san valentino+san faustino

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: San Valentino, San Faustino, Martedì Grasso, Carnevale
Genere: Comico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Note: Tre anni fa ho scritto una storia intitolata You are so out that you're in in cui San Valentino ci raccontava com'era riuscito a conquistare San Faustino. Era inevitabile che prima o poi mi tornasse la voglia di riprendere in mano questo -verse, anche se solo per un altra one-shot.
Prompt: Scritta per i phade nel Cow-t #3 di maridichallenge (Missione 3: "Chiamami ancora amore" di Vecchioni) ed è valida anche per 500 themes (tema 203: Tranello).

Riassunto: E' Febbraio, mese di San Valentino ... e purtroppo anche di Carnevale. Come sempre tendente alla lamentela, Valentino si lagna della poca quantità di giorni dedicata alla propria festa rispetto ad altre, a suo dire, molto meno importanti, ma nessuno lo sta a sentire. Casualmente il giorno successivo la maschera di Carnevale sparisce e la festa che rappresenta rischia di scomparire per sempre.
LA TRACCIA DEL CORIANDOLO


San Valentino non era mai stato un tipo che si accontentava con niente, uno di quelli che si faceva bastare il suo giorno di gloria, lo trattava con cura, ne seguiva le celebrazioni e poi, come gli aveva dato inizio, così lo concludeva e riponeva tutte le sue cose in un cassetto fino all'anno dopo. San Valentino era quel tipo di festività che non solo amava gli strascichi, ma ne aveva fatto uno stile di vita. Era essenziale per la sopravvivenza della sua persona che non solo lui ma chiunque, nella totalità delle terre conosciute, non smettesse di regalare cioccolato, mandare fiori, bigliettini e fare cose zozze su ogni superficie immaginabile nemmeno uno, due, tre giorni dopo il quattordici febbraio. Si era perfino messo con Faustino per tentare di subappaltargli il giorno con qualche moina – non che Faustino, nella sua stitichezza emotiva, fosse mai disposto a cedergli, ma insomma. Per questo, quando ogni anno, il quindici di febbraio, sistematicamente, San Valentino scopriva che scartata la cioccolata, appassiti i fiori, letti i biglietti e rimesse le mutande, la gente si dimenticava della sua festa e passava oltre, ecco che arrivava la depressione. E non era una depressione qualunque, perché San Valentino – oltre a non accontentarsi con poco – era anche una persona esageratamente drammatica che viveva le sue emozioni in maniera troppo intensa, che fosse felice oppure triste. Così se il quattordici febbraio faceva irruzione alla sede della A.F.A. in sella ad un cavallo bianco seminando cuori di cioccolata, seguito dalla banda che suonava canzoni d'amore e da un esercito di bambini vestiti da putti che spargevano petali di rose, il giorno dopo si presentava completamente vestito di nero, gli occhi gonfi di pianto nascosti dietro un paio di enormi occhiali scuri e un fazzoletto di seta con le sue iniziali stropicciato tra le dita. Una volta seduto alla sua scrivania, bastava che Faustino gli chiedesse cosa c'era che non andava perché lui si accasciasse come morto, piangendo finte lacrime di vera disperazione. Ci voleva sempre del bello e del buono per calmarlo, e anche quando la crisi passava, non era lo stesso per settimane.
Era così ogni anno, ma quell'anno in particolare fu peggio del solito perché San Valentino si era davvero impegnato a rendere la sua festa così emozionante da far sì che la gente la celebrasse per giorni invece che solo per ventiquattro ore. Aveva perfino scomodato i social network, si era fatto twitter – Follow San Valentino @LoveIsAllYouNeed – Facebook, aveva messo in commercio perfino una app che andasse bene su qualsiasi sistema operativo ti capitasse di avere sul cellulare. Invece il mondo non se ne accorse nemmeno. I suoi sforzi, di solito già moderatamente vani avendo a che fare con un branco di pecore insensibili ai palpiti del cuore – non vennero affatto riconosciuti. E quando capì per quale motivo, quando capì cosa – in nome del calendario – avesse distratto la sua gente dalla sua festa, perse completamente la testa.
“E' Martedì Grasso!” Sbraitò con la furia di mille uragani, per poi abbattersi come un pino che quegli stessi uragani avevano sradicato sulla scrivania di Faustino, il quale come al solito non ne rimase minimamente scosso. Sollevò le mani dalla tastiera del computer prima che Valentino ci atterrasse sopra e poi le tenne sollevate mentre osservava la cascata liquida dei suoi lunghi capelli neri che scendevano fino a terra.
“Non dici niente?” Bofonchiò ancora San Valentino, senza muoversi di un centimetro.
“Che cosa vuoi che ti dica, Vale?” Commentò pragmatico. “E' Martedì Grasso tutti gli anni.”
San Valentino sbuffò sonoramente raschiando il fondo della sua pazienza il cui barattolo era quello ridotto dei campioni di prova. Sollevò la faccia dalla scrivania e lo guardò attraverso i ciuffi spettinati dalla sua performance drammatica. “E' Martedì Grasso subito dopo San Valentino,” precisò, sperando di essere abbastanza chiaro. D'altronde non capiva come lo si potesse essere più di così.
Naturalmente Faustino si guardò bene dal comprendere la tragedia che stava avendo luogo. Ma d'altronde raramente lo faceva perché per lui niente era tragico, a meno che non si trattasse di bambini malati, animali in via di estinzione oppure onde alte dieci metri che spazzavano via interi villaggi. Come se i relitti dell'orgoglio di Valentino non fossero stati anch'essi spazzati via dallo tsunami di un altro giorno di festa.
“Continuo a non capire,” disse Faustino, insensibile al dolore del proprio compagno. “Non è una cosa che dovrebbe coglierti di sorpresa, era scritto sul Calendario.”
San Valentino agitò una mano con noncuranza, come a liquidare la cosa. “Io non guardo mai il Calendario,” replicò infastidito. “Il mio giorno non cambia mai.”
“Adesso si spiega tutto,” sospirò Faustino mentre lo raccoglieva delicatamente dalla tastiera e lo rimetteva in piedi. Era così abituato a farlo – Valentino tendeva ad accasciarsi come una diva del cinema muto su qualsiasi cosa glielo permettesse – che non gli costò nemmeno tanta fatica. “Non c'è molto che possiamo fare, ti pare? Non è che si possa fermare il Carnevale.”
Mentre Faustino lo rimetteva in sesto, pettinandogli i capelli dietro le orecchie e raddrizzandogli gli occhiali in cima alla testa, San Valentino si mise a ragionare su quell'affermazione. Qualche istante di meditazione più tardi, il suo viso si illuminò di un sorriso radioso e francamente un po' inquietante. “Sei un genio, Tino” esclamò, osservando un punto imprecisato alle spalle di lui.
“Cosa?” Chiese Faustino con lo slancio emotivo di un comodino.
San Valentino non considerò nemmeno – d'altronde non è che stesse davvero parlando con lui – e lo baciò in fronte come avrebbe baciato in fronte qualunque cosa si fosse trovato al suo posto in quel momento. “Ho delle cose da fare. Ci vediamo a cena. Ciao.”
Dopodiché era sparito, lasciandosi solo una scia di cuori di carta rossa alle spalle.

*


Martedì Grasso era il fratello di Carnevale e, quando Faustino si presentò in ufficio il giorno dopo, stava piangendo nel corridoio – il che equivaleva a dire che Faustino non poteva attraversare il suddetto corridoio per raggiungere il suo ufficio dal momento che Martedì, con la sua stazza imponente, ne occupava la metà. Quella non allagata dalle sue lacrime.
Impossibilitato a sedersi alla propria scrivania, Faustino fece buon uso del proprio tempo libero e investigò sulla faccenda. A quanto pareva, durante la notte era sparita la maschera di Carnevale. Ogni festa, nel giorno della propria investitura – vale a dire quando entrava ufficialmente a far parte della A.F.A. – riceveva un simbolo che la contraddistinguesse da tutte le altre e che rappresentasse da solo la sua persona, un po' come un sigillo reale. Il signor Natale aveva la slitta, la signora Pasqua un bell'uovo di cioccolata, Valentino aveva due cuori sovrapposti e Faustino uno solo, simbolo dell'orgoglio single. Martedì Grasso non aveva un simbolo proprio, in quanto festività giornaliera dipendente da una festività più importante, ma era rappresentato dal simbolo di suo fratello Carnevale, la maschera, appunto.
“Come sarebbe a dire che è sparita la maschera?” Chiese a Martedì, quando gli riuscì di farlo smettere di singhiozzare. “Nessuno può entrare nella camera blindata e portarsi via un simbolo non suo.”
“Beh, qualcuno lo ha fatto!” Protestò Martedì, mordendosi il pugno chiuso. “Stamattina non era più al suo posto, il guardiano mi ha detto che Carnevale era passato a ritirarla, ma Carnevale è partito per Rio due giorni fa e comunque non si sognerebbe mai di portarla in giro, chissà cosa potrebbe succedere! Qualcuno si è fatto passare per lui e di certo non sono stato io!”
Su questo non c'erano dubbi. Carnevale era uno spirito leggero, mutevole, in grado di cambiare all'occorrenza. Suo fratello Martedì incarnava l'ultimo giorno di festa prima della Quaresima – anche lei, per altro, celebrazione dipendente – era lo spirito dell'abbondanza, dell'abbuffata, di leggero aveva soltanto lo spirito e, a meno che non fosse andato quello vestito da Carnevale a prelevare la maschera, nessuno avrebbe mai scambiato Martedì per suo fratello, senza contare che Martedì non aveva alcun bisogno di travestirsi per recuperare dalla camera blindata un simbolo che poteva legalmente usare.
“Senza la maschera, sono perduto,” riprese a piagnucolare Martedì. “Cacceranno sia me che mio fratello come hanno fatto con i Lupernalia!”
In genere Martedì tendeva sempre ad esagerare – Faustino ne sapeva abbastanza di primedonne per capirlo alla prima occhiata – e adesso era evidentemente in preda al panico, senza contare che i Lupernalia non erano stati affatto cacciati ma mandati in pensione, ma stavolta aveva ragione: la situazione era effettivamente grave. Tutti i simboli dovevano sempre restare all'interno dei confini del palazzo, poiché portarli fuori era rischioso. La perdita di un simbolo significava la fine della festa stessa che veniva dimenticata per sempre. Si parlava di svanire nel nulla, altro che di licenziamenti e pensioni.
“Dobbiamo scoprire chi ha preso la maschera,” commentò Faustino.
“Chi potrebbe aver fatto una cosa simile?” Singhiozzò Martedì. Provò a tirare una manciata di coriandoli per vedere se gli risollevavano il morale ma quando quelli atterrarono sulla superficie del lago delle sue lacrime e poi andarono a fondo, scoppiò di nuovo a piangere. “Chi può voler fermare il Carnevale?”
Faustino aveva una risposta precisa per quella domanda ma, evidentemente, nonostante la rabbia improvvisa che stava riuscendo a scuotere perfino l'apatia insita nella propria persona, c'era in lui qualche pallida traccia d'amore se non la disse a voce alta. Un quadro perfetto di quello che doveva essere successo – salvo alcuni particolari oscuri che si sarebbe certo premurato di chiedere – si dipinse istantaneamente nella sua testa. Era davvero possibile che Valentino, pur nella sua sconfinata idiozia, fosse arrivato a tanto al fine di averla vinta sulla faccenda della festa degli innamorati prolungata all'infinito? La risposta era evidentemente sì. E da quel semplice pensiero, che trovava conferma nell'assoluta baraonda in cui l'intero palazzo era stato gettato, ne nasceva un altro: com'era stato possibile che qualcuno ai piani alti avesse trovato Valentino – uno che palesemente aveva passato troppo tempo a farsi le tinte da adolescente per poter avere ancora il cervello sano – un buon candidato per ricoprire una carica come quella? Valentino non era cattivo e lui lo adorava – per carità, non diceva di no – ma Valentino era anche scemo senza speranza ed era meglio che fosse lui ad andare a prenderlo a sberle che non il consiglio disciplinare. Pertanto, arrabbiato come una festa infrasettimanale, girò in fretta sui tacchi e si allontanò, lasciando Martedì al suo oceano di lacrime.

