Personaggi: Bill, Tom, OFC
Genere: Drammatico
Avvisi: Lemon, slash
Rating: R
Note: Dunque, io odio le note. Lo sapete questo, vero? Ma non è che posso sprecare l'occasione di ammorbarvi, per cui le scrivo; tantopiù che questa volta ho delle cose da raccontarvi.
1. Com'è nata questa storia? Sedetevi che è folle.
Inizialmente doveva essere un mpreg incredibilmente demenziale, da collocarsi nell'universo di Cuteness is not a Good Reason: David voleva un figlio da Tom, che si rifiutava categoriamente. Fortunatamente per il manager, Bill voleva un figlio con gli occhi azzurri...
Poi, visto che avrei dovuto metterci di mezzo gli alieni di The Sims e la questione si sarebbe fatta eccessivamente complicata, ho pensato bene di trasferire il tutto su un piano decisamente più razionale.
2. Io sono molto orgogliona di questa one-shot e la amo particolarmante, ma non per la storia in sè, quanto perchè a) è una one-shot e a me non riescono mai; b) perché è finita. E voi non potete capire cosa significa scrivere per 10 anni e finire qualcosa per una volta.
3. Per quanto possa essere drammatico: Bill sono io. Senza scherzi. Tutti i ragionamenti che fa sono prettamente miei, la quantità di cinismo che sono riuscita a riversare nelle sue parole viene direttamente dalla vostra affezionatissima.
E sì, lo avrei fatto anche io. Assolutamente.

Riassunto: Io non ho mai negato niente a mio fratello.
KAREN

It's meeting the man of my dreams
And then meeting his beautiful wife
And isn't it ironic...don't you think
(Alanis Morissette - Ironic)



Sono entrambi seduti davanti a me sul divano e aspettano che io risponda, suppongo.
Ciò che più mi colpisce è la loro espressione: mi guardano come se mi avessero chiesto 10 euro per andare al cinema. Ora, io non sono molto esperto in materia, ma non credo che questa sia l'espressione più appropriata.
"Dì qualcosa, ti prego" esclama all'improvviso lui.
Cosa vuole che gli dica? "Sono un po' sconvolto" ammetto, sinceramente.
"E' normale che tu lo sia" si affretta a rassicurarmi lei, con un sorriso incerto. "Davvero, non ti chiediamo di risponderci subito."
Mio fratello mi guarda e il suo sguardo mi dice tutt'altro. Non credo che pretenda davvero da me una risposta immediata ma di certo non riesce a nascondermi la sua impazienza.
Comincio a credere che si aspettasse piuttosto di non dover proprio sopportare quel silenzio imbarazzante. Forse credeva che avrei iniziato a saltellare su e giù e a battere le mani in preda ad un folle entusiasmo.
Sì, è questo che si aspettava. E mi sembra un po' ingenuo da parte sua.
"Bill..." inizia, con un tono di voce che conosco alla perfezione.
C'è quella nota di delusione e di disappunto, come se avessi fatto qualcosa di male che non si aspettava da me. Non è così evidente per tutti, comunque. Lei non se ne accorge, per esempio.
"Devo pensarci" rispondo, come se mi avesse fatto un discorso lungo due ore invece che avermi soltanto chiamato per nome. "E' una cosa seria."
Mi alzo e lei scatta in piedi con la speranza negli occhi.
A quanto pare lei ha aspettative più basse del mio gemello. Il solo fatto che io abbia preso in considerazione l'idea di pensarci l'ha resa felice e questo mi sembra più naturale.
"Prenditi il tempo che vuoi" mi dice.
Solo non troppo, mi viene da pensare leggendo negli occhi di mio fratello.
A quanto pare l'orologio biologico che ci ha riuniti tutti in questa stanza sta ticchettando più velocemente di quello che pensavo.

Mio fratello mi raggiunge qualche ora più tardi nella camera d'albergo in cui alloggerò per i prossimi Dio-solo-sa quanti giorni e mi dà molto fastidio che lo faccia, anche se me lo aspettavo.
Sapeva che la richiesta di Karen sarebbe stata inutile, mi conosce.
Lo vedo dai suoi occhi che aveva già previsto di venire a parlarmi di persona prima ancora di fissare il giorno per accompagnare Karen da me.
Mi chiedo quanto sia importante questa cosa per lui. Non è mai stato particolarmente interessato ai bambini, ma nel suo caso credo che il problema sia Karen.
