Personaggi: Grimilde, Malefica
Genere: Introspettivo, Romantico (sort of)
Avvisi: Femslash, Lemon
Rating: NC-17
Prompt: Note: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.37: femslash) e per il P0rn!Fest (prompt: Grimilde/Malefica, "Cornuta!" "Strega!").
Note: La storia prende in considerazione per la maggior parte i due cartoni animati della Disney ma, nel caso di Grimilde, anche la storia originale di Biancaneve che vede da parte della strega altri due tentativi precedenti alla mela. E' chiaro che si considera un finale diverso, dove i nani non gettano Grimilde – resa vecchia dall'incantesimo – di sotto da una rupe schiacciandola con un sasso. Ma alla fine, direi, era il porno il nodo centrale, quindi dubito che la coerenza freghi davvero a qualcuno x'D

Riassunto: Grimilde è una donna a cui non piacciono gli imprevisti, soprattutto in due casi: quando cacciatori spietati riscoprono un cuore che non hanno mai dimostrato di possedere e quando le capita di cercare casa e di trovarci dentro la sua peggior nemica. Più o meno.
HOME IS WHERE YOUR HEART IS (IN A BOX)


Grimilde era una donna a cui le incognite non piacevano proprio per niente.
Amava progettare i propri piani fin nei minimi dettagli e non poteva accettare che un qualcosa – per altro di natura incerta e che non aveva nessun nesso logico con gli avvenimenti in oggetto – potesse forse, magari, per caso, interferire con la sua organizzazione. D'altronde, la cosa non sorprendeva nessuno quando proprio lei, per una di queste incognite, aveva perso l'occasione buona per far sventrare Biancaneve come un capretto e liberarsene una volta per tutte. Non è che Grimilde, al tempo, avesse ignorato la possibilità che il cacciatore non volesse eseguire i suoi ordini, piuttosto non le era passato nemmeno per l'anticamera del cervello che l'uomo potesse avere una morale di qualche tipo nascosta sotto la giubba di pelle. Era stato proprio il concetto stesso di pietà a sfuggirle, ecco perché era andato tutto storto; perché le incognite non erano prevedibili nemmeno se ci pensavi prima, perché non erano logiche e perché per nessun motivo al mondo avrebbero mai dovuto succedere. Per lo stesso motivo le era andata male quando poi aveva provato con i lacci del corpetto e perfino col pettine, per quanto avesse cercato di calcolare i tempi in modo che nessuno dei nani tornasse a casa in tempo per salvarla. E anche quando c'era riuscita e nessuno dei setti ficcanaso era riuscito a mettere piede in casa prima che la mela le andasse di traverso, ecco che arrivava il principe a portarsela via con tutta la bara, ecco che il suo cavallo inciampava in un sasso e faceva uscire di bocca alla morta il pezzo di mela avvelenato. Non c'era modo che lei potesse prevedere tutto questo e, quando ci pensava, il nervoso le faceva salire un'emicrania da incubo.
Le incognite – e solo quelle – le avevano impedito di raggiungere il suo scopo e adesso la perseguitavano ovunque andasse, come adesso che aveva cambiato regno per rifarsi una vita malvagia e nel tetro castello che avrebbe voluto affittare per instaurare un nuovo, magnifico regno del terrore ci trovava lei, una delle donne che odiava di più al mondo e che, nella sua classifica personale, occupava il posto appena sotto quello di Biancaneve. Era già abbastanza irritante che il castello fosse già abitato, ma che la proprietaria fosse lei, proprio, era un imprevisto che non solo la mandava in bestia e le feceva ribollire la brodaglia nel calderone, ma la metteva pure di fronte al fatto che molto probabilmente avrebbe di nuovo dovuto prendere le sue valige e rimettersi in viaggio perché, se c'era una cosa di cui era certa – e che nessuna incognita venuta a tormentarla dall'inferno poteva cambiare – era che per sfrattare Malefica da casa sua avrebbe dovuto ucciderla, e non era una cosa che potesse fare con facilità senza lo specchio andato in frantumi e nessun posto, nemmeno una grotta, dove preparare qualche incantesimo.
Lei e Malefica non erano mai andate d'accordo fin dai tempi dell'adolescenza, quando da ragazzine s'incrociavano per sbaglio nello stesso bosco all'alba. Il fatto era che Grimilde aveva sempre dovuto impegnarsi il doppio di lei per ogni incantesimo, anche di bassa fattura, e in ogni caso non le era mai riuscita più che qualche pozione dal gusto nauseante, con la quale al massimo poteva avvelenare qualcuno o trasformarsi in una vecchia decrepita con ben poca autonomia e una resistenza pari a quella di un foglio di carta velina, per non parlare del fatto che per utilizzare ciò che creava aveva sempre bisogno di cibo o di un qualche oggetto da inzuppare prima nella brodaglia. Malefica, invece, era una naturale. Le bastava schioccare le dita per far trasformare le cose o trasformare se stessa, non aveva bisogno di infilare in una pentola quintali di ingredienti disgustosi e rimestare per ore per fare qualunque cosa; e si era sempre vantata di questo, sentendosi di gran lunga superiore a Grimilde e a tutte le loro coetanee.
