Personaggi: Fler, Chakuza, Bill, Bushido
Genere: Commedia
Avvisi: Slash
Rating: PG 13
Prompt: Storia scritta per la maritombola di Mari di Challenge (prompt nr. 66: "Perché dovrei farlo io al posto tuo?").
Note: Io che scrivo di un Chakuza così poco carino nei confronti di Bill è credibile come la neve in pieno agosto, ma ci stava perché il fulcro della narrazione (senti come parlo difficile, nemmeno le scrivessi con un minimo di senso, queste storie!) erano Chakuza e Fler e la loro incredibile frustrazione di fronte ad una principessa tanto fastidiosa.

Riassunto: Fler annuì, lentamente. “Posso chiedere perché dovrei farlo io al posto tuo?”
PRINCESS BABYSITTING


C'erano volte in cui Fler si era chiesto per quale motivo lui e Bushido avessero litigato.
Durante le lunghe notti Berlinesi, col solo conforto di una birra tremenda nella bettola più sconosciuta del ghetto, si era domandato perché avessero litigato - cioè, non il vero motivo, quello lo sapeva, più che altro il motivo per il quale avevano deciso che quel motivo era valido per continuare a litigare. In fondo, non era poi successo un granché: Eko aveva messo le mani in un barattolo di marmellata non suo e lui aveva trovato giusto offenderlo pesantemente per questo. Bushido la pensava diversamente, d'accordo, ma erano cose che si potevano risolvere, giusto? Lo aveva pensato spesso e poi, ubriaco come un tacchino, non aveva saputo trovare la risposta e si era addormentato scomposto sul divano di casa sua.
Adesso, dopo molti anni di faida e qualche mese di riappacificazione sotto i riflettori, Fler si chiedeva esattamente il contrario: perché mai non avevano continuato a litigare, offendendosi a turno per qualsiasi stronzata e, possibilmente, cercando di prendersi vicendevolmente per il culo ogni volta che facevano uscire una canzone?
La birra non aveva una risposta neanche stavolta, anche se era costosa e servita in un bicchiere di vetro finissimo, nella hall di un albergo a troppe stelle nel centro di Los Angeles.
Il problema era che, come al solito, a decidere tutto era stato Bushido. Il tunisino era un uomo che non ti chiedeva se volevi fare qualcosa o, al massimo, come volevi farla. Ti diceva come, quando e perché l'avresti fatta, qualche minuto prima che succedesse, quindi Fler era passato dall'una all'altra domanda tempo zero. In più si erano aggiunte al problema altre questioni che inizialmente non aveva previsto, e che al momento complicavano la sua vita in maniera non indifferente.
Una delle due, la più alta, era attualmente nel suddetto albergo, a fare Dio-solo-sapeva cosa. L'altra, la più bassa, gli sedeva davanti, su una poltrona in pelle bianca, con un broncio da manuale e una birra austriaca.
Fler sospirò e bevve un altro sorso di birra, nel tentativo d far passare altri due o tre secondi, giusto per ridurre il tempo d'attesa. Chakuza, dal canto suo, si appoggiò allo schienale della poltrona, sbuffò come una vecchia zitella inacidita e gettò uno sguardo annoiato fuori dalle porte scorrevoli dell'albergo.
Fler sospirò di nuovo a quell'ennesimo tentativo di farsi notare e quindi decise che, se doveva aspettare, tanto valeva passare il tempo dandogli ascolto. "Che cosa-"
"C'è che mi sono rotto le palle," rispose Chakuza, prima ancora che potesse finire di fare la domanda.
"Di cos-"
"Di Bushido e della Principessa. Che poi devi spiegarmi perché continuiamo a chiamarlo con questo nome del cazzo. E' un ragazzo, Cristo Santo."
Chakuza bevve un altro sorso della sua birra austriaca e poi riappoggiò la bottiglia sul tavolo, ignorando del tutto il suo bicchiere di vetro finissimo. Si sistemò il cappello e Fler attese che si calmasse prima di aprire bocca di nuovo. "Non sei stato tu a chiamarlo co-"
"Era un'offesa!" Sbraitò Chakuza, agitandosi tutto.
