Personaggi: Chakuza, OFC
Genere: Introspettivo, Humor, Hurt/Comfort
Avvisi: Fluff
Rating: PG
Prompt: Scritta per la seconda settimana del Warning Week Fest di fiumidiparole (prompt: H/C!Fluff)
Note: Questa storia non era necessaria per una quantità considerevole di motivi. Primo, avevo già una storia per il fluff!challenge di questa settimana. Secondo, già a nessuno frega niente di Chakuza con un altro rapper random, figurarsi a chi frega di Chakuza con una sorella che – probabilmente – nemmeno esiste e, se esiste, di certo non si chiama Clara perché non posso credere che mamma e papà Pangerl siano così crudeli da chiamare i figli ispirandosi ad Heidi. Come se essere Austriaci già non fosse abbastanza, in questo senso. Terzo, due motivi sono già una quantità considerevole.
Però c'è, per diversi motivi: primo, le 500 parole di Domestic!Fluff Billshido non erano sufficienti. E' una questione di orgoglio. Secondo, perché Clara mi servirà prima o poi, quindi dovevo presentarla al mondo. Terzo, sono bellissimi insieme. Quarto, sono stata istigata dalle richieste sempre più insistenti di Pangerl-cest che però non mi azzarderò ad accontentare mai. Questo è il massimo che vi posso dare :)

Riassunto: La mia vita non ha più senso, ormai.


Non che avessi ancora voglia di parlare di mia sorella; cioè, intendiamoci, io adoro Clara e adoro tutto ciò che la riguarda, ma non mi piace che voi vi facciate gli affari miei. O meglio i suoi, perché per me è tardi, a questo punto e ve li siete già fatti ampiamente.
Comunque sia, ormai l'avrete capito, io sono molto geloso di Clara e sono molto protettivo. Mi sono sempre impegnato a starle vicino e a seguirla perché, quando è nata, io ero già grandicello – avevo dodici anni – quindi magari ero un po' geloso, sì, ma essendo un maschio né andava del mio onore farlo vedere, per cui piuttosto che battere i piedi di fronte ad una neonata mi sono auto-imposto di fare l'ometto di casa e, per quanto la definizione si presti a facili battute, direi che la cosa mi è riuscita anche discretamente bene.
Mia madre è stata a casa con Clara soltanto qualche mese, poi è tornata a lavorare e di lei si è occupata mia nonna che già all'epoca era vecchia-vecchissima, quindi vi lascio immaginare cosa non era averla per casa che tentava di stare dietro a Clara che gattonava o, peggio, che aveva imparato a camminare e il suo più grande divertimento erano i tentativi suicidi di scendere le scale. Anche adesso, quando fa qualcosa di eccezionalmente stupido le dico sempre che è colpa della botta in testa che ha preso il giorno che io ero fuori di casa e nonna non aveva l'adeguato supporto fisico per fare uno scatto da centometrista e riprenderla al volo; così lei ha fatto tutta la rampa di scale di testa, è atterrata sul tappeto del corridoio e quando finalmente mia nonna l'ha raggiunta, lei si è sollevata da terra e il suo viso era una maschera di sangue perché si era fatta solo un taglietto in mezzo alla fronte, ma quando ti fai male alla testa escono sempre fiotti di sangue.
Le scale ha poi imparato a scenderle, naturalmente, ma il taglio le è rimasto sotto forma di cicatrice, proprio in mezzo alla fronte. Ovviamente non è niente di che ma, quando lei è in crisi, diventa un difetto inguardabile, come se avesse due teste per dire, e allora io ho preso l'abitudine di troncare sul nascere qualunque lamentela sul suo aspetto fisico baciandola in fronte con uno schiocco. Lo faccio anche adesso, ma dal momento che sta piangendo disperata come se da domani il sole non avesse più intenzione di sorgere, direi che per questa soluzione sono un po' in ritardo.
