diego forlan+edinson cavani

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: La nazionale uruguaiana.
Genere: Humor, Non-sense
Avvisi: Slash, Dinosauri, Bashing su Lugano
Rating: PG
Prompt: Vale per la HMS Maouropia Treasure Hunt di Fanfic_Italia
Note: Dunque, non so come giustificarmi. Questa cosa è successa perché ho guardato i mondiali e mi è capitato di vedere Forlàn sullo schermo di una partita che ora, a dire il vero, non ricordo quale fosse. Poi la regia ha favorito la mia propensione allo slash e mi ha fatto vedere Cavani. E poi giocavano bene... e insomma, eccoci qua .__.
Dal momento che io di calcio non ne so niente, non potevo scrivere davvero di questa gente che gioca, era improponibile. Ma non potevo nemmeno prendere e scrivere un AU completa che, sebbene sia ampiamente nelle mie corde, mi sembrava molto ridicola in questo caso. Così ho optato per la via di mezzo e li ho spediti nel Cretaceo (anche se tutti quei dinosauri insieme nella stessa epoca non ci sono mai stati, ma... ehm... suvvia). I caratteri sono allegramente inventati, soprattutto se si pensa che io ho sentito Forlàn parlare per la prima volta quattro giorni fa, e la shot era già quasi praticamente finita *cough* per cui... epperò mi sono divertita, quindi anche sticazzi *ri-cough*
I personaggi che m'interessavano ho tentato di caratterizzarli come mi servivano, gli altri sono un po' randomici e li ho pure confusi tra loro. W la professionalità \O/
L'unica cosa che davvero mi dispiace è essermi dimenticata Fucile per tutta la storia. Sarà per la prossima. Grazie di aver letto! <3

Riassunto: Nell'ultimo istante, prima di voltarsi definitivamente, Sulley incrociò il suo sguardo e sorrise.

DINO CRISIS


“Ti dico che mi fanno paura, Diego.”
Se Edi avesse fatto ancora un giro intorno a quelle panche, il solco che aveva generato camminando in cerchio lo avrebbe probabilmente inghiottito. E questa non era che l'ultimo dei modi che era riuscito ad inventarsi per esternare la propria inquietudine nei confronti dei loro vicini di spogliatoio.
La squadra lo aveva sopportato per un po' – il minimo indispensabile, a dire il vero – ma quando aveva iniziato ad usare a sproposito quelle due parole di siciliano che aveva imparato giocando nel Palermo, inframezzandole ad anatemi di dubbia origine uruguagia, nessuno era stato più disposto ad ascoltarlo.
Uno per uno erano sfilati davanti a Forlàn battendogli una mano sulla spalla in segno di supporto.
“E' tutto tuo,” aveva commentato Maxi, ridendo un po'.
Diego li aveva osservati uscire ad uno ad uno, desiderando ardentemente di poter fare la stessa cosa; ma non c'era nemmeno da pensarci. Con Edi che si lamentava ininterrottamente da venti minuti, lui poteva fare solo due cose: starlo a sentire con cortese interesse, oppure starlo a sentire dedicandogli tutta l'attenzione di cui era capace. In entrambi i casi, Edi si sarebbe comunque lamentato perché, stando al suo punto di vista, non lo si ascoltava mai abbastanza attentamente. Diego cominciava a credere che, quando Maria Soledad glielo aveva affidato con tanta solerzia prima della partenza per i mondiali in Sud Africa, badando di scaricargli sui piedi le sue quattro valige e poi correre via in fretta, l'avesse fatto più per liberarsene che non per la tristezza di saperlo lontano per più di un mese.
“Diego, tu non mi stai ascoltando.”
Forlàn sospirò e si passò l'asciugamano sulla testa; ci mancava solo che si dimenticasse di asciugare i capelli con il freddo che c'era e poi saltasse le semifinali per il torcicollo. “Sì che ti sto ascoltando. Secondo te i ghanesi stanno facendo riti satanici nei loro spogliatoi e dovremmo allertare la polizia.”
“L'esercito,” lo corresse Cavani.
“Perché non la Santa Inquisizione?” Diego si pettinò i capelli all'indietro e gli sorrise per sdrammatizzare.
