Fandom: !Fanfiction, Glee
Pairing:
Personaggi: Dave Karofsky, Blaine Anderson.
Genere: Comico
Avvisi: Slash, Follia, crack!Fic
Rating: PG 13
Prompt: Scritta in occasione della terza notte bianca di Mari di Challenge (prompt: Dave Karofsky/Blaine Anderson, "Non credo di aver capito.")
Note: La vera soluzione alla guerra tra le Klainer e le Kurtofskian, è il Klainofsky. Mi pare sia abbastanza chiaro u.u Ma niente può iniziare senza che prima Blaine e Dave prendano contatto, no? Da qui... il Blainofsky, che poi vive di vita propria perché non c'è niente di più bello di questi due. In questa storia il Kurtofsky non c'è e non c'è nemmeno il Klainofsky, ma potrebbe. Quindi il ragionamento vale. E poi a questo punto vi ho stordito di nomi, quindi potrei parlare di papere e sarebbe la stessa cosa.

Riassunto: Dave non si è mai vergognato tanto in vita sua. E dire che di momenti imbarazzanti, nella sua vita, ne ha avuti parecchi.
I'M NOT STRAIGHT. BLAINE HAD ME TESTED.


Dave non si è mai vergognato tanto in vita sua. E dire che di momenti imbarazzanti, nella sua vita, ne ha avuti parecchi. A cominciare dalle cene di famiglia a Natale dove sua madre gli faceva cantare canzoni a dir poco ridicole, fino a qualche settimana fa quando è inciampato negli spogliatoi e a momenti si spaccava la faccia sulle panche. Fortunatamente ad assistere c'era solo Azimio a cui è toccato giurare sulla sua stessa vita di non far parola con nessuno dell'accaduto. Quell'uomo si aggira per la scuola consapevole che su di lui pende una condanna a morte, questo dovrebbe essere abbastanza indicativo di quanto Dave possa vergognarsi a volte. Eppure, nemmeno quel particolare evento è più vergognoso che starsene qui seduto in questa caffetteria di Westerville che è ordinata ed esageratamente elegante proprio come il ragazzo che gli sta davanti.
“David, rilassati,” dice Blaine, con uno di quei suoi sorrisi concilianti e un po' paterni. “Non stiamo facendo niente di male e ti assicuro che chiunque entri da quella porta non avvertirà su di me o su di te nessuno strano odore che ci identifica come...”
“Non dirlo,” lo anticipa subito Karofsky, agitandosi sulla sedia come un indemoniato. “Non dirlo, va bene? Se vuoi che me ne stia qui seduto a sentire quello che hai da dire, evita la parola.”
Blaine sospira, ma non insiste. “Come vuoi,” mormora con un sospiro rassegnato. “Onestamente credevo che fossimo un po' più avanti di così ma non è un problema. Ci arriveremo!”
Dave guarda i sorrisi di Blaine come fossero minacce di morte, e in effetti gli danno un po' quell'impressione. Blaine è così perfetto con la sua bella divisa stirata, i capelli perfettamente in piega e la maniera affettata con cui gli bastano due dita per ordinare il caffè, che Dave ha come l'impressione che sia una specie di bomba ad orologeria pronta ad esplodere al minimo segnale che qualcosa non va. Ha paura che a contraddirlo i suoi lineamenti si tramuteranno in una smorfia da film di paura e comincerà ad urlare, così cerca di essere conciliante e di tenerlo calmo fintanto che non sarà riuscito a disimpegnarsi e fuggire. “Si può sapere perché hai voluto vedermi?”
“Tu perché sei venuto?” Chiede Blaine, sorseggiando il suo caffé. Dave nota la sua posa rilassata, la gamba accavallata e la schiena dritta che poggia contro lo schienale della sedia. Si perde solo un secondo sulle sue labbra che si chiudono intorno al bordo del bicchiere di carta, ma si riprende quasi subito.
“Sono venuto,” risponde Dave, schiarendosi la voce, “perché quando ti ho chiesto per quale motivo volevi vedermi, ti sei rifiutato di rispondermi.”
Dave non sa come Blaine abbia avuto il suo numero e non ci tiene nemmeno a saperlo; fatto sta che ha preso in mano il telefono e ci ha trovato dentro un sms di questo tipo e manca poco gli viene un infarto perché se far sapere in giro che gli piace Kurt sarebbe una tragedia, farsi beccare con un messaggio del secondo ragazzo gay noto alla McKinely – il che è ridicolo perché lui alla McKinley nemmeno ci va – non sarebbe stato meno disastroso.
“Avresti potuto ignorare il messaggio e non presentarti,” gli fa notare Blaine, scrollando una spalla.
“Diciamo che sono un tipo curioso,” replica Dave.
Le labbra di Blaine si aprono in un sorriso di trionfo. Si appoggia in avanti sul tavolino e Dave si fa istintivamente indietro, inquietato da quella smorfia ambigua. “Speravo che lo dicessi. Questo è esattamente il punto della questione.”
Dave corruga la fronte, ci prova a seguire il suo ragionamento, ma fallisce miseramente. E' convinto che manchi un qualche nesso logico tra quello che lui ha detto e ciò che Blaine ha risposto. “Non ho ben capito dove stai andando a parare, Anderson,” lo avverte “ma se non mi piace, io non ci metto niente a metterti le mani addosso.”