Tutto è cominciato un mese fa, quando lei ha ostinatamente evitato di seguire i miei consigli con studiata precisione millimetrica, cosa che invece dovrebbe sempre fare, e lei lo sa che dovrebbe viste le casistiche precedenti che trovano sempre me nella parte della ragione e lei nella parte del torto. Ma d'altronde mia sorella è una Pangerl – non c'è alcun dubbio che sia figlia di mio padre – quindi ha la testa dura e la convinzione che il mondo giri secondo una logica ben precisa, la sua, e che gli altri non possano mai capire. Esattamente come me.
Comunque sia, un mese fa nella sua classe è arrivato un ragazzo nuovo – uno di quegli scambi culturali con qualche altro paese europeo, robe così – e lei, come tutte le ragazze della sua classe, se ne sono innamorate a prima vista perché, a quanto pare, è alto bello, moro e con gli occhi truccati. Io ho pensato: eccone un altro che ha passato la sponda, ma non l'ho detto perché ogni volta che lo faccio lei dà di matto dicendo che sono vecchio – anzi no, mi dice che sono antico – e che ora i ragazzi posso anche dare sfogo al loro lato sensibile senza per questo dover essere per forza omosessuali. E io, per carità, come anticaglia non metto in discussione la libertà di questi ragazzini di dimostrare dei sentimenti diversi dalla libido, quello che mi fa storcere il naso è la necessità di dimostrarli attraverso un ombretto e del mascara. E questa, naturalmente, è tutta colpa della televisione – e già sento mia sorella che dietro mi grida: Sei antico, Peter! Un dinosauro, veramente! - che riempie la testa alla gente con modelli che non stanno né in cielo né in terra. Trovo che si generi della confusione inutile e anche imbarazzante. Voglio dire, io non posso sedermi comodo sul divano un pomeriggio, accendere la televisione per guardarla di sfuggita mentre faccio merenda, pensare che la cantante che sto ascoltando sia davvero una bella ragazza e poi scoprire che si chiama Bill. C'è qualcosa di sbagliato in questo, capite? In un certo senso è pubblicità ingannevole. Tu non tenti di vendermi un succo di frutta che quando lo compro e lo bevo scopro che in realtà è detersivo per sturare i gabinetti, ok? Poi ci crepo, e non è mica bello.
Comunque sia, lei il giorno che il ragazzino – Lukas –, è arrivato, è rientrata a casa correndo, ha spalancato la porta e ha detto “La vita è meravigliosa!” che non è mai, e dico mai, una buona cosa. Quando la vita le sembra meravigliosa generalmente ha preso una sbandata clamorosa per qualcosa di assolutamente improbabile che può essere una gonna che papà non le farà mai indossare, un cucciolo di un qualche animale strano visto in un documentario – ancora ci ricordiamo che periodo difficile sia stato quello in cui tornò a casa e in un solo respiro chiese: “Possoavereuncucciolodiscimmia?” e non c'era verso di convincerla che no, non si poteva – oppure, come in questo caso, per un ragazzo che per ovvi motivi di genetica o di quello che vi pare, le è del tutto precluso.
Ovviamente in casa non c'era nessuno, se non il sottoscritto per cui la logorrea che ci contraddistingue come famiglia insieme alla follia e alla confusione mentale, si è riversata solo su di me e come un fiume in piena mi ha travolto ed annegato. In soli dieci minuti è riuscita a raccontarmi vita, morte e miracoli di un tizio che conosceva da appena cinque ore e io davvero non so se lo ha legato ad una sedia e costretto a rispondere ad una serie di domande o cosa. Da quel primo giorno, naturalmente, il delirio. Non mi parlava di nient'altro e ogni volta che rientrava a casa, doveva necessariamente raccontarmi l'ultima puntata di questa sua soap opera personale e io dovevo starla a sentire, un po' perché io sono io e lei e lei – e questo mi pone nella condizione mentale di voler sapere tutto ciò che la riguarda – un po' perché sostanzialmente non è che avessi molta scelta visto che spalancava la porta di camera mia, si sedeva sul mio letto e dava fiato alle trombe. Ora, io sono uno che generalmente lascia vivere la sorella. Le voglio bene, se qualcuno me la tocca lo mangio vivo e tutto il resto, ma se vuole fare qualcosa, gliela lascio fare e piuttosto la controllo da lontano per essere certo che non si faccia del male serio. Quando però vedo che si tratta di una situazione senza speranza, ecco, lì magari glielo dico. E questa era una situazione senza speranza, pertanto ho aperto bocca e anch'io ho dato fiato alle trombe. Dal momento che più mi descriveva Lukas e più Lukas mi sembrava un cantante maschio che avrebbe indotto in errore centinaia di migliaia di uomini eterosessuali, le ho fatto presente che il ragazzo era sicuramente una bella persona e che potevano senza dubbio essere amici ma che, secondo me, non c'era trippa per gatti. Sia che il gatto fosse lei, o una delle sue innumerevoli amiche squittenti.