*


“Non so di che cosa tu stia parlando,” fu il commento di San Valentino quando Faustino si presentò a casa sua e gli chiese conto e ragione della maschera scomparsa. Disteso su una sdraio in costume da bagno, prendeva il primo sole di fine febbraio, evidentemente ignaro dell'ultima neve che ancora decorava la ringhiera del suo terrazzo. Conoscendolo, Faustino si fermò nel punto giusto per fargli ombra, così che fosse costretto ad aprire gli occhi e guardarlo. “Tino, ti spiace? Sto prendendo il sole.”
“A quanto sembra, hai preso anche qualcos'altro.”
Valentino abbassò lo schermo in alluminio per riflettere i raggi del sole sul viso e lo guardò con aria strana. “Se questa voleva essere una battuta a sfondo sessuale, sono orgoglioso del tuo tentativo ma per onestà ti dico che potresti fare di meglio.”
Faustino contò fino a dieci e cercò di ricordarsi per quale motivo, due anni prima, avesse deciso di accollarsi la piaga che aveva di fronte. “Non era una battuta di nessun genere e dovresti guardarti bene dal parlare di onestà visto quello che hai fatto.”
“Io non ho fatto niente.”
“Valentino!”
“Che c'è?”
Faustino sospirò e si lasciò andare seduto sulla sdraio che sobbalzò un po', costringendo Valentino a sedersi tutto da una parte per evitare che si ribaltasse. “Ascolta, piantala di mentire, d'accordo? La maschera di Carnevale è sparita e so che l'hai presa tu.”
Valentino mise su un broncio da manuale credendo – a torto – di poterlo intenerire. “Perché sei tanto sicuro che sia stato io?”
A Faustino scappò una risatina isterica e quindi doppiamente inusuale per lui. “Vale, nessuno può entrare nel palazzo della A.F.A. se non è una festa riconosciuta perché il palazzo è invisibile, mi seguì? Quindi ammesso che qualcuno oltre a noi sapesse che esistiamo e quindi sapesse dell'esistenza della maschera, non potrebbe comunque trovarci perché neanche il palazzo – teoricamente – esiste. E questo cosa significa?”
Valentino ebbe la faccia tosta di sgranare gli occhi e aprire la bocca in un'espressione sorpresa. “Che è sorprendente come qualcuno, che non sono assolutamente io, sia riuscito ad entrare in un palazzo senza vederlo e a rubare qualcosa di cui non conosceva l'esistenza! Deve aver visto la maschera e aver intuito che fosse importante. Accidenti! Questo misterioso ladro ha davvero avuto una bella intuizione!”
“No, significa che il ladro è uno di noi.”
“Oh,” commentò Valentino, con la faccia di uno che ci sta davvero pensando. “Hai controllato Halloween? Quello non mi è mai piaciuto!”
Faustino sospirò ancora e chiuse gli occhi per un attimo. “Halloween non c'entra niente.”
“Ah no? E che mi dici del fatto che anche quando lavora lui la gente si traveste? Eh? Eh? Eh?” Insistette San Valentino, colpendolo ripetutamente con l'indice sul petto. “Lo sai, eh, lo sai che negli Stati Uniti Halloween è la sola vera festa in cui ci si traveste? Eccolo lì il tuo colpevole! Vuole annientare Carnevale così da prenderne il posto, te lo dico io!”
“Ma cosa vai dicendo!” Sbottò Faustino esasperato e con un gemito così stanco che perfino Valentino la smise di agitare le braccia nel J'accuse più ridicolo della storia. “Halloween non avrebbe la forza di gestire più di un giorno all'anno e la sua festa ha già preso piede anche qui! Non ha alcun bisogno di rubare un bel niente a Carnevale!”
“Allora Ferragosto!” insistette Valentino. “Nessuno si veste mai a Ferragosto. Sarà geloso, io che ne so?”
“La gente non si veste perché fa caldo! Valentino ma cosa stai dicendo?”
“Cerco solo di--”
“Adesso basta, maledizione!” Faustino batté con violenza una mano sulla sdraio e San Valentino si zittì di colpo, irrigidendosi per la paura. “Ne ho abbastanza di questa pagliacciata. Ne ho abbastanza delle tue scuse, del tuo egoismo – che se permetti è un bel po' fuori luogo dalla festa dell'amore –, e ne ho abbastanza di tutti i tuoi tentativi di sovvertire l'ordine delle cose. Possibile che non riesci mai ad accontentarti? Quello che hai non è mai abbastanza, non è mai sufficientemente ben fatto o non ti soddisfa mai come dovrebbe! Sei pesante, pedante e francamente né io né nessun altro avremmo alcun dovere di starti a sentire, per cui forse – e dico forse, Valentino – dovresti renderti conto che la gente che ti tollera ti fa soltanto un favore e dovresti essergli grata! Sono due anni che mi chiedo se tu non abbia ragione, se io non sia un po' troppo rigido, se dovrei aprirmi di più o che altro e tu cosa fai? Rubi la maschera di Carnevale e quando mi presento qui prima che lo faccia la disciplinare per farti a pezzi tu mi racconti delle balle, credendo che io sia scemo! Sai cosa ti dico? Fai come ti pare. Continua a negare di essere stato tu, resta qui a prendere il sole. Prima o poi qualcuno noterà la traccia di coriandoli che porta fino a te e allora ti toglieranno anche l'unico giorno che hai!”
“Traccia di coriandoli?” Esclamò allarmato Valentino, tirandosi su a sedere.
“Sì, coriandoli,” precisò Faustino, indicando la linea colorata che risaliva le scale fino a lui. “Ti sono rimasti attaccati mentre la portavi via e sei così preso da te stesso che non te ne sei nemmeno reso conto. C'è letteralmente una traccia che dal palazzo arriva fino a casa tua. Se anche non fossi stato certo che il colpevole eri tu, lo avrei capito comunque e, credimi, non ci vorrà molto perché lo facciano anche loro!”
Faustino gli lanciò un'ultima occhiata arrabbiata e delusa, e poi si avviò a grandi passi verso l'uscita. A quel punto San Valentino si alzò in piedi e gli corse dietro, gettando via asciugamano e bibita con l'ombrellino. “Tino, aspetta!” Lo chiamò, bloccandolo prima che potesse lasciare la terrazza. “E va bene, d'accordo, sono stato io.”
“Ma non mi dire,” commentò Faustino, togliendogli un paio di coriandoli dalla spalla e mostrandoglieli come a sottolineare il discorso appena fatto. San Valentino arrossì.
“Volevo soltanto qualche giorno in più.”
Come ogni volta che Valentino metteva da parte la convinzione di avere il diritto di fare qualcosa e ammetteva le proprie colpe, Faustino non fu più in grado di essere arrabbiato con lui e sospirò. “Lo sai che non è così che funziona,” gli disse, scostandogli un ciuffo di capelli dal viso per sistemarglielo dietro l'orecchio. “Non puoi costringere la gente a festeggiare San Valentino ad oltranza nella speranza che sentano la festa con la stessa intensità con la quale la senti tu. Il minimo che ti può capitare è che tu gli venga a noia. E poi pensaci un attimo, nessuna festa può durare in eterno! Pensa se ci facessimo regali tutto l'anno o se non facessimo che mangiare cioccolato. Ogni cosa perderebbe valore, ti pare?”
Valentino ci pensò su qualche istante, ma non sembrò convinto. “Ma non chiedo tanto, soltanto qualche giorno,” protestò. “Carnevale dura un sacco di tempo. E' forse più importante travestirsi che non amare qualcun altro?”
“La gente non smette di amare qualcuno il giorno dopo San Valentino, ti pare?” Sorrise Faustino. “Ma in quell'unico giorno speciale, tutto diventa incredibilmente più importante. Un solo giorno, ventiquattro ore, in cui due persone celebrano il fatto di stare insieme. Non è incredibilmente più romantico di una settimana di bagordi in cui due fidanzati vestiti da gatti si ubriacano per strada lanciando coriandoli e suonando trombette?”
Valentino fece un cenno con la testa. “In effetti...”
Faustino sospirò di sollievo in maniera quasi comica. L'ultima volta che Valentino aveva avuto un colpo di testa simile – aveva tentato di immergere tutte le caramelle di Halloween nel lassativo – c'era voluta quasi una settimana per farlo desistere. E quando era riuscito, almeno, a togliergli di mano il lassativo, Valentino si era barricato in camera con tutte le scorte di cioccolato che aveva già fatto arrivare con due mesi di anticipo, minacciando di suicidarsi con un coma diabetico. “Ora non ci resta che riportare indietro la maschera.”
“Ma se la riporto, sarà come ammettere che l'ho presa io.”
Faustino allora gli chiese l'unica cosa che gli restava da sapere: “Come hai fatto a rubarla, tanto per cominciare?”