“Non la stai prendendo sul serio,” protestò l'altro. “Su queste cose non si scherza.”
Diego sospirò. Una cosa peggiore di Edi che si lamentava era Edi che non riusciva a buttarla sul ridere. Era quel tipo di compagno di squadra che finiva per farti venire l'emicrania perché non si faceva bastare i tuoi sorrisi d'incoraggiamento. “Andiamo Edi, non esagerare. Staranno solo cercando di tirarsi su di morale, in fondo hanno perso.”
Cavani incrociò le braccia al petto. “Non si festeggia quando si perde.”
“Generalmente no. Magari loro preferiscono ubriacarsi e ballare piuttosto che starsene seduti in un angolino a piangersi addosso. Ti dirò, la trovo una buona filosofia.”
Edi però non sembrava convinto e sbuffò. “Se non mi credi, adesso ti vesti e vieni di là con me. Quando vedrai quello che stanno facendo, allora vorrai chiamare anche tu l'esercito.”
“Ne dubito, Edi.”
Nonostante i capelli ancora parzialmente umidi e la maglietta sollevata sotto la felpa, Diego fu impietosamente trascinato per i corridoi dello stadio, alla volta dello spogliatoio avversario dal quale, in effetti, proveniva uno strano frastuono. “Lo senti?” Indicò subito Edi, perentorio.
C'erano senza dubbio dei tamburi e, avrebbe detto, anche delle vuvuzela se il suo udito non fosse stato irrimediabilmente compromesso da un acufene quasi perenne provocato dall'ascolto continuativo di quelle maledette trombe. Adesso sentiva ronzio anche quando in effetti non c'era. “Sì,” ammise. “Ma a me sembra musica. Nient'altro che musica. Stanno festeggiando.”
“Hanno dei galli neri, guarda tu stesso!” Protestò Edi, aprendo la porta quel tanto che bastava a dimostrare le sue teorie catastrofiste sui sacrifici umani. “Galli neri significa voodoo e sai cosa significa voodoo? Magia nera! Maledizioni ed incantesimi!”
In effetti, la scena all'interno dello spogliatoio ghanese era quantomeno fraintendibile. Le panche erano state tutte appoggiate ai muri per fare spazio al centro, dove era stato allestito quello che non si poteva che descrivere come un altare. Ma d'altronde era una spiegazione talmente assurda che doveva essercene per forza un'altra. Forlàn non aveva mai creduto che una volta eliminato l'impossibile tutto ciò che resta, per quanto improbabile è la verità. Era più propenso a credere che se l'apparente verità era impossibile, allora avevi eliminato un po' troppo. “Credo che tu ti sia lasciato prendere dalla superstizione, Edi.”
“Io non sono affatto superstizioso,” gli sibilò lui a tanto così dall'orecchio, smettendo solo per quell'istante di snocciolare il rosario in maniera isterica. “E prendi questo, non si sa mai,” aggiunse, passandogli
un secondo rosario che teneva in tasca per le evenienze.
Diego si pinzò la radice del naso e usò il rosario per massaggiarsi le tempie. “Forse è soltanto una tradizione post-partita ghanese....” tentò. Ma quando riaprì gli occhi, Sulley, con addosso una specie di copri-divano lungo due metri e intessuto da un daltonico, afferrò con destrezza un povero gallo nero e lo sbudellò con una mannaia senza pensarci un secondo. Diego sollevò un sopracciglio e deglutì. “Una tradizione piena di sangue e interiora di uccelli morti, magari...”
Edinson al suo fianco aumentò la velocità di dizione.
Diego lo afferrò per un polso e lo trascinò lontano dalla porta. “Muoviti, andiamocene via.”
Nell'ultimo istante, prima di voltarsi definitivamente, Sulley incrociò il suo sguardo e sorrise.

*


Diego era sicuro di essere andato a dormire perché ricordava perfettamente di aver salutato Suarez un attimo prima di entrare in camera e che quest'ultimo gli aveva augurato la buonanotte. Era sicuro di essere andato a dormire anche perché Edinson lo aveva svegliato tre volte insistendo quasi impazzito che Sulley continuasse ad apparirgli in sogno ridendo come un maniaco. Aveva dovuto riportarlo fisicamente nel suo letto, rimboccargli le coperte e assicurargli che nessun ghanese che giocava nell'Inter gli avrebbe fatto del male quella notte.