E' lei che lo vuole e lui non sa negare niente alle persone che ama. Neanche a me, del resto. Vedi qual'è il problema ad essere vagamente bisessuali, Tom? Le donne vogliono figli di solito.
Io non li avrei voluti.
Ma non è questo il momento di recriminare: in fondo io non odio Karen.
Lei non mi ha fatto niente: si è comportata esattamente come avrebbe fatto qualunque altra ragazza al suo posto.
Tom si è innamorato di lei e io non ho mai avuto niente da ridire su questo.
In realtà avevo sempre pensato che Tom sarebbe stato costretto a sposarsi perchè ne aveva messa incinta una. E invece, prima l'ha sposata e ora chiede a me di metterla incinta. Ironico.
Karen è mora con i riccioli. Non è molto alta - mi arriva a malapena al petto - ma è graziosa e ben proporzionata. Non mi stupisce che Tom la trovi attraente: la trovo attraente perfino io! E poi è dolce, e molto educata.
I primi tempi, quando tutto sembrava molto facile e niente aveva la benchè minima parvenza di quella serietà che ha adesso, io e lei andavamo perfino a fare compere insieme. Una cosa che permetteva a me di avere consigli sui miei pantaloni, e sollevava Tom dall'obbligo morale di farle da cavaliere e stare lì ad annuire convinto, qualunque cosa lei dicesse.
Ad ogni modo, non le ho mai voluto male per avermelo portato via.
E non posso volerle male adesso. Si è abbassata a chiedere lo sperma al fratello gay di suo marito. Non si può voler male a tanta disperazione.
"Entra" dico a Tom. Mi sorride ma non reagisco. Li conosco tutti i suoi sorrisi e quello non mi piace perchè lo ha tirato fuori per rabbonirmi.
Lui si chiude la porta alle spalle e si guarda intorno. Sono in quella stanza d'albergo da meno di dodici ore e l'ho già resa mia: i miei vestiti sono ovunque e il bagno è stato colonizzato dai miei fondotinta.
Quando dormo in albergo io voglio starci come a casa mia e se non posso farlo, allora cambio albergo. Non c'è nessuna persona al mondo che lo sappia meglio di Tom. Beh, David forse.
Comunque, non parla e io non ho nessuna intenzione di intavolare quella discussione. Prendo una coca dal minibar e gli faccio cenno per capire se la vuole anche lui.
Annuisce e gli lancio la lattina. Quasi gli cade a terra: io non sono mai stato bravo a lanciare e lui non è mai stato capace di ricevere.
Certe cose non cambiano.
"Lo farai vero?" esordisce, e mi sorprende lo ammetto.
Pensavo che ci avrebbe girato intorno un po' di più.
Tom è bravo ad aggirare le questioni.
Bevo un sorso e lo guardo. Non sono mai veramente riuscito a fare il sostenuto con Tom. Forse perchè lui riesce a leggermi dentro anche quando nessun altro può. O forse perchè mi è sempre piaciuto guardarlo e anche quando sono arrabbiato con lui adoro perdermi nei suoi occhi.
"Non ho ancora deciso" rispondo, ed è vero.
Il mio primo pensiero è stato quello di rifiutare ma c'è qualcosa che mi turba. E io non prendo mai decisioni definitive se non ne sono sicuro al cento per cento.
"Dopo la malattia, sei la nostra unica speranza Bill" esclama.
Anche se suona come la principessa Leia di Guerre Stellari, non rido.
La malattia. La chiamiamo così perchè ci fa paura e la esorcizziamo non nominandola. Si è quasi portata via Tom tre anni fa.
E' stato il periodo più brutto della mia vita.
Fortunatamente così com'è venuta se n'è andata ma, tra medicine e chemio, non è stato un bello spettacolo.
I capelli di Tom sono ricresciuti ormai - e lui si è rifatto di nuovo i dreadlocks. Un po' per marketing, un po' perchè con i boccoli è davvero improponibile - ma la parte consistente del suo apparato riproduttivo è fottuta.
Non che a lui sia importato qualcosa, allora. Anzi.
Essendo sterile, ha solo pensato a quante poteva farsene senza rischio.
Sempre assolutamente pratico mio fratello. Il lato lirico della vita lo ha sempre buttato nel cesso. Oppure lo delegava a me.
"Tom, esistono le banche del seme, lo sai questo vero?" Gli faccio notare con un mezzo sorriso oltre il bordo della lattina.
Lui scuote la testa con decisione. "Non voglio. Sarebbe innaturale" commenta.
Alzo un sopracciglio e tanto gli basta per capire cosa gli voglio dire.
