Personaggi: Bushido, Bill, Tom
Genere: Comico
Avvisi: Slash
Rating: PG 13
Prompt: scritta in occasione della Divano!Challenge
Note: Questa breve storiellina era stata iniziata cinque milioni di anni fa (tra un dinosauro e l'altro) e mai finita. Poi ieri me la sono ritrovata per caso tra le mani e pur di non scrivere ciò che in realtà devo scrivere, l'ho finita. La storia è collocabile in qualsiasi mese, di qualsiasi anno, in quasi tutti gli universi paralleli ed è valevole anche per qualsiasi altro personaggio in circolazione (ma questi tre erano più bellini). E insomma, non che ci sia molto da dire. E' una cosina così xD

Riassunto: Quella del divano, in casa Kaulitz, era una faccenda complicata.
BATTLE FOR THE COUCH


Quella del divano, in casa Kaulitz, era una faccenda complicata.
Non che lo fosse prima. Lo era diventata dopo. C’era stato un tempo in cui il divano, come mobile atto a poggiare il culo di fronte alla televisione, non era affatto argomento di grandi discussioni. L’oggetto in questione, bello, di pelle nera e lucida, era abbastanza grande per ospitare entrambi i gemelli Kaulitz senza grossi problemi, tantopiù che ai gemelli, per dire, stare su quel divano in due, annodati come calzini spaiati in lavatrice, era anche piaciuto per un certo periodo. E questo era appunto il prima. A seguire era arrivato Bushido che, di per sé, col divano non aveva niente a che fare. Non era suo, il divano. Né era sua la casa. Né tanto meno i gemelli Kaulitz. Uno sì, magari, ma l’altro non era affar suo. Nonostante questo, come sempre succedeva quando c’era lui di mezzo, dopo il suo arrivo, era cambiato tutto. E questo era appunto il dopo.
Come si evince, dunque, un prima e un dopo c’erano ed erano anche importanti, per la questione in oggetto, che poi era il divano.
Bushido in casa Kaulitz c’era entrato per vie piuttosto comuni. La richiesta pubblica di sesso orale non c’entrava niente. Bill nemmeno l’aveva considerata, quella, gli era entrata da un orecchio per poi uscire dall’altro, senza nemmeno sballottare un po’ nella cassa di risonanza creata da un cervello spesso assente. Così, escluse tutte le porcate da scandalo televisivo, come le proposte di matrimonio, oppure lui stesso medesimo che si leccava tutte le dita con aria poco fraintendibile, Bushido aveva dovuto faticare e guadagnarselo, il ragazzino, a furia di orologi costosi, di scarpe ancora più care e di un numero incalcolabile di biglietti d’aereo. Bushido in quella casa c’era entrato dalla porta, dopo un corteggiamento da primi del novecento, senza vedere le grazie di Bill nemmeno da lontano. Nemmeno per sbaglio. Così quel divano era diventato la sua unica possibilità di allungare le mani. Come un ragazzino, stendeva il braccio con noncuranza sulla spalliera del divano e appoggiava le dita sulla spalla di Bill, ci provava almeno, e se quello non si muoveva, allora stringeva la presa. Se lo tirava anche un po’ addosso magari, ecco, tanto per sentire la pelle calda attraverso la stoffa. Si consolava così.
Il divano era il massimo che potesse chiedere a Bill, che ogni tanto si dimenticava le regole e gli si spalmava addosso durante i film romantici e tra un bacio e l’altro ci stava anche una palpatina, una soltanto, perché a darne di più Bill si ricordava che dovevano fare le cose con calma. Bushido si chiedeva ancora se questa calma sarebbe mai diventata fretta, un giorno. Uno qualsiasi, ma un giorno, per Dio, sì.
Il punto, e qui si tornava alla disquisizione sul divano, era che la casa era appunto dei Kaulitz, che erano indubbiamente in due. Tom non aveva preso bene il passaggio tunisino dal prima al dopo. Improvvisamente, da un giorno ad un altro, aveva sviluppato un amore tale per quel divano da negare categoricamente di poterlo lasciare libero ai due innamorati.
- Devo vedere la tv, - era la scusa più usata, in genere. C’era sempre un film interessante, che non poteva assolutamente perdere. Così si piazzava ad un’estremità del divano, e relegava gli altri due all’altra e quelli, ovviamente, non è che potessero fare più di tanto, se non guardare il film.