Era certo di aver trascorso la notte nella sua stanza d'albergo, dunque non capiva come potesse trovarsi adesso disteso sotto un albero e come fosse possibile che, aprendo gli occhi quella mattina, la prima cosa che aveva visto fosse stato il cielo azzurro e sgombro di nuvole.
Inizialmente pensò che doveva stare sognando, era una cosa possibile contando che il suo sonno era stato più e più volte disturbato e quindi forse risentiva di qualche influsso esterno, ma stava ragionando troppo perché questa cosa non fosse reale.
Sospirò, stropicciandosi gli occhi per scacciare la sonnolenza. Ora, era capitato in passato che avesse bevuto così tanto per festeggiare una vittoria da addormentarsi di colpo in un punto qualsiasi, anche lontanissimo dal suo letto; ma si parlava di tanto di quel tempo prima, che sospettava si sfiorasse il decennio. Aveva una certa età, ormai, il bere fino a sfondarsi lo lasciava ai ragazzini.
Eppure era disteso sotto una mangrovia, in mezzo a cespugli non meglio identificati e, a giudicare dalla distesa di verde che gli si parava davanti a perdita d'occhio per ogni dove, era disperso nel nulla.
Se c'era una cosa peggiore di svegliarsi in mezzo a Dio solo sa quale parco in pigiama, era svegliarsi in mezzo a Dio solo sa quale parco senza il pigiama ma con addosso la tenuta della propria nazionale. E lui di sicuro non era andato a dormire vestito così.
Diego si passò una mano tra i capelli e recuperò automaticamente dal polso la fascia con la quale li teneva indietro durante le partite. Era evidente che qualcuno gli aveva fatto uno scherzo, non c'erano altre spiegazioni.
La prima cosa da fare era capire dove si trovava, quindi tornare in albergo e scoprire chi era il cretino fra i suoi compagni di squadra che aveva pensato bene di tirarlo via dal letto nottetempo per scaricarlo in mezzo ad un campo vestito d'azzurro. Non aveva ancora idea di cosa avrebbe fatto a questa persona, una volta capito chi fosse, ma confidava di poter trovare di nuovo un'utilità alla sua fidata racchetta da tennis.
Imboccò il primo sentiero che riuscì a distinguere e s'incamminò provando a fare delle ipotesi. Cavani andava escluso a priori perché uno che festeggiava il passaggio ai quarti di finale in giacca e cravatta non faceva scherzi simili – e poi addentrarsi nella giungla dove vivono gli stregoni? Sia mai! – e anche Lugano poteva essere depennato dalla lista dei sospetti perché, per quanto non sopportasse Forlàn, aveva metodi molto meno goliardici di esprimere il proprio astio. Maxi e Suarez, invece, quelli sì che erano candidati adeguati. Erano due coglioni e se c'era qualcuno da biasimare negli spogliatoi per uno scherzo idiota, quelli erano sempre loro.
Mentre si convinceva che dovevano essere stati proprio loro, quelli spuntarono correndo da una macchia di alberi poco più avanti. “Diego!” Urlò Maxi, non appena lo vide, come se fossero stati lontani per anni quando al massimo si erano visti sei ore prima.
“Allora sei vivo!” aggiunse Suarez, altrettanto sconvolto.
Entrambi rimasero immobili in mezzo al viottolo, con gli occhi sgranati e gli sguardi così acquosi che per un attimo Diego temette che si sarebbero messi a piangere. Ma non ci cascò: buono sì, scemo no.
“Certo che sono vivo!” protestò “E voi siete due deficienti. Che cosa vi è preso di piantarmi in asso qui in mezzo a... a... a questo posto, qualunque cosa sia!”
Ma non gli arrivò risposta perché i due si gettarono su di lui, stringendolo come se fosse sul punto di scomparire da un momento all'altro. Il viso già non propriamente sveglio di Pereira non era un bello spettacolo quando era stravolto dall'emozione. E sì, dalle lacrime. “Si può sapere che cosa vi prende a tutti e due?” Esclamò Forlàn, sconvolto. Non era più tanto sicuro che si trattasse di uno scherzo. Non quando Luis lo abbracciava come non volesse più lasciarlo andare. Tra l'altro, visto che erano alti esattamente uguali, avere i suoi singhiozzi che si infrangevano umidi direttamente nei suoi timpani non era una grande esperienza, ecco.