E' sempre stato facile non parlare con Tom.
"Non è normale" ripete. Ha lasciato la lattina sul tavolo senza neanche aprirla. E' così nervoso che si tortura le dita da quando è entrato. "Io non voglio che Karen usi la… roba di un altro"
"Un modo interessante di dirlo" commento. "Eppure non sarebbe tanto diverso se usasse la mia di roba."
"Rimarrebbe tutto in famiglia" mi dice.
"Ah, beh allora."
Sbuffa. Guarda ovunque tranne che me. "Bill" esclama alla fine, sempre con lo stesso tono. "Siamo gemelli, sarebbe come se fosse mio. Stesso patrimonio genetico."
"Ma non lo sarebbe" gli faccio notare.
"Oh detto che sarebbe come…"
"No" esclamo. "Non importa se a livello genetico siamo fatti allo stesso modo. Mi stai chiedendo di fare un figlio con tua moglie."
Tom ghigna, involontariamente. E' sempre stato così mio fratello: se qualcosa lo fa ridere, ride; non importa dove si trovi o quanto seria sia la situazione. "In realtà ti sto chiedendo di riempire un barattolo."
"Sei un cretino."
Per un po' non parliamo. E' come se tutto ciò che c'era da dire fosse già stato detto, anche se non è così.
Penso a questa cosa da quando Karen me l'ha chiesta. Ci penso continuamente, ogni singolo istante da quando sono venuto a saperlo; e non so risolvermi.
Innanzi tutto non ne capisco l'urgenza. Sono sposati da due anni, ci sono centinaia di altre opzioni. Potrebbero adottare. Perchè io?
E poi mi rendo conto che sono attaccato alla mia capacità di procreare molto più di quello che credevo. Se la cosa dovesse funzionare, se dovesse nascere un bambino: non finirò per pretendere che sia mio?
Lo sarebbe, ad essere pignoli.
E io sono pignolo.
Sono anche egoista, per la miseria. Non ho mai pensato a nessun altro tranne che a me stesso. E ho sempre preteso che tutti quanti facessero lo stesso.
Quello che era mio, era mio. E quello che non lo era, doveva diventarlo.
E' stato così anche per Tom. Le groupie lo hanno avuto per anni, ma soltanto perché io glielo concedevo.
E se adesso riempio quel baratto, se regalo a mio fratello una manciata di cellule ... quante probabilità ci sono che la mia gelosia le reclami indietro come prodotto finito?
Sospiro e sento mio fratello sollevare lo sguardo su di me. Non mi volto a guardarlo, perché non voglio che mi legga in faccia quello che sto pensando.
Ricordo il volto di Karen e le sue parole. Lei sembra tenerci davvero, e in fondo io spreco un sacco di quel materiale ogni giorno.
Non ho mai voluto un figlio.
Sto quasi per convincermi.
E' in quel preciso istante che Tom infila una dietro l'altra tutte le argomentazioni sbagliate che poteva trovare. E mi fa incazzare.
"Andiamo Bill, che cosa ti costa?" Chiede, infatti.
Alzo lo sgurdo, incredulo. "Cosa mi costa? E' un bambino, non un'auto che ti posso prestare. Io... non ci avevo mai nemmeno pensato!"
Spalanca le braccia, come al solito. "Tu non potrai comunque averne" replica immediatamente. "Quindi qual'è il problema? E' un'occasione anche per te... "
Lo guardo. Mi guarda. Quindi abbassa lo sguardo perchè sa di aver detto qualcosa di scomodo.
A Tom non è mai andata giù che io abbia finito per dichiararmi gay, la trova una mossa controproducente. Peccato che non sia una mossa.
Io sono omosessuale.
Ne ho avuti tanti dopo di lui.
E magari è questo che non ha mai digerito. Lui considera il suo periodo con me qualcosa che è legato soltanto a me. E credo che sia vero; ma la cosa non funziona così quando si tratta del sottoscritto.
Tom è l'unico uomo che io abbia mai amato. Ma non è l'unico con cui io sia andato a letto.
E il fatto che io abbia deciso di essere quello che sono, non significa niente. Non gli dà il diritto di convincermi che donando a loro lo sperma, farei un favore anche a me stesso. Non sono loro che mi concederanno un nipote tra nove mesi. Sono io, cazzo, che permetto loro di averlo.
"Bill, ascolta" Tom sospira. "D'accordo, ho scelto male le parole. Ma tu lo sai che è una cosa importante per me. E per Karen."
Rimango in silenzio.