Ed è stato lì che lei mi ha detto che sono antico e che non tutti i ragazzi che si truccano e si mettono il rossetto sono omosessuali. Non tutti, ho pensato io, ma di certo una percentuale considerevole e se, dal gruppo di quelli rimasti, togliamo gli attori di teatro etero, allora ciò che rimane è solo un pugno di quattro o cinque uomini in tutto il creato – e forse anche sparsi nella storia degli ultimi dieci anni dell'umanità, quindi nemmeno tutti vivi – che pur provando del desiderio nei confronti delle donne lo provano, sa Dio perché, anche per il trucco in maniera totalmente innocente. Il mio parlarle per ore e farle notare le incongruenze di questo ragazzo che ondeggia su stivali col tacco che a stento si trovano nel reparto degli uomini, che ascolta Lady Gaga e ha la sua stessa frangia. E con quel modo di parlare poi, del tipo che ha chiamato a casa una volta e al mio “Pronto?” ha risposto con “Tu sei Peter, il fratello di Clara?” e io: “Sì” e lui: “Non ci credo, ti volevo troppo conoscere.” Che io me lo sono proprio immaginato col polso slogato che agita la mano come se non fosse davvero attaccata e ho avuto due brividi che mi scorrevano in fondo alla schiena.
Insomma no, ho pensato, qua se Clara non lo capisce, finisce male perché lei è una che nelle cose ci entra di testa, non ragiona su quello che succede e non vede aldilà di ciò che le piace, vale a dire che i difetti non li considera nemmeno – il che romanticamente potrebbe anche essere bellissimo – ma non vede neanche la possibilità che qualcosa possa andare male. Se un oggetto è bello, allora sarà anche perfetto. Se un ragazzo le piace, allora non potranno che vivere felici per tutta l'eternità e anche oltre. In realtà non è mai così, e meno male aggiungerei, voglio dire, non è che faccia i salti di gioia all'idea che conosca un ragazzo adesso che ha quindici anni e che viva con lui per sempre. E' piccola, credo che sia questo il punto.
Comunque non ci riesco, voglio dire, non mi ascolta nemmeno. Quello che le dico le entra da un orecchio e le esce dall'altro, e non si ferma nemmeno un minuto nel mezzo – che dico io, almeno un secondo, giusto di fare il giro dei neuroni per vedere se si svegliano – niente, proprio. E così ecco che oggi la porta di casa si spalanca con un tonfo che fa tremare le pareti e la trovo sulla soglia in lacrime, con il mascara che le cola sulle guance e il labbro tremulo. “La mia vita non ha più senso,” mi dice.
Io sospiro. La sua vita smette di avere senso quando qualcuno la rende di nuovo partecipe della realtà che la circonda ed uccide – generalmente a martellate – tutte le farfalle colorate che le giravano per la testa. Mi piacerebbe essere io, che magari cercherei di addormentarle quelle farfalle, e invece non mi riesce mai perché in fondo sono suo fratello, quindi il mio parere conta sempre meno di quello di una delle sue amiche e a questa cosa mi ci devo abituare temo. Però sono quello che la raccatta, in un tripudio di alucce spezzate.
“Cos'è successo?”
La prima risposta è sempre un singhiozzo fortissimo e teatrale, come se avesse fatto le scale trattenendolo e aspettasse solo che le dessi il via per cominciare. Quindi si getta sul divano e poi striscia su di me, incastrandomi la testa nel collo. A quel punto mi risponde davvero, ma quello che mi arriva è un mugolare confuso e strascicato.