Diego accarezzò ad entrambi la testa con fare poco convinto, sperando che quel semplice gesto bastasse a staccarseli entrambi di dosso e, grazie a Dio, così fu. “D'accordo, adesso cominciate a farmi paura, seriamente. Vi siete tutti drogati mentre non c'ero o siete impazziti? Perché se si tratta del secondo caso magari è un virus, e io vorrei evitare di prenderlo.”
“Non lo sappiamo che cosa sia successo,” Maxi cercò di ricomporsi, asciugandosi le lacrime di gioia. “Ci siamo ritrovati tutti qui all'improvviso.”
“Tutti chi?”
“La squadra,” precisò il difensore, mentre lo accompagnava fuori dal sentiero e quindi fra gli alberi dai quali, apparentemente, lui e Suarez erano spuntati fuori. “Ci siamo svegliati qui.”
Diego li seguì sempre più perplesso fino ad una piccola radura oltre gli alberi, che si apriva al limitare di una scogliera a strapiombo sul mare. Seduti un po' dove capitava, i giocatori de La Celeste si guardavano intorno spaesati. Per un istante, Forlàn contemplò di nuovo l'ipotesi dello scherzo, ma non era possibile che tutti fossero tanto bravi a recitare da rendere così credibili le espressioni che avevano addosso. E poi, a pensarci bene, a che scopo mettersi tanto di impegno per tirarlo scemo? Non aveva senso.
“Ehi! Guardate chi abbiamo trovato!” Gridò Maxi, agitando le braccia per attirare l'attenzione di tutti.
Gli occhi dei suoi compagni di squadra si spalancarono per la sorpresa e, apparentemente, per il sollievo quando si posarono su di lui. Si avvicinarono tutti a battergli le mani sulle spalle e a chiedergli dov'era, che lo cercavano da ore. “L'abbiamo trovato un centinaio di metri da qui.”
“Che cos'è successo?” Gli chiese Victorino, facendosi spazio tra gli altri.
Diego scosse la testa. “A dire il vero speravo me lo diceste voi. Ero convinto che fosse uno scherzo e che vi foste tutti messi d'accordo.
“No, quando abbiamo aperto gli occhi, eravamo distesi in terra.”
“Che posto è?”
Maxi si strinse nelle spalle e scosse la testa. “Non ne abbiamo idea. Se guardi oltre la scogliera, non si vede altro che mare per chissà quanti chilometri.”
“Non possiamo essere troppo lontani da Johannesburg,” ragionò.
“E' quello che pensavamo, ma...“ Maxi gli indicò la giungla che li circondava, il mare, la linea dell'orizzonte che sembrava lontanissima. “Io non me li ricordavo così i dintorni della città.”
Diego annuì. “Dobbiamo capire dove siamo, prima di tutto.”
“Non mi dire!” Esclamò Lugano, spostando un paio di fronde con noncuranza e apparendo alla loro destra, con un bastone in mano e il ginocchio ancora fasciato dopo il colpo subito durante la partita del giorno prima. “Che cosa credi che stessimo facendo mentre tu dormivi?”
Diego sospirò. “Vedo che ci siamo tutti.”
Al suo fianco, Suarez si schiarì la gola, ma poi non lo guardò in faccia quando Forlàn si voltò verso di lui. Iniziarono tutti a guardarsi intorno con aria molto impegnata e nel gruppo cominciò a strisciare un generale atteggiamento di no-diglielo-tu. “Beh?” Chiese l'attaccante.
Qualcuno spinse avanti Suarez contro il suo volere. L'uomo prima si guardò indietro con disappunto e poi, volente o nolente, sospirò. “Non riusciamo a trovare Edi, Diego.”
“Dev'essere anche lui qui da qualche parte.”
Suarez scosse la testa. “Sono tre ore che vi cerchiamo, ma abbiamo trovato soltanto te.”
