Personaggi: Bill, Fler, Bushido
Genere: Malinconico, Romantico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Serie: Stages of Grief
Prompt: Storia scritta per la maritombola di Mari di Challenge (prompt nr.82: "Chiacchiere in chiaroscuro").
Note: Questa storia era nata per essere una storia BillxTutti, ma poi Fler se l'è portato via per farlo soltanto suo e io gliel'ho lasciato fare perché Fler mi fa cose (tanto per auto-citarmi sempre e comunque). Ed era nata anche come una one-shot che si apriva e si chiudeva qui, per non venire mai più riaperta, crollasse il mondo; ma queste cose non vanno mai come le programmi e arriva sempre qualcuno che ti suggerisce che forse ci sono anche altre cose da dire. Forse, vedremo. Intanto c'è questa ;)
Riassunto: Bill sapeva che Bushido non aveva alternative. Con il film in uscita, la vecchia e la nuova casa di produzione, i concerti e i nuovi album da preparare, avrebbe dovuto essere Dio per avere altro tempo da dedicare ad un’attività qualsiasi. Sapeva che, se avesse potuto, avrebbe dilatato le ore per lui, solo che non poteva. Bill però si conosceva anche troppo bene per poter fingere di non aver bisogno d'altro.
Genere: Malinconico, Romantico
Avvisi: Slash, Lemon
Rating: NC-17
Serie: Stages of Grief
Prompt: Storia scritta per la maritombola di Mari di Challenge (prompt nr.82: "Chiacchiere in chiaroscuro").
Note: Questa storia era nata per essere una storia BillxTutti, ma poi Fler se l'è portato via per farlo soltanto suo e io gliel'ho lasciato fare perché Fler mi fa cose (tanto per auto-citarmi sempre e comunque). Ed era nata anche come una one-shot che si apriva e si chiudeva qui, per non venire mai più riaperta, crollasse il mondo; ma queste cose non vanno mai come le programmi e arriva sempre qualcuno che ti suggerisce che forse ci sono anche altre cose da dire. Forse, vedremo. Intanto c'è questa ;)
Riassunto: Bill sapeva che Bushido non aveva alternative. Con il film in uscita, la vecchia e la nuova casa di produzione, i concerti e i nuovi album da preparare, avrebbe dovuto essere Dio per avere altro tempo da dedicare ad un’attività qualsiasi. Sapeva che, se avesse potuto, avrebbe dilatato le ore per lui, solo che non poteva. Bill però si conosceva anche troppo bene per poter fingere di non aver bisogno d'altro.
(Stages of Grief)
La villa gialla era completamente avvolta di luci, quella sera.
Un’altra delle esagerazioni di Bushido per riscattarsi dal buio della propria adolescenza e contemporaneamente l’ennesimo regalo per scusarsi della sua quasi costante assenza.
Bill poteva contare sulle dita le volte che si erano svegliati nello stesso letto, negli ultimi sei mesi. E gli bastava una mano sola per ricordarsi quante di quelle volte avevano fatto sesso.
Si era così abituato a dover buttare intere cene intatte nel cestino, alle telefonate di giustificazioni e ai regali per compensare trovati sul cuscino in scatole di raso, che ormai non si arrabbiava nemmeno più. Era diventata la routine, lo stato normale delle cose.
Non aveva idea di quando la discesa fosse iniziata, non c’era un confine netto fra quando Anis passava tutto il suo tempo con lui e quando aveva iniziato a passarlo altrove. Era successo, lentamente, una trasformazione lieve ma costante, finché un giorno si era svegliato nel letto della villa e si era reso conto che ci viveva da solo da quasi due settimane e che poteva fare soltanto due cose: fare le valige e andarsene, oppure aspettare.