"Pensala così, sarebbe un modo per essere di nuovo vicini" dice all'improvviso. E questa è la più brutta. La cosa peggiore che potesse recuperare per convincermi. Raschia il fondo del barile e raccoglie tutto lo sporco più velenoso. "Sarebbe un modo per continuare quello che avevamo. Anche se le cose non sono andate come volevamo."
Le cose sono io. E quello che c'è stato tra di noi prima della sua malattia.
Io sono le scopate che si è fatto prima di compiere 25 anni in un ospedale di Berlino. Poi tutto è finito e solo perché si è sentito troppo vicino alla morte per trovare il coraggio di stare ancora con me.
E adesso mi chiede di sistemare le cose - di sistemare me - dando a Karen la possibilità di generargli un erede.

Io non ho mai negato niente a mio fratello.

Alla banca del seme ci andiamo in due. Io e lui. Ho detto che non ritenevo opportuno che Karen mi aspettasse in sala d'attesa mentre mi masturbo per poi consegnarle suo figlio in un barattolo.
L'infermiera all'entrata ci guarda come se avesse altro di meglio da fare. Gli dico il motivo per cui sono lì anche se non ci sono altri motivi per esserci. Lei mi passa un foglio da compilare, indicandomi tre linee su cui firmare. Mi consegna un barattolino sterile. "Va riempito" mi dice. Annuisco, onestamente dubbioso di poterle riportare indietro anche solo la metà di quello che le serve.
"Qua ci sono delle riviste" dice ancora. Tira fuori dei mensili patinati da sotto il bancone, poi mi squadra da capo a piedi e decide di rimetterli via. Ne tira fuori altri: questi hanno degli uomini in copertina. Non dice una parola e mi indica una stanza in fondo al corriodio.
Mi avvio con le mie riviste porno gay e il mio barattolo; Tom mi segue. Non abbiamo mai avuto tanta voglia di sganasciarci dalle risate come adesso. E non ho neanche bisogno di guardarlo per capirlo.
Tutto questo è assurdo. Lo so io e lo sa anche lui, ma Tom mi sta troppo vicino perchè la sua presenza non mandi a puttane le mie facoltà razionali.
Mi fermo di fronte alla porta. "Sembra proprio che ci siamo."
Tom non risponde e fa quello che mi aspetto che faccia da anni. Me lo sogno ogni singola notte da quando è guarito. Da quando lui e Karen sono diventati l'unica speranza di mia madre di diventare nonna; il che è buffo perchè Karen è arrivata dopo la malattia, quando gli amichetti di mio fratello erano già fuori uso da un pezzo.
Mia madre non crede nelle adozioni, ma è ben disposta a credere nei miracoli, a quanto pare.
Quando mio fratello mi bacia, lì sulla porta dopo cinque anni che non mi sfiorava nemmeno, io però lo fermo. Mi concedo giusto il tempo di sentire la morbidezza delle sue labbra, il sapore della sua bocca quando la sua lingua sfiora la mia per un istante.
"Tom" mugolo, mentre mi schiaccia controllo la porta, un ginocchio tra le mie gambe. "Che stai facendo?"
Ricordo perfettamente la prima volta che gliel'ho chiesto. Avevo quattordici anni e lui era nel mio letto. Come sempre. Solo che quella volta, come adesso, si è allungato verso di me e mi ha baciato, stringendomi a sè come se avesse paura di perdermi.
Tom non risponde alla mia domanda. Mi bacia di nuovo e mi manca il fiato. Lo guardo e mi sorride, il suo sorriso speciale, quello che forse soltanto io e Karen abbiamo visto. Karen.
"Hai una moglie, te lo ricordi?" chiedo, agitando il prezioso barattolino di fronte ai suoi occhi.
Lui ride e fa scattare la porta senza lasciarmi andare. "E' anche per lei che lo sto facendo. Non c'è niente di male."
Avrei un mucchio di ragioni da dargli sul perchè Karen non sarebbe tanto contenta di sapere che per farle avere ciò che mi ha così gentilmente chiesto mi sono fatto aiutare direttamente da suo marito.
"Come glielo spieghi?" dico, mentre lui si chiude la porta alle spalle e poi si gira di nuovo verso di me. Non riesce a togliermi le mani di dosso. "Che volevi avere anche tu parte attiva nella faccenda?"
Mi morde il lobo dell'orecchio e ringhia leggermente, a bassa voce. "Qualcosa del genere."
Spalanco gli occhi, sembra dannatamente serio. "Qualcosa del... Tom?"
