Fandom: !Originali
Pairing:
Personaggi: 2013, 2014
Genere: Introspettivo
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Prompt: Scritta per il P0rn!Fest #7 (prompt: 2013/2014, bacio a mezzanotte)
Note: Non so esattamente come sia uscita, ma come prima fanfiction dell'anno nuovo non c'è male.

Riassunto: Il Duemilatredici e il Duemilaquattordici aspettano insieme l'arrivo del nuovo anno.
IL NUOVO CHE AVANZA


“Non devi farlo per forza.”
Tredici aveva smesso di camminare qualche ora prima e adesso sedeva sulla poltrona, le braccia mollemente adagiate sui braccioli. Si sentiva la testa pesante e muoverla per seguire gli spostamenti di Quattordici era sfiancante.
“A dire il vero devo,” rispose Quattordici, passando veloce, entusiasta, pieno di energia come tutti i nuovi anni. “E' la tradizione, ma non mi dispiace.”
“Non ti dispiace,” ripeté Tredici, quasi ridacchiando. “Certo. E' così che vuoi iniziare? Mentendo?”
Quattordici si fermò. Si era mosso così velocemente fino a quel momento che ci volle un po' perché i suoi lunghi capelli neri raggiungessero la stessa immobilità del suo corpo. Gli occhi stanchi di Tredici seguirono il movimento lento delle ciocche che si adagiavano lungo la sua schiena e sulla rotondità perfetta del suo sedere. “Io non mento,” disse.
Tredici sapeva che tutti gli anni mentono quando devono ancora cominciare. Per quanto s'impegni, anche il migliore di loro non può mantenere tutte le promesse fatte. Avrebbe voluto dirlo a Quattordici, ma non lo fece. Ricordava che cosa aveva provato lui quando Dodici gli aveva detto la stessa cosa, come la nozione di quella figura stanca accasciata sul divano gli fosse entrata da un orecchio per uscirgli dall'altro. Quando eri un anno nuovo, avevi la sensazione che niente potesse fermarti, che le raccomandazioni, la rabbia, il rimpianto dell'anno affaticato che ti precedeva non ti appartenessero e che fossero cose appartenutegli che sarebbero sparite allo scoccare della mezzanotte. Non t'importava quello che era stato, avresti fatto di meglio, sicuramente.
“Io non mento,” ripeté Quattordici, piccato. Tredici si accorse che non si era più mosso e che continuava a guardarlo, in attesa di continuare quella conversazione.
Quattordici aveva occhi come Tredici non ne aveva mai visti. In genere, quando erano giovani, gli anni si assomigliavano un po' tutti. Avevano gli stessi colori, le stesse espressioni. Il loro carattere, così come il loro aspetto, si formavano con il tempo, finché alla fine del loro mandato non erano diventati unici e ben definiti, pronti per essere archiviati e ricordati specificatamente per quello che di buono o di cattivo avevano portato. Quattordici era diverso. Anzi, era già diverso da tutti gli altri. Non si sarebbe potuto scambiarlo per gli anni che lo avrebbero seguito nemmeno per sbaglio. Aveva dei connotati ben definiti, un'espressione precisa, un modo di muoversi e di reagire che erano soltanto suoi. Tredici lo conosceva da pochi giorni, ma non gli era sfuggita la determinazione nel suo sguardo e quell'espressione distante, che lo facevano sembrare sempre occupato a pensare a qualcos'altro. Già col pensiero al minuto successivo, mentre tu restavi indietro.
Per questo quando rispondeva, sembrava farlo da distanze remote, come se fosse sceso dall'alto appositamente per risponderti, essendosi accorto in ritardo che gli stavi parlando.
“Ti sei perso di nuovo,” disse Quattordici, in tono secco e vagamente risentito. Era immobile, ma teso. Pronto a tornare in movimento non appena quella discussione glielo avrebbe permesso.
Tredici sorrise benevolo. Era stanco, sentiva già il torpore impadronirsi del suo corpo, che si era fatto pesantissimo su quella poltrona. “Non mi sono perso,” disse lentamente. “Sto meditando. Una cosa che anche tu imparerai a fare.”
“O forse no,” tagliò corto Quattordici. “Non siamo tutti uguali.”
Lo sguardo di Tredici si perse per un attimo fuori dalla finestra dove la notte era già illuminata da qualche sporadico fuoco d'artificio. “Lo siamo all'inizio,” mormorò, pur sapendo che Quattordici lì davanti era la prova vivente che non fosse così. In qualche modo, sentiva di dover pronunciare quelle parole, come un obbligo, lo stesso che pesava sulle spalle del suo giovane collega. “Anche io ero come te. Impaziente e convinto di saperne di più.”
In lontananza, un campanile batté un rintocco. “Sono le undici e mezzo,” annunciò Quattordici.
Tredici annuì, nessuno più di lui era consapevole del passaggio del tempo, quella sera. Si sforzò di sedersi composto e nel muoversi colse il proprio riflesso nello specchio. Era strano guardare il proprio volto più adulto per la prima volta in dodici mesi. Quella era l'unica stanza della casa che contenesse uno specchio ed era l'unica stanza in cui gli anni non potevano entrare se non l'ultimo giorno dell'ultimo mese.