*


“Non possiamo essere sicuri che funzionerà di nuovo,” protestò Valentino, inguainato nuovamente nella tuta aderente e coloratissima che aveva usato la prima volta. Faustino gli intrecciò i capelli perché potesse fissarli in una crocchia sotto il cappello e gli passò un'anonima maschera bianca da mettersi sul viso, come quella indossata da Carnevale. In effetti, nessuno lo aveva mai visto in faccia, quello.
“Qui nessuno pretendeva di esserlo,” gli fece presente Faustino.
“Beh, io sì. E poi non hai detto che Carnevale è a Rio?” Continuò Valentino, sempre più nervoso. “Martedì Grasso saprà subito che non sono suo fratello.”
“E' per questo che io distrarrò Martedì mentre tu farai sfoggio delle tue doti di attore e farai credere al guardiano di voler rimettere la maschera dov'era.”
“Sì, ma che cosa gli dico?” Piagnucolò Valentino. “E' stato molto più facile portarla via!”
Faustino gli lisciò il mantello e lo squadrò da capo a piedi per qualche minuto prima di ritenersi soddisfatto del travestimento. Da quello che ricordava – non è che Carnevale passasse poi così tanto tempo in ufficio visto che doveva organizzare diverse parate in diverse zone del mondo – Carnevale e Valentino erano alti più o meno uguali e avevano la stessa struttura fisica, il che aveva permesso a Valentino di inguainarsi in quella tuta altrimenti inaccessibile. “Digli che sei tornato da Rio appositamente per riportare la maschera e che sei sempre stato tu,” lo istruì Faustino. “Martedì si è confuso. Sapeva perfettamente che saresti venuto a prenderla, ma lo ha dimenticato ed è andato nel panico, sai com'è fatto. Rimetti la maschera al suo posto e poi esci di corsa.”
“E quando Carnevale tornerà e sarà chiaro che non era lui che cosa facciamo?” Chiese Valentino.
“La maschera sarà di nuovo nella cassaforte a quel punto e non avrà più importanza chi l'avesse presa o meno,” rispose Faustino. “Ora coraggio, muoviti.”
Faustino gli tirò una spintarella, facendolo inciampare nel corridoio. Il guardiano sentì il rumore dei suoi passi incerti e sollevò la testa, impedendogli di scappare via. “Signor Carnevale!” Esclamò sorpreso. “Pensavo che si trovasse a Rio. E' successa una cosa spiacevole.”
Valentino gli dedicò un sorriso tirato, sperando che la maschera potesse in qualche modo nascondere il panico. “Lo ero,” balbetto. “Ma ora sono qui. E c'ero anche ieri.”
“La maschera è scomparsa,” piagnucolò il guardiano, con ben poca dignità, a dire il vero. “Qualcuno travestito da lei si è introdotto qui e mi ha ingannato, signore. Non potevo sapere che fosse un imbroglione. Era vestito esattamente come lei.”
Il guardiano gli si avvicinò per afferrargli la mano e mostrarsi adeguatamente contrito, ma Valentino fece un passo indietro, inorridito alla sola idea che il tipo potesse toccarlo. Allungò lui un braccio e gli picchiettò sulla spalla con la punta delle dita. “Via via, buon uomo. Non è successo niente,” commentò, cercando di usare un tono magnanimo. “E' stato solo un brutto malinteso. Quello che lei ha visto ieri ero io in persona – come del resto le ho detto – quindi nessuno ha rubato un bel niente.”
“Era lei?” Chiese il guardiano, sollevando lo sguardo sconvolto su di lui.
“Ma certo che ero io, sciocco!” Ridacchiò Valentino. “Mi guardi! Le sembra possibile che qualcun altro potrebbe mai indossare questa tuta così aderente e non mostrare nemmeno un filo di grasso? Eccetto San Valentino, forse. E' davvero un bel ragazzo, a lui starebbe bene...No! No! Ma cosa dico! Solo Carnevale, che sarei io, può indossare questa tuta. Come vede, non c'era motivo di allarmarsi. Ero io, sono io... le ho già detto che ho riportato la maschera?”
Il guardiano osservò con grande imbarazzo e molta confusione quello che pensava fosse Carnevale agitarsi senza sosta e parlare a ruota libera, e infine tirare fuori da una tasca interna del mantello la maschera scomparsa, mostrandogliela con un ghigno nervoso. “Vede?” Insistette Valentino. “E' la maschera. E' lei. L'avevo presa per.... indagini di mercato, sì. Prove sul campo, sai. Cose del genere. Ma ora l'ho riportata. Eccola.”
Il guardiano annuì, sempre più confuso. “Certo, capisco. Ma vede, suo fratello Martedì sembrava piuttosto sconvolto.”
“Certo, certo. Lui è sempre sconvolto. Vive una vita di sconvolgimento,” annuì ancora Valentino, agitando una mano di fronte a sé con poco interesse. “E non ha neanche memoria. Pensi che glielo avevo detto che sarei tornato da Rio per prendere la maschera e l'avrei riportata. Ma quello in testa ha solo stelle filanti, sa? Non mi faccia nemmeno cominciare a dirle che cosa sono le cene di famiglia con lui.”
Il guardiano annuì ancora. Era dubbioso, ma quello che aveva davanti gli sembrava davvero Carnevale, e non aveva motivo di credere che non lo fosse. Certo, se quell'idea sui badge identificativi proposta l'anno prima fosse stata approvata dal consiglio di amministrazione, adesso il suo lavoro sarebbe stato molto più facile. Avrebbe potuto chiedere di verificare le credenziali invece di dover scrutare la persona che aveva davanti con occhio clinico e affidarsi soltanto alla sua memoria. Non era mai stato un fisionomista, lui. “Certo, comprendo,” mormorò. “Ma, scusi se glielo chiedo, signor Carnevale, ma perché non ci ha rassicurati subito quando l'abbiamo contattata. Un messaggio avrebbe risolto le cose.”
“Perché, caro mio, non passo il mio tempo a fingere di tenere sotto controllo una cassaforte, io!” Sbottò San Valentino isterico. “Ho dei coriandoli da produrre, stelle filanti da arrotolare! E poi ha una vaga idea di quanto ci vuole a vestire centinaia di brasiliane per i carri?”
Il guardiano sollevò un sopracciglio, immaginando i succinti costumi delle belle ragazze del carnevale di Rio. “Ma veramente, signor Carnevale...”
“La stoffa è tanta, ma le piume sono anche troppe!” Specificò Carnevale. “Ma che glielo dico a fare? Cosa vuole saperne. Non mi faccia perdere altro tempo, apra questo catorcio.”
Il guardiano annuì e trafficò con il mazzo di chiavi che portava alla vita, quindi ne scelse una enorme che pesava probabilmente quanto Valentino e aprì la pesante porta rotonda della cassaforte. Al suo interno c'erano innumerevoli piedistalli e su ognuno di essi un diverso simbolo, protetto da una campana di vetro. San Valentino superò il proprio simbolo, seguito a ruota da quello di Faustino, senza nemmeno sprecare un'occhiata e questo lo rese così orgoglioso di sé che prese una nota mentale di regalarsi qualcosa più tardi, se non fosse finito per strada. Quindi, raggiunse l'unico piedistallo vuoto, sollevò con cura la campana di vetro sotto gli occhi del guardiano – come voleva la procedura – e mise a posto la maschera che fu attraversata da un bagliore argenteo non appena toccò il piedistallo. Una volta riabbassata la campana, si accese una luce ad indicare che la maschera era al suo posto e Valentino sorrise. “Bene, ecco fatto. Ora posso andare,” esclamò, sfregandosi le mani per liberarsi dei coriandoli. “E' stato gentilissimo, davvero. E si ricordi, ero a Rio ma sono tornato e ora vado a Rio di nuovo. Che pazienza ci vuole, non sto un attimo fermo, vero? Come mi reggo in piedi? Sembra impossibile, vero? Lo so. Ma consumo tanto ginseng!”
Il guardiano lo sentì parlare anche dopo che fu scappato di corsa dalla cassaforte ed ebbe girato l'angolo, scomparendo per sempre.

*


Tre settimane dopo, San Valentino sedeva alla sua scrivania, intento a sistemarsi i capelli. Dal momento che il giorno dopo aver rimesso la maschera al suo posto nessuno era venuto a casa sua per arrestarlo e nemmeno quello dopo o quello dopo ancora, si era ritenuto al sicuro e adesso la questione della maschera non era che un vago ricordo nel fondo del pozzo nero che era quella parte del suo cervello in cui metteva tutte le cose che non gli interessavano più, cioè quasi ogni cosa dopo i primi cinque minuti di grande entusiasmo. Perciò, quando Carnevale – di ritorno da New Orleans – si avvicinò a grandi passi alla sua scrivania, lo accolse col sorriso inconsapevole e compiaciuto che riservava a chiunque avesse un sedere come il suo. “Bentornato!” Cinguettò, chiudendo lo specchietto da borsetta. “Com'è andato il viaggio?”
Carnevale, un fianco gettato in fuori con aria infastidita e due occhi azzurri così furenti da poter passare il metallo da parte a parte con un solo sguardo anche da dietro la maschera bianca, si chinò su di lui, arrivandogli così vicino che Valentino avrebbe potuto baciarlo sulle labbra se solo quelle non fossero state arricciate a mostrare i denti in un ringhio animalesco. “So che cosa hai fatto,” sibilò a bassa voce Carnevale, con un tono così acido che l'altro deglutì, terrorizzato. “Non posso provarlo, ma so che sei stato tu. E ti avverto, se ci riprovi, anzi se anche solo ti fai passare l'idea di provarci in quel cervello pieno di ovatta che ti ritrovi, io prima ti spezzo le gambe e poi ti lascio in mezzo di strada ad Ivrea prima dell'inizio della battaglia delle arance. Quando avranno finito, se sei ancora vivo,” precisò Carnevale, sbuffando sul naso di Valentino fiato caldo che sapeva di zucchero a velo, “ci vorranno i pompieri per staccarti dal pavimento.”
Valentino si immaginò coperto dalla polpa di centinaia e centinaia di arance, con i capelli così luridi e appiccicosi che avrebbe dovuto per forza tagliarli. Forse gli sarebbe venuto il diabete prima che potesse riuscire a strisciare in un posto sicuro. Sconvolto, rimase a fissare il vuoto mentre Carnevale lasciava la stanza sotto lo sguardo sconcertato dei presenti che non avevano sentito una parola e non avevano idea di cosa fosse appena successo tra i due.
Faustino lo trovò che fissava il muro e ripeteva incessantemente “Le arance no, le arance no”. Abituato alle periodiche follie del suo fidanzato, si limitò a scrollare le spalle e a sedersi alla sua scrivania.
Prima o poi, pensò, gli sarebbe passata.
Personaggi: Feste Nazionali varie ed eventuali
Genere: Humor, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Slash
Rating: PG 13
Prompt: Scitta in occasione della Challenge: San Valentino/San Faustino di Fiumi di Parole.
Illustrazioni: by Leah (qui)
Note: Io amo questa storia. Punto. La amo principalmente perché non pensavo che sarei mai riuscita a scrivere qualcosa per il challenge e invece lei si è fatta scrivere nel giro di quattro giorni senza dare problema alcuno. La amo perché, a quanto pare, mi piacciono le personificazioni. E non lo sapevo.
E' stato divertente, per una volta, anche cercare informazioni su Wikipedia. Le feste citate sono tutte realmente esistenti, compresa la Giornata Nazionale del Dispiacere, della quale posso riconoscere la profondità e l'importanza ma che ha oggettivamente un nome tremendo.
E basta credo. Sono felice e orgogliosa di questo sproloquio (insensato) di 13 pagine. Buon San Valentino! <3

Riassunto: D'altronde, era anche un po' una deformazione professionale: lui era abituato ad organizzare una festa in onore dei sentimenti su scala nazionale. Lui lavorava sui grandi numeri. Era per questo che lo fregavi con niente.