Bill sapeva che Bushido non aveva alternative. Con il film in uscita, la vecchia e la nuova casa di produzione, i concerti e i nuovi album da preparare, avrebbe dovuto essere Dio per avere altro tempo da dedicare ad un’attività qualsiasi. Sapeva che, se avesse potuto, avrebbe dilatato le ore per lui, solo che non poteva. Bill però si conosceva anche troppo bene per poter fingere di non aver bisogno d’altro.
Le feste alla villa gialla erano eventi di rilevanza quasi nazionale.
Tutto lo star system tedesco entrava in fibrillazione alla sola idea di passare qualche ora a ballare sui pavimenti lucidi di casa Ferchichi. Gli inviti erano elargiti con parsimonia e si faceva la guerra per ottenerli. Chi non ci riusciva, finiva comunque per presentarsi, tirato a lucido, sperando in un po’ di fortuna o nel buon cuore del padrone di casa che alle volte scendeva magnanimo le scale e faceva passare qualcuno che non era in lista. Bill, generalmente, gli camminava di fianco, sorridendo ai fotografi che avevano superato l'euforia di vederli insieme almeno due anni prima e adesso non facevano che cercare lo scandalo, le tracce di qualcosa di torbido sui loro visi. Erano mesi che cercavano gli amanti dell'uno e dell'altro ma Bushido non aveva tempo per la propria vita, figuriamoci per averne un'altra, e Bill nascondeva la propria intimità da troppo tempo per preoccuparsi di un paio di uomini di mezz'età costantemente appostati nel suo giardino.
Quella sera però, era da solo a scendere le scale, perché Bushido aveva dovuto trattenersi ovunque fosse ed era chiaro che gli onori di casa toccassero a lui. Sarebbe arrivato solo con un paio d'ore di ritardo, aveva detto. Era una promessa.
Bill sospiro e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio mentre quell'ennesima promessa, già infranta mentre veniva pronunciata, andava a depositarsi sul fondo della sua testa, con tutte le altre cose poco importanti.
Nella stanza che si apriva davanti a lui c'erano centinaia di persone che bisognava intrattenere. Produttori con cui parlare, uomini carichi di soldi a cui sorridere, dando l'impressione che qualsiasi cosa volessero fosse possibile. Era stato divertente, i primi tempi, recuperare contatti per Anis, semplicemente sbattendo le palpebre, perché poi ne ridevano insieme, nella vasca da bagno, tra quintali di bollicine e lo champagne più costoso a cui Bill riuscisse a pensare. Adesso era solo un'incombenza che doveva sbrigare da solo e che tendeva a togliersi di mezzo in fretta. Scandagliò la stanza con lo sguardo, osservando di fretta ogni volto che gli capitasse a tiro, così allenato ad incontrare umanità che gli bastava uno sguardo per riconoscere ogni singolo ospite. Quella non era che una metà degli invitati e fra loro non c'erano altro che conoscenti e gente di spettacolo. I ragazzi non c'erano ancora.
Chakuza aveva chiamato nemmeno mezz'ora prima per avvertirlo che stavano arrivando e, dalla voce, Bill poteva ben intuire che avevano tutti già bevuto abbastanza birra da non essere esattamente adeguati alla serata che Bushido aveva voluto mettere su. Bill non capiva come si potesse pretendere di rinchiudere nella stessa stanza i suoi amici del ghetto e i figli di papà che si era fatti amici nell'ambiente con la sua bella faccia e la sua parlantina. Chakuza e gli altri non erano come lui. Erano fidati, simpatici e tutto il resto ma erano indisciplinati e Bushido tendeva ad ignorare la loro volgarità, coprendola con il suo modo di fare. Bill aveva una mezza idea di come sarebbero andate a finire le cose se Bushido non si dava una mossa, e non voleva essere lì se quella mandria di animali avesse cominciato a comportarsi come suo solito proprio quella sera. Lui poteva ben avere due modi di porsi col mondo, loro però ne avevano uno solo e non era il caso di renderlo pubblico. Le feste private della crew non erano esattamente un esempio di educazione e buona società, per dire.