Lo specchio serviva a darti la misura del cambiamento che era avvenuto al tuo passaggio, per soppesare l'effetto che le tue azioni avevano avuto su te stesso, oltre che sugli altri. Tredici notò le linee più marcate del suo volto, notò la linea più tesa delle labbra e ricordò come i suoi occhi fossero stati pieni di meraviglia un tempo. Adesso, quella che ricambiava il suo sguardo nello specchio era una figura soddisfatta, ma stanca. Era tempo di andare, lo sentiva, ed era felice di non provare rimorso.
“Non devi farlo per forza,” disse di nuovo, quando Quattordici comparve alle sue spalle, guardandolo attraverso il riflesso.
Tredici vide un velo di irritazione nella sua espressione. “E' la tradizione,” ripeté.
“Le tradizioni si cambiano.”
Quattordici sussultò, per un istante i suoi occhi si aprirono in un'espressione sconvolta. Fu solo un istante, ma fu sufficiente a far ridere Tredici.
“Perché ridi?” Chiese il più giovane, le labbra tese per l'offesa.
“Pensavo che me ne sarei andato senza riuscire a smuoverti neanche un po',” rispose Tredici, divertito dal broncio ormai visibile sul viso dell'altro. “Cominciavo a credere che tu fossi davvero così rigido.”
“Era uno scherzo?” Chiese Quattordici.
Tredici si strinse nelle spalle. “Decidilo tu,” mormorò alla fine. “Le tradizioni si possono davvero cambiare. Magari non comincerai da questa, ma puoi sempre cambiarne altre.”
“E' questo il consiglio che mi dai?”
“No. Il consiglio che ti do è di non chiedere consigli a me,” rispose Tredici, seriamente. “Non guardare quello che ho fatto io, non assomigliarmi per niente. Sii il più diverso possibile, il più lontano possibile da me.”
Quattordici sembrò guardarlo senza capire, ma poi il campanile suonò il primo rintocco di mezzanotte e dal suo viso sparì qualsiasi traccia di dubbio.
Tredici gli offrì la mano e Quattordici la afferrò dolcemente, salendogli in grembo.
Al secondo rintocco, le sue labbra si posarono piano su quelle di Tredici, la sua lingua nei tracciò i contorni, ne saggiò il sapore, né imparò la forma.
Al terzo rintocco, il bacio si fece più intimo, mentre le mani di Quattordici sollevavano la propria tunica per permettere a quelle di Tredici di percorrere piano il sentiero della sua schiena nuda.
Al quarto e quinto rintocco, Tredici chiuse gli occhi, il respiro caldo di Quattordici lungo il collo, le sue mani nei pantaloni che lo accarezzavano piano. La sensazione del proprio corpo pesante si fece distante, l'unico peso – affatto fastidioso – era quello di Quattordici sulle sue gambe.
Le parole che si erano scambiati qualche istante prima sembravano appartenere ad un altro luogo e ad un altro tempo, si erano trasformate nei baci caldi e nelle carezze ruvide di Tredici che scivolavano lungo i fianchi dell'altro.
Al sesto rintocco, le dita di Quattordici si strinsero con più convinzione intorno al suo membro, strappando alla bocca di Tredici un lungo gemito soddisfatto. Il vecchio anno inarcò la schiena e gettò la testa all'indietro, sentì il tempo scorrergli addosso come acqua, i rintocchi velocizzarsi, sette, otto, nove, e si spinse con forza tra le dita dell'altro, perso nel proprio piacere, solo vagamente consapevole dei pochi minuti che gli restavano.
Il decimo rintocco lo lasciò freddo e orfano della mano di Quattordici.
Emise un gemito di disappunto e aprì gli occhi disorientato per vedere l'altro alzarsi sulle ginocchia, le labbra appena dischiuse e il respiro affaticato. Tredici annuì brevemente prima del rintocco successivo e quando quello risuonò, apparentemente più forte degli altri, Quattordici si calò su di lui senza esitazione, senza un suono, senza chiudere gli occhi.
Continuarono a guardarsi mentre Quattordici si muoveva su di lui, lasciando che affondasse un po' di più nel suo corpo ad ogni spinta, anticipando di un secondo i rintocchi, allungando il tempo ancora per un attimo, un attimo ancora.
Al dodicesimo rintocco, Quattordici sentì il calore del proprio orgasmo montargli dal fondo dello stomaco e vi si abbandonò, lasciandosi trasportare un'ultima volta prima di prendere definitivamente il comando.
Con un gemito, nascose il viso nel collo di Tredici e stremato, accolse le sue ultime spinte.
Per quel che rimaneva dell'ultimo giro della lancetta, si lasciò coccolare dalle sue braccia, ascoltando il battito del suo cuore farsi sempre più lento fino a fermarsi mentre il mondo fuori esultava.

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