YOU'RE SO OUT THAT YOU'RE IN


San Valentino non era mai stato un tipo pratico, uno di quelli che per festeggiare scendevano al primo supermercato di zona e compravano un tacchino da riempire di marmellata, nonostante, magari, ci fosse ben altro da festeggiare che non un po' di composta e qualche grosso volatile morto. Lui era uno a cui le cose piaceva farle con tutti i crismi – fiori, biglietti, gioielli e tanto di quel cioccolato da cariarti i denti anche a chilometri di distanza – e questo nonostante in realtà non fosse nemmeno una festa vera. C'era chi ancora lo accusava di aver soffiato il posto ai Lupercalia romani e di averne snaturato l'anima pagana, trasformando la festa della fertilità nella festa dell'amor cortese. Era dal 496 che si difendeva da queste accuse, spiegando alla gente che non era colpa sua se il crescente senso morale del genere umano aveva reso necessario un rinnovamento di parte dell'organico festivo. La pensione era un passo che prima o poi toccava a tutti e quello era stato il momento dei Lupercalia, tre gran bei ragazzi per altro, forse un po' naif con quelle pelli di lupo intorno ai fianchi che facevano poco chic e tanto povero vaccaro, ma sempre un bel guardare con i muscoli sporchi di grasso. A San Valentino era quasi dispiaciuto vederli andare via, erano stati bei tempi, quelli, quando era ancora uno stagista. Sempre di corsa a fare caffè, sempre in ginocchio. Gli scappava sempre un sorriso, se ci pensava.
Ad ogni modo, i tempi erano cambiati, i Lupercalia si godevano il loro meritato riposo e le altre Feste avrebbero davvero dovuto smetterla di provare rancore e magari rinnovarsi un po', perché il mondo cambiava ogni giorno e non era mai uguale a se stesso da un anno all'altro. Era per questo che lui passava trecentosessantaquattro giorni a pensare a cosa potersi inventare per festeggiare quell'unico giorno che gli competeva e, generalmente, quello che poi gli veniva in mente era così grandioso, così eccentrico, così favolosamente innovativo, che poi tutte quelle accattone delle altre Feste finivano per copiargli le idee, adattandole alle loro necessità. L'anno era pieno di bigliettini che erano partiti rosa e a forma di cuore a febbraio per arrivare rossi con la neve a dicembre, ma lo sapevano tutti, ormai, che chi dettava la moda in mezzo a quel branco di pezzenti era lui. San Valentino si guardò allo specchio, ravviando una lunga ciocca di capelli setosi e neri come l'ebano, quindi mandò un bacio al proprio riflesso.
“Sono più bello del solito, stamattina,” commentò soddisfatto mentre indossava il tre quarti di montone che il signor Natale gli aveva regalato l'anno prima – e come ogni anno prima di quello, pover'uomo, ormai non si ricordava quasi più niente – e afferrava al volo le chiavi di casa. I primi di febbraio era solito fare un giro per vedere se le sue direttive erano state seguite alla lettera e, nel caso, se ci fossero da fare dei cambiamenti dell'ultimo minuto, cosa che di fatto succedeva quasi ogni anno perché, a quanto pareva, tutti si sentivano abbastanza esperti da ignorare i suoi precisissimi ordini per fare di testa loro, come se lui non fosse altro che uno qualunque messo lì a sparare corbellerie tanto per fare. Il suo era un lavoro molto stressante.
Disattivò l'antifurto della sua decappottabile rosso fuoco e si sistemò bene in testa il foulard, così che il vento non lo spettinasse troppo, infine indossò i suoi enormi occhiali da sole quadrati. Se c'era una cosa che lo mandava in brodo di giuggiole quell'anno era il ritorno degli anni settanta, aveva sempre saputo che conservare i suoi pantaloni a zampa di elefante sarebbe servito a qualcosa. Il cielo era limpido e azzurro, ma l'aria era ancora fredda: il tempo perfetto per la sua festa. Gli innamorati non erano molto propensi ad innamorarsi con la pioggia e la neve, ma erano molto più ben disposti se c'era il sole e qualche uccellino temerario che si faceva vivo prima del tempo. Erano anni che cercava di convincere le rondini a tornare nel suo periodo, piuttosto che ad aprile, ma quelle non ne volevano sapere per via della storia che il loro arrivo era legato alla primavera e, tornando a febbraio, avrebbero sfalsato tutto il calendario, causando dei danni a catena. San Valentino non la pensava così, d'altronde lo spostamento di una stagione non determinava il cambiamento del calendario – le mezze stagioni, per dire, erano sparite da un sacco di tempo e nessuno aveva sentito il bisogno di eliminare qualche mese mite dal calendario – e certo, forse sarebbe stato vagamente problematico avere la neve anticipata di tre mesi, che so ad agosto o a settembre, ma cos'era un natale pieno di primule in confronto ad un San Valentino riecheggiante del cinguettio festoso delle rondini? San Valentino aveva anche realizzato una meravigliosa presentazione in powerpoint per spiegare alle altre Feste – e alle rondini – i suoi progetti ma quei bifolchi retrogradi e conservatori non avevano capito il suo talento – come al solito! – e non c'era stato verso di convincerli, nemmeno quando era passato al piano B, facendo notare a tutti quanti che una rondine non faceva primavera e, dal momento che lui era una Festa magnanima e comprensiva, si sarebbe accontentato di qualche rondine, diciamo qualche milione di esemplari, giusto per rappresentanza. E quelli lo avevano ascoltato? Certo che no! Anzi, peggio, lo avevano cacciato dalla stanza in malo modo, con la forza bruta – barboni, screanzati, villici che non erano altro! – ci aveva pensato quel pachiderma di Martedì Grasso a prenderlo di peso e a buttarlo nel corridoio, nemmeno fosse stato un sacco di spazzatura. San Valentino non ripensava volentieri a quel giorno così umiliante. Aveva davvero pensato di mollare e di cercarsi un altro lavoro, aveva letto da qualche parte che una qualche religione neo-pagana che si rifaceva ad un qualche Dio egizio dal nome impronunciabile stava riportando in auge l'antica Festa dell'Amore e lui di certo era il più qualificato per occuparsene: 1500 anni di esperienza pregressa nel ruolo, ottimo curriculum, referenze verificabili, conoscenza del pacchetto Office e, naturalmente, ottime capacità organizzative, bella presenza e attitudine ai rapporti interpersonali e al contatto con il pubblico. Ottenere il lavoro sarebbe stato facile come schioccare le dita, ma poi aveva rinunciato all'idea del trasferimento. E, ironico a dirsi, ci aveva rinunciato per amore.
San Faustino era arrivato un giorno senza che nessuno ne fosse stato avvisato. In genere qualsiasi cambiamento veniva annunciato con una circolare che tutti erano tenuti a leggere, pena il pubblico ludibrio in sala mensa. Una cosa snervante, se lo si chiedeva a San Valentino, perché lui era un uomo impegnato che di certo non aveva il tempo di leggersi tutto il ciarpame che la direzione generale spediva ogni giorno sulla sua scrivania. D'altronde, per una festa minore – Ferragosto, per dire, per il quale il massimo dell'entusiasmo collettivo erano due gavettoni – scoprire a chi sarebbero toccate le domeniche e i ponti quest'anno, poteva anche essere un bel diversivo, ma per lui che era sempre in giro per lavoro, questi stupidi comunicati erano solo una seccatura. Possedeva un iPhone di ultima generazione, che utilizzassero il suo Google Calendar per informarlo delle cose importanti, per la miseria! E invece niente, tutto su carta, come nel paleolitico!
Comunque sia, San Faustino si era presentato un giorno qualunque sulla porta dell'ufficio mentre loro erano impegnati nella finale del torneo aziendale di “Tiro al Cestino della Carta”.
San Valentino non era in generale un tipo molto sportivo, ma aveva una gran mira dopo anni e anni di tiro con l'arco, e adesso si stava giocando il trofeo dell'azienda contro la Festa della Donna, un armadio a due ante biondo-mimosa che di mira ne aveva ben poca ma poteva atterrarti come niente, soprattutto uno come San Valentino che si vantava di pesare quaranta chili. Lui e FDD erano ai tiri liberi e San Valentino stava cercando di ignorare Festa della Mamma, in piedi su una delle scrivanie, che faceva il tifo per la sua donna con urletti queruli e fastidiosi. Toccava a lui, e si trattava dell'ultimo canestro, se la palla di carta fosse entrata, avrebbe vinto il trofeo aziendale per il centesimo anno consecutivo, in barba alla lesbica di due metri. Ma Faustino era entrato in quel momento, un'apparizione divina: alto, bello, con una cascata di riccioli biondi su due spalle possenti. E San Valentino aveva sbagliato il tiro di quasi tre metri. Tra le urla di giubilo della tifoseria avversaria, era rimasto incantato a guardare questo Dio greco appena apparso dal nulla.
“Salve. Dalla direzione mi hanno mandato qui, dicono che c'è una scrivania libera,” queste erano state le sue prime parole: concise, chiare e pratiche. Tutto il contrario dei voli pindarici che generalmente Valentino faceva per spiegare anche la cosa più semplice. Per questo si era innamorato a prima vista, Faustino era la sua metà, lo spicchio che completava la sua integrità di mela, l'altra colomba che mancava al suo nido, l'apostrofo rosa fra quel TI e quell'AMO che da tempo aspettavano di essere ricongiunti. Esattamente il tipo di biondo con un bel corpo che da mesi non lo faceva urlare fra le coltri del suo letto a forma di cuore, insomma.
“Certo, eccola qui!” Aveva esclamato e con un braccio aveva liberato dalle cianfrusaglie la scrivania di Halloween, uno spilungone cadaverico ossuto e triste come la morte che gli toccava sopportare da qualche anno, da quando, cioè, l'azienda aveva deciso di acquisirlo da una filiale straniera, nel tentativo di rinnovarsi sul mercato nazionale. A dire la verità, Halloween avrebbe dovuto trovarsi al terzo piano, tra le feste autunnali e non lì con loro al quarto, ma c'erano stati dei problemi con Ognissanti che aveva tirato su un casino, iniziando a blaterale di tradimento dopo anni di onorata carriera, di mobbing e di violazione del contratto, sventolando documenti originali scritti sui papiri o roba simile. San Valentino era stato presente alla scena e l'aveva trovata di cattivo gusto, tanto più che non c'erano possibilità che Ognissanti rischiasse il licenziamento, dal momento che lo sapevano tutti che era un raccomandato, come il signor Natale e la signora Pasqua, che però al contrario di quel rompiscatole di Ognissanti erano sempre molto gentili e buoni con tutti e non sfruttavano il loro indiscusso potere in nessun modo se non, magari, per avere delle scrivanie un po' più grandi e sedie un po' più comode, ma San Valentino era abbastanza d'accordo su questo visto che Natale aveva bisogno di spazio e la signora Pasqua era fragile come un uovo e doveva sedere sul morbido.
Ad ogni modo, San Faustino si era avvicinato alla scrivania appena liberata, adocchiando tutti gli oggetti a forma di zucca e le caramelle finiti a terra. “Sei sicuro che sia questa?”
“Ma sì, naturalmente,” aveva cinguettato San Valentino, mentre alle sue spalle Halloween si era messo a gemere come un fantasma senza che nessuno gli prestasse granché attenzione. “Siediti e sistemati. Fai come se fossi a casa tua.”
San Faustino si era quindi seduto e aveva meticolosamente appoggiato sulla scrivania una cornice con una foto che lo ritraeva davanti al santuario di Lourdes, una monoporzione di cibo precotto e poi aveva appeso al muro un poster che recitava Solo è bello! Quindi si era voltato con aria interrogativa verso San Valentino che lo fissava intensamente, sorridendo perso nel suo mondo. “Ti serve qualcos'altro...”
“Valentino,” aveva esclamato lui, saltando a sedere sulla scrivania dell'altro e porgendogli una mano affusolata da stringere. “San Valentino. Ma puoi chiamarmi Vale.”
“Piacere, San Faustino.”
Il moro aveva continuato ad annuire, guardandolo fisso e sorridendo. “E che festa saresti?”
Il biondo, che aveva una voce da stupro, tipo da attore porno o qualcosa di simile, una di quelle voci per le quali San Valentino avrebbe smesso di essere festa per diventare qualsiasi altra cosa, lo aveva guardato senza battere ciglio, imperturbabile come un eroe mitologico e aveva risposto: “La festa dei single.”
Anche adesso che erano passati anni, San Valentino ricordava esattamente di essere sbiancato, in quel momento. La sua splendida abbronzatura naturale era evaporata, scomparsa, svanita nel nulla in uno schiocco di dita. Aveva davanti l'amore della sua vita, l'uomo che avrebbe fatto di lui ciò che voleva tra i primi cespugli disponibili, che lo avrebbe preso e fatto suo più e più volte, sordo alle sue false implorazione di fare più piano... ed era la Festa dei Single. Questo era profondamente ingiusto. San Valentino era la festa degli innamorati, il trionfo della coppia, il giorno in cui le persone uscivano a due a due per spargere amore nel mondo e poi tornare a copulare nell'accogliente intimità delle proprie case, che cos'aveva lui a che fare con le persone... sole? Perfino la parola gli faceva salire la nausea. Lui che non era solo da che aveva scoperto come mettersi lo smalto! Decisamente out. Così non andava proprio. San Faustino era praticamente il suo nemico naturale.
Quel giorno San Valentino era sceso dalla scrivania di Faustino con un saltello, arricciando il naso e decidendo che con lui era finita. Prima ancora che cominciasse.