Due Gin Tonic e un Mojito dopo, la folla era aumentata, Bushido non si era ancora visto e lui aveva già parlato con almeno un centinaio di persone di troppo rispetto alle previsioni. Si appoggiò al bancone del bar e sorrise al barista che gli aveva chiesto se volesse qualcos'altro. "Sono a posto così, grazie," rispose sollevando il bicchiere con le ultime gocce di menta.
Sospirò cercando con lo sguardo suo fratello, ma era una mera illusione sperare di trovarlo ancora in pista a due ore dall'inizio della festa. Qualunque fosse la sciacquetta poco famosa che aveva rimorchiato, poteva scommettere che era già distesa su uno dei letti al piano di sopra. Si appoggiò al bancone di schiena e piegò la testa all'indietro, finendo il suo cocktail. Attraverso il fondo opaco del bicchiere vide il gruppo di uomini attraversare le porte della sala e sospirò.
"Sperare che non facciano troppo casino è del tutto inutile, lo sai," disse una voce alla sua sinistra.
Bill sorrise, senza voltare la testa e osservando Saad, in lontananza, prepararsi a tradire la moglie con una bionda qualsiasi fra quelle che avrebbe trovato nel corso della serata. "Non posso fare molto altro," rispose. Sentì lo sguardo dell'uomo al suo fianco percorrere tutto il profilo del suo corpo, lo sentì fermarsi sul collo, sul mento e sulle labbra prima che l'indice di una mano grande e forte percorresse delicatamente la stessa identica strada.
"Patrick..."
Fler aveva in mano una bottiglia di birra e se la portò alle labbra prima di accomodarsi di fianco a lui e guardare la folla. "Anis dice che ne avrà ancora per un'altra ora."
"E poi per quella successiva, fino alla fine della notte," mormorò il moro.
"Bill..."
Il cantante si voltò e si strinse nelle spalle. "Dimmi almeno se sta davvero lavorando."
"Tu non sei nella condizione di poter parlare."
"E tu in quella di farmi la predica, ti pare?" Chiese il moro, togliendogli la birra dalle mani e bevendone un sorso. "E poi io credo che lo sappia."
Fler sbuffò una risata che gli uscì dalle labbra appena dischiuse. "Oh, non credo," disse. "Lui..."
"Vieni?"
“Chiudi la porta."
Bill gli dava le spalle, in piedi contro l'enorme vetrata nella camera sua e di Bushido.
Fler rimase sulla soglia, la luce del corridoio lo rendeva un'ombra scura. "Bill, io non credo che sia una buona idea."
Il moro si voltò e sorrise, anche se i suoi occhi sembravano guardare altrove. "Non è la prima volta che lo facciamo qui."
"Non è questo..."
"Non è la prima volta." Insistette. Allungò una mano a sfiorarlo appena e solo quando Fler non si scostò, si permise di appoggiare il palmo della mano sul suo petto. Alzò il viso a sfiorargli piano una guancia, sorridendo fra sé al pensiero che Patrick fosse l'unica persona che lo costringesse ad alzarsi sulle punte dei piedi per essere baciata. Gli lasciò scorrere le mani lungo le braccia, fino ai polsi forti.
Infilò le dita magre sotto il cinturino d'acciaio e lo sganciò con un movimento secco nell'esatto istante in cui chiudeva le labbra intorno sul suo collo. "Rilassati, ok?"
Fler lasciò che gli togliesse l'orologio e che lo appoggiasse là dove dopo non lo avrebbero trovato e lui sarebbe impazzito a cercarlo, per non lasciarlo dov'era e poi dover spiegare ad Anis per quale motivo il suo orologio fosse nella sua stanza e per nascondere il segreto suo e di Bill che non sembrava farsene un problema.
Provò a fermarlo di nuovo ma Bill poggiò le labbra sulle sue, la lingua sulla sua e non lo lasciò parlare. Gli passò le braccia intorno al collo e pressò il proprio corpo contro quello massiccio di Fler, lasciò che sentisse la sua eccitazione contro la gamba mentre si tirava su, aggrappandosi alle sue spalle, e Fler non poté fare altro che afferrarlo saldamente sotto le ginocchia.