"Vuoi farmela finire una domanda o no?" Commentò Fler, guardandolo torvo. Chakuza sostenne lo sguardo dei suoi occhi azzurrissimi ancora un po', poi espirò come fanno i veri uomini duri e quindi gli fece cenno di proseguire.
Fler si appoggiò alle proprie gambe con gli avambracci e addolcì lo sguardo. "Sono solo le dieci del mattino. Lo recuperiamo, lo portiamo dove dobbiamo portarlo, ce lo lasciamo e a quel punto siamo assolutamente liberi di fare quello che avevamo deciso di fare."
"Che era rimanere a letto per le prossime 48 ore. Direi che siamo già fuori programma," borbottò Chakuza.
"Ok.. ok.." Fler decise per la via dell'accondiscendenza. "Non proprio come lo avevamo deciso, ma nessuno ci vieta di tornare in camera."
Fler aveva scoperto di essere bisessuale e che gli piacevano gli uomini muscolosi e calvi tutto nello stesso momento, il che era stato un grande shock da dover superare. Senza contare poi che la più grande rivelazione della sua vita dopo il fatto che le fragole gli facevano venire le bolle, era avvenuta subito dopo la riconciliazione con Bushido e la conseguente campagna pubblicitaria per il CCN2. Gestire Bushido in pieno fervore mistico da fratellanza del ghetto, la propria consapevolezza di voler effettivamente scopare con Chakuza e trattenere l'austriaco dal farlo ad ogni angolo di strada era stata un'impresa titanica, dalla quale era uscito spossato e senza più forze. E quando pensava di essere ormai salvo - con Bushido distratto dalle riprese per il film - aveva organizzato quella piccola vacanza per calmare anche Chakuza, il quale, abituato ad una discreta media era un uomo estremamente sacrificato al momento.
Peccato che a Los Angeles, il luogo che aveva scelto per chiudersi dentro un albergo e dare sfogo alla sua nuova omosessualità, fosse venuto anche Bushido per assecondare i capricci della sua Principessa e peccato che il suddetto Bushido si fosse trovato a dover affrontare certi impegni telefonici improrogabili per cui Bill ora era nelle loro mani. E per quanto centinaia di ragazzine trovassero la cosa assolutamente idilliaca sui forum di mezzo mondo, loro due erano molto, molto seccati.
“Ma quanto ci sta mettendo?” Chakuza guardò l’orologio che non gli comunicava un’ora granché differente da due minuti prima, quindi gettò un’occhiata molto infastidita alle scale da dove, presumibilmente, Bill sarebbe sceso, avvolto in una nuvola di profumo e in uno scintillare di lustrini. “Perché si restaura ogni volta che deve uscire? Fosse carino, poi.”
Fler sbuffò una risata, badando di non farsi vedere. Ricordava perfettamente la faccia di Chakuza, la settimana prima, quando Bill si era presentato in tutta la sua principesca figura, con un nuovo taglio di capelli, un nuovo trucco e l’intero guardaroba di Kelly Rowland. Per una gloriosa frazione di secondo l’intera Ersguterjunge aveva creduto di avere finalmente di fronte una donna vera, poi Bill aveva aperto bocca e – nel recuperare la borsa – aveva mostrato due braccia da spaccalegna del Canada, e la magia si era infranta.
Fler aveva ancora ben chiara in testa l’espressione estasiata di Peter Pangerl un attimo prima che le sue illusioni paradisiache venissero fracassate sotto l’impietoso tacco dodici di un ragazzino alto quasi due metri capace di ancheggiare come una diva del cinema. Aveva provato della pietà per quell’uomo. Davvero. Doveva esserci un limite al dolore che gli veniva inflitto ogni volta che, per colpa di una memoria labile, si dimenticava sia che la donna del suo capo era un uomo, sia che lui stesso scopava con un uomo. Chakuza era una persona difficile.
