Fandom: !Fanfiction, RPF Glee
Pairing:
Personaggi: Chris Colfer, Max Adler
Genere: Introspettivo, Triste, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Prompt: Scritta per il 730!Fest di dietrolequinte (FaeLiz!Set, prompt: "No matter how many times you close your eyes and open them. He is nowhere. Nowhere." (Marionette Theater, Hidoh Ren).
Note: Primo tentativo di Colfdler... se mai un giorno riuscirò a scrivere Chris al posto di Kurt e Max al posto di Dave, sono sicura che andrà tutto molto meglio -_-'

Riassunto: Ma anche se chiude gli occhi, anche se li stringe forte e lo invoca sottovoce – ti prego, ti prego, ti prego – lui non c'è sotto il palco.
NON IMPORTA QUANTE VOLTE


Il palco sembra immenso quando deve salirci da solo.
Cammina lentamente fino al centro e aspetta che la luce lo illumini, accecandolo fino a che non vede più il pubblico ma una macchia scura che si muove, un po' come certe ombre nelle stanze buie, solo più calda e accogliente, una cosa in cui potrebbe lasciarsi cadere senza la paura di farsi male.
Il messaggio è arrivato quattro giorni fa mentre era in volo per Boston. Dovevano essere quasi le sei del mattino a Los Angeles e Chris non si è stupito che Max fosse già sveglio a quell'ora; lo ha visto alzarsi anche prima, quando il sole ancora nemmeno era sorto, per andare a correre e portare fuori il cane.
Kurt lo invitava sempre ad ucciderlo piuttosto che svegliarlo a quell'ora fuori dalla grazia di Dio per chiedergli di andare con lui. Max non se ne andava mai prima che lui avesse nascosto la testa sotto il cuscino per non farsi trovare dal giorno che filtrava dalle tapparelle semichiuse, e quando tornava gli portava la colazione.
Sembra passata una vita intera, ma la forza con la quale la nostalgia a volte gli mozza il respiro segna con estrama chiarezza quanto poco tempo sia passato invece.
Canta e si avvicina al bordo del palco, lontano dai riflettori, per vedere chi lo sta ascoltando e cercare gli occhi di Max fra le centinaia di quelli presenti.
Il messaggio era chiaro, cortese e corretto come Max è sempre stato, ma c'è una piccola parte di lui che spera con disperazione che fra quelle parole ci sia una via d'uscita, anche se l'hanno cercata a lungo senza mai trovarla.
Quando Chris ha cominciato a sentire voglia di normalità e lui non ha potuto dargliela, non c'era più molto che potessero fare. Chris ha cominciato a soffocare quando il divieto di parlare di loro è arrivato dall'alto, quando si è messo di mezzo il lavoro, quando la sua vita e quella di Kurt si sono inesorabilmente mescolate fino a non potersi distinguere più.
Chris è stato il primo a stare male ma è stato Max a trovare il coraggio di dirlo. Lo ha fatto mormorando, le labbra appoggiate contro la sua tempia e le braccia strette intorno ai suoi fianchi. Chris ricorda solo quell'ultimo abbraccio triste, ed è la cosa che più lo fa arrabbiare. Sa che ce ne sono stati altri mille prima di quello, ma tutto ciò che la sua mente gli riporta alla memoria è la voce quasi spezzata di Max mentre gli dice che se ne va, e le sue braccia che si stringono un attimo prima di lasciarlo andare.
Era così arrabbiato, all'inizio, che non ha capito. Era così arrabbiato che si è messo ad urlare. Finché non gli è capitato di guardarsi allo specchio e rendersi conto che non aveva più segreti da nascondere e ha ricominciato a respirare.
Il pubblico a Philadelphia è caloroso e lo adora. Quando si allunga a sfiorare l'esercito di mani tese per lui, sorride ma c'è un vuoto a destra del cuore che un tempo si riempiva al suono delle urla e invece adesso resta lì, perfino più pesante e più vuoto, quando tutto il resto di lui si accende per l'entusiasmo. E' come una macchia scura che non se ne va più via. Pensava che l'affetto della gente gli sarebbe bastato, ma la verità è che quello che davvero gli manca è una piccola parte di lui rimasta in quell'albergo pochi mesi fa e, dal momento che non può tornare a riprendersela, resterà incompleto per sempre.
Quando ha chiamato Max la settimana scorsa, lo ha fatto perché sostanzialmente era troppo ubriaco per trattenersi e troppo poco per andare a dormire. Max sembrava distrutto, Chris ha sentito la sua voce tesa perfino aldilà del vino che gli ha fatto credere per tutta la sera di avere ancora diritto alle sue coccole dall'altra parte del paese prima di andare a dormire. Max gliele ha fatte comunque e anche se ci hanno provato, in due non sono riusciti a mantenere il distacco. Chris ha pianto finché Max non lo ha convinto a mettersi sotto le coperte. “Vieni a Philadelphia,” gli ha chiesto Chris, serrando forte gli occhi in attesa del contraccolpo di un rifiuto. “Ti prego Max, è importante. Non ce la faccio più.”
Max ha sospirato. E lì – e soltanto lì – in quel momento, dopo mesi di vuoto, Chris si è ricordato esattamente com'era il suo respiro sulla pelle. Ha fatto male stringere finalmente le dita intorno al ricordo di una sensazione mentre Max gli diceva che fosse meglio non la provassero più.
Nel suo messaggio, in volo da Chicago a Boston, Max gli ha ricordato perché era meglio che non si vedessero per un po'. Chris lo sa che se Max fosse lì, se si potessero guardare abbastanza a lungo negli occhi, nessuno dei due avrebbe più voglia di obbedire agli ordini e tutto ricomincerebbe da capo.
Finché non puoi parlarne – ha detto Max – tu non sarai felice. Ci sarò quando succederà, ma non ora.
Le ultime strofe gli escono a fatica. Le ha strappate alla propria gola di prepotenza, perché non vuole lasciare a metà un'esibizione. Mentre la folla applaude e lui s'inchina, continua a cercarlo, aggrappato alla speranza che Max ne abbia bisogno come ne ha bisogno lui. Ma anche se chiude gli occhi, anche se li stringe forte e lo invoca sottovoce – ti prego, ti prego, ti prego – lui non c'è sotto il palco, là dov'è sempre stato, a fargli l'occhiolino.

Il messaggio lo trova sveglio alle quattro del mattino.
“Sei stato bravissimo stasera. Se non posso avvicinarmi, sarò dove non puoi vedermi. Almeno finché le cose non cambieranno.” Chris comincia a piangere, ma stavolta è felice. Quindi va bene.

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