“Mi spogli?" Ridacchiò, guardandolo dritto negli occhi, la fronte appoggiata alla sua.
Fler sapeva che quello era il momento in cui avrebbe dovuto dire di no, scostare Bill dal proprio corpo e allontanarsi, magari perfino abbandonare la festa per evitare di peggiorare una situazione che aveva iniziato ad essere grave quand'erano andati a letto la prima volta e che si era fatta disastrosa quando poi avevano continuato. Fler era consapevole che qualunque fosse il meccanismo che li portava a dividere il letto ogni volta che erano soli doveva interrompersi il prima possibile, ma non aveva abbastanza forza d'animo per resistere alle tentazioni e Bill era ingovernabile, capriccioso e ostinato come solo un bambino poteva esserlo.
Credere alla scusa che fosse colpa dell'irruenza di Bill era l'ultima cosa che in genere faceva prima di spogliarlo e sentirlo sotto le mani, caldo e morbido e bellissimo, nonostante il dettaglio – quasi morboso – che fosse steso tra le lenzuola da centinaia di euro di Bushido.
Fler registrò vagamente il rumore ovattato della festa oltre la porta chiusa mentre gli sganciava i pantaloni, fra le risatine di Bill che teneva le braccia appoggiate ai cuscini e gli porgeva il bacino per facilitargli l'operazione. “Sbrigati,” gli respirò nell'orecchio. “Non abbiamo molto tempo.”
“Non dire cose del genere,” gli disse.
“Ma è vero che non ne abbiamo,” Bill rise ma la sua risata era priva di allegria, piena della stessa disperazione che riempiva anche i suoi baci e le sue carezze. Come se avesse bisogno di toccare, baciare e premersi senza soluzione di continuità, perché sapeva che il vuoto tra un'azione e l'altra si sarebbe colmato di ragionamenti da fare e decisioni da prendere. I loro incontri erano composti in realtà da quell'unica sola carezza che affondava tra le sue gambe e lo derubava di tutti i pensieri.
Fler non voleva essere la mano che gli concedeva quella liberazione, ma non aveva avuto scelta. Non quando Bill aveva deciso che tutta la sua disperazione dovesse iniziare e finire con lui.
Seguì con lo sguardo l'inarcarsi morbido del corpo di Bill quando le sue dita scesero a prepararlo. Si concentrò sulle sue unghie che gli affondavano senza pietà nelle spalle e su quel lieve dolore, mitigato soltanto dal brivido di aspettativa e piacere che gli si attorcigliava intorno alla spina dorsale quando Bill gettava la testa all'indietro e mugolava il suo consenso all'intrusione, puntando i piedi fra le lenzuola, a disfare un po' di più quel territorio vietato.
Bill gemette impaziente, con la voce liquida che si scioglieva in mugolii ogni volta che spingeva più a fondo le dita. “Scopami,” gli lasciò sulle labbra un bacio appena accennato, il tempo di esalare quell'unica parola in un respiro che gli andasse dritto in bocca e togliesse ossigeno più che darlo. “Ora, non farmi aspettare.”
Quelli di Bill non erano ordini, ma suppliche al sovrano che si era scelto per quei pochi attimi. Chiedeva per il solo fatto che ormai sapeva che Fler non era mai in grado di dirgli di no. Non poteva farlo. Avrebbe dovuto essere abbastanza maturo da negargli questa follia, e invece gli divaricò le gambe ed entrò in lui, gli strinse i polsi magri e lasciò che gridasse, che chiamasse il suo nome in un urlo che non aveva quasi niente di liberatorio e che era sempre stato pieno di lacrime di rabbia.