Bushido inizialmente aveva preso la cosa con filosofia, forte dei suoi trent’anni e del proprio autocontrollo. Aveva riso, si era tirato contro il suo fidanzatino di inizio secolo e aveva guardato il film. Questo per le prime dodici volte. Poi i suoi trent’anni gli avevano fatto notare che non scopava da mesi, lui che aveva medie non propriamente comuni, e quindi aveva cominciato ad irritarsi. Lo aveva fatto ancora di più rendendosi conto che Bill nemmeno si era accorto della presenza del fratello. A lui bastava accoccolarsi al suo fianco con i suoi dolcetti, le sue caramelle o i suoi pop corn e vedersi il film. Tom non era per lui di nessun ingombro. E dire che Bushido faticava a capire come non si potesse trovare ingombrante un essere di un metro e ottanta che ti guarda così male da farti un foro nella testa col solo sguardo.
Quella era una di quelle sere. Bushido era arrivato, era stato salutato dagli urletti festosi del suo fidanzato in ghingheri e quindi si erano sistemati sull’unica metà di divano che Tom già non avesse colonizzato con i suoi chilometri di arti. Ora, Bushido si era preparato un lunghissimo discorso per spiegare a Bill che la situazione non era più sostenibile, che le cose dovevano cambiare – per la miseria – e che se gli voleva un po’ di bene - neanche tanto, bastava un po’, giusto l’affetto che rivolgi ad un essere umano quando questo, palesemente, ti venera, - bisognava che parlasse con suo fratello e che i due venissero a patti in qualche modo. Bill non voleva forse accontentarlo un pochino? Bushido non chiedeva nemmeno del sesso – cioè lo chiedeva, per Odino e tutti gli Dei Nordici, ma non era questo il punto della questione. Ora come ora gli sarebbe bastato poter avere un cazzo di divano per intero su cui sopportare due ore di film e annusare Bill di sfuggita. Insomma, era già abbastanza castrante non poterselo portare a letto, che per lo meno gli si concedesse la possibilità di limonarselo con un po’ di riservatezza. Quindi, aveva preparato questo discorso ma Bill era già in stato euforico zucchero-indotto quindi parlarci era pressoché impossibile. Quando il numero degli zuccheri di Bill superava quello delle cellule neuronali, il moro non capiva niente che non fossero cose incredibilmente stupide per le quali entusiarmarsi senza ritorno, il che poteva includere alternativamente, o anche tutte insieme, le seguenti cose: bambini, cuccioli, alberi, fiori, casette, cartoni animati e Nena. Quindi introdurre la spinosa questione di un fratello da traslocare altrove era fuori discussione. Per altro, era fuori discussione anche parlare con Tom, perché quello di lui non ne voleva sapere. “Tunisia, forse non hai capito,” lo aveva apostrofato un giorno, tornando a sedersi sulla sua metà di divano con una lattina gigante di coca e una ciotola di pop corn nella quale suo fratello, nemmeno cinque minuti dopo, avrebbe infilato tutta la testa. “Io con te non ci parlo.”
Bushido aveva avuto due possibilità: far buon viso a cattivo gioco e sorridere, oppure massacrarlo di botte finché di lui non fosse rimasta che una poltiglia di ossa e sangue. Siccome la seconda opzione avrebbe posticipato le riprese del suo film di quasi dieci anni, diciamo, aveva preferito ripiegare sulla prima. Questo era successo molto tempo prima e da allora Tom aveva tenuto fede alle sue parole, limitandosi a salutarlo quando entrava e, soprattutto, quando usciva.
Dopo una lunga riflessione, durata quasi tutta la scena iniziale del film che stavano guardando e del quale gli era sfuggito pure il titolo – d’altronde Bill si era limitato a sventolargli davanti la custodia del DVD molto velocemente, per poi proseguire ancheggiando in un paio di pantaloni di pelle che, a detta di Bushido, erano di per sé un’autorizzazione per lui a fargli qualunque cosa – aveva deciso che per ottenere quello che voleva, doveva agire.
Tom aveva occupato ben più di metà divano con le gambe quasi distese. Bushido fece altrettanto. Allungò le gambe fin quasi a mettergli i piedi in bocca e, tanto perché non gli venisse in mente di calciarlo via, si tirò Bill in braccio, sfidando Tom a far cadere suo fratello.
Tom ringhiò per qualche minuto, poi allungò una mano e di scatto, come i prestigiatori con le tovaglie sui tavoli apparecchiati, tirò via da dietro la schiena di Bushido entrambi i cuscini.
Bushido recuperò il terzo che rimaneva e glielo tirò in faccia, nascondendo poi la mano quando Bill si girò sbattendo gli occhioni con aria interrogativa. “Non preoccuparti, amore, non è niente,” cinguettò, baciandolo sul naso. “Ti piace il film?”