Io le accarezzo i capelli. “Non ti capisco se piangi,” dico.
Clara tira su col naso e si passa tutta una mano sugli occhi, come se avesse tre anni. “Lui...” singhiozza.
“Lui cosa?”
E lei si fa prendere da un altro singhiozzo tremendo che la scuote e da quanto piange sembra che siamo morti tutti e lei debba seppellirci da sola. “Lukas!” Esclama alla fine, in un botto di urla e pianto, quindi si appoggia contro di me e mi bagna la maglietta tempo due secondi.
“Gli è successo qualcosa?” Chiedo.
“Sì! Cioè no!” Fa lei. “E' solo che è tremendo.”
“Lo immaginavo,” annuisco come se tutto questo avesse senso. Le accarezzo piano la schiena mentre lei si arrotola a palla su di me. “Vuoi essere più specifica?”
Per molto tempo non mi risponde e io la lascio sfogare perché a volte devi buttare fuori proprio tutto per poter anche solo pensare di darti una calmata. Alla fine, quando penso che abbia pianto lacrime per i prossimi dieci o quindici anni e io, in tutto questo, non ho fatto altro che tenerla stretta, lei comincia a tirare su col naso e, probabilmente, ad usare la mia maglietta per pulirlo; che è una roba schifosa, mi rendo conto, ma è così che è. “Avevi ragione,” mormora alla fine, pianissimo così magari non la sento.
Io invece la sento benissimo perché, se sono bravo in qualcosa, quella è proprio prendermi i meriti quando mi spettano. Tipo che se pensavo di avere ragione già da prima e poi tu me la dai, non mi faccio sfuggire il momento in cui dalle tue labbra escono le parole magiche. Sì, anche se i tratta della mia unica sorella che adoro ed era praticamente matematico che avessi ragione prima ancora che lei si rendesse conto che c'era qualcosa su cui forse lei poteva sbagliarsi. Poi mi risparmio il te l'avevo detto, perché sono infame solo fino ad un certo punto e comunque non è mai piaciuto nemmeno a me sentirmi dire Che ti avevo detto? da parte di mio padre quando facevo una cazzata dalla quale lui mi aveva espressamente diffidato. La cosa bella di questa faccenda, dunque, è che non mi coglie di sorpresa e sono prontissimo ad occuparmene perché sono settimane che mi preparo a fare da rete di protezione umana sotto al filo su cui Clara stava camminando spensierata e incurante dei dieci metri che la separavano dal suolo.
“Non è interessato?” Chiedo, girandoci intorno il più possibile visto l'argomento.
Lei singhiozza di nuovo, neanche avessi premuto l'interruttore; sembra una di quelle bambole dotate di sensori diversi, che a seconda di quello che fai reagiscono in un certo modo: tipo che se batti le mani, ridono, se le muovi vomitano etc. Lei uguale. Se dico determinate parole, singhiozza, indipendentemente dal contesto. “No!” Sbraita e tira su la testa per guardarmi meglio, mentre il mascara le cola giù fin dentro il colletto della maglietta, sulla quale, per altro, è stampato il solito Bill con una mano accanto alla bocca, che urla come un indemoniato. “E' stato orribile, Peter! Tipo, la cosa più umiliante della mia vita!”
“Cos'è successo, esattamente?” Chiedo.
“Io sono lì che mi dichiaro e lui mi dice... lui mi dice: sono lusingato e tu sei speciale, ma a me piacciono i ragazzi. Cioè, lo capisci quanto è TREMENDA questa cosa?”
E tremenda lo dice proprio a caratteri cubitali, enfatizzando la parola anche con un movimento della testa e io fatico a non ridere perché è davvero buffa. Ogni volta che è in questo stato di disperazione profonda per una cazzata, che è ovviamente una cazzata per tutti tranne che per lei che è una ragazzina e tutto le sembra drammatico in maniera improponibile, diventa teatrale e impostata come una diva del cinema muto e anche la voce, la cadenza delle parole, tutto è modulato per trasmetterti l'angoscia che prova dentro. Solo che, appunto, è assurdo quando calca sulle parole in questo modo e tutto diventa: tremendo, assurdamente ingiusto, troppo doloroso e ovviamente... tu non puoi capire.
