Personaggi: Libanese, Freddo, (nominata) Roberta
Genere: Introspettivo
Avvisi: What if, Slash
Rating: PG
Prompt: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.50: "Spiaggia di notte.").
Note: Io soffro perché questa storia mi fa venire voglia di scriverci su, ma non mi dà la possibilità di farlo come ho sempre fatto, ossia di stravolgerla fin nelle fondamenta. Non posso spedire la banda nello spazio a pijasse gli anelli di saturno. Deve prendersi Roma, e poi perderla, e devono perdersi loro perché sennò non funziona. E questo mi fa stare molto male, perché non sono abituata a non poter fare quello che mi pare con quello che leggo. Certo potrei, voglio dire, nessuno mi vieta di spostarli tutti nel deserto berbero, ma mi rendo conto perfino io che sarebbe una stronzata.
Questa storia nasce dall'impotenza di fare tutto questo e soprattutto di scrivere una Freddo/Libanese senza necessariamente dover seguire la sequenza canon, perché non mi riesce e sono impedita.
Il tutto si concentra intorno alla possibilità che quando Freddo vuole andarsene, riesca non solo a far capire al Libanese che quello è il momento giusto per chiudere baracca, dividersi gli utili e andarsene, ma che riesca a convincerlo a partire con lui e Roberta, così non dovranno fare a meno l'uno dell'altro, come evidentemente non possono fare.
Tutto ciò deriva dal mio amore per la gelosia palese (nonché canon) del Libano per Robertina, e dalla mia insana passione per il rapporto tra lei, il Freddo e il Libanese, che esiste solo nella mia testa e su spiagge Brasiliane dove – tutti e tre contemporaneamente – non hanno mai messo piede.
Riassunto: Non doveva partire, e lo sa.
Genere: Introspettivo
Avvisi: What if, Slash
Rating: PG
Prompt: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.50: "Spiaggia di notte.").
Note: Io soffro perché questa storia mi fa venire voglia di scriverci su, ma non mi dà la possibilità di farlo come ho sempre fatto, ossia di stravolgerla fin nelle fondamenta. Non posso spedire la banda nello spazio a pijasse gli anelli di saturno. Deve prendersi Roma, e poi perderla, e devono perdersi loro perché sennò non funziona. E questo mi fa stare molto male, perché non sono abituata a non poter fare quello che mi pare con quello che leggo. Certo potrei, voglio dire, nessuno mi vieta di spostarli tutti nel deserto berbero, ma mi rendo conto perfino io che sarebbe una stronzata.
Questa storia nasce dall'impotenza di fare tutto questo e soprattutto di scrivere una Freddo/Libanese senza necessariamente dover seguire la sequenza canon, perché non mi riesce e sono impedita.
Il tutto si concentra intorno alla possibilità che quando Freddo vuole andarsene, riesca non solo a far capire al Libanese che quello è il momento giusto per chiudere baracca, dividersi gli utili e andarsene, ma che riesca a convincerlo a partire con lui e Roberta, così non dovranno fare a meno l'uno dell'altro, come evidentemente non possono fare.
Tutto ciò deriva dal mio amore per la gelosia palese (nonché canon) del Libano per Robertina, e dalla mia insana passione per il rapporto tra lei, il Freddo e il Libanese, che esiste solo nella mia testa e su spiagge Brasiliane dove – tutti e tre contemporaneamente – non hanno mai messo piede.
Riassunto: Non doveva partire, e lo sa.
Il Libanese si siede sulla sabbia e guarda la spiaggia di notte, che è un deserto.
Concentra lo sguardo sulle onde che si infrangono a pochi metri dai suoi piedi e immagina di essere a Fregene, a due passi da Roma, e non dall'altra parte dell'Oceano dove tutto è diverso e l'aria profuma di cose che non conosce.
Per uno che non è mai uscito dalle quattro strade di casa sua, dieci ore di volo sono un inferno; confinato come al gabbio, condannato senza prove. Ha passato tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, salutando Roma finché non è sparita, e poi continuando a cercarla con gli occhi anche quando c'è stato solo oceano per ore. Sull'aereo il Freddo si è seduto accanto a lui e lo ha diviso da Robertina che ha dormito sempre, povera stella; il giorno che sono partiti li ha svegliati all'alba, tutti e due, con la valigia nel bagagliaio ma deciso a non partire più. Ha sbattuto il Freddo contro il muro del garage ed è stato a tanto così da fare un gran casino. A tanto così...ma non ha fatto niente, perché Robertina guardava, e c'aveva tanta di quella paura negli occhi che s'è sentito stringere il cuore. Le vuole bene perché non è ancora davvero una donna, e le vuole bene perché Freddo gliene vuole, e non può pensare di fare altrimenti.
Non doveva partire, e lo sa. Lo sa ogni volta che si guarda intorno e non trova Trastevere. Lo sa ogni volta che al ristorante non ci sono i bucatini, che una telefonata a mamma costa i milioni e la mattina non c'è un cazzo da fare se non prendere il sole.
Non doveva partire perché questa è la loro vita, non la sua, e non lo sarà mai, nemmeno se ci prova. Non è nessuno, qui, e non è niente perché il Freddo pensa alla casa, pensa a Robertina, pensa che magari un locale sulla spiaggia, eh Libane' che ne dici. E lui non dice niente, perché non gliene frega un cazzo e vuole tornare a casa.
Allora Robertina lascia stare e va a dormire, e ci pensa il Freddo a fargli cambiare idea.
Comincia sempre guardando il mare, finché il mare non lo guardano più e nei respiri di Freddo lui ritrova la strada di casa, la voglia di restare, nonostante qui non c'entri niente e non sia nessuno e non abbia un cazzo da tenere per le mani. Stringe la sabbia tra le dita, tocca tutto, lo fa continuamente; spera di sentire qualcosa – una cosa qualsiasi – che non lo faccia sentire così allo sbando, ma la verità è che l'unica cosa che è rimasta di Roma è il Freddo e lui si sente a casa solo quando ce l'ha sotto le dita.
“Te va' de rientrà, mò?” Chiede lui, quando ritrova la forza di alzarsi e cercare i pantaloni.
Il Libanese annuisce e si avviano verso casa, dove la luce è accesa e Robertina finge solo di dormire.