Lo stava facendo anche adesso che l'aveva lasciata a fare anticamera nella sala centrale, in balia di tutti gli spifferi che soffiavano attraverso i mattoni sconnessi. Grimilde nascose le mani dentro le ampie maniche dell'abito e si avvolse nel mantello scuro, tentando di non congelare sul posto. Un caminetto, per quanto più accogliente che spaventoso, avrebbe giovato.
“Grimilde, mia cara,” cinguettò melliflua Malefica, facendo il suo ingresso dalla scalinata principale. “Quanto tempo! E' molto che aspetti?”
Quasi due ore, avrebbe voluto rispondere, ma si trattenne. “Non molto,” disse, sorridendo altrettanto falsamente. Si alzò in piedi, lasciando andare le cocce del mantello che rivelarono il medaglione d'oro che portava al collo, l'unico gioiello che le fosse rimasto. Gli occhi gialli di Malefica si soffermarono a guardarlo, adagiato mollemente sui seni pieni e rotondi, appena nascosti dalla tela leggera dell'abito che indossava.
Allungò una mano e lo accarezzò lentamente con un indice ossuto. “Lo porti ancora,” mormorò, con un sorriso così compiaciuto che Grimilde avrebbe voluto prenderla a schiaffi.
“E' solo una vecchia patacca che porto quando sono in viaggio,” rispose seccamente, allontanandosi dalle dita dell'altra che erano scivolate ben oltre il bordo del medaglione. “Non voglio rischiare di perdere i miei gioielli più preziosi.”
Il sorriso di Malefica non accennò minimamente a scomparire. “Ma certo, è comprensibile,” mormorò, voltando la testa in quel modo languido e teatrale che caratterizzava tutti i suoi movimenti. “E dimmi, che cosa ci fai da queste parti?”
Lo sguardo divertito nei suoi occhi e la nota estasiata che le aveva vagamente piegato la voce in una risatina a malapena trattenuta, fecero intendere a Grimilde che sapesse ormai già tutto quanto, d'altronde le notizie correvano in fretta da quelle parti, soprattutto se avevi un corvo che aveva il brutto vizio di appostarsi sui comignoli altrui e riferirti quello che aveva scoperto.
Grimilde sollevò il mento, orgogliosa. “Immagino che tu sia già stata informata,” rispose.
“Forse o forse no,” cantilenò Malefica, ondeggiando le due corna ritorte della cuffia che portava in testa, mentre le girava intorno in cerchi sempre più stretti che la costringevano a voltarsi per seguirla man mano che avanzava. “O forse voglio sentirlo da te, non credi? Le voci che circolano non sono mai totalmente veritiere.”
“Sto cercando una nuova residenza,” rispose Grimilde, sbrigativa.
“Perché?” La incoraggiò l'altra, con un'occhiata dal basso verso l'alto che seguì la piega appena accennata dei suoi fianchi sotto il vestito, si soffermò sulla cintura intrecciata in vita e solo alla fine tornò a fissare il suo viso, accompagnata da un sorriso appena più interessato di prima. “Oh! Che sia per quella faccenda di Biancaneve e del suo impomatato principe?”
Grimilde serrò la mascella, ma non rispose, sentì il suo sguardo scorrerle addosso e sospirò, intrecciando le dita per darsi qualcosa da fare.
“Le cose non vanno tanto bene per te, non è vero cara?” Insistette Malefica, stringendo la mano intorno al suo bastone. “Dev'essere alquanto imbarazzante venir sconfitta da una sempliciotta e da sette mezzi uomini a malapena intelligenti. Sono così dispiaciuta per te!”
Così dispiaciuta che stava ancora sorridendo e Grimilde non era certa di capire esattamente per quale dei mille motivi possibili. “E' stato inaspettato incontrarti di nuovo,” tagliò corto, sentendosi stranamente a disagio con l'altra donna così vicina. “Ma ora è meglio che vada, d'altronde non voglio farti perdere altro tempo. Io ero venuta a visitare la casa, ma la casa e tua quindi...”
“E perché sei venuta da me?”
Grimilde si rassettò la lunga gonna, togliendo pulviscoli inesistenti. “In realtà pensavo che il posto fosse disabitato visto lo stato di incuria in cui versa,” replicò. “Ma adesso che so che è casa tua, tutto mi appare improvvisamente più chiaro.”
“Il tuo pessimo senso dell'umorismo non cambia mai” commentò Malefica, per nulla scossa. “Ad ogni modo, il castello è mio ma non vedo perché non potremmo trovare un accordo per farti restare.”
“E sarebbe?”
Malefica gli si avvicinò finché lo strascico del suo mantello non accarezzò quello di Grimilde. “Questa dimora è immensa, e io la abito da sola,” rispose, la voce calda e accogliente in netto contrasto con le dita gelide con le quali le toccava la guancia. “Mi farebbe comodo un po' di compagnia.”