Lugano gli indicò la direzione da dove era appena arrivato. “Mi sono inoltrato in questa specie di giungla per almeno due chilometri e non c'è niente, tanto per cominciare, nemmeno una casa. Meno che mai Cavani.”
“Forse chiunque ci ha portati qui, non ha portato lui,” suggerì Muslera, tentando di essere ottimista.
“Perché noi e non lui?” Chiese Lugano.
“Magari c'è lui dietro a tutto questo,” realizzò Gargano.
Lugano rise. “No, direi proprio di no. Se così fosse, nemmeno il grande eroe sarebbe qui,” sputò fuori, indicando Forlàn con un cenno del capo. “Io dico che se lo sono mangiato i cinghiali.”
“Cinghiali?” Chiese Arevalo, con la voce non propriamente ferma. “Dite che ci sono i cinghiali?”
“O magari i brontosauri,” arrivò la voce trasognata di Muslera.
Lugano si voltò verso il portiere con un'aria così disgustata che avrebbe potuto disintegrarlo anche solo guardandolo. “Primo, i brontosauri si sono estinti molto prima che il trisavolo di tuo nonno pensasse di metterti in cantiere. Secondariamente, erano erbivori.”
“Evidentemente nemmeno loro sono al corrente dell'estinzione,” sentenziò Muslera, indicando a braccio teso dietro di loro.
L'intera squadra si voltò per veder spuntare dalle cime degli alberi la testa di una creatura alta almeno otto o nove metri. “Che diavolo è quello?” Esclamò Lugano sconvolto, mente i passi della creatura facevano vibrare il terreno sotto ai loro piedi.
“Te l'ho detto, è un brontosauro,” ripeté Muslera affascinato. “Vero nome Apatosauro, della famiglia dei diplodochi.”
“Avrei preferito il cinghiale,” deglutì Suarez.
“Togliamoci di qui, sta venendo dalla nostra parte,” esclamò Forlàn, spingendoli tutti a spostarsi di lato, proprio mentre il dinosauro calpestava il suolo a qualche decina di metri da loro. Afferrò Fernando che non si era mosso di un millimetro e lo trascinò con gli altri. “Vieni via!”
“Non è bellissimo?” Chiese il portiere, facendosi condurre lontano, con gli occhi fissi sul dinosauro.
Al primo brontosauro ne seguirono alti quattro che, uno dietro l'altro, oltrepassarono la linea degli alberi per stabilirsi quieti e ruminanti nella radura che un minuto prima era stata loro. I ragazzi si rintanarono gli uni accanto agli altri a distanza di sicurezza, più sconvolti che spaventati. Ad eccezione del loro portiere che sarebbe probabilmente corso incontro ai brontosauri, abbracciandoli felici, se solo Forlàn gli avesse lasciato il braccio. “Sono dinosauri,” sibilò Lugano. “Fottuti dinosauri.”
“Se non altro abbiamo stabilito che questa non è Johannesburg,” esclamò Victorino, cercando un appiglio logico a cui aggrapparsi invece che iniziare a correre in cerchio agitando le braccia, che era una cosa non proprio virile dal suo punto di vista.
“Sì ma dove siamo, allora?” Chiese Lugano.
“Io mi chiederei, piuttosto, quando siamo. Quelle bestie non dovrebbero esistere,” ragionò Maxi.
“In quel film sui dinosauri, c'era un ricercatore che-”
“Cazzate, questo non è un film!” S'intromise Lugano. “E' la realtà, perché io non sto recitando e spero vivamente che non lo stiate facendo voi. Quindi, a meno che quel coso non sia fatto di ferro e plastica, è vero. E se è vero, noi dobbiamo andarcene di qui.”
“Perché?” Chiese Muslera.
“Perché se ci sono i brontosauri, magari ci sono anche i carnivori,” esclamò Lugano, ma non ottenne altro effetto che quello di far brillare gli occhi del minuscolo portiere ancora di più. “No so nemmeno perché ti ho risposto.”
“Ma magari sono davvero finti,” azzardò Arevalo, continuando a sperare che in realtà stessero effettivamente guardando un gruppo di cinghiali ma li vedessero brontosauri per colpa di qualche droga a cui erano stati sottoposti a loro insaputa durante la cena del giorno prima.