Quando ormai Fler si era già rassegnato a vedere la bocca di Chakuza aprirsi di nuovo e riversare nell'aria un'altra sequenza di sproloqui infastiditi, la porta dell'ascensore si aprì per mostrare al mondo l'esile figura della principessa, inguainata in un paio di pantaloni di pelle e nascosta dietro un paio di occhiali enormi. “Siete qui,” esclamò senza naturalmente scusarsi per l'increscioso ritardo, per poi frugare nella borsa e tirarne fuori un foglietto che passò a Fler. “Questa è la lista.”
Fler scorse velocemente la ventina, forse più, di negozi segnati sul piccolo pezzo di carta. “In quale dobbiamo...”
“In tutti, naturalmente,” Bill si guardò intorno. “Dov'è la macchina?”
“Sul retro,” rispose Chakuza, tanto per darsi qualcosa da fare in alternativa all'omicidio. “Qua davanti c'è già un gruppo di ragazzine scalmanate che smaniano per vederti.”
Bill si avviò alla macchina senza una parola di più e i due lo seguirono sospirando.
“Quanti negozi ci sono là sopra? Venti? Trenta?” Sbottò Chakuza sibilando, certo che la sua voce sarebbe stata coperta dal furioso ticchettio dei tacchi di Bill. “Ci metteremo tutta la giornata.”
“Vedrai che si stancherà prima.”
“Non gli darò il tempo di stancarsi,” sbottò Chakuza. “Io prendo l'autostrada e lo lascio al primo autogrill come un cucciolo di cocker, con il collarino brillantinato!”
Fler nascose a stento una risata, che finì per uscirgli dal naso come un borbottio confuso.

*


Mentre Bill si provava il centoventiseiesimo paio di pantaloni, che poi puntualmente non avrebbe comprato perché troppo stretto, troppo fuori moda, troppo rosso oppure troppo giallo, tanto che ti veniva da chiederti perché avesse in primo luogo scelto proprio quel modello, Fler ripensò a come e perché lui e Chakuza erano finiti in quella situazione.
Ripensò a come Bushido si fosse presentato da lui in tutto lo splendore dei suoi trentuno anni appena compiuti e con un sorriso da pubblicità del dentifricio avesse esclamato: “Patrick, ho un compito per te,” che in lingua corrente suonava più o meno come: Qualunque fossero i tuoi piani per la giornata, li ho appena cambiati e a te non resta che annuire.
Fler, naturalmente, aveva annuito, perché lo faceva da dieci anni e perché tanto sapeva che ad iniziare una discussione con il re dei re non se ne cavava mai niente di buono e, generalmente, si perdeva più tempo che a dargli retta subito.
“Bill vuole andare a fare shopping oggi ma non posso accompagnarlo,” aveva spiegato il sovrano, mentre guardava fuori dalla finestra scostando leggermente le tende. Un'abitudine che difficilmente si sarebbe tolto, anche se era difficile che in pieno centro a Los Angeles sarebbe arrivato qualcuno a sparargli da una finestra.
“Che cosa incresciosa,” aveva commentato Fler, ironico.
“Già, gli avevo promesso che sarei stato con lui tutto il tempo e invece ho delle questioni di lavoro da risolvere,” aveva sospirato Bushido con aria affranta e, per altro, senza rendersi conto dell'ironia dell'amico.
“Insomma, che devo fare?” Aveva chiesto Fler, tanto per accelerare i tempi, dal momento che Bushido tendeva ad essere eccessivamente drammatico in queste situazioni.
“Prendi Chakuza e insieme accompagnate Bill ovunque voglia andare.”
Fler annuì, lentamente. “Posso chiedere perché dovrei farlo io al posto tuo?”
“Prego?”
Fler non si lasciò intimorire dal sopracciglio piegato del tunisino, che era chiaramente sorpreso di non vederlo reagire con cieca obbedienza. “Voglio dire, siamo approdati in America con un esercito di guardie del corpo pronte a smontare ogni ipotetico aggressore della tua bella principessa come un tavolino dell'IKEA. A cosa serviremmo io e Chakuza?”