Quando si stese su di lui, Bill lo accolse soltanto per l'attimo che gli serviva a riprendere fiato, poi si liberò da quella stretta e si stese sulla sua metà di letto. Non voleva essere abbracciato.
Fler aspettò che i suoi respiri avessero smesso di sfuggirgli e quindi voltò la testa, seguendo il profilo del corpo di Bill nella penombra della stanza. Dalla sua spalla, fino alla curva appena accennata del fianco, c'era un percorso che adesso gli sarebbe piaciuto seguire con le dita, per vedere dove conducesse, come se quella strada immaginaria disegnata sulla pelle del ragazzo racchiudesse una qualche soluzione al loro attuale problema, invece di rappresentarlo. Ma non si mosse.
“Perché lo fai, Bill?” Chiese invece, con un sospiro quasi stanco.
“Non mi sembrava di essere da solo, poco fa,” rispose Bill e si voltò su un fianco, lontano da lui.
Anche questo faceva parte della loro inconsueta routine. Dopo la voglia, veniva il rifiuto. E dopo il rifiuto, soltanto chiacchiere, nascoste nel chiaroscuro di una stanza mai illuminata, per non vedere quello che avveniva e lasciare che restasse il ricordo di odore e sapori senza immagini.
“Ora non metterla in questo modo.”
“Non la sto mettendo in nessun modo,” insistette il moro.
Fler lo guardò, senza sapere bene cosa fare, come ogni volta che succedeva e, probabilmente, ogni altra volta ancora che li aspettava. Chissà in quale stanza, in quale casa e a quante ore dal ritorno di Bushido. Avrebbe fatto la doccia un attimo prima che arrivasse, come al solito. “Vorrei solo che non dessi a me la colpa, dopo.”
“Non lo sto facendo.”
Fler allungò una mano, ma la lasciò sospesa sulla sua pelle. “Posso toccarti?”
“No.”
Mentre ritraeva la mano, però, Bill si voltò e gli si arricciò contro, come se, allontanandosi, avesse tirato un filo. Gli nascose il viso nel petto per non fargli vedere le lacrime, così a Fler non restò che accarezzargli i capelli e pensare che si ritrovava tra le mani un ragazzino tutto diverso da quello che gli aveva chiesto di essere spogliato. Non sapeva se preferiva quello o l'altro, però.
Lo lasciò piangere per un po', quindi gli sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro. “Calmati,” mormorò e, quando Bill alzò gli occhi, Fler già non lo stava più guardando. Aveva lo sguardo perso oltre la finestra, sul giardino della villa di cui non vedeva che le cime degli alberi sotto la luna. “Non ha senso piangere adesso.”
“L'ho fatto anche prima.”
“Sai perfettamente che cosa voglio dire.”
Bill rimase in silenzio ancora a lungo e Fler lo sentì quasi immobile contro il proprio corpo. “Non verrà stasera,” disse alla fine.
“Lo farà, te l'ha promesso.”
“Come promette tutto il resto,” mormorò il moro.
“Dovresti avere fiducia in lui,” Fler guardò gli alberi muoversi appena, nel vento notturno. “Lui ce l'ha in te.”
“Te l'ho detto, io credo che lo sappia.”
“Questa è la scusa che ti sei inventato, ragazzino. Non lo sa. Lui non ha la minima idea di quello che succede qui e tu... noi dovremmo smetterla.”
Bill si districò dall'abbraccio che aveva cercato e rabbrividì non appena la sua pelle si allontanò da quella di Fler. “Devo tornare alla festa,” mormorò di fretta, avvolgendosi nel lenzuolo.
“Bill...” Fler, sospirò e si alzò per andargli dietro.
“Ho capito,” lo anticipò subito lui, gli occhi serrati, come se avesse mal di testa. Gli agitò una mano davanti, per non farlo avvicinare. “Ho capito, ci penserò. Ora lascia...”
“Aspetta.” Per Fler fu facile afferrargli le dita e portarsele piano alle labbra e poi al naso. “Hai il mio odore addosso,” mormorò. “Non farti trovare così.”