*


Senza mai scendere dall'auto, San Valentino fece un giro a dare un'occhiata ai negozi. Le vetrine si stavano già tingendo di rosso, un evento che gli dava i brividi ogni anno. Era come spargere un po' di se stesso nel mondo, era sempre una certa soddisfazione. L'unica cosa che davvero lo infastidiva era la stupida iconografia di Eros, quel bimbetto nudo con arco e frecce, imposta dalla direzione senza possibilità di discutere. Se gli avessero permesso di fare come voleva, avrebbe di certo mantenuto il concetto del nudo e del bel sederino, ma Eros avrebbe avuto trent'anni e avrebbe ballato Madonna. Sarebbe stata tutt'altra cosa.
Fu mentre era fermo ad un semaforo rosso e meditava se rifarsi o meno lo smalto che il suo telefono gli ricordò gli impegni della giornata. La riunione poteva saltarla e andare a farsi i capelli piuttosto che passare un'ora a decidere che cosa comprare a Capodanno 2009 come regalo d'addio e a Capodanno 2010, appena arrivato, come regalo di benvenuto. Tanto era sempre la solita storia, visto che il primo era vecchio e l'altro era un ragazzino, a uno toccava il dopobarba e all'altro un videogioco. Fine della questione. San Valentino non capiva dove fosse il problema.
Stava per chiudere il cellulare quando si accorse che l'ultima voce della lista gli ricordava di dover comprare un regalo a Faustino. “Oh cavolo...” avrebbe voluto accasciarsi sul volante ma il tipo dietro già stava suonando il clacson perché era scattato il verde. Cambiò la marcia e partì con uno scatto, il ciondolo a forma di orsacchiotto con arco e frecce appeso al suo specchietto ondeggiò pericolosamente ma non cadde.
Il regalo a Faustino, che glielo facesse per la propria festa o per quella di lui, era sempre un dramma. Generalmente a San Valentino piaceva fare i regali, era il suo lavoro, lui ai regali aveva dedicato la vita – okay non quanto il signor Natale, d'accordo, ma era sulla buona strada anche se non si sarebbe mai davvero vestito di ermellino, lui.
Se solo si fosse messo d'impegno avrebbe potuto organizzare a Faustino uno dei regali più spettacolari e più romantici che si fossero mai visti sulla faccia della Terra. Lo avrebbe certamente portato a Parigi per una colazione con croissant e cappuccino, una passeggiata lungo la Senna e poi la sera, a cena sulla Torre Eiffel guardando il panorama notturno della città dell'amore. Alla fine sarebbero tornati in albergo per una perfetta notte di sesso, che si sarebbe premurato di organizzargli su un letto gigantesco cosparso di petali di rose con la stanza illuminata dalla sola luce delle candele. Champagne, fragole e tutto il resto. Sarebbe stato fantastico, ma Faustino non avrebbe apprezzato. Faustino non apprezzava mai niente, ed era questo il problema. San Faustino odiava le attività di coppia per principio, come del resto San Valentino odiava stare da solo. E questo, nella loro relazione, era sempre stato un enorme problema. Più San Valentino lo riempiva d'amore e più l'altro gli diceva di darsi una calmata, era una lotta impari che San Valentino perdeva quasi sempre perché era molto sensibile e finiva per scontrarsi tutte le volte col muro di stitichezza emotiva che circondava Faustino in quasi tutti i momenti della giornata. Non era che non fosse carino o affettuoso, ma non lo era abbastanza per San Valentino il quale aveva bisogno di essere costantemente circondato d'affetto, coccole e, in generale, attenzione. Se abbandonato a se stesso anche solo per una giornata, Valentino poteva impazzire, diventando una creatura insostenibile sotto qualunque punto di vista e la conseguenza naturale di questa trasformazione era che diventava ancora più assillante – e allora era Faustino a dare di matto – oppure, ancora peggio, si chiudeva senza spiegazioni nel suo mutismo offeso in attesa che Faustino non solo capisse che c'era qualcosa che non andava, ma andasse lì da lui a rimettere le cose a posto, due delle cose che meno gli riuscivano. Lui amava stare da solo, quindi se vedeva che Valentino se ne stava in un angolo per conto suo, non lo leggeva come un segnale negativo – anche se avrebbe dovuto, pensava Valentino, perché lui non lo faceva mai quindi un problema doveva pur esserci no? – e di certo non andava a disturbarlo, perché lui, di suo, non avrebbe voluto essere disturbato. E se anche, per qualche miracolo, capiva che Valentino se l'era presa per qualcosa, non sapeva per cosa e visto che Valentino non glielo diceva non poteva comunque rimettere a posto le cose. E chiedere scusa a priori con Faustino non era nemmeno un'ipotesi. Logico e pragmatico com'era, riteneva di dover chiedere scusa solo in casi di colpa manifesta. Se Valentino calcolava da quanto stavano insieme – ed era tanto, tanto, tanto tempo per gli standard di entrambi – ancora si chiedeva com'era stato possibile che non si fossero ammazzati a vicenda per questo o quell'altro motivo. Anzi, meglio, ancora si chiedeva com'era stato possibile che fossero finiti insieme.
Quand'era arrabbiato, San Valentino dava tutta la colpa alla noia, quando invece era felice, si concedeva tutto il merito del miracolo perché di certo era stato lui a permettere che accadesse.
Era stato ad una delle tradizionali feste che il signor Natale dava sempre durante il mese di dicembre e che rappresentavano più o meno l'equivalente di una costosa cena aziendale. La casa di Natale era enorme, questo gli andava riconosciuto, ma molto antica. Faustino la definiva classica, Valentino preferiva chiamare le cose con il loro nome e dire che era una residuato bellico, ricoperto con pessima carta da parati – se mai esisteva una carta da parati che non fosse di per sé pessima in quanto carta da parati.
In queste occasioni, generalmente, Natale invitava tutte le feste nazionali e anche qualche suo amico straniero – come San Patrizio, un tipetto irlandese alto tre mele con un feticismo per i quadrifogli – a passare qualche ora fra cibo, musica e un mare di inutili chiacchiere. Valentino si annoiava sempre, perché quello non era affatto il genere di festa che piaceva a lui, ma quell'anno era stato anche peggio perché tra gli ospiti c'era questa signorina australiana, Giornata Nazionale del Dispiacere, una festività di una tristezza infinita al cui confronto quella pertica ossuta di Halloween sembrava perfino allegro. La tipa, vestita di grigio, aveva passato metà della serata a scusarsi per ogni cosa e l'altra a piangere per motivi che spesso esulavano dalla comprensione di chiunque, non solo quella di Valentino che era sensibile solo al ferimento dei propri sentimenti e non di quelli altrui.
Dopo l'ennesimo scoppio di pianto incontrollato della giovane aborigena, Valentino aveva deciso di aver sofferto abbastanza. Quindi aveva preso il suo quinto Appletini e si era diretto, ormai non più sobrio a cercare qualcosa con cui distrarsi. Aveva trovato Faustino al piano superiore, in quale stanza non avrebbe saputo dirlo nemmeno adesso ma non era granché importante, seduto sul davanzale di una finestra a guardare le stelle. San Valentino si era fermato ad osservare il suo profilo illuminato dalla fioca luce che veniva da fuori e gli era sembrato bellissimo. Aveva i capelli legati in una coda bassa sulla schiena e allora scendevano ancora lunghi, oltre le spalle. Quando se li era tagliati, qualche anno dopo, a Valentino era dispiaciuto molto ma non gliel'aveva detto perché Faustino non avrebbe colto il sentimentalismo che c'era in quelle parole.
“Cosa dicono di nuovo, le stelle?” Aveva chiesto, con un mezzo sorriso.
Faustino si era voltato, con i suoi occhiali rettangolari con la montatura nera da giovane intellettuale ben calcati sul naso. “Le stelle non dicono mai niente di nuovo, raccontano sempre la stessa storia,” aveva risposto. E Valentino ricordava ogni singola parola, anche se era stato molto, molto ubriaco.
“Sono ben noiose, allora.”
“No, sono confortanti,” lo aveva corretto. “Ti puoi affidare a loro perché non cambiano mai.”
“Niente sorprese, mai?”
Anche Faustino aveva sorriso, scrollando una sola spalla. “Non sempre. Stanotte ad esempio, qualcuna è arrivata in anticipo.”
Valentino si era avvicinato e aveva scrutato il cielo. “Ma non mi dire. E quale sarebbe?”
“Vieni, ti faccio vedere,” Faustino aveva allungato una mano a prendere la sua e lo aveva aiutato a sedersi su quel davanzale. Con attenzione, Valentino si era appoggiato a lui. “Eccola lì, è Betelgeuse, la vedi? In genere non si vede così bene agli inizi di dicembre.”
Valentino però guardava lui. “E' bellissima.”
“Sai qual è il suo mese, invece?” Faustino si era voltato verso di lui e Valentino aveva scosso la testa, già perso nei suoi grandi occhi azzurri. “Febbraio.”
“Come noi,” aveva sussurrato. “E' la nostra stella.”
Poi si erano baciati e quella era stata la prima volta che Valentino non era finito a letto con uno degli ospiti. Prima che accadesse con Faustino c'era voluta un'eternità. Come Valentino diceva sempre, avevano fatto in tempo ad estinguersi tre diverse specie animali. Era stata una grande sofferenza.