Non mi guarda. "Togliti i pantaloni" ordina, leccandomi il collo.
"Tom..."
Lo sento sorridere contro la mia pelle. "Fà come ti ho detto, Bill" mi dice di nuovo, ma dolcemente. E io non ho mai saputo resistergli.
Mai.

Mentre mi rivesto osservo l'innocuo barattolino e mi chiedo cosa stiamo combinando.
In realtà, pensavo che mi sarei sentito molto più in colpa. In fondo Karen è una mia amica. Ho perfino fatto da baby-sitter a quel suo orribile vecchio gatto, una volta. Un siamese che aveva tormentato il mio povero Scotty per due lunghe settimane.
Poi penso che lei è mia amica ma Tom è mio fratello gemello, il che significa che è la mia metà perfetta per volontà genetica.
E la genetica, se mi è permesso dirlo, ha un peso non indifferente sulla questione in oggetto.
Non abbiamo fatto niente che non avessimo già fatto prima. E non è nemmeno una questione di libido. E' una cosa nostra.
Ci sono fratelli che giocano insieme a calcetto, noi scopiamo.
Recupero il mio bottino per Karen mentre in testa mi rimbombano tutte le stronzate che mi sono somministrato per convincermi che i bei vecchi tempi sono tornati. In realtà so che mio fratello lo ha fatto per un motivo soltanto.
Nell'aria sento solo la sua volontà di arrivare in fondo a questa storia.
E niente di più.
Se mi avesse lasciato qui dentro da solo a guardare le foto di qualche energumeno palestrato e unto, il barattolino sarebbe ancora tristemente vuoto e io sarei probabilmente impegnato a fare il cruciverba del Suddeutsche Zeitung. E invece...
Invece quel bastardo di mio fratello ha pensato bene di realizzare le mi fantasie. Per fare prima, naturalmente.
"Sei pronto?" Mi chiede.
Annuisco. Io e mio figlio - o mio nipote? - siamo più o meno pronti.

"Non ho nessuna intenzione di firmare" e lo dico con un tono che non possano assolutamente fraintendere.
Karen è di 7 mesi ormai ed è decisamente enorme, più che un bambino sembrano tre. Siamo sicuri che non lo siano, comunque. A quanto pare i gemelli saltano una generazione. "Bill, io non capisco" mi dice piano, le mani in grembo.
Non ho cuore di risponderle. Sembra sempre così devastata quando parliamo di questa faccenda. Il foglio è sul tavolo tra di noi e io non lo degno di uno sguardo.
"Leggilo almeno" s'intromette Tom, seduto sul rientro della finestra. Ha lo sguardo contrariato, ma faccio finta di non accorgermene.
"Non ne ho bisogno. Lo so cosa c'è scritto" rispondo, le braccia incrociate.
"Allora firmalo" insiste lui, come se fosse la conclusione più naturale del discorso. E punta gli occhi nei miei, confidando nel loro potere persuasivo.
O nel fatto che l'ultima volta che me li ha messi addosso stavamo facendo sesso sul tavolo di una struttura medica.
Solo che può scordarsi che faccia come vuole lui stavolta. E' una cosa che mi è venuta in mente qualche giorno fa: ho acconsentito ad aiutarli ma questo non significa che rinuncerò alla paternità della bambina che dovrebbe nascere tra un paio di mesi. Non me lo hanno chiesto il giorno in cui ho fornito loro la materia prima, chiedermelo adesso quando Karen è ormai una balenottera spiaggiata mi sembra una grave dimenticanza.
"No, Tom, non lo farò" ripeto. Rimetto il foglio nella cartelletta di cartoncino nella quale me lo hanno portato questa mattina e riconsegno la penna a Karen che la prende ad occhi bassi senza insistere ulteriormente.
"Ma Cristo, Bill! Che ti prende adesso, si può sapere?" Sbotta Tom, scendendo dalla finestra e agitando le mani. Si veste ancora come se fosse uno di quei gangesta rapper del Bronx. Solite maglie, solite fasce. Soliti cappellini. Un turbinio di stoffa in eccesso che si dimena con una grazia che non ha mai acquisito. Nessuno di noi due ha cambiato stile.
Io non ho neanche cambiato taglia.
"Non voglio firmare, tutto qui" ripeto con tutta la calma del mondo. E mi sembra sufficiente a spiegare ogni cosa.
"Cosa ti costa?" Esclama. Ancora quella frase. Stando a quanto dice lui, a me non dovrebbe mai costare niente. "A te non importa neanche!"
