Fandom: !Fanfiction, Dr. Who
Pairing:
Personaggi: Rose Tyler, Decimo Dottore
Genere: Romantico
Avvisi: Het, Spoiler sulla s4
Rating: PG
Prompt: #54 (Ogni 25 anni) della Criticombola.
Note: Prima (e forse unica) storia su questo fandom da parte mia. Io adoro questo telefilm, adoro il decimo dottore e non mi sono ancora ripresa dalla sua dipartita, così come, del resto, non mi sono ancora ripresa dall'assenza della mia adorata Rose. Non mi sarei mai azzardata a scrivere qualcosa sul Dr. Who che avesse effettivamente una trama, perché il telefilm è troppo complesso, ma ho pensato che fosse ragionevolmente sicuro scrivere qualche riga su questo tono.
Non sono certa che il Dottor-Donna invecchi, ma anche chi se ne frega.

Riassunto: Non sei venuto di proposito?
OGNI 25 ANNI


Agli inizi, Rose aveva guardato il mare in cerca anche della più piccola differenza.
I suoi occhi correvano lungo la linea dell'orizzonte e poi accarezzavano l'insenatura creata dalla scogliera, analizzandone ogni curva, ogni picco, ogni più piccola imperfezione alla ricerca di un particolare che potesse testimoniare che quella non era la vera scogliera, non era il vero mare, non era la vera spiaggia che lei conosceva. Come una bambina capricciosa, cercava il difetto così da puntare il dito e poter dire Hai visto? E' come dico io! Qui non è come a casa! Ma la verità era che i due universi non si assomigliavano affatto, erano identici. E non importava che la storia si fosse svolta in maniera diversa, la forma delle cose, la sostanza, era la stessa e per quello lei poteva vivere lì come nel suo vero universo e non sarebbe cambiato niente finché di lei esisteva una copia soltanto. Gettò un sasso nell'acqua gelida e pensò al fatto che anche di lui, nell'universo, avrebbe dovuto esistere una copia soltanto. Un unico esemplare di Signore del Tempo, l'unico rimasto, che viaggiasse attraverso il tempo e lo spazio a bordo di una stupida astronave a forma di cabina telefonica. A quel pensiero, finiva sempre per sorridere e le tornava in mente com'era viaggiare sulla Tardis, com'era sentirne il rombo sotto le mani e i piedi, com'era vedere il dottore che tentava di darle una direzione e un verso, prendendo a martellate il pannello dei comandi.
Era bello ricordare, ma era anche estremamente doloroso. E la copia al suo fianco, quel Decimo Dottore, così simile all'originale eppure così profondamente diverso con le cellule di Donna a renderlo una creatura a se stante, non l'aiutava a sopportare. Avrebbe dovuto essere felice di quello che le era stato dato, che era ben più di quanto forse meritasse o sarebbe stato possibile concederle: un altro mondo su cui ricominciare e un Dottore tutto per lei, identico a quello che amava e che forse poteva imparare ad amare lei allo stesso modo.
Il suono della Tardis arrivò inconfondibile ad interrompere quel flusso di pensieri. Il pulsare metallico riempì l'aria sempre più forte, finché la cabina blu della polizia non comparve dal nulla.
Rose si alzò da terra, si spolverò le mani e si passò le dita tra i capelli ancora lunghi. Attese con ansia che la cabina diventasse visibile e che dalla porta uscisse il familiare spolverino marrone.
Il Dottore fece appena in tempo a fare un passo fuori dall'astronave e a guardarsi intorno con la solita aria di chi non ha la minima idea di dove è atterrato, prima che Rose gli si gettasse al collo e stringesse forte.