“Vuoi andare a vedere da vicino?” Gli chiese Lugano. Arevalo rimase in silenzio, com'era prevedibile. “La cosa più sensata da fare è andarsene da qui.”
“Concordo,” annuì Forlàn, voltandosi finalmente verso il gruppetto alle sue spalle. “Ma prima dobbiamo trovare Edi.”
“Trovare Cavani?” Chiese Lugano. “Cavani probabilmente è ancora in camera sua a snocciolare il suo rosario.”
“Forse, o forse no,” replicò l'attaccante, “ma se qua in giro ci sono anche i carnivori come dici, allora noi non ce ne andremo finché non siamo sicuri che lui non è in pericolo.”
“E la nostra sicurezza dove la metti?” Gli fece presente Lugano.
“Faremmo la stessa cosa anche per te, capitano,” rispose Forlàn.
Lugano lo fissò a lungo, ma poi cedette. “Muoviamoci.”

*


Per riuscire a capire dove si trovassero, la prima cosa da fare era raggiungere un posto elevato e farsi un'idea chiara del luogo. Lugano aveva intravisto una collina in lontananza durante il giro di ricognizione che aveva condotto da solo, pertanto si diressero in quella direzione, con Forlàn e il capitano ad aprire la fila e Suarez a chiuderla. Muslera era stato messo in mezzo, sotto ordine di Forlàn, perché continuava a fermarsi ogni due passi nel tentativo o nella speranza di scorgere una mezza zampa di brontosauro.
Raggiunsero il loro obiettivo circa a metà pomeriggio e una volta arrivati in cima alla collina, la prima cosa che fecero fu gettarsi a terra a quattro di bastoni a riprendere fiato, visto che Forlàn era tanto buono quanto contrario a fermarsi per due minuti prima che fossero arrivati dove dovevano arrivare. In confronto a lui Tabarez era un pezzo di burro.
“Vedi qualcosa?” Chiese Suarez, girando appena la testa in direzione dell'amico.
Forlàn si guardava intorno, una mano a farsi ombra sugli occhi. “E' un'isola,” rispose.
“Cosa?” Esclamò Suarez, rotolando sulla pancia e poi alzandosi faticosamente. Intorno a loro si stendeva una folta giungla di mangrovie, ma aldilà di quella, solo spiaggia e mare ovunque guardassero.
“Non è possibile,” mormorò qualcuno. “Johannensburg si trova nell'entroterra.”
“E i dinosauri si sono estinti milioni di anni fa,” commentò Abreu, che aveva ormai i lunghi capelli arruffati e foglie intrecciate nella coda che aveva fatto nel tentativo di tenerli in ordine. “Forse è il caso di rivedere quello che sappiamo di questa situazione.”
“Come facciamo a trovare Edi?” Chiese Suarez, voltandosi a guardare Forlàn alla sua sinistra. “Questo posto è enorme. Potrebbe essere ovunque.”
“Se c'è,” commentò Lugano, avvicinandosi. “Non abbiamo la certezza che anche lui sia finito qui nella giungla. Magari adesso se la sta ridendo alle nostre spalle.”
“No, è qui,” commentò Diego, che continuava a scrutare l'orizzonte, gli occhi azzurri persi in lontananza, come se vedesse qualcosa che a loro sfuggiva completamente.
“E che cosa te lo fa pensare? Senti il profumo, per caso?” Chiese Lugano ironico. “O magari è un legame telepatico fra attaccanti? Lo senti anche tu, Luis?”
Suarez si risparmiò di rispondere, visto che delle insinuazioni di Lugano e del suo modo di fare ne aveva già abbastanza da desiderare di darlo in pasto al primo dinosauro carnivoro che avrebbero incontrato. Per tutta la strada fino a lì non aveva fatto altro che lamentarsi del caldo torrido, degli insetti, del fatto che stessero oggettivamente camminando nel nulla, verso il nulla e probabilmente per nulla. Niente di nuovo rispetto ad un qualsiasi giorno di allenamento ma, per qualche motivo, era ancora più sfiancante mentre faticavano abbattendo le fronde degli alberi con bastoni di fortuna.