“E’ stupendo!” Commentò Bill, tornando a guardare lo schermo un attimo prima che Tom sollevasse la sua lattina di coca cola e la posizionasse sopra la giacca di Bushido, adagiata sulla spalliera del divano. Il tunisino scosse la testa, Tom non avrebbe osato farlo.
Tom ghignò, quindi rovesciò il liquido che colò lungo l’abito di sartoria, sotto gli occhi sconvolti di Bushido.
“Vado in bagno!” Annunciò il moro, voltandosi verso entrambi. I due lo guardarono amorevolmente, nessuna traccia d’odio sui loro volti, che tornarono due maschere da incubo una volta che Bill fu sparito nel corridoio.
“Comincia a pregare,” sibilò Bushido.
Tom ghignò. “Prima le signore…”
L’attimo dopo, Tom lo aveva riempito di pop corn e Bushido aveva letteralmente divelto la visiera di uno dei cappellini del ragazzo, appoggiato sul pavimento.
“Tu sei un mostro!” Sbraitarono in coro.
“Questa me la paghi.” All’unisono.
“E piantala di ripetere.” In tandem.
Bushido rimase a guardare Tom incagnito per qualcosa come due minuti. Centoventi secondi di troppo, dal momento che aveva trent’anni e non poteva – culetto di Bill o meno – scendere al livello di un ragazzino di diciannove anni. Era umiliante. “Senti, Tom, ne ho abbastanza.”
“Anche io. Perché non ti alzi, prendi la tua giacca, la tua auto e non te ne torni a casa?”
“Non potremmo trovare una via di mezzo?”
“L’unica via di mezzo plausibile è che tu non poggi il culo su questo divano.”
Bushido sospirò. “E dove starebbe la via di mezzo?”
“Sta tra me che accetto che tu stia qui, assolutamente impossibile, e io che ti denuncio per pedofilia, aggravata da circonvenzione di incapace. La via di mezzo è che tu non poggi il culo su questo divano, ma te ne stai seduto che so, sulla poltrona. Nell’ingresso. Sulla tua auto… a casa tua?”
“Cos’ha di importante questo divano per te?”
“Niente, mi fa anche schifo.”
“E allora?!” Bushido sollevò entrambe le mani in preda all’isteria.
“Mio fratello ha deciso di non dartelo… non fare quella faccia, lo so che non te lo ha dato perché me lo ha detto. Mi dice tutto quello che fate, anzi, solo per questo il divano andrebbe cambiato,” puntualizzò il ragazzino. “Comunque, se lui non te lo dà e passa il tempo con te a guardare film, significa che l’unico luogo in cui tu tenterai di allungare le mani con lui è questo. Ergo non ti voglio su questo divano.”
“Io e tuo fratello stiamo insieme.”
“Lo so.Un problema alla volta.”
“Di che problema state parlando?” Chiese Bill di ritorno dal bagno, sbattendo gli occhioni ambrati.
Tom gli sorrise angelico. “Niente di grave, Bushido se ne stava andando.”
“Eh?” Gli occhi del tunisino divennero due scodelle.
“Ma si, non fare complimenti, Anis, se tua madre ha l’influenza sono certo che Bill non ti tratterrà qui,” continuò Tom.
“No, certo che no! Povera signora Louise Maria!”
“Già, povera signora Louise,” Tom si alzò e aiutò Bushido ad indossare la giacca umida, battendogli anche una mano sulla spalla con fare compassionevole mentre l’uomo tentava di nascondere i ringhi di fronte a Bill. “Vai pure a casa. Vi mettete sul divano, una bella coperta, un bel film…”
Bill, che era ormai tutto un chiocciare preoccupato, lo accompagnò fino alla porta, assicurandosi che Bushido avesse intenzione di prendersi cura della sua povera mamma malata, nemmeno fosse Cappuccetto Rosso e Bill stesse per spedirlo nella foresta con il lupo cattivo. Gli chiuse bene perfino il cappotto, tanto per essere sicuri. “E non preoccuparti, d’accordo? A me farà compagnia Tomi..”
“Già,” sibilò tra i denti Bushido.
“A tal proposito, Anis…” mormorò un po’ imbarazzato il ragazzino, lisciandogli distrattamente il risvolto della giacca.
“Sì.?”
“Non so se l’hai notato,” continuò abbassando la voce. “Ma credo che Tom si senta a disagio quando stiamo, sai, sul divano, ecco.”
“Si?” La giornata forse stava volgendo in meglio. Adesso Bill gli avrebbe detto che sarebbe stato più carino nei confronti di suo fratello trovarsi in un posto più appartato. Magari in camera sua.
“.. ecco. Magari sarebbe più carino, nei confronti di Tom, se quando vieni qui…”
“Sì?”
“… ti sedessi sulla poltrona.”

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