Il Dottore rimase perplesso nell'abbraccio di lei, poi la consapevolezza di ciò che stava accadendo sembrò albeggiargli sul viso e annuì. “Adesso è tutto chiaro,” commentò.
Rose fece un passo indietro e lo squadrò con le mani sui fianchi. “Adesso è tutto chiaro? Dopo tutto questo tempo è l'unica cosa che sai dire?” Chiese.
“Giusto,” sospirò l'uomo. Si schiarì la voce e poi: “Ciao.”
Rose lo invitò a proseguire con un sopracciglio sollevato.
Il Dottore agitò la mano in maniera un po' vaga. “Ero da tutt'altra parte e all'improvviso lei si mette in moto e mi porta qui,” spiegò, chiudendo l'astronave a chiave. “Sono già passati 25 anni.”
“Non sei venuto di proposito?”
“No. Cioè sì, sì!”
Rose lo guardò un po' confusa.
“Sì, è che è piuttosto semplice perdersi tra un anno e l'altro,” commentò, con le mani in tasca. “E fra un... pianeta e l'altro. Così le ho messo un timer, per essere sicuro, sai...”
Lei lo osservò ridendo. Forse avrebbe dovuto offendersi se il Dottore era lì perché ce lo aveva portato la Tardis e non perché effettivamente si fosse ricordato, ma quasi tre decadi non erano niente per uno che aveva più di novecento anni. Per lui, probabilmente, era come se l'ultima volta si fossero visti due minuti prima.
“Allora, come stai?”
Rose abbassò lo sguardo quando il Dottore, finalmente, fissò il proprio su di lei. Si passò di nuovo una mano tra i capelli, quasi vergognandosi del fatto che andavano ingrigendosi e delle rughe che adesso le contornavano gli occhi. “Bene, direi,” si strinse nelle spalle. “Voglio dire, tutto considerato.”
“Perché non mi guardi negli occhi?”
Lei alzò la testa con un sospiro. “Sarebbe più semplice se ogni venticinque anni, quando ci vediamo, tu non fossi sempre uguale e io sempre diversa.”
Il Dottore rimase serio a quelle parole. Non sembrava affatto sorpreso di trovare su di lei i segni del tempo, anzi, sembrava quasi incantato, in quel modo tutto particolare che gli faceva brillare gli occhi di fronte ad ogni meraviglia dei mondi sui quali metteva piede. Che fosse un'alba su qualche stella lontana, o una vespa gigante e assassina sulla Terra. Ora guardava lei, con gli stessi occhi, come se non esistesse niente di più bello al mondo.
“E' per questo che gli esseri umani sono così belli, Rose,” mormorò. “Perché fanno parte del tempo.”
Rose avrebbe voluto dirgli che prima o poi avrebbe smesso di farne parte, ma lui l'anticipò quella frazione di secondo necessaria a dirgli: “Tu, per me, non sei cambiata, però. Sei esattamente come allora.”
Rose sorrise.
“Lui invecchia?” Le chiese all'improvviso.
Lui, l'altro se stesso.
Rose annuì. “Lui sì,” annuì.
Il Dottore rimase in silenzio, come a pensarci su.
“Quante altre cose hai visto dall'ultima volta?”
“Oh, cose meravigliose, Rose,” sorrise, recuperando tutto il buonumore. “Ti sarebbero piaciute.”
E iniziò a raccontarle gli ultimi venticinque anni, seduto con lei sugli scogli a guardare il sole che affondava oltre l'orizzonte. Come ogni volta, il tempo sembrò volare e lui tornò ad alzarsi in piedi troppo presto. “Te ne vai già?”
Il Dottore sorrise. “Ci vediamo presto,” esclamò.
Rose lo salutò con la mano, ma non disse nulla.
Rimase sulla spiaggia finché l'eco della Tardis non fu sparita. Quindi si voltò e si diresse verso casa, contenta di non aver trovato il coraggio di chiedergli se sapesse con certezza che l'avrebbe trovata ancora lì tra venticinque anni o se il suo fosse un saluto generico.
Stretta nel golf rosa, sorrise. Non restava che aspettare, per scoprirlo.

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