Bushido sospirò. “Siamo in vacanza, Fler,” spiegò con calma. “E a Bill non piace essere circondato da guardie del corpo anche quando sta comprando vestiti. Anzi, soprattutto quando sta comprando vestiti. Solo che non può veramente uscire da solo senza che lo infastidiscano. Voi dovete proteggerlo, senza stargli troppo addosso.”
“Capisco.”
Fler aveva capito, sostanzialmente, che Bill voleva fare shopping senza guardie del corpo, ma anche senza che nessuno gli rompesse le palle. Una cosa pressoché impossibile se eri una star del suo calibro che, per l'appunto, aveva anche sfondato in America proprio di recente. Solo che nessuno poteva far notare al ragazzino la sua incoerenza intrinseca e meno che mai la si poteva far notare a Bushido, per il quale Bill era una creatura perfetta e loro una manica di stronzi, incapaci di sostenerne la bellezza e la smisurata meraviglia.
Chakuza cominciò di nuovo ad agitarsi sul pouf sul quale era seduto, di fronte ai camerini. Non disse niente di particolare, ma a Fler bastava il modo in cui muoveva gambe e braccia per rendersi conto che, se gli fosse stata data la possibilità, avrebbe probabilmente buttato giù la boutique a suon di bestemmie. “Se non altro stiamo a sedere,” provò a fargli notare.
“Non me ne frega un cazzo di stare a sedere,” sputò l'austriaco.
“Lo so.”
“E poi devi spiegarmi perché io sono qui. Lo ha chiesto a te, no?”
“No, lo ha detto a me ma lo ha chiesto ad entrambi,” precisò Fler. “E comunque non posso farlo da solo.”
“Che cosa? Stare qui seduto di fronte ad un camerino a dire ad una checca isterica se un paio di pantaloni gli fanno o meno il culo grosso? Certo è un lavoro da almeno due persone.”
“Il punto è-”
“Questi pantaloni mi ingrossano il sedere, secondo voi?” Chiese Bill, uscendo dal camerino di prova con un tempismo notevole e sbattendo in faccia ad entrambi il sedere rotondo come un mandolino.
Chakuza smise per qualche istante di inveire contro l'universo tutto e si dimenticò chi avesse di fronte e, cosa ancora più importante, chi avesse di fianco. Rimase a fissare il sedere di Bill con un'espressione mista tra l'ebetismo e la concupiscenza, finché Fler non gli tirò uno spintone che lo ribaltò sul pavimento. “No, Bill. Ti stanno bene,” commentò il tedesco alto due metri, con tono professionale e la voce che non tradiva affatto la presenza di un austriaco accartocciato lì di fianco.
Bill guardò Fler attraverso lo specchio, ignorando del tutto Chakuza che si rialzava. “Non lo so sai? Mi sembra che abbiano un po' troppe tasche.”
“Quelli di prima ne avevano troppo poche,” sospirò Fler.
“Perché non trovo mai quello che cerco?” Si lamentò Bill, piagnucolando e tornando dentro il camerino con altre quattro paia di pantaloni.
Chakuza si arrampicò di nuovo sul pouf. “E questo per che cos'era?”
“Oh non lo so,” sibilò Fler, guardandolo storto. “Per il fatto che sbavavi dietro al culo di Bill?”
“Io non stavo...”
“Sì che stavi.”
Il ghigno che si aprì sulle labbra di Chakuza gli arrivò da orecchio ad orecchio. “Ti stai arrabbiando per Bushido o per te stesso, fammi capire?”
“Taci, cretino.”
Bill finì per non comprare nessuna delle trecento paia di pantaloni che si era provato e uscì dal negozio con due maglie completamente nere e anonime ma di marca, del costo complessivo di seicento euro, accreditati sulla carta di Anis-tesoro, come lo chiamava Bill.