*


Nel corso degli anni, San Valentino aveva fatto a Faustino un sacco di regali di ogni tipo. Le aveva provate tutte, dai peluche ai viaggi, alle entrate gratuite in palestra, passando per tessere della biblioteca e abbonamenti a quelle assurde riviste di scienza che pesavano una tonnellata e non avevano neanche le foto delle sfilate all'interno; Faustino aveva accettato ogni regalo con un sorriso ed era stato contento ma non era stato travolto dall'emozione romantica come invece San Valentino avrebbe voluto. Era frustrante per uno che dell'emozione romantica aveva fatto un lavoro. E, a dirla tutta, il moro era anche un po' a corto di idee. Decise che poteva fare un salto in ufficio e sondare il terreno, forse Faustino si sarebbe lasciato sfuggire qualche indizio su ciò che voleva.
La sede centrale del A.F.A. (Associazione Festività Annuali) era un gigantesco palazzo in vetrocemento con un numero di finestre che superava i due zeri e costringeva gli addetti delle pulizie a stare appesi per settimane. Valentino non aveva mai capito se facessero dei turni o se pulire le finestre della sede fosse la punizione stabilita dal direttivo dell'impresa di pulizie per chi si comportava male o cose simili. In ogni caso, non gli importava assolutamente nulla. Salutò con una mano l'ometto baffuto che stava appunto lavando l'ultima grande finestra del pianterreno e superò le porte scorrevoli, sistemandosi sulla testa gli occhiali da sole.
“Buongiorno signor San Valentino!” Lo salutò subito la receptionist che aveva sicuramente un nome ma Valentino non aveva idea di quale fosse. Non sapeva nemmeno se lo avesse mai saputo. Si vide riflesso nelle finestre appena pulite e si rese conto che gli occhiali in testa gli rovinavano la pettinatura, così li tolse e li infilò in borsa. “San Faustino è già arrivato?” Chiese alla signorina, mentre si risistemava la frangetta senza guardarla.
“Sì, signor Valentino,” rispose lei. “E' arrivato due ore fa, ma so che ha una riunione prima di pranzo.”
Annuì, vagamente consapevole di quello che lei gli stava dicendo. Il fatto era che si sentiva in dovere di fare conversazione con questo essere umano seduto otto ore al giorno di fianco alla loro porta di entrata senza, in effetti, servire a niente. Le telefonate generiche non venivano quasi mai passate agli interni, mentre quelle importanti arrivavano direttamente sui loro cellulari quindi, in sostanza, la receptionist non serviva che a firmare le ricevute delle consegne, una cosa che avrebbe potuto benissimo fare il portiere. La direzione generale, però, sosteneva che ci volesse un bel faccino all'entrata e così avevano lei – qualunque fosse il suo nome – che si limava le unghie mattino e sera.
“Signor Valentino, vuole che le porti qualcosa? Una cioccolata, un cappuccino?”
Valentino si voltò, sul viso l'espressione di annoiata pietà che riservava ai suoi assistenti, quand'erano incapaci di distinguere il rosa profondo dal rosa vivo, due tonalità così palesemente diverse tra loro che era impensabile non riconoscerle. E quelli invece si presentavano sempre con le stoffe sbagliate, Valentino alle volte ci diventava matto: nella fase di progettazione delle sue idee aveva sempre delle emicranie pazzesche. “Una... cioccolata?” Ripeté, fissandola negli occhi come a sfidarla a ripetere la parola.
“O un cappuccino,” tentò ancora lei, un po' confusa dal tono.
“Ti sembra forse...” aveva continuato lui portandosi una mano alla tempia e massaggiandola, come se non sapesse bene come porre in termini semplici una questione complicata ad un elemento ritardato che non poteva eliminare e dedicandole un sorriso tiratissimo “... ti sembra forse, cara, e che il buon cielo perdoni me e te per aver anche solo iniziato questa conversazione, che io abbia da qualche parte qualche chilo di troppo?”
“No, signor Valentino!” Scattò subito lei, scuotendo la testolina. “Lei ha una forma perfetta.”
Valentino stava già annuendo, forte del suo vitino di vespa. “Appunto,” commento secco. “Mi hai forse mai visto far colazione?”
“No, signore.”
“E allora, di grazia, che cosa ti fa pensare che stamattina, di punto in bianco, sarei disposto ad ingerirei quintali di calorie?”
“Niente, signore.”
Valentino gettò le braccia in aria, agitandole. “Ma perché in questa azienda mi remano tutti contro?” Sbraitò, per poi tornare a massaggiarsi la tempia. “Oh! Ecco che arriva un'altra emicrania.”
La giovane receptionist gli trotterellò di fianco, ticchettando appollaiata sulle sue scarpette dozzinali. “Posso fare qualcosa per lei?”
“Sì, potresti sparire, cara,” commentò lui, con voce dolorante mentre si fermavano di fronte alle porte dell'ascensore. Poi sospirò e sembrò rendersi conto di essere stato scortese, anche se questo non accadeva mai perché non era lui ad essere scortese ma il resto del mondo a non vedere il suo chiarissimo punto di vista. “Anzi no, voglio dell'acqua e limone. E che l'acqua sia a temperatura ambiente, non toglierla dal frigo e non prenderla dal magazzino. La fettina di limone dev'essere piccola, non voglio un lenzuolo appeso al bicchiere, ma vorrei almeno vederla, l'ultima volta era un triangolino invisibile.”
La signorina annuì, ripetendo a bassa voce tutto quello che gli veniva detto, con gli occhi rotondi un po' terrorizzati.
“E portami un'aspirina,” concluse Valentino, mentre le porte dell'ascensore si aprivano con un suono limpido e forte che gli fece strizzare gli occhi e lo fece ondeggiare esageratamente come se invece di un'emicrania fosse sull'orlo dello svenimento. “Oddio, non ho idea di come farò ad arrivare in fondo a questa giornata.” Batté le mani un paio di volte in direzione della ragazza, che sussultò. “Sei ancora qui? Coraggio! Quell'acqua e limone non si preparerà mica da sola!”
Valentino scosse la testa ed entrò nell'ascensore, appoggiandosi con un sospiro alle pareti metalliche. Si osservò nello specchio a parete per abitudine e decise che nonostante le avversità del mondo che gli si riversavano addosso senza tregua, brillava sempre come un diamante.
Gli uffici del quarto piano erano piuttosto spaziosi e avevano la temperatura congelata sui quindici gradi, una media stagionale che potesse andare bene per tutti. A parte il signor Natale, che aveva un ufficio chiuso tutto per sé in fondo alla stanza, gli altri lavoravano tutti nello stesso spazio, con la privacy tra una scrivania e l'altra affidata a divisori di plastica che venivano puntualmente scavalcati o utilizzati per appendervi ogni tipo di oggetto. Valentino attraversò la sala a grandi passi, guardandosi intorno per controllare la situazione. Santo Stefano lo salutò con un cenno della mano e lui gli sorrise, con una vaga nota d'affetto: era stata una bella storia la loro, durata quasi due anni tra alti e bassi; ma Ste era un tipo mite e anonimo, che non era fatto per tenere a bada l'esagerata drammaticità di Valentino, né la sua esuberanza. Avevano finito per lasciarsi con una scenata da manuale nella hall dell'azienda, con Valentino che urlava piangendo e Ste che tentava di calmarlo, un po' imbarazzato e un po' frustrato dalle sue urla mentre metà dei loro colleghi assisteva alla scena. I pettegolezzi erano andati avanti per settimane, fino a che non era successo qualcosa di più interessante e allora a nessuno era più importato delle loro faccende personali. Per Valentino era stato un brutto periodo ma aveva saputo riprendersi in fretta, soprattutto con l'aiuto della delegazione di Feste Africane in visita all'azienda, per le quali aveva scoperto un tipo di elasticità che nemmeno pensava di avere.
Ma questo era stato prima di Faustino. Prima della sua prima vera storia seria, insomma, prima della convivenza che sentiva essere alle porte – anche se era meglio non parlarne direttamente a Faustino, perché tendeva a diventare giallo, poi verde e poi a schiumare un tantino dalla bocca. Valentino era convinto che per abituare la Festa dei Single a coabitare ci volesse una manovra diversiva e stava ancora studiando i dettagli.
Faustino era seduto alla propria scrivania, lo sguardo concentrato sullo schermo del computer, esattamente come Valentino sperava di trovarlo, così da potergli atterrare sul tavolo senza preavviso e gettare a terra, come sempre, matite, carte e penne che l'altro teneva meticolosamente in ordine. “Buongiorno amore!” Esclamò, strappandogli un bacio sulle labbra prima ancora che lui si fosse reso esattamente conto del flagello che si era abbattuto su di lui. “Come stai?”
