Personaggi: Jonathan Morgenstern
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen, Angst, spoiler fino al terzo libro compreso
Rating: R
Note: Dunque, succede che io ho letto questa serie e mi sono perdutamente innamorata di Magnus Bane, per questo mi sembrava logico scrivere la mia prima storia in assoluto su questo fandom parlando di Jonathan Morgenstern. Il mio cervello opera per vie sconosciute. Ciò detto, io ho letto la serie in inglese e dal poco che ho visto della traduzione della Mondadori, Dio ci preservi dal dare mai più in mano un libro da adattare a quei traduttori, pertanto tutti i termini specifici sono in inglese.
Inoltre, so che Jonathan e Jace non si sono mai incontrati prima del terzo libro e che forse (o forse no?) Jonathan non sapeva degli esperimenti del padre, ma guardate quanto me ne importa.
Prompt: Scritto per la prima settimana del Cow-T 3.5 @ maridichallenge (prompt: vendetta) per la squadra dei vampirli.
Riassunto: Jonathan ci spiega, con i processi mentali tipici dei sociopatici, per quale motivo suo padre ha sbagliato figlio e come lui ha misericordiosamente cercato di porre rimedio.
Genere: Introspettivo
Avvisi: Gen, Angst, spoiler fino al terzo libro compreso
Rating: R
Note: Dunque, succede che io ho letto questa serie e mi sono perdutamente innamorata di Magnus Bane, per questo mi sembrava logico scrivere la mia prima storia in assoluto su questo fandom parlando di Jonathan Morgenstern. Il mio cervello opera per vie sconosciute. Ciò detto, io ho letto la serie in inglese e dal poco che ho visto della traduzione della Mondadori, Dio ci preservi dal dare mai più in mano un libro da adattare a quei traduttori, pertanto tutti i termini specifici sono in inglese.
Inoltre, so che Jonathan e Jace non si sono mai incontrati prima del terzo libro e che forse (o forse no?) Jonathan non sapeva degli esperimenti del padre, ma guardate quanto me ne importa.
Prompt: Scritto per la prima settimana del Cow-T 3.5 @ maridichallenge (prompt: vendetta) per la squadra dei vampirli.
Riassunto: Jonathan ci spiega, con i processi mentali tipici dei sociopatici, per quale motivo suo padre ha sbagliato figlio e come lui ha misericordiosamente cercato di porre rimedio.
La prima volta che lo aveva visto, Jace aveva quasi sette anni e Jonathan otto.
Non era nelle intenzioni di Valentine fargli conoscere suo fratello così presto, ma, a quel punto, non c'era più molto che riuscisse a tenergli segreto. Jonathan era furbo e aveva una mente acuta proprio come Valentine e, se non avessero già avuto lo stesso aspetto e gli stessi colori, l'intelligenza perversa di Jonathan sarebbe stata già un prova sufficiente del fatto che era, a tutti gli effetti, il vero figlio di Valentine.
Jonathan imparava molto velocemente per la sua età, a volte riusciva perfino a prevedere le intenzioni del padre con giorni di anticipo, in modo da stupirlo quando veniva a trovarlo. Gli occhi di Valentine si aprivano per un momento mostrando pura emozione e - Jonathan sperava - orgoglio, prima di tornare due pozzi scuri e severi com'erano sempre stati. Jonathan si aggrappava a quei preziosi e brevi momenti in cui suo padre mostrava una sorta di apprezzamento nei suoi confronti, e lavorava sodo per averne degli altri, cercando di essere il più sveglio e intelligente possibile così da farsi amare di più da suo padre.
Ma poi il sangue di Lilith prese il sopravvento e la sua intelligenza si fece sempre più subdola. Jonathan si rese conto che il suo modo di pensare cominciava ad intimorire Valentine. L'uomo iniziò a tenersi sempre più a distanza ed evitava di toccarlo a meno che non fosse necessario, facendo una smorfia ogni volta che le azioni di Jonathan finivano con la morte di qualcosa. Non che le mani di Valentine non fossero impregnate del sangue delle centinaia di Downworlder con cui faceva esperimenti nel suo laboratorio. Ovviamente Jonathan era a conoscenza anche di questo fatto; ciò nonostante il padre sembrava inorridito quando Jonathan faceva la stessa cosa con gli uccellini e i ratti che trovava nella foresta intorno alla capanna. Catturava quelle piccole creature con incredibile agilità e poi procedeva a dissezionarle, a volte senza nemmeno premurarsi di ucciderle prima. Finiva per farlo solo quando diventavano veramente rumorose e non riusciva più a sopportare le loro urla agonizzanti. Era un gioco crudele alla voglio solo vedere come funziona. Era spinto a fare quelle cose dalla sua curiosità e dal desiderio di emulare il padre, così come succedeva a qualsiasi altro figlio, ma poi interveniva il sangue di Lilith a distorcere ogni desiderio sano e a trasformarlo in qualcosa di oscuro e nauseabondo, senza che Jonathan si rendesse conto di fare qualcosa di sbagliato.