Fler doveva ancora capire perché dovesse pagare Bushido, dal momento che Bill guadagnava ben più di lui, ma poi ne concluse che doveva avere qualcosa a che fare con le incredibili abilità di Bill a letto di cui Bushido parlava sempre e di cui loro non avrebbero voluto sapere mai.
“E adesso?” Chiese Fler.
“Ho fame,” commentò Bill, seduto sul sedile del passeggero.
“Ha fame,” gli fece eco, Chakuza, da dietro. Le braccia incrociate al petto e gli occhi ridotti a due fessure che guardavano infastiditi fuori dal finestrino.
Fler lanciò a Chakuza un'occhiata di traverso, quindi si rivolse a Bill mentre svoltava. “E dove vorresti andare a mangiare?”
“Al MacDonald.”
“Chiaro, figuriamoci se per una volta evitiamo di farci del male al fegato,” sibilò Chakuza.
Fortunatamente, il locale non era pieno come si aspettavano di trovarlo, il che permise loro di trovarsi un angolo in cui nascondere la pertica agghindata perché non venisse travolta dalla folla di ammiratrici adoranti, le quali, comunque, lo avevano già adocchiato non appena messo piede nel locale e ora se ne stavano lì in un gruppetto indeciso e squittente a chiedersi se potessero riversarsi in massa accanto a lui oppure no.
Bill posò la borsa su una sedia vuota, si tolse il cappellino ma tenne gli occhiali, quindi sorrise amabile in direzione di Fler e gli sciorinò un'ordinazione lunga quattro minuti. “Tutto chiaro?”
Fler annuì. “Certo. Chakuza, vai per favore?”
“Perché devo andarci io?” Chiese Chakuza.
“Perché io devo fare altro,” commentò Fler, cercando di sorridergli, invece che spaccargli la testa tonda contro l'angolo del tavolino.
“Cosa di grazia?” S'informò l'austriaco.
“Le vedi quelle?” Fler indicò le ragazzine. “Non appena uno di noi due si allontanerà dal tavolo, lo prenderanno d'assalto.”
“Una ragione in più per restare.”
“Qualcuno deve pur prendermi da mangiare,” commentò Bill, con la boccuccia aperta ed indignata. “Non vorrete mica che faccia la fila!”
“Chakuza?” Lo invitò Fler, con un'occhiataccia che, fra tutte le cose, lo avvisava che gli conveniva fare come gli era stato ordinato se voleva vedere il suo culo, quella sera.
“Mi spieghi perché dovrei farlo io al posto tuo?”
“Perché sei basso e se quelle assalgono il tavolo, io posso tenerle a bada e tu no. Ora muoviti, per cortesia.”
Chakuza si allontanò verso le casse borbottando qualcosa sul fatto che forse sull'autostrada avrebbe lasciato anche Fler, ma senza il collarino brillantinato.
Come previsto, non appena si allontanò di un passo, il branco di sciacalli circondò il tavolino e una di loro, alta e slanciata, esclamò sicura: “Sei tu, vero?” in direzione di Bill.
Bill sorrise magnanimo, allungò una mano ungulata e disse: “A chi devo mettere?”

*


Quella di Bill non era un'ordinazione, era la lista dei generi alimentari spediti in Kosovo durante la guerra se fosse stata scritta da un vegetariano, con un'ossessione quasi maniacale per il McFlurry.
A parte la fila di venti minuti, Chakuza aveva poi avuto un colloquio di altri venti minuti con l'operatrice perché Bill voleva determinati panini, ma li voleva senza la carne, alcuni anche senza le cipolle e quelli che voleva con le cipolle li voleva senza i cetrioli. Senza contare le due insalate che aveva chiesto e i dolci e il benedetto McFlurry che doveva essere con i pezzi di cioccolata ma non mescolato e fatto dopo e non prima delle patatine, cosa che l'operatrice alla cassa lo aveva quasi rispedito al suo posto a calci nel culo.