"Questo non è vero!" replico. Con la coda dell'occhio vedo Karen alzare lo sguardo su di noi. Non sono tante le volte in cui ci ha visti litigare ma sa quanto possiamo essere cattivi l'uno con l'altro. "Mi importa esattamente quanto importa a te!"
Il che può voler dire qualunque cosa. E Tom capisce perfettamente quale dei mille significati volevo dare a quella frase.
"Se davvero fosse così, firmeresti quel fottuto foglio!" Sbatte una mano sul tavolo e Karen trasale.
Io non faccio una piega.
"Bill non è uno smalto da comprare, per la miseria! E' un bambino!" Esclama ancora. E lo odio, perchè fa sempre così quando finisce le argomentazioni: mette sempre di mezzo le mie frivolezze, come se fossi una di quelle oche idiote con le quali andava a letto a sedici anni.
"E' un bambino, Tom?" Sogghigno. "Uno a caso, oppure è il tuo?"
"Non farlo" mi minaccia, puntando il dito.
"Fare cosa?"
"Non giocare con quello che dico!" Mi abbaia contro. "Capisci sempre e solo quello che vuoi tu!"
Karen si muove a disagio, seduta sulla sua sedia. Forse prova a chiamarci ma l'abbiamo entrambi esclusa da quella conversazione. "Come ti pare, Tom. Non ha nessuna importanza" dico. "Ma questa volta sono io a dover decidere cosa fare e ti posso assicurare che non avrai la mia firma. Mi sembra di averti già dato quello che ti serviva!"
"Eravamo d'accordo, Bill!"
"Avevamo stabilito che vi avrei permesso di farlo, non che vi avrei dato il permesso di togliermi qualsiasi diritto"
Sgrana gli occhi, indignato. Ed è il caso di dire che in questo momento è una gloriosa replica di me stesso. "TU NON CI PENSAVI NEANCHE!" Ruggisce, all'improvviso. "Per te non è altro che un po' di sperma in un barattolo!"
"Magari ho cambiato idea, Tom!"
"Magari non ha nessuna importanza, perchè, visto quello che hai scelto di essere, un bambino non ti riguarda" replica.
Serro le labbra e lo guardo, ferito. Ha colpito dove sapeva di fare più male e lo odio per questo. Lo odio con tutto me stesso, con la stessa ferocia con la quale l'ho sempre amato.
"Adesso basta!"
La voce di Karen riempie la stanza all'improvviso. Ci voltiamo entrambi nello stesso identico modo. Nello stesso identico istante.
L'impeto che l'ha portata ad alzarsi di scatto e a gridare un po' vacilla ma continua a sostenerla. "Mi sono stancata di sentirvi litigare, sono mesi che questa storia va avanti" dice. Ed è fiera e bellissima: la gravidanza l'ha resa florida e i suoi occhi brillano. Provo un fascino inspiegabile per la forza che riesce a tirare fuori. "Non fa bene a voi due e non fa bene a me. E soprattutto, non fa bene a Sienna"
"Sienna?" sollevo un sopracciglio.
La rabbia di Tom sembra svanire all'improvviso. "E' così che abbiamo deciso di chiamarla" spiega, allargando le braccia quasi a volersi scusare.
E fa bene, cazzo. Ma che razza di nome è?
"Sarà immediatamente chiaro al mondo che non avete fatto uso del mio buon gusto quando avete deciso" esclamo.
C'è un attimo di silenzio, poi Tom inizia a ridere. E io lo seguo a ruota.
Karen ci guarda un po' stranita, ma poi le sue labbra si piegano e ride anche lei.
"Bill, sei un cretino" mormora mio fratello.
Karen ritrova la forza di respirare solo qualche istante dopo. "Pensi che sia davvero tanto brutto?" Mi chiede.
Scuoto la testa. "No, affatto" le sorrido, cercando di farle capire che qualsiasi nome le avessero dato a me sarebbe stato bene. Non è quello il punto.
"Forse... " Tom inizia e ci giriamo tutti e due, io e Karen. "Beh forse non è poi così importante che tu firmi. Non sei un estraneo, non corriamo certo il rischio che tu usi questa cosa contro di noi un giorno."
Lui e Karen si scambiano un'occhiata che vorrebbe essere intima, peccato per loro che io possa leggere negli occhi di mio fratello esattamente come lui può leggere nei miei; il che significa che non hanno la minima privacy in quello sguardo. Tom le ha comunicato che dovranno scendere a compromessi e a lei non è rimasto che accettare. Non c'è scelta quando l'alternativa sono i miei desideri.