“Qualunque cosa sia successa, ci siamo dentro tutti,” rispose Forlàn, voltandosi finalmente a guardare il capitano. Quand'erano accanto era inquietante notare quanto fossero incredibilmente simili. “Quindi dev'esserci anche lui.”
Lugano non sembrava convinto. “Cosa...?”
“Beh, ha ragione,” esclamò Suarez, aggrottando le sopracciglia. “Ci sono anche le riserve!” Allargò un braccio in direzione di un gruppetto di ragazzi tutti stretti gli uni agli altri che si guardavano intorno ancora più spaesati di loro. “Edinson dev'esserci per forza.”
“Secondo questa logica, avrebbe dovuto esserci anche il mister,” puntualizzò Lugano.
“Ma il mister non è un giocatore,” mormorò Muslera.
“Stiamo perdendo di vista il problema principale,” gli fece notare Victorino, decidendo che era stato seduto abbastanza e che aveva davanti un gruppo di coglioni, comandati da un demente e da Forlàn che palesemente avrebbe preferito partire da solo alla ricerca di Edinson e lasciarli tutti lì fino a che non l'avesse trovato. Da una parte poteva anche comprenderlo, era difficile mettere d'accordo tutti. Soprattutto Lugano che faceva una missione di andare contro a chiunque non ne riconoscesse l'autorità. E Diego, bontà sua, faceva di tutto per riconoscerla senza riuscirci. Era una dote naturale quella di avere più carisma di chiunque altro, là dentro. Ma era anche una maledizione. Un pollaio ha un solo gallo, una squadra un solo capitano. E Victorino, come tutti gli altri, sperava solo che decidessero in fretta chi dei due dovesse portare la fascia sul braccio. “Che ci sia o meno o per quale motivo dovrebbe esserci, non è molto importante. Abbiamo già deciso di credere che ci sia. Bene, cerchiamolo. Da che parte?” Sgranò gli occhi, nel chiaro tentativo di dirgli di darsi una mossa. Era disposto a rischiare la vita, purché non lo facessero restare ancora lì seduto a farsi mangiare da zanzare grosse come pulcini di aquila reale.
“Direi di andare da quella parte,” concluse Forlàn, indicando un gruppo roccioso praticamente dall'altra parte dell'isola. Era enorme e rotondo e sbucava fuori dalla foresta come una gigantesca testa calva.
“Perché?” Chiese Lugano, scettico.
“Perché è là che mi dirigerei io se fossi da solo e non sapessi dove mi trovo,” rispose.
“Ah, allora...”
Forlàn sospirò. “In mezzo ad un mare di alberi, quello è l'unico posto riconoscibile di tutta l'isola. Almeno sarei in un punto ben visibile.”
“E potremmo seguire i triceratopi!” Saltò su Muslera, indicando una lunga fila di quelle bestie gigantesche che si dirigeva proprio in quella direzione.
L'intera squadra alzò gli occhi al cielo.

*


“Sapete che i triceratopi sono erbivori? Non si direbbe, visto il loro aspetto, e invece è così!” Muslera aveva aperto bocca quando si erano rimessi in marcia e adesso che camminavano da circa un'ora e mezzo, non l'aveva ancora richiusa. “Un esemplare maschio può essere lungo fino a 9 metri e pesare anche 9 tonnellate!”
Suarez inspirò così forte da risultare perfino rumoroso, ma non poteva fare molto altro: avevano un solo portiere degno di questo nome e per l'appunto era quello che stava blaterando da ore. Eliminarlo era fuori discussione. Li aspettava una semifinale contro l'Olanda – lui era certo che sarebbero tornati in tempo per disputarla – e non potevano certo giocare senza Fernando.
“Hanno tre corna,” stava intanto continuando il portiere, incurante degli sguardi annoiati, omicidi e genericamente desiderosi di morte dei suoi compagni. “Due sopraorbitali, che vuol dire sopra gli occhi, e una più piccola sopra il naso. Inoltre, e questo è interessantissimo, il triceratopo è il nemico giurato del T-Rex, quindi se per caso dovessimo incontrare adesso un tirannosauro...”
“Gli daremo in pasto te, così magari stai zitto,” borbottò Abreu, piantando nel terreno il bastone che usava per camminare con un po' più forza del necessario.