Gli fu subito chiaro che qualcosa non andava in lui quando arrivò Jace, però. Sarebbe stato impossibile non notare quanto diverso fosse il comportamento di suo padre con l'altro bambino. Valentine gli parlava con la stessa brusca severità, ma in qualche modo era più paziente con Jace di quanto non lo fosse con Jonathan, e anche più indulgente. Jace faceva tonnellate di stupidi errori e Valentine lo sgridava ma mai così duramente, mai così crudelmente, come faceva con Jonathan; anche se Jace era chiaramente più lento di lui.
Dopo quel primo giorno in cui aveva seguito suo padre per vedere dove viveva quando non era con lui e dopo aver scoperto che aveva un altro figlio che stava allenando, il ricordo di Jace si era installato nella mente di Jonathan come fanno solo le ossessioni malate; allora prese ad andare alla casa dei Wayland il più spesso possibile senza che suo padre lo sapesse. Spiandoli da dietro gli alberi del giardino, cercava di capire perché Valentine sprecasse il suo tempo con Jace, che cosa vedesse in quel ragazzino che a lui sembrava così insignificante.
Jace con i suoi capelli biondi e gli occhi ambrati. Jace che si muoveva aggraziato come facevano tutti gli Shadowhunter fin dall'alba del mondo, che era letale come ci si aspettava da lui quando si allenava con i manichini che Valentine gli metteva a disposizione, eppure così tranquillo, così gentile quando non aveva in mano una spada. A Jace piaceva leggere, cavalcare, sedere sull'erba e guardare il cielo in cerca di figure nelle nuvole. Gli mancava la curiosità deviata che Jonathan aveva per le cose che morivano. Se Jonathan dissezionava un ucellino morto per vedere a che punto il sangue smetteva di uscire, Jace piangeva la morte della creatura e la seppelliva, mormorando per lei quella stessa preghiera che gli adulti dedicavano ai guerrieri caduti. Ave atque Vale. Lui stesso era un determinato piccolo guerriero, capace di pietà e alle volte composto come un adulto, ma che sapeva anche ridere come fanno i bambini, per tutto e per niente allo stesso tempo.
All'improvviso, nella purezza di Jace, Jonathan fu in grado di vedere la propria anima contaminata.
Furioso, smise di andare alla casa dei Wayland nel tentativo di negare anche solo l'esistenza di Jace. Dopotutto, poteva essere migliore e fare di meglio, e presto suo padre sarebbe venuto da lui e sarebbe rimasto con lui per sempre perché lui era davvero suo figlio. Valentine doveva amare di più lui. Specialmente quando era chiaro quanto lui fosse più adatto a portare a termine i suoi piani rispetto a quel ragazzino viziato, stupido, biondo ed emotivo che scoppiava in lacrime per un uccellino morto, che non era mai stato frustato o picchiato e che, nonostante questo, rimaneva chiaramente ferito quando suo padre gli diceva qualche parola brusca. Jace era debole, Jonathan era forte. Valentine avrebbe capito quale dei suoi figli lo avrebbe reso fiero.
Ma non accadde mai. Anzi, Jonathan ebbe la sensazione che più lui diventava forte e spietato, più Valentine provasse disgusto per lui. Il comportamento di suo padre nei suoi confronti non cambiò nemmeno quando fu costretto a fingere la propria morte nei panni di Michael Wayland e lasciare che Jace andasse dai Lightwood. Se Jonathan aveva sperato che da quel momento in poi sarebbero stati solo loro due, si sbagliava. Valentine non gli aveva mai dimostrato davvero dell'affetto, ma di certo divenne più freddo. Iniziò a trattarlo con lo stesso distacco e la stessa superiorità con cui trattava i demoni che evocava per i suoi piani, indipendentemente da quanto Jonathan fosse bravo a portare a termine i compiti che gli assegnava.
Valentine lo trattava come un mostro, dimenticandosi che era stato lui a renderlo tale.
Ma proprio come Jace, Jonathan non riusciva ad odiare suo padre. Così la sua rabbia e la sua frustrazione si trasformarono in odio verso l'unica persona che poteva ritenere responsabile del fatto che la sua vita, le sue abilità, lui stesso non erano abbastanza per Valentine, e quella persona era Jace. Mentre il piano di Valentine prendeva forma, Jonathan mise a punto un piano tutto suo, alimentò il proprio desiderio di mettere fine a quella faida una volta per tutte. Per quanto ogni tentativo di Valentine di convincere Jace a tornare da lui lo ferisse, Jonathan era follemente felice del fatto che Jace rifiutasse ogni volta.
Ben ti sta, padre. Pensa che tu sia un mostro. Questo come ti fa sentire?