“Non te la prendere,” tento di consolarla. “In fondo è un modo migliore di tanti altri per essere rifiutata, no? Ti ha anche detto che sei speciale, probabilmente se non fosse quello che è, non ci avrebbe pensato due volte.”
Lei scoppia a piangere di nuovo, che non so se ho scelto male le parole o se aveva solo voglia di inzupparmi la maglietta un altro po'; non che mi preoccupi particolarmente per la prima ipotesi perché il bello di mia sorella, anche in queste condizioni, è che è appunto mia sorella e mi conosce per cui lo sa che anche se voglio dire qualcosa di carino mi esce di bocca nel modo sbagliato ed è brava a filtrare le mie parole e a riordinarle in un concetto più umano e pietoso. In pratica quando viene qui a farsi consolare, io le fornisco delle parole in ordine sparso e lei se le rimette a posto come vuole, consolandosi da sola in pratica. Sono un distributore automatico di consolazione fai-da-te.
“Tu non puoi capire,” bisbiglia alla fine, e allora so che siamo sulla buona strada. Quando la sua vita non ha più senso ormai e io non posso capire, significa che non c'è più speranza, abbiamo toccato il fondo e non possiamo fare altro che risalire. Gioisco. E comunque, per la cronaca, capisco. E' capitato anche a me di abbordare una in un locale e sentirmi rispondere “Mi dispiace, sono qui con la mia ragazza” e poi veder arrivare la suddetta ragazza, che probabilmente guida un autoarticolato sulla West Autobahn, tra Vienna e Salisburgo, e potrebbe accartocciarmi a mani nude. Vi assicuro che dopo il primo momento di ingiustificato entusiasmo – oddio due donne che potrebbero anche limonare tra di loro qui davanti ai miei occhi! – pensi che il mondo stia andando a rotoli se le donne decidono di accoppiarsi tra loro. E non è una questione di omofobia, ben inteso, non dico che sia sbagliato, dico solo che è una tragedia per noi uomini, è come l'approssimarsi della fine delle risorse primarie della Terra ma in piccolo. Non so se mi capite. E immagino che la situazione sia altrettanto tragica se capovolta. Voglio dire, è già abbastanza difficile avere quindici anni e doversi dichiarare, per sentirsi anche rispondere che sei del genere sbagliato.
“Clara, non devi prendertela così,” le dico. “Sono cose che capitano.”
“Io non me la prendo, è solo che sono triste,” fa lei, tirando su col naso, ma i singhiozzi si stanno esaurendo e questo è un buon segno. “E se fosse una scusa? E se invece non vado bene io?”
Difficilmente, Clara. Quel ragazzo ascolta Lady Gaga e Madonna. Non sei tu che non vai bene, è proprio la tua conformazione fisica. Ma non glielo dico. “Tu sei perfetta e di certo non ti avrebbe rifiutata se fosse etero,” le dico con sicurezza. E anche una certa cognizione di causa. Bisognerebbe essere cechi, o gay per l'appunto, per dire di no a mia sorella. Che poi non è che ora io sto qui a sperare che le saltino tutti addosso, no, solo che riconoscano che è bellissima. Poi se si avvicinano gli spezzo le gambe a sprangate.
“Non è giusto,” mormora.
“No, non è giusto,” le faccio eco io pensando con un po' di abbattimento alla fidanzata camionista della donna più bella che avessi mai visto da queste parti. Non è giusto affatto che le tue possibilità personali vengano azzerate alla partenza dalla conformazione dei tuoi cromosomi. “Ma là fuori ci sono un sacco di altri ragazzi che farebbero i salti mortali per uscire con te.” E sarà bene che si diano una calmata, per altro.
“Ma lui era speciale.”
Quando mai lui era uno qualunque che, a guardarlo per dritto e per rovescio, magari era anche un po' sfigato? La gente su cui non puoi mettere le mani è sempre speciale. “Non avete mica litigato no? Potete restare amici. Non potrà essere il tuo fidanzato, ma il tuo migliore amico sì.”