“Non avrei saputo dirla meglio,” replica Blaine, con un sorriso radioso.
“A-ah,” commenta Dave, sempre più sospettoso. Infila una mano in tasca per recuperare degli spiccioli con cui pagare i due caffè. Il suo caffè. Solo il suo.
Blaine capisce che sta per andarsene e lo ferma. “No, aspetta,” esclama. “Senti, d'accordo, forse sono stato un po' criptico. Ricominciamo, va bene?”
“Anderson-”
“Blaine,” lo corregge lui. “Chiamami Blaine. Anderson è troppo formale.”
Dave lo squadra comunque. “Tu continua a chiamarmi Karofsky.”
“Nemmeno Dave?”
“Karofsky,” ribadisce Dave. “E' il mio cognome, non è troppo formale, e tu mantieni le distanze.”
Blaine solleva entrambe le mani e si arrende. “D'accordo,” sospira. “Ora però ascoltami. Io lo so come ti senti in questo momento. Sei pieno di emozioni contrastanti, un momento sei convinto che quella cheerleader sia uno schianto e te la porteresti a letto anche subito, l'attimo dopo però Kurt ti passa davanti nel corridoio e lo stomaco ti fa una capriola. A seguire la sensazione si sposta più in basso, la testa ti si annebbia e ti sembra di impazzire. Ed è normale.”
“E' del tuo ragazzo che stai parlando,” gli fa notare Dave, leggermente sconvolto. Se Kurt fosse il suo ragazzo – cosa sta dicendo, non lo sa neanche lui – di certo non andrebbe a dire al primo che gli sbava dietro – cosa cazzo sta dicendo – che è una reazione normale. Lo prenderebbe a pugni, tanto per cominciare. Poi magari anche a calci e a sberle, dovrebbe decidere sul momento.
“E' il mio ragazzo, ma non posso impedire a nessuno di trovarlo bello, ti pare? Anche perché lo è. Lo so. E anche tu lo sai,” replica Blaine. “Ora, tornando a noi. Già il fatto che la cheerleader ti porti ad una reazione piuttosto scontata, come quella di grugnire che te la faresti, mentre Kurt ti fa venire le farfalle nello stomaco dovrebbe essere un segno indicativo della parte da cui pendi...”
“Stiamo sempre parlando del tuo ragazzo,” Dave insiste come un disco rotto.
“Ma capisco perfettamente che questo ti confonda,” continua Blaine. “E' logico che lo faccia dal momento che questa società ti ha cresciuto finora con la convinzione che se sei un uomo devono piacerti le donne.”
“A me piacciono le donne,” esclama Dave.
“No!” Replica Blaine, con una convinzione che ha dell'incredibile. “No! A te non piacciono le donne Dave.”
Dave boccheggia, si guarda intorno terrorizzato perché Blaine non ha urlato ma non mormora nemmeno. “Io non sono gay,” chiarisce.
Blaine lo guarda molto intensamente e per un lungo istante rimangono così, congelati sul tavolo da caffè. Dave ha perfino la mano alzata.
“Okay, mi piace Kurt,” concede alla fine, diventando di un colore indefinito ma che tende al rosso del suo basco quando fa il giro dei corridoi. “Forse.”
Blaine sorride conciliante. “Così va meglio,” mormora. “Ora, forse non sei proprio gay. Forse ti piacciono anche le donne. Kurt non crede a questa possibilità, ma io personalmente sono piuttosto incline a dargli una chance, perché tutto sommato non è così improbabile.”
“A me piacciono solo le donne,” corregge Dave. “E Kurt.”
Blaine sospira di nuovo. Appoggia i gomiti sul tavolo e unisce le punte delle dita, battendosele sul naso mentre cerca le parole adatte. In tutto questo, Dave lo guarda come fosse una specie di nuovo animale mai visto prima. “Sì, ecco...” deglutisce “Il punto è che tu in realtà non sei sicuro. Voglio dire, Kurt è un maschio, quindi forse non ti piacciono tutti i maschi ma ti piacciono i maschi come Kurt.”
“Gay?” Chiede Dave, confuso.
“Sì, no...” Blaine sbuffa, rassegnato. “Il punto è che tu devi trovare il modo di capire se ti piace Kurt, i ragazzi come Kurt o magari tutti i ragazzi.”
“O magari mi lasci in pace e te ne torni a casa,” sbotta Dave, alzandosi in piedi. “Tu sei completamente pazzo e non so per quale motivo io ti sto anche a sentire.”
Dave lascia sul tavolo una manciata di banconote a caso. Non gli importa nemmeno più cosa sta pagando e per chi, vuole solo andarsene di lì e mettere tra lui e Blaine il maggior numero di chilometri possibili senza dover lasciare Lima.
Blaine recupera il suo cappotto e la sua sciarpa, la tracolla e i guanti. In pratica Dave fa in tempo ad uscire, ma non è che sia un campione di velocità, per cui Blaine lo raggiunge nel parcheggio un attimo prima che salga in macchina. “E se ti dicessi che sono disposto a dimostrarti senza ombra di dubbio che giochi per la mia squadra?” Gli urla dietro.
Dave solleva un sopracciglio. “Non credo di aver capito.”

