tornò rilassato, fresco e gioviale. Quasi amichevole al punto di essere nauseante. Cistifellea avrebbe voluto dirgli che non era sua figlia e che anche se lo fosse stata, di certo non avrebbe voluto farsi trattare con questo tono condiscendente. “La task force che le è stata mandata non era sufficiente?”
“E' stata provvidenziale, signore, quello che dico è...”
“Allora non abbiamo niente di cui preoccuparci, dico bene?” Chiese il Presidente, senza per altro aspettarsi una risposta. “I suoi uomini si sono comportati egregiamente, capitano. Ci stiamo organizzando per consegnare delle onorificenze alle famiglie delle vittime.”
“Questo è molto toccante,” commentò rassegnata. Ed è anche un modo come un altro di cambiare argomento, pensò tra sé. “Lo dirò ai ragazzi.”
“Ottimo lavoro, capitano.”
Cistifellea sospirò e premette il pulsante per chiudere la chiamata. Le mancavano almeno dieci ore di sonno per potersi davvero arrabbiare. Decise che poteva limitarsi a pensare cose pessime del presidente. Per il momento le offese potevano bastare, poi, con più calma, avrebbe ripreso a tartassare i piani alti perché le dessero retta.
“Toc toc, posso entrare?” Esclamò Buscopon, senza bussare veramente.
Cistifellea alzò la testa e gli dedicò lo sguardo più stanco che avesse mai posato su qualcuno. Buscopan, invece, sembrava fresco come una rosa, accidenti a lui! Aveva perfino trovato il tempo di togliersi la divisa e presentarsi in abiti civili: pantaloni larghi, camicia aperta e canottiera nera, sulla quale svettavano le sue lucidissime piastrine identificative.
“Fa pure,” mormorò, mugolando.
“Ero passato in ospedale a vedere come stavi, ma mi hanno detto che sei scappata.”
Lei sbuffò. “Avevo delle cose da fare.”
“Non hai dormito un minuto, eh?”
Cistifellea scosse la testa.
Buscopan si staccò dal vano della porta con una spallata lenta e calcolata e le sventolò davanti un sacchetto di carta e un bicchiere da passeggio. “Ecco perché ti ho portato la colazione.”
“Abbiamo appena avuto un attacco.”
Lui annuì e si sedette sulla scrivania, appoggiando sacchetto e bicchiere proprio sotto il suo naso. “Sì, ma tanto sono i grassi a farti male, non gli zuccheri.”
Cistifellea gli sorrise, un po' in imbarazzo. “Grazie, allora.” Addentò la brioche e mugolò estasiata, rendendosi conto di avere una gran fame. Lui avvicinò la sedia alla scrivania e ci si sedette sopra al contrario, appoggiando la testa sulle braccia incrociate mentre la osservava sorseggiare la sua cioccolata calda. Non dissero una parola finché lei non finì di mangiare e sbadigliò.
“Dovresti dormire un po',” mormorò lui.
Cistifellea si accomodò meglio sulla propria poltrona, la testa appoggiata allo schienale e gli occhi fissi su di lui. “Te ne vai di già?” Chiese.
“No, rimango ancora un po'.”
“Quanto tempo ti resta?”
Buscopan si strinse nelle spalle, l'iridescenza rossastra del fegato dava alla sua pelle una sfumatura morbida. “Rimango qui finché non ti addormenti.”
Cistifellea sorrise e chiuse gli occhi.

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