“Ma io non ce la faccio! Lo amo troppo.”
Certo, immagino. Alzo gli occhi al cielo e spero che mi cada addosso una risposta sensata che non comprenda la frase em>Non dire cazzate, Clara. Sono quasi certo che non sarebbe una grande idea. “Fai passare un po' di tempo,” le dico, sistemandole i capelli dietro un orecchio, mentre lei mi appoggia la testa contro una spalla e tira su col naso. “Vedrai che ti passerà.”
“Non passerà mai.”
“E moriremo tutti,” aggiungo io, ironico ed anche un po' esausto. Tanto che lei si scosta per guardarmi e mi scruta attentamente per qualche istante, con il viso serissimo, come fosse pronta a mandarmi a quel paese da un momento all'altro; ma con quel naso a patata e le guance un po' gonfie per il broncio, è troppo buffa perché io non faccia una risatina. “Sto cercando di sdrammatizzare.”
“Non sei divertente, è una cosa tragica.”
Io serro le labbra. Non devo ridere. No, davvero. La fame nel mondo, la guerra atomica, le carestie in Africa, Clara che viene rifiutata da un ragazzino gay. Sono tutte cose estremamente tragiche per le quali il G8 si riunisce e cerca una soluzione. Solo che a me viene da ridere.
“Peter, non ridere,” fa lei, tirandosi su di scatto, in ginocchio sul divano accanto a me.
“Non sto ridendo,” mi giustifico.
Lei mi indica con un dito accusatore e un fazzoletto pieno di lacrime stretto in una mano. “Lo stavi per fare.”
“Non fare processi alle intenzioni,” borbotto.
“E tu non prendermi per il culo,” fa lei, ma poi le sue labbra si scollano in una specie di sorrisino che non vorrebbe darmi a vedere – è una tragedia, d'altronde, la fine del mondo e l'approssimarsi di una vita grigia e triste – ma che le scappa di bocca. E alla fine sbuffa. “Sei un cretino,” mi dice, colpendomi piano ad una spalla.
“Ma ti faccio ridere,” commento, sollevando le sopracciglia.
“Vero,” fa lei, ridacchiando. Poi sospira, con l'occhio un po' deluso e un po' triste. “Immagino che non ci sia niente da fare, non è che posso impuntarmi, no?”
“Direi di no.”
“E sono stanca di piangere.”
Io mi guardo la maglietta che un'enorme macchia d'umido. “Anch'io sono stanco che tu pianga,” le faccio una linguaccia.
Lei non risponde e mi abbraccia stretto, baciandomi a schiocco su una guancia. “Grazie per avermi fatto piangere un po' sulla tua maglietta,” mi ride nell'orecchio.
“Quando vuoi. Ne ho tante,” commento con disinvoltura.
“Vado a chiamarlo,” esclama alla fine, alzandosi in piedi con un saltello e risistemandosi la gonna che le sta tutta di traverso. Non so come faccia a vestirsi di trine e ciondoli e catene senza incastrarsi per ogni dove ogni volta che si muove. “Magari gli va di uscire. Così, da amici, intendo.”
La seguo con lo sguardo finché non sparisce nell'altra stanza, e sta già parlando al telefono con il ragazzo nemmeno cinque secondi dopo. Vivono attaccati al telefono i ragazzini di oggi.
Li ascolto per un po', giusto per vedere se posso effettivamente cambiarmi e uscire o se devo aspettare che la telefonata finisca per arginare una ricaduta: c'è solo un primo momento di imbarazzo, in cui mia sorella mormora un po' incerta, ma poi la sento fare un urletto euforico, di quelli tipo: “OhmioDioMaCiSonoISaldiDomani?” e mi tranquillizzo all'istante perché il ritorno alla voce querula con annesse risatine indica anche il ritorno alla normalità. Più o meno.
E' allora che mi rendo conto con orrore che probabilmente abbiamo perso un potenziale fidanzato, ma abbiamo guadagnato un'altra amica che squittisce. E non so quale delle due cose sia peggio.

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