Le sue carezze scesero a sfiorarle i seni e la vita, ripercorrendo a ritroso il percorso seguito dal suo sguardo. Grimilde avrebbe voluto scostarsi, ma c'era qualcosa che glielo impediva, e aveva paura di pensarci per scoprire che era il ricordo di una luna appena visibile tra le fonde degli alberi di un bosco in cui aveva messo piede molti anni prima.
Malefica iniziò a sfilarle la cintura di corda, pressando il proprio corpo contro il suo. “Sono convinta che l'affitto non sarebbe un problema,” le sussurrò. “Devi soltanto dirmi di sì.”
Le guance di Grimilde s'infiammarono violentemente. “Tu sei pazza,” balbettò, arretrando di qualche passo, pur senza riuscire a scollare lo sguardo dal suo viso verdognolo e dagli occhi gialli che da anni avevano su di lei un effetto che avrebbe preferito continuare a negare, come aveva fatto fino a quella mattina. “Lo eri allora e lo sei anche adesso.”
“Nè allora né adesso ti sei mai lamentata,” commentò Malefica, seguendola nel suo arretrare.
Grimilde fu attraversata da un brivido. “Me ne vado,” ripeté, facendo uno sforzo per voltarsi e lanciarsi quasi in corsa verso il portone del castello. L'attimo dopo si sentì sollevare da terra e fece appena in tempo a vedere il colpo secco di polso con il quale Malefica aveva agitato il bastone prima di attraversare la sala in volo e atterrare di schiena sulle scale.
Emise un gemito doloroso e quando aprì gli occhi, Malefica stava gettando il bastone di lato e le si avvicinava a grandi passi, quasi scivolando sul pavimento lucido.
“Stammi lontana,” ringhiò, cercando di risalire a ritroso gli scalini.
Malefica le si avventò addosso, bloccandole i polsi sul marmo e strappandole un altro gemito di dolore, approfittando delle sue labbra dischiuse per insinuare la lingua tra di esse ed estorcerle un bacio come quelli a cui l'aveva costretta un tempo. Grimilde emise gli stessi mugolii di allora, indignati e poi impauriti, lentamente sempre meno convinti e più silenziosi, finché le sue lamentele non si ridussero al pallido tentativo di scostarsi di dosso l'altra donna, più pesante e più forte di lei. Riuscì a scostare il viso solo quando Malefica si allontanò per prima, e allora spalancò gli occhi “Bastarda,” le ringhiò addosso, ma così vicino che Malefica avrebbe potuto sporgersi in avanti e trovare di nuovo le sue labbra, cosa che in effetti fece, zittendo quel suo patetico “Caprona! Cornuta!” prima che potesse davvero uscirle di bocca e renderla ridicola.
Le lasciò andare i polsi solo per stringerle bene il fianco con una mano e cercare confusamente con l'altra l'orlo della lunga palandrana viola, per insinuarci sotto le dita e seguire la curva morbida delle sue gambe. Accettò con soddisfazione di sentirla affondare le unghie nella sua schiena, si inarcò indietro, prima di avventarsi famelica sul suo collo. “Strega!” Le sibilò contro la pelle arrossata appena sotto l'orecchio, come se fosse un'offesa, come se Grimilde non avesse preteso da lei quel tipo di riconoscimento ogni secondo, ogni minuto, ogni ora che avevano passato insieme in quel bosco, ogni volta che Malefica l'aveva toccata svelando ogni sua debolezza con la stessa facilità con la quale eseguiva i suoi incantesimi.
Si affrettò a sollevarle la stoffa dell'abito fin sopra la vita, costringendola ad aprire le labbra e le gambe allo stesso modo, ignorando i suoi pallidi tentativi di protesta ai quali nessuna delle due ormai credeva più.
Grimilde appoggiò la testa contro gli scalini, incurante del dolore che le procuravano alla schiena mentre si inarcava per le unghie di Malefica che le accarezzavano l'interno delle cosce, per le sue dita che si spingevano a fondo dentro di lei, strappandole un gemito più convinto e duraturo degli altri.
Spalancò gli occhi e fissò la notte attraverso un foro sul soffitto pericolante, contò le stelle mentre Malefica riprendeva possesso del suo corpo, anche se non l'aveva mai perso davvero quando il brivido di paura e piacere che le era rimasto incollato addosso in tutti quegli anni aveva continuato a tormentare le sue notti, aveva guidato le sue mani, i suoi sospiri e i suoi pensieri, così che Malefica c'era sempre stata, anche quando Grimilde era sola.
Arresa e ormai incapace di nascondere l'ondata di piacere che le attraversava il corpo, le dette fiato e voce gridando, mordendo le labbra dell'altra quando la cercò per baciarla ancora.
Strinse un'ultima volta le cosce intorno al suo polso magro e sorrise, guardando la Luna che era apparsa nel cielo. Era a casa.

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