Al momento, Chakuza aveva due vassoi – uno per mano – e stava faticosamente cercando di tornare al loro tavolo che era sparito. Dopo aver girato a vuoto almeno due volte, si rese conto che nell'angolo in cui pensava dove esserci il tavolo, c'era effettivamente il tavolo – con buona pace del suo senso di orientamento, affilato in anni di allenamenti tra i monti – ma era sommerso di ragazzine urlanti.
“Permesso!” Gridò, cercando di non rovesciare l'ordinazione della principessa e di oltrepassare il muro di scalmanate che stavano porgendo a Bill ogni genere di fotografia, foglio e quant'altro da firmare. “Ti sposti un po' più in là? Grazie!”
Dall'altra parte del tavolo, Fler era in piedi come un Bronzo di Riace accanto a Bill e osservava che nessuna delle ragazzine, allungasse le mani più del dovuto. Quando si accorse di Chakuza, piccolo e affaticato, fra le adolescenti in tempesta ormonale – ed era già strano che non si fosse accorto di tutto il ben di Dio che volente o nolente gli veniva agitato davanti – lo recuperò praticamente con una mano sola. “Ce l'hai fatta?”
“Sì,” sibilò l'austriaco, rimettendosi il cappellino. “Chi è tutta questa gente?”
“Fan,” fu la risposta.
“Fan.” Chakuza rimase in silenzio, facendo appello a quel poco di pazienza che possedeva per sopportare il cicaleccio di sei ragazzine estasiate di fronte al loro cantante preferito, ma la cosa non funzionò molto a lungo. “Okay!” Sbottò alla fine, alzandosi in piedi senza che nessuna notasse in lui alcun cambiamento. “Signorine, il vostro scarabocchio lo avete avuto. Ora per cortesia, se poteste andare ad agitare le tette da un'altra parte, ve ne saremmo grati. Tanto a lui non interessano, mi pare sia chiaro, ormai. E per noi siete troppo minorenni.”
“Chakuza!” Fler gli tirò uno spintone, mentre sorrideva amabile alle ragazzine e le invitava più gentilmente ad allontanarsi. “Bill deve mangiare, adesso. E' stata una giornata faticosa, grazie a tutte.”
Aspettarono tutti e tre che il branco fosse passato, non senza girarsi tre o quattro volte a salutare con la mano, poi Bill si appropriò del suo cibo e Fler si avventò su Chakuza con i denti quasi snudati. “Sei scemo o cosa?”
Chakuza si voltò a guardarlo con un sopracciglio rossiccio sollevato e la cannuccia della sua coca in bocca. “Perché?”
“Quelle erano fan,” ripeté il ragazzo. “Tu non puoi dire roba simile a ragazzine che vengono qui a farsi fare un autografo.”
“Ce le siamo tolte di torno, o no?” Commentò il ragazzo, addentando una patatina mentre Bill, dall'altro lato del tavolo, decideva di finire la sua insalata mangiandone una foglia per volta.
Fler rimase per almeno due minuti buoni in piedi immobile di fianco a lui, con la bocca aperta, come se davvero non capisse come l'austriaco potesse starsene lì a mangiare tranquillo dopo aver probabilmente creato il più grosso incidente diplomatico transoceanico della storia dei Tokio Hotel. Anche se, bisognava ammetterlo, nemmeno Bill si stava strappando i capelli, ma Bill non si sarebbe strappato i capelli in nessun caso – visto quant'erano preziosi – e, ora che Fler ci pensava, Chaku stesso non se li poteva strappare neanche se avesse voluto. Comunque, non era quello il punto.
“Ce le siamo tolte di torno?” Sbraitò il rapper più alto, facendo il giro del tavolo per guardare l'altro dritto negli occhi. “Tu la cortesia non sai nemmeno dove sta di casa, vero?”
“La cortesia?” Chakuza poggiò il panino e si pulì le mani sui pantaloni. “Parla quello che nelle sue canzoni usa solo parole approvate dall'oratorio!”
“Le canzoni sono un altro paio di maniche!”