Faustino si prese qualche istante per rispondere, conscio che le sue parole avrebbero definito il tono di quella conversazione. “Bene, tutto considerato,” commentò mentre recuperava quello che era caduto a terra e lo rimetteva nella tazza portapenne. “Sono solo le undici, cosa ci fai già qui? Ti sei svegliato presto?”
“E non sei contento di vedermi?” Mise il broncio Valentino.
“Sì, certo che sì. Dico solo che-”
“Ero in giro a fare delle commissioni per lavoro e ho pensato, perché non fare un salto da Tino visto che non ci vediamo da un sacco di tempo?” Commentò il moro, facendo scorrere l'unghia laccata d'argento sulle costole di alcuni documenti con aria del tutto disinteressata. Si voltò verso l'altro e sorrise.
“Abbiamo cenato insieme ieri sera,” gli fece notare Faustino, togliendogli di mano un rapporto importantissimo che doveva consegnare entro breve.
“Hai ragione, non ci vediamo da molto più di un sacco di tempo,” concordò Valentino. “E' quasi un'eternità. Che cos'hai fatto mentre non c'ero?”
Faustino mise il rapporto già rilegato in un cassetto e strappò di mano al fidanzato il portapenne che stava già accuratamente svuotando di tutto ciò che conteneva. “Dal momento che ti ho riportato a casa all'una e sono le undici del mattino direi che ho dormito, tu che dici?”
“E mi hai sognato?”
Faustino inspirò e si stropicciò gli occhi con due dita. “Vale... tesoro, che cosa c'è?” Chiese, cercando di arrivare al punto della questione prima che la stagione finisse.
“Niente,” Valentino si strinse nelle spalle. “Volevo solo vederti.”
“E io volevo vedere te, ma non si era detto di uscire a pranzo insieme più tardi? Ho del lavoro da fare adesso.”
“Sì, ma ti prenderò solo cinque minuti! Giuro!” Esclamò Valentino, scendendo giù dalla scrivania per accucciarsi di fianco alla sua sedia.
Faustino sospirò e quindi ne approfittò per allungare braccia e gambe e sgranchirle un po'. “Dunque?”
“Mi chiedevo...” Iniziò Valentino, guardandosi distrattamente le unghie “Che progetti hai per il 14 di febbraio?”
Faustino lo guardò stranito. “E' la tua festa. Non dovresti essere tu ad avere delle idee?”
“Sì ma a te cosa piacerebbe fare?”
“Non lo so,” ammise Faustino. “Non ci ho pensato. Di solito organizzi tutto da solo.”
“D'accordo mettiamo che io non sono la Festa di San Valentino, tu cosa fai?”
Faustino scosse la testa, non trovando il filo logico che legava uno all'altro i pensieri di Valentino. “Cosa vuoi che faccia?” Commentò sconvolto.
“Cosa fai se io non organizzo San Valentino?”
“Vale, se tu non organizzi la festa, la festa non esiste, ergo non la festeggio.”
A quel punto, come sempre, Valentino passò da uno stato umorale all'altro senza dare nessun preavviso. Chinò il capo come per massaggiarsi le tempie e, quando lo sollevò di nuovo, era una maschera di fastidio. “E' mai possibile che non proponi mai niente?” Commentò.
Faustino serrò la mascella, l'unico segno di intemperanza che si concedesse di fronte a lui o a chiunque altro. Era una cosa che mandava in bestia Valentino, il quale era un tipo che litigava strillando e, se capitava, anche tirando oggetti di un certo valore, assicurandosi bene che finissero per rompersi. Faustino no, lui ti guardava gelido, mettendo su un muro a contrastare la tua furia emotiva in attesa che ti placassi. Il punto era che le persone come Valentino non si placavano proprio per niente, perché per placarsi avevano bisogno di prendere tutta la rabbia che avevano dentro e poi riversarla da qualche parte e un muro non andava bene. Un muro non era in grado di accogliere fisicamente la rabbia e sopportarla, liberartene, facendola sua. Un muro incassava il colpo e quella cadeva a terra, rimanendo lì ad ardere, ancora perfettamente integra. Tanto che finivi per riprendertela e ricominciare da capo. Valentino era il tipo di persona che aveva bisogno delle altre persone non solo per sentirsi amato, ma per affondarci dentro le unghie. Solo che con Faustino non si poteva.
“Non è vero che non propongo mai niente,” commentò pacatamente Faustino, sistemandosi meglio sulla sua sedia da ufficio tanto per darsi qualcosa da fare e non strangolare Valentino sul posto che, tanto per cominciare, era una cosa che andava contro la politica aziendale e poi lui voleva bene a Valentino, era solo che ogni tanto oltre a volergli bene, voleva anche sbattergli la testa contro lo spigolo di una scrivania. “Dico solo che posso pure vedere di organizzare una festa qualunque, ma non la tua. Se vuoi fare qualcosa, la facciamo. Nessun problema. Facciamo quello che vuoi.”
“Io l'ho chiesto a te,” puntualizzò Valentino, sistemandosi con attenzione una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Tu che cosa vuoi fare?”
“Io non voglio fare niente.”
“E' questo il punto!” Esclamò Valentino e alzò la voce, considerando quella risposta un buon punto di partenza per iniziare a farlo.
“Intendo dire,” sospirò Faustino, rendendosi conto di aver usato una pessima scelta di parole, “che io non ho niente di programmato perché immaginavo volessi pensarci tu. Qualunque cosa tu voglia fare, per me va bene.”
“Tu non hai mai niente di programmato perché tu non vuoi fare mai niente!”
“Questo non è vero! Voglio fare un sacco di cose.”
“Parlo delle cose che vuoi fare perché le vuoi fare e non di quelle che fai perché sai di doverle fare!” Scattò subito Valentino che lo conosceva bene e sapeva che a Faustino non piaceva organizzare cenette o cose del genere e pensava – sbagliando – di fare già abbastanza quando, semplicemente, non si rifiutava drasticamente. Il punto era che così non funzionava per niente. Valentino riteneva che se la sua adorata metà non sentiva il desiderio di fare qualcosa con lui allora forse la loro storia non gli interessava abbastanza. E quando Valentino iniziava a pensare questo genere di cose, non era mai un bene perché poi s'innescava una catena di pensieri che, indipendentemente dalla gravità dei passaggi intermedi, finiva sempre con Io con quello stronzo ho chiuso, che muoia da solo senza amici, amore e parenti, circondato solo dal suo ego e dalla sua presunzione, convinto di non aver bisogno di nessuno. Ogni tanto, se proprio era di umore teatrale, concludeva con un intenso Ah! Vedremo poi, tra dieci anni, quando si renderà conto di non avere più nessuno! E se ne andava sbattendo la porta, senza che nessuna di queste parole venisse mai pronunciata, lasciando Faustino a chiedersi che cosa mai fosse avvenuto nel suo cervello negli ultimi dieci minuti.
“Vale, non ricominciare,” lo ammonì Tino, scuotendo il capo. “Lo sai che se davvero non volessi fare qualcosa, allora te ne accorgeresti.”
“C'è una bella differenza tra il fare qualcosa e il farla perché sai che non facendola poi dovresti sopportare di peggio!”
“Io cerco solo di sistemare le cose in modo che siamo felici entrambi.”
“Beh, io non sono affatto felice!” Sbottò Valentino, scaraventando in terra metà degli oggetti che si trovavano sulla sua scrivania. “Ti sembro felice?”
Tutto l'ufficio si era voltato a guardarli, senza neanche preoccuparsi di dissimulare la curiosità. Erano più o meno tutti convinti di stare assistendo alla rottura di Valentino con l'ennesimo ragazzo. Qualcuno sospirò rammaricato, Faustino sembrava riuscito a tenerlo a bada.
“Vale, io non capisco che cosa pretendi da me.”
“Un po' di interesse, è chiedere tanto?” Rispose Valentino, singhiozzando senza, di fatto, versare una lacrima. “Mi piacerebbe che tu dimostrassi che ci tieni! Sembra sempre che tu faccia le cose perché qualcuno ti sta costringendo!”
“Ma se non ci tenessi...”
“Non me ne frega niente se potenzialmente potresti essere anche più menefreghista, maledizione!” Urlò il moro. “Questo non ti giustifica e non è neanche lontanamente sufficiente!”
“Sono sempre stato così, non è che di punto in bianco posso essere diverso.”
Valentino scosse la testa, incredulo. “Non ti chiedo di diventare la Festa della Repubblica, cazzo, dico solo che potresti anche dimostrarmelo che te ne frega qualcosa! E magari smetterla di giustificarti dicendo che fai già abbastanza come se facessi chissà che, poi!”
“Sei isterico,” commentò Faustino, deviando totalmente il discorso.
“E tu sei uno stronzo,” replicò Valentino, recuperando le chiavi della macchina che aveva appoggiato sul tavolo. “Un grandissimo stronzo!”
Valentino non si voltò mentre percorreva l'ufficio a grandi passi e rientrava nell'ascensore proprio mentre la receptionist ne usciva con la sua acqua e limone.
“Signor Valentino, la sua aspirina,” esclamò.
“Non voglio un'aspirina!” Esclamò lui fra le lacrime, mentre le porte si chiudevano. “Voglio una corda per impiccarmi!”
La receptionist si guardò intorno, un po' confusa mentre tutti gli altri tornavano a lavoro scuotendo la testa.