*


Dave guarda il soffitto con gli occhi così sgranati che forse non riuscirà a chiuderli mai più. Quando Blaine gli ha detto di poter provare in maniera inconfutabile che era gay, pensava che avesse un test, un medico dal quale portarlo, un accidenti di esorcista che potesse cospargerlo di acqua santa e restituirgli una vita normale, non che sarebbe finito sul letto di un dormitorio e Blaine gli avrebbe fatto cose, alcune delle quali non credeva nemmeno possibili.
“Allora...?”
Dave solleva un dito intimandogli di stare in silenzio.
Blaine fa schioccare le labbra. “Prima o poi dovrai parlare, lo sai?” Gli dice.
Dave lascia ricadere il braccio, ma non dice una parola.
Passano i minuti e Blaine continua a girarsi fra le lenzuola, annoiato. “Posso almeno...?”
Dave solleva un dito.
“Seh, ho capito, sto zitto,” borbotta Blaine. “Però ho fame.”
Passano altri minuti, durante i quali il campanile della chiesa vicina suona, sentono uno stormo di uccelli cinguettare felici e la lancetta si muove lenta di un altro paio di tacchette. Blaine a questo punto sta scivolando in un sonno disperato e rassegnato, nella speranza che almeno l'oblio si porti via la fame.
“Anderson?” lo chima Dave all'improvviso, voltandosi verso di lui.
Blaine si solleva di scatto, spaesato e con gli occhi sgranati. “Dove sono?” Chiede. Poi il suo sguardo si posa su Dave e, lentamente, si ricorda.
“Ascoltami bene, se questa storia esce dalle mura di questo dormitorio, io ti ammazzo. Se questa storia ti esce di bocca anche solo davanti allo specchio, io ti ammazzo. Se questa storia, anche solo per caso la pensi, io...”
“Mi ammazzi, ho capito.”
“Ti rompo sia le braccia che le gambe e poi ti uso come palla da bowling, infilandoti tre dita nel naso. Ci siamo intesi?” Conclude Dave.
Blaine valuta l'ultima minaccia, inclinando un po' la testa di lato. “Fantasioso.”
“Ci siamo intesi?” Ribadisce Dave.
Blaine sospira e si passa una mano tra i ricci scombinati. “Intesi,” si rassegna. “Ma Dave, tu davvero non puoi...”
“Karofsky,” conclude Dave, scendendo dal letto e vestendosi stando ben attento a mostrare quanta meno pelle possibile nel processo. “E stai ben attento a quello che fai, Anderson, perché ti osservo.”
“Questo non lo metto in dubbio.”
Dave cammina lento solo fino alla porta ma, una volta uscito da quella stanza, praticamente corre fino alla macchina e ci si infila dentro come se quella potesse proteggerlo dal resto del mondo.
Fa il conto delle cose imbarazzanti che gli sono capitate, riduce il numero a quelle veramente insostenibili e poi pensa a quante persone ha mandato in giro per la città con la promessa di ucciderle.
Sospira, e ingrana la marcia, allontanandosi dal luogo della sua più grande vergogna, che supera la panca e e il natale. E perfino Kurt. Se continua di questo passo, e con questa gravità, entro la fine dell'anno dovrà fare una strage.

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