“Beh, sai dove te le puoi mettere le tue maniche?” Replicò Chakuza, alzandosi e cercando vagamente di apparire minaccioso. Ci riuscì, in parte, solo fino a quando Fler non decise di sfruttare tutta l'altezza di cui Madre Natura lo aveva così generosamente dotato.
“Se non stai attento, finisce male Peter,” replicò.
“Oh voglio proprio vederla questa.”
L'intero locale si girò ad osservarli, tranne Bill che stava mandando sms a suo fratello ed era molto impegnato a masticare la stessa foglia di insalata da almeno cinque minuti.
“Io vorrei solo capire che cos'hai nel cervello!” Sbraitò Fler, incrociando le braccia al petto e facendogli così tanta ombra che Chakuza era praticamente al buio. “Siamo qui con un compito ben preciso e ci si aspetta da te una certa professionalità se proprio non riesci a dare fondo agli insegnamenti di tua madre e a comportarti come un essere umano!”
“Io sono qui perché tu non sai dire di no a quel coglione che spacci per il tuo migliore amico!” Sbottò Chakuza, osando perfino battergli un dito rotondo sul petto.
“Quel coglione è anche il tuo capo se non ricordo male.”
“Non è il mio capo, è un collega!”
“Che possiede metà della tua etichetta!” Replicò Fler, inclinando la testa di lato.
“E si può sapere questo cosa c'entra col fatto che dobbiamo portargli in giro la fidanzata, come fossimo due guardie del corpo, cosa che non siamo e anche se fossimo non ci pagherebbe?!”
Senza voltarsi, Fler indicò Bill che stava sempre mangiando insalata e non li degnava della minima attenzione, mentre scriveva messaggi. “E' un maschio!”
“Quello che è!” Sbottò Chakuza, lanciando le braccia in aria.
Ne seguì un momento di silenzio e fu solo per quello che sentirono il cellulare di Fler squillare.
Fler indicò all'altro di stare zitto un minuto e Chakuza borbottò qualcosa di vago, tornando ad infilare patatine nella maionese.
“Dove cazzo siete?” Fu la prima cosa che arrivò quando Fler accettò la chiamata.
“Al McDonald's,” rispose il rapper e poi, subito dopo. “Sì, certo che è qui.”
“E' tardi, cosa ci fate ancora in giro a quest'ora?”
Fler pensò che le sei del pomeriggio non fossero poi un'ora così tremenda per portare a spasso le principesse, ma si guardò bene dal dirlo, anche perché Bushido si alterava irrazionalmente quando c'era di mezzo Bill, come se senza la sua regale persona quel ragazzino potesse sempre essere in pericolo di vita.
“Voleva mangiare al fast food e ce lo abbiamo portato,” spiegò con calma, mentre quasi mezzo metro più in basso Chakuza ricominciava con la tiritera che se al re premeva tanto sapere dov'era il suo ragazzino, che ci stesse lui in giro a servirlo e riverirlo. Fler gli tirò un calcio.
“Beh, vedete di riportarlo a casa. E subito, anche.”
“E' Anis?” Cinguettò Bill, probabilmente percependo il tono sostenuto che usciva impunemente dalla cornetta. “E' Anis, vero? Me lo passi?”
Fler gli porse il telefono e Bill si mise letteralmente a saltellare. “Amore, ciao! Ho comprato un sacco di cose stupende!”
“Dobbiamo andare,” annunciò Fler a Chakuza mentre, alle sue spalle, Bill si perdeva nel raccontare che cosa avesse comprato di preciso e anche cosa pensava di comprare e poi invece aveva lasciato in negozio.
“Non ho ancora finito di mangiare,” gli fece presente Chakuza, indicando il panino morso solo a metà.
Fler inspirò ed espirò per ritrovare la calma, quindi si chinò verso quella piaga austriaca così soddisfacente a livello sessuale eppure così esasperante in tutti gli altri campi della sua esistenza e gli parlò all'orecchio. “Prima riportiamo il prezioso culo della principessa al suo legittimo, snervante e prepotente proprietario, prima possiamo dedicarci a quello che volevamo fare oggi.”