"No, infatti" concordo.
In quel momento non vedo il motivo di impugnare quel foglio contro mio fratello.

Sienna è sempre uggiosa quando non ha dormito abbastanza.
Me la stringo addosso e dondolo leggermente, cercando di ignorare i suoi mugolii fastidiosi e strascicati. "Mamma..." chiama di nuovo. Non ha fatto nient'altro nell'ultima mezz'ora, forse perchè è l'unica parola che sa pronunciare come si deve.
Ha un anno e mezzo ormai, e somiglia a me e a Tom quando eravamo piccoli. Il visino rotondo e un cesto di capelli biondi appena mossi. Non ha preso niente di Karen, è assolutamente strabiliante.
Si dimena tra le mie braccia, cercando di liberarsi ma la tengo stretta. "Mamma..." dice di nuovo.
"La mamma arriva presto" le dico, accarezzandole i capelli.
Sono le tre di notte, la sala d'attesa dell'ospedale è quasi completamente vuota salvo una donna che sta aspettando di essere visitata e un ragazzo che dev'essere suo figlio.
Mi guardo intorno, cercando di distrarmi. Sienna continua a lamentarsi, a volte piagnucola ma non scoppia mai davvero in lacrime. E' come se volesse richiamare l'attenzione in quel modo ma ci rinunciasse subito vedendo che non ottiene alcun risultato.
"Shh.. buona" le dico distrattamente. Cerco di farle appoggiare la testa sulla mia spalla. Voglio che torni a dormire, è solo molto stanca.
Lei sembra accogliere l'idea, afferra una ciocca dei miei capelli e la stringe, so che le piace addormentarsi sentendo il mio profumo.
Sento rumore di passi e mi volto, ma è soltanto un'infermiera.
Tom è sparito quasi un'ora fa. Ha seguito la barella di Karen fin quasi dentro la sala operatoria ma non lo hanno fatto entrare. E' rimasto un po' a gironzolare in preda all'ansia in sala d'aspetto, poi mi ha passato Sienna e ha detto che doveva trovare un medico che gli dicesse qualcosa.
E' terrorizzato.
Karen era fuori città per lavoro oggi, mentre noi due portavamo Sienna al circo. Ha trovato traffico sull'autostrada, poi la fila si è dissipata e lei ha premuto l'acceleratore per ridurre il suo clamoroso ritardo.
Così mentre noi battevamo le mani per le tigri ammaestrate, lei si schiantava a centoventi all'ora contro un'altra auto.
Mentre inganno il tempo con sua figlia in braccio cerco di immaginare cosa stessimo facendo noi tre mentre il suo cofano si accartocciava contro una Cadillac Escalade nera. Ironico che sia la stessa macchina che lei si rifiuta di usare perchè le fa paura, e che marcisce in garage da quando Tom ne ha comprata una ancora più grossa.
Forse Sienna guardava i trapezzisti con la bocca aperta e il naso sporco di zucchero filato. Forse ridevamo.
Questa volta, quando la porta si apre, è davvero Tom.
Sienna non fa neanche il gesto di voler andare in braccio a lui: in un certo senso è come se già lo fosse. Lei percepisce il mondo prevalentemente attraverso i sensi. Io e Tom abbiamo lo stesso odore, la stessa pelle...
"Ci sono notizie?" Chiedo.
Lui scuote la testa.
Cerco di trovare qualche parola per consolarlo, ma la verità è che non c'è un bel niente da dire. Karen potrebbe morire in quella sala operatoria.
O potrebbe uscirne in uno stato talmente pietoso da non sembrare più neanche lei.
So che Tom condivide con me cinismo a sufficienza per poter pensare quello che penso io in questo momento: cosa farà se Karen rimane paralizzata, o magari cieca? Se perde un arto? Quando l'ha sposata quattro anni fa era una donna intera, riuscirà a stare vicino all'unica parte di lei che uscirà da quella sala operatoria? E se non si svegliasse più?
La moglie di Tom Kaulitz, un vegetale.
Ho sempre creduto nell'amore che supera ogni barriera, ma mi riferivo al mio per Tomi. Non ce ne sono altri altrettanto potenti e, per quanto io sappia che Tom prova amore nei confronti di Karen, so che non è quel tipo di amore che lo porterà ad accettare una moglie senza una gamba.
E lo sa anche lui mentre osserva la città oltre il vetro della finestra.
Il fatto che quei pensieri lo abbiano raggiunto prima ancora che si chiedesse se Karen sarebbe sopravvissuta lo spaventano.