Diventare Sebastian fu tremendamente facile. Nessuno lo conosceva, nessuno lo aveva mai visto e Jonathan era un ottimo attore, abilità che amava attribuire a se stesso e non al sangue di demone che gli scorreva nelle vene. Era bastato tingersi bene i capelli, e nè i Penhallows nè i Lightwoods avevano sospettato niente. Solo Jace. Sempre Jace. Il tormentato giovane Jace, così preoccupato di amare Clary Fairchild, convinto che fosse sua sorella. Un problema che lui, Jonathan Morgenstern, non aveva affatto.
Era stato divertente trascinare sua sorella in quel casino. Mentre Valentine non sembrava nutrire granché interesse per la sua secondogenita, Jonathan la trovava piuttosto interessante. Era così ignara di tutto, così inconsapevole di ciò che era davvero successo prima della sua nascita o di quello che sarebbe accaduto nel giro di qualche ora a quel nuovo mondo che aveva appena scoperto. L'unica cosa che vedeva e di cui le importava era Jace, suo fratello Jace, che anche lei amava. Per Jonathan era esilarante che lei non riuscisse a percepire che il suo vero fratello era proprio lì accanto a lei, che la confortava, che la seduceva perfino, dopo le parole dolorose che Jace le aveva rivolto.
Era così arrabbiata e così persa. Non sospettava neanche. E come avrebbe potuto quando suo padre aveva fatto del suo meglio per convincere lei, Jace e il Conclave che Jace era il figlio di Valentine? Nessuno sapeva di Jonathan, ma presto lo avrebbero fatto.
Aveva pazientemente atteso il momento giusto. Sempre agli ordini di suo padre. Anche nell'odio che sentiva e che non sapeva ben indirizzare, provava ancora dell'orgoglio nel dire quelle parole ad alta voce. Lui era il figlio di Valentine. E la verità di quelle parole era un balsamo, una fonte di energia per fare quello che voleva e doveva fare. Quelle parole avevano un valore, e il loro valore era anche il suo. Avrebbe dimostrato a suo padre chi era e si sarebbe vendicato di Jace, il tutto aiutando Valentine a portare a termine il suo piano.
Quando sentì Jace respirare nella caverna, seppe immediatamente che si trattava di lui. Fu come un formicolio, come se qualcuno avesse premuto un tasto dentro di lui. L'espressione sul viso di Jace non aveva prezzo. Come Clary, neanche lui sapeva molto e capiva anche meno. Per quanto avesse sempre pensato di conoscere Valentine e di essere esattamente come lui, non lo era e non lo conosceva. E Jonathan era la prova vivente di questo, proprio lì davanti ai suoi occhi.
Picchiare Jace fu liberatorio e anche piuttosto divertente, in realtà. Le sue grandi abilità di Shadowhunter impallidirono all'istante di fronte alle sue e, sconvolto com'era dalla notizia che aveva appena ricevuto, fu facile ridurlo ad un fagotto lamentoso per terra. Era sconfitto e Jonathan doveva solo colpire un'ultima volta per raggiungere il suo obbiettivo. Fu allora che arrivò la ragazza dei Lightwood e distrusse quello che lui aveva attentamente costruito. Lo attaccò per salvare suo fratello Jace, che ironia, e Jonathan non poté che regire per difendersi, come avrebbe fatto chiunque altro.
Come avrebbe fatto il bambino, probabilmente. Jonathan non voleva colpirlo così forte. La sua morte era stata un caso.
Quella frazione di secondo in cui il viso di Max Lightwood apparve nella sua testa fu tutto ciò che servì a sua sorella Isabelle per colpire ancora e tagliargli la mano. All'improvviso ci fu solo un dolore, forte e profondo, che forse non veniva nemmeno dal polso che grondava sangue sul terreno. Jonathan vide la terra, l'acqua, il viso fiero e rabbioso di Isabelle che sputava parole nella sua direzione senza che lui riuscisse a distinguerle, all'improvviso tutto si fece confuso mentre inciampava.
La vendetta gli stava sfuggendo di mano. Il pensiero che non avrebbe ucciso Jace né ora né mai si fece stranamente tangibile. Aveva un corpo reale e, non importava quanto ci provasse, non poteva più raggiungerlo né sfiorarlo. Eppure, in tutto questo, quando avrebbe dovuto essere arrabbiato e pieno d'odio, era stranamente calmo. Non in pace, ma nemmeno furioso. Il suo ultimo pensiero, ne era certo, fu che poteva spiegare. Poteva spiegare tutto.
Poi la mano di Jace calò e la lama attraversò la pelle le ossa di Jonathan. Con voce derisoria Jace gli disse che evidentemente avevano ricevuto lo stesso regalo per il loro decimo compleanno. Come eseguire quel colpo perfetto al collo, naturalmente.
L'ultima cosa che vide fu il proprio viso circondato di capelli scuri. Il viso di Sebastian. Poi tutto si fece nero.