Chakuza smise di masticare e mandò giù il panino per intero, quindi si alzò e in meno di tre secondi era già praticamente pronto. A tutto.
“...E poi ho comprato un paio di stivali argentati con le perline che-tesoro ma mi stai ascoltando?” diceva intanto Bill. “No, tu non mi stavi a sentire. Che cos'ho detto?”
Mentre Bill si faceva giurare e spergiurare da Bushido che era stato attentissimo e non si era perso nemmeno la descrizione del più minuscolo dei bottoni, Fler sospirò e lo aiutò ad entrare nel giubbotto, infilandogli lui stesso prima un braccio e poi l'altro come con i bambini.
Chakuza aveva già le chiavi in mano. “Preparo la macchina.”

*


Fler non ricordava già più che cosa avesse detto Bushido quando avevano bussato alla porta della sua camera da letto e vi avevano lasciato scivolare all'interno Bill sano e salvo. Era certo che si trattava di qualcosa di molto epico ma che non comprendeva nessun ringraziamento. Poteva anche giurare, senza sbagliarsi di troppo, che Bill aveva squittito, per poi saltellare, per poi gettarsi fra le braccia del tunisino, strusciandosi e mugolando indegnamente. Da lì in poi tutto si faceva confuso. Chakuza lo aveva certamente preso per un polso, trascinato per tutto l'albergo e infilato nella sua camera ma Fler non si ricordava precisamente come ciò fosse avvenuto. Un attimo prima stava dicendo a Bushido che Bill era sano e salvo e l'attimo dopo era schiacciato contro il materasso e Chakuza lo stava baciando. Ora, a meno che non si volesse attribuire all'austriaco un potere di teletrasporto di qualche tipo, evidentemente dovevano aver camminato.
Fler si chiese se avessero iniziato a limonare già dopo aver chiuso la porta di Bushido e se qualcuno li avesse visti, ma fu solo un lampo di lucidità nella piena oscurità della sua libido e, soprattutto, di quella di Chakuza che, da sola, li aveva già avvolti entrambi.
Il fatto che nemmeno mezz'ora prima avessero litigato furiosamente di fronte a Dio solo sapeva quante persone e che, per altro, lo avessero fatto come due checche isteriche, non sembrava avere nessuna importanza per l'austriaco, al momento. E, a dirla tutta, nemmeno per lui. Il fatto era che non gli veniva tanto bene rimanere arrabbiato quando finalmente riusciva a portare a termine il suo unico piano per la giornata – farsi scopare – e quando le mani di Peter erano nel posto in cui dovevano stare – nelle sue mutande.
Mugolò qualcosa, mentre Chakuza gli tirava la maglia. Ci fu un momento in cui rischiò di venir soffocato ma fortunatamente ne uscì abbastanza vivo da poter mettere mano ai pantaloni dell'altro e spogliare anche lui. Mentre Peter lo appoggiava di nuovo tra i cuscini, quasi fin troppo dolcemente per i suoi standard, Fler notò quanto fosse morbido il letto e profumate le lenzuola, quanto fossero pesanti le sue braccia e le sue gambe, e quanto fosse difficile tenere gli occhi aperti mentre Chakuza lo baciava.
Sentì vagamente i baci di Chakuza scivolare dalle labbra al mento, dal mento al collo, fino a posarsi su una spalla e lì restare, con Chakuza in una posizione scandalosamente indecente e ridicola.
“Stai dormendo?” Chiese Fler.
“No,” mugolò Chakuza, senza muoversi. Poi gli strusciò il naso addosso, fino a piantarglielo nel collo e sospirò, mugolando qualcosa di incomprensibile.
“No, infatti, nemmeno io.”
Accompagnare sua maestà a fare spese era un lavoro da uomini duri e ben allenati. Magari potevano dormire un paio d'ore e ricominciare alla grande subito dopo. Fler gli strinse un braccio intorno alle spalle e Chakuza si sistemò meglio.
Un attimo dopo, dormivano entrambi.

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