Bill annuì, incerto.
“Bill?”
Il moro evitò il suo sguardo con un sospiro, ma annuì. “Ho degli ospiti di cui occuparmi.”
Fler lo osservò un'ultima volta, prima di lasciare la stanza.
La festa sembrava essere rimasta al punto esatto in cui l'aveva lasciata, se non per il fatto che adesso la metà dei ragazzi di Bushido non si vedeva ed era probabilmente dispersa nello scandaloso numero di stanze da letto libere presenti nella casa. Solo Eko Fresh si aggirava intorno al tavolo del buffet e lanciava agli altri invitati qualche occasionale occhiata come a chiedersi cosa ci trovassero di tanto interessante nel ballo quando c'era una tavola così piena di cose buone. Bill provava una gran voglia di raggiungerlo perché, in quel preciso momento, Eko rappresentava quello stralcio di normalità – lì col suo piattino in mano – che lui stava disperatamente cercando di riconquistare. Solo che non poteva, dopo essere sparito per quasi un'ora, farsi nascondere in un angolo dal turco, così mise su il suo sorriso collaudato e si lisciò la maglia, gettandosi nella folla.
Lasciò che fossero le chiacchiere degli altri a trascinarlo da una parte all'altra per tutta la sera e tentò di ignorare il fatto che Fler stesse cercando di togliersi il suo odore di dosso, abbracciato ad una bionda dall'altra parte della stanza. Bill lo vide infilarsi una mano in tasca per recuperare il telefono e leggere un messaggio. Si scambiarono un'occhiata aldilà del corpo di lei e Fler gli fece segno che il re stava arrivando. Bill controllò sul cellulare, il cuore che gli batteva più forte di quanto credeva possibile: c'era un messaggio anche per lui.
Chiese scusa alla persona con cui stava parlando, chiunque fosse dal momento che non le aveva prestato la minima attenzione, e si allontanò a grandi passi in direzione di Fler, invitandolo con gli occhi a liberarsi della troia di turno. L'uomo sospirò e si scostò gentilmente dalla ragazza, raggiungendolo, proprio mentre la porta si apriva per lasciar passare il padrone di casa, scintillante Dio solo sapeva come, anche dopo ore di lavoro.
Ci volle qualche minuto prima che Bushido fosse effettivamente in grado di raggiungerlo anche se, una volta messo piede nella stanza, lo aveva subito cercato con gli occhi e localizzato, di fianco al suo migliore amico.
“Vedo che questa festa sta andando alla grande anche senza di me,” scherzò, passando un braccio intorno alla vita di Bill e posandogli un bacio sulla tempia. “Che cosa mi sono perso?”
“Niente che tu voglia davvero sapere,” sorrise Bill, a disagio solo la metà di quello che sembrava essere Fler dopo quella frase. “Hai mangiato?”
Bushido fece segno di no con la testa. “Assolutamente no. Ho intenzione di ubriacarmi il più in fretta possibile e il cibo rallenterebbe il processo.” Si guardò intorno e poi recuperò tre flute che gli passavano accanto su un vassoio. “Coraggio, fatemi compagnia.”
Bill non sapeva se la confusione che aveva in testa dipendesse dall'atteggiamento travolgente di Bushido o dallo champagne, ma non importava poi molto.
Quando Bushido se lo strinse al fianco, Bill sentì il suo cuore riprendere a battere e il respiro soffiargli di nuovo tra le labbra come se, fino ad allora, il tempo si fosse fermato, congelato nell'ultimo attimo in cui Anis era stato al suo fianco e sospeso nell'attesa che Anis tornasse.
Ora il sangue scorreva e l'aria gli contraeva i polmoni. Tutto era a posto.
Perché senza il cuore e il respiro, niente contava davvero, non era forse così?
Ignorò volutamente la risposta negli occhi di Fler e portò il bicchiere alle labbra, sorridendo a Bushido.