Ha sempre avuto paura dei suoi sentimenti.
Guardate me, sono la prova vivente.
Sienna si è addormentata. Mi siedo, sistemandomela meglio in braccio. "Ci sai fare" mi dice Tom, staccandosi dalla finestra e guardando la bambina senza però far cenno di volerla prendere. "Sembra quasi figlia tua."
Stavo per sorridere ma il sorriso mi muore sulle labbra, trasformandosi in una smorfia.
"Bill, mi dispiace" mi dice subito. "Scusa, sono solo molto nervoso"
"Non importa. Lascia perdere" scosto una ciocca di capelli dalla fronte di Sienna.
Vorrebbe dire qualcos'altro, lo sento dal suo respiro, ma non c'è tempo perchè la porta si apre per l'ennesima volta.
Il medico si toglie la mascherina e ci guarda.
Karen è morta.

Sono passati dieci giorni.
Karen è distesa sotto due metri di terra. La sua storia è finita e così quella parte della vita di Tom.
E ora il mio gemello mi sta seduto di fronte, in un piccolo bar qui a Magdeburg, dove Karen è sepolta e io ho portato sua figlia a vivere nella nostra vecchia casa.
"Sai perfettamente che tutto questo non ha senso" mi dice, gli avambracci sul tavolo. E' teso, vorrebbe urlare.
Ho scelto un bar proprio per questo: non oserà dare spettacolo.
Gli occhiali scuri che ci coprono metà del viso bastano a malapena a non rivelare le nostre identità. Sebbene i Tokio Hotel non esistano più, ci conoscono tutti. Abbiamo carriere diverse, la gente ci adora comunque.
Alzare la voce in un luogo pubblico per noi significa ancora fotografie, richieste di autografi, baci da sconosciute.
E Tom non ha certo bisogno di questo mentre tenta di convincermi a non portargli via sua figlia.
"Karen era sua madre" commento, girando il cucchiaino nella mia tazza di caffé. Produco volontariamente quel rumore che gli da tanto fastidio. "E ora che è morta, è giusto che rimanga con il parente più prossimo."
"Io sono suo padre, Bill"
Faccio scorrere una cartelletta sul tavolo e gliela passo.
"Non secondo gli esami."
Tom legge gli esami clinici, quelli che attestano che il dna è il mio. E' anche il suo, certo, ma lui è sterile. Ci sono esami clinici che attestano anche quello.
E i miei legali sono in possesso di tutta la documentazione necessaria.
"Avevi promesso" sibila.
Annuisco, perché fin qui ha ragione. "Ti avevo detto che vi avrei aiutati. Tu e Karen" spiego, con tutta la calma che possiedo. Ed è tanta perché ho pianificato questa cosa così bene che potrei anticipare ogni sua singola risposta. "Ma non ti lascerò la bambina perché tu possa rifarti una famiglia con qualcun'altra."
"Si può sapere cosa cazzo stai dicendo?" Esclama. "Bill, la bambina non è tua. Non hai nessun diritto su di lei!"
Sollevo un sopracciglio. "Se mi ricordo bene ce l'ho ancora" dico, indicandogli uno dei fogli. E' la rinuncia alla paternità.
Che non ho mai firmato.
"Cazzo!" Tom chiude di scatto la cartella. Stringe i pugni e impreca pesantemente. Quando torna a guardarmi ha sul viso un'espressione incredula e sconvolta insieme. "Bill non puoi essere così bastardo da fare una cosa simile"
"Non è una bastard-"
"Sì che lo è invece!" Insiste. "Lo stai facendo soltanto per ripicca; perchè sei un fottuto egoista! Ti è preso il capriccio di avere un figlio e ora pretendi di averne uno, come hai sempre preteso tutto quanto il resto!"
Non rispondo.
"Metterò di mezzo gli avvocati."
"Karen e io siamo i suoi genitori biologici" esclamo, appoggiando il gomito sul tavolo e gettando in fuori una mano. "Sei tu che non hai posto nell'equazione."
"Nessuno ti permetterà una cosa simile."
Sorrido. "Vuoi rischiare?"

A quel punto ha due possibilità.
Può alzarsi da quel tavolo e spendere migliaia di euro nel tentativo di strapparmi una paternità convalidata da test clinici inappuntabili e da una serie di voci che mi sono già permesso di mettere in giro.
Oppure può rimanere lì seduto e decidere di passare il resto della sua vita con me. E con lei.
Tom sospira e ordina un altro caffé.

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