*


Mentre si buttava di faccia sul letto scosso dai singhiozzi, Valentino pensò che c'era qualcosa di sbagliato a livello karmico se lui – tra tutte le persone del mondo – sarebbe stato solo a San Valentino; perché era indubbio che lui e Faustino avevano rotto e che lui non lo avrebbe mai più perdonato per tutti i secoli dei secoli. Mai, nemmeno se tornava in ginocchio o gli regalava la Luna. Avrebbe pianto fino a prosciugarsi i condotti lacrimali e quindi, dopo un ragionevole quantitativo di ore di pianto, avrebbe smesso di abbracciare il suo peluche preferito a forma di tricheco e avrebbe recuperato una scatola dove mettere tutti i regali che Faustino gli aveva fatto o anche qualsiasi oggetti che glielo ricordasse direttamente o indirettamente. Ormai, in queste cose, Valentino era un esperto, aveva perfino scatole di cartone di diverse misure a seconda della durata della relazione appena interrotta. 30X40 se era durata solo meno di sei mesi, 50x60 se era durata di più. Aveva anche delle graziose, piccole bustine di plastica decorata per le storie di una notte, nel caso qualcuno si dimenticasse qualche accessorio. Non era pratico riconsegnare un paio di boxer al loro legittimo proprietario in una scatola di cartone 30x40, senza contare poi lo spreco. Per Faustino, però, ci sarebbe voluto ben più di uno scatolone. Valentino era pieno di oggetti che Tino gli aveva regalato o che gli appartenevano, sia che Vale glieli avesse sottratti come ricordo o che lui li avessi accidentalmente dimenticati in casa sua e poi si fosse scordato di recuperarli.
Valentino affondò ancora di più il viso fra i suoi cuscini bianchi e rossi e si lasciò scuotere dall'ennesimo singhiozzo esagerato. Senza sollevarsi, allungò una mano verso il comodino e recuperò il cordless, premendo i tasti alla cieca.
Il telefono squillò due volte prima che una voce femminile dolce e già rassegnata chiedesse “Vale, che cosa c'è?”
“Voglio morire,” mormorò il moro, dal suo nido di cuscini.
“Stavo in pensiero,” esclamò la ragazza, con una risatina. “Oggi non avevi ancora invocato il suicidio.”
“Imma, non scherzare,” protestò Valentino. “E' successa una catastrofe.”
Immacolata Concezione – detta Imma – sapeva per esperienza personale che per Valentino più o meno qualunque cosa era una catastrofe e che più o meno ogni volta lui si dichiarava pronto all'estremo gesto. Dopo le prime volte in cui era corsa a casa sua preoccupata che l'amico potesse effettivamente farsi del male, per poi trovarlo intento a mangiare gelato di fronte ad un film strappalacrime, quasi del tutto dimentico dei suoi propositi di suicidio e più propenso verso quelli di vendetta, aveva imparato che prima di muovere anche solo un dito, era meglio farsi raccontare per filo e per segno quello che era successo e solo dopo, in caso, lavarsi, vestirsi e con calma dirigersi a casa sua. “Sentiamo,” esclamò, mettendosi comoda.
“Io e Faustino ci siamo lasciati,” proclamò Valentino, con tono funereo.
“Vi siete lasciati nel senso di tu che dici Lasciamoci! E lui che ti risponde Va bene, lasciamoci. E' stato bello ma non è durata, oppure vi siete lasciati nel senso che tu gli hai detto che è uno stronzo e te ne sei andato senza salutare?”
Vale mugolò qualcosa di incomprensibile e poi, visto che Immacolata rimaneva in silenzio in paziente attesa di una risposta esauriente, si tirò faticosamente a sedere e, scostandosi i capelli arruffati dal viso, disse: “La seconda.”
“Ah, ecco. Mi sembrava.”
“E' uno stronzo.”
“Dimmi qualcosa di nuovo,” Immacolata decise che ci sarebbe voluta almeno un'ora prima che Valentino considerasse la telefonata sufficientemente lunga per averlo consolato adeguatamente.
“No, tu non capisci. Questa volta non lo perdono.”
Immacolata alzò gli occhi al cielo e pensò che fosse un momento buono come un altro per iniziare a limarsi le unghie e mettersi lo smalto, due cose che rimandava da una settimana. “Okay, tesoro, facciamo che inizi a dirmi che cos'ha combinato?”
Valentino le fece un lunghissimo riassunto, ricco di dettagli assolutamente inutili, prolungandosi sui propri sentimenti oltraggiati e sull'insensibilità di Faustino, che divenne un uomo abbietto, dedito al sadismo verso la sua persona, a cui non sarebbe più toccato mettere le mani sul suo bellissimo corpo privo di imperfezioni in seguito alla cattiveria dimostrata. Facendo una dovuta scrematura di tutte le parole che erano uscite dalla bocca di Valentino, Immacolata riuscì a capire che Faustino aveva risposto in maniera inappropriata ad una domanda altrettanto inappropriata . Da lì la crisi isterica, il muro di gomma e la decisione dell'amico di condannare il proprio fidanzato alla castità eterna – cosa che, in ogni caso, non era una punizione granché efficace, giacché Valentino sosteneva di averlo mollato; ma Immacolata era discretamente abituata alla sua incoerenza.
“Allora, dolcezza, fammi capire,” esclamò Immacolata, passandosi il telefono da una spalla all'altra e agitando la mano sinistra appena fatta. “In pratica Faustino ha ammesso di non avere programmi per il 14 di Febbraio, giorno che ragionevolmente si aspettava organizzassi tu e tu ti sei arrabbiato pur non avendo a tua volta la più pallida idea di cosa potreste fare?”
Dall'altra parte della cornetta ci fu silenzio per almeno due minuti. “Se la metti così sembra incredibilmente stupida,” protestò Valentino, con il broncio e i capelli tutti ingarbugliati.
“Perché è incredibilmente stupida.”
Valentino emise un sospiro intristito. “Vorrei solo che fosse un po' più propositivo.”
“Vale, senza offesa, ma cosa ti aspettavi dalla Festa dei Single?” Commentò Immacolata, la quale non aveva commentato quando i due si erano messi insieme, perché non si potevano criticare i fidanzati di Valentino finché erano tali, ma che aveva sempre saputo che sarebbero arrivate lunghe telefonate di lacrime. Questo perché Valentino non ragionava e in genere giustificava ogni sua azione in base a quanto gli battesse il cuore – d'altronde era la Festa dell'Amore mica per niente – il punto era che o il cuore di Valentino soffriva di una tachicardia congenita, oppure lui scambiava l'ansia di rimanere solo con l'amore eterno. E ora, lei non sapeva se Faustino e Valentino fossero fatti o meno per stare insieme, ma di certo ci voleva una gran pazienza per non mandarli a quel paese entrambi. “Lui non è romantico, lo sai. Non gli riesce proprio. Ora, questo non significa che non voglia stare con te.”
“Lo so!” Si lamentò Valentino, mordendo il fazzolettino di carta che stava stropicciando e lanciandosi di nuovo indietro sul letto.
“E se non propone mai niente da fare e perché lui di natura non è portato,” continuò Immacolata, sorda al piagnucolio dell'altro. “Ma questo non significa che se gli organizzi qualcosa, lui non sia felice di farla.”
“Ma lo so!” Protestò Valentino con un mugolio, arrotolandosi intorno al suo tricheco come una chiocciola in agonia.
“E allora perché stiamo avendo questa conversazione?” Chiese Immacolata.
“Perché lui dovrebbe fare uno sforzo e cercare di essere un po' meno se stesso,” commentò Valentino, lacrimevole e capriccioso.
“Te la correggi da solo questa frase o devo farlo io anche stavolta?” Commentò la ragazza, con tono un po' stanco, mentre agitava la mano destra per asciugare lo smalto.
Dall'altra parte della cornetta ci fu un lungo sospiro da diva mancata. “Lo so che se fosse un po' meno testardo, fastidioso, cocciuto ed emotivamente arido non mi piacerebbe nemmeno un pochino,” commentò Valentino, tiratosi di nuovo su a sedere. “Questo non vuol dire che non mi piacerebbe vederlo sforzarsi ogni tanto di non esserlo.”
“Valentino hai appena detto una stronzata.”
“Lo so,” la Festa degli Innamorati tirò un altro sospiro. “Io però scusa non gliela chiedo. Non ho fatto niente.”
“Quando mai,” scherzò lei. “Tu sempre candido e innocente come una rosa, vero?”
“Imma!”
Immacolata ridacchiò. “Bene ora che ti ho impedito di suicidarti in maniera barocca e fastidiosa, posso staccarmi da questo telefono e andare a fare la spesa? Tu non mangerai che due foglie di insalata al giorno, ma io sono una persona normale.”
“Sei una stronza!” Esclamò ridendo Valentino. “E il giorno che lo farò, te ne pentirai”
“Il giorno che lo farai, sarà perché io avrò inscenato il tuo suicidio. Ora tesoro, vado davvero. Baci, baci.”
“Baci.” Valentino premette il pulsante per chiudere la chiamata proprio mentre suonavano il campanello. Sospirò e si diresse ciabattando verso la porta. Possibile che non avesse neanche la possibilità di struggersi nel proprio intimo dolore come ogni altro innamorato dell'universo?
“Chi è?” Strillò da metà del corridoio, con un broncio da manuale e il suo tricheco sotto braccio.
Quando aprì la porta trovò Faustino che si riparava sotto un ombrello dalla pioggia torrenziale che doveva aver iniziato a scendere mentre lui raccontava la propria infelice esistenza ad Immacolata.
Faustino lo guardò con un'espressione interrogativa. “Fammi indovinare, ci siamo lasciati di nuovo e io non lo sapevo.”
“Già,” commentò Valentino, assumendo un'espressione molto offesa che fu solo in parte rovinata dai capelli arruffati e dal fatto che stringesse al petto il tricheco.
“E ci siamo anche già rimessi insieme mentre venivo qui?” S'informò Faustino.
“Più o meno,” rispose Valentino. “Cosa sei venuto a fare?”
Faustino sembrò pensarci su un istante e il suo sguardo rimase perplesso com'era all'inizio. “Sono venuto a scusarmi, credo.”
“Di cosa?” Chiese l'altro, con aria da inquisitore.
“Non lo so di preciso,” ammise Faustino. “Qualcosa ho combinato sicuramente, però. Quindi, beh, scusa.”
Valentino abbassò lo sguardo sulla scatola quadrata di cioccolatini quadrati che Faustino gli stava porgendo. “Non li ho presi a forma di cuore perché in questa casa mi sembravano ridondanti,” si giustificò, lanciando un'occhiata allusiva al corridoio dietro le spalle del fidanzato dove sapeva che quasi ogni cosa era a forma di cuore o lo ricordava o era rossa, rosa o entrambe le cose.
“Grazie,” mormorò Valentino, che non se l'aspettava per niente, nonostante Faustino non fosse nuovo a questo genere di cose. Con le parole, il biondo, non ci sapeva fare proprio per niente, anzi, se c'era una cosa sbagliata da dire, lui riusciva a dirla e anche nel momento peggiore possibile. Però in questi gesti affettuosi era perfino più bravo di Valentino che era così straordinariamente preso dai suoi stati di dolore, gioia infinita, depressione profonda e generale menefreghismo da non rendersi conto che sarebbe bastato molto poco a dimostrare qualcosa. D'altronde, era anche un po' una deformazione professionale: lui era abituato ad organizzare una festa in onore dei sentimenti su scala nazionale, una scatola di cioccolatini solitaria non gli passava nemmeno per l'anticamera del cervello. Lui lavorava sui grandi numeri. Era per questo che lo fregavi con niente.
Era ancora lì a guardare la scatolina fra le sue mani, quando Faustino riprese a parlare. “E pensavo anche che per la tua festa, se ti va, possiamo andare a cena fuori.”
Valentino sgranò gli occhi.
“Avrei prenotato già, in effetti,” ragionò Faustino, grattandosi la testa. “Ma credo si possa disdire se pensi che non sarebbe appropriato, dal momento che siamo insieme solo più o meno.”
“Sì,” rispose dolcemente Valentino. “Sarebbe stupendo.”
Faustino sorrise. “Bene,” espirò, come se avesse appena compiuto un'impresa titanica. “Posso sapere che cos'ho fatto, adesso?”
San Valentino scoppiò a ridere e scosse la testa. “Non è così importante,”
“Se non me lo dici, lo rifarò.”
“E allora dovrò perdonarti di nuovo,” mormorò Valentino, baciandolo. “Che dici?”
“Può andare, ragionò Faustino, mentre l'altro lo tirava dentro per la maglietta. L'ombrello ricadde a terra aperto mentre le due Feste si chiudevano la porta alle spalle.