“Cercavo solo di passare il tempo in maniera utile,” mise il broncio Muslera. Avrebbe tanto voluto avere un paio di tasche in cui infilare le mani; così, in mancanza di quelle, si limitò ad incrociare le braccia al petto come un bambino di due anni.
Si godettero per qualche minuto il silenzio appena guadagnato e interrotto soltanto dal rumore dei passi pesanti dei dinosauri davanti a loro, poi Suarez risalì la colonna dal fondo per raggiungere Forlàn che era in testa come al solito, non aveva detto una parola e sembrava molto pensieroso.
“Diego?”
“Dimmi.”
“Mi sono fatto un'idea di come sia possibile che siamo qui,” esclamò Luis. Aspettò che Forlàn avesse un qualche tipo di reazione, possibilmente sorpresa visto che lui era molto orgoglioso di aver avuto l'idea geniale che stava per esporre, ma Diego si limitò a guardarlo per dirgli di proseguire.
Suarez si schiarì la gola. “Secondo me si tratta di una maledizione,” sussurrò piano.
Forlàn preferì non rispondere, soprattutto perché nell'ultima mezz'ora gli era tornato in mente Edi; non che se ne fosse mai veramente andato dalla sua testa, ma ora c'era comparso di prepotenza con il rosario in mano, come quando aveva insistito col ripetergli che i giocatori del Ghana stavano facendo riti satanici nel loro spogliatoio. Solo che Forlàn si rifiutava di credere che Sulley potesse averli maledetti. In primo luogo non credeva che fosse possibile e in secondo luogo che il ghanese ne fosse capace. Era un luogo comune. Come credere che tutti gli italiani sapessero fare la pizza in casa. Non era che ogni ghanese sapesse compiere riti voodoo solo perché era ghanese. Sulley Muntari era un giocatore di calcio. Punto. Qualunque cosa fosse successa, di certo non c'era lui dietro.
“Se ci pensi,” stava intanto dicendo Luis “è tutto perfettamente logico. Qualcuno ci vuole male e ci spedisce in questa giungla dimenticata da Dio e ci lascia qui a marcire fra i dinosauri. Moriremo tutti.”
L'intera colonna di uomini si fermò di fronte all'esclamazione forse un po' troppo alta di Suarez e guardò lui e Forlàn con occhi spaventati.
“Ci mancava anche quello che se la fa addosso,” sibilò Lugano.
Dal gruppo degli uomini si sollevò un mormorio e qualche bestemmia. “Non morirà nessuno,” esclamò Forlàn, guardandoli tutti uno per uno, compreso Suarez che in quello sguardo lesse dei conti da fare successivamente.
“Ci sono i tirannosauri,” fece presente qualcuno.
“Li eviteremo grazie ai...” Diego si voltò verso Muslera.
“Triceratopi,” suggerì tronfio e orgoglioso il portiere.
“Ecco, i triceratopi,” annuì l'attaccante. “Sapranno dov'è il pericolo e lo eviteranno.”
Diego aspettò che tutti avessero assorbito la notizia e che poi, tra le altre cose, non avessero l'idea di fare domande e magari di chiedere ancora una volta come fossero finiti lì.
Non era stata una maledizione. Sulley non c'entrava nulla e non appena avrebbe rimesso le mani su Edinson, lo avrebbe strangolato personalmente col rosario della Madonna di Medjugorie come punizione per avergli ficcato in testa anche solo il sospetto.

*


L'enorme ammasso di roccia si rivelerò essere più enorme di quanto avessero inizialmente pensato, nel senso che quando vi arrivarono sotto si resero conto che non avrebbero potuto girarci intorno nel giro di qualche ora come avevano pensato ma che ci sarebbe voluta almeno una giornata. Inoltre, se erano stati convinti di potervi facilmente salire, dovevano ricredersi perché si ritrovarono di fronte una parete liscia come un vetro e inaccessibile da ogni punto di vista. Lugano non si risparmiò di commentare che era stata un'idea tremenda e che adesso potevano pure vedere di accamparsi lì, visto che era buio e di certo non potevano continuare l'esplorazione.
I ragazzi raccolsero della legna e si organizzarono per creare dei giacigli per la notte come poterono, cioè malissimo perché in venti quant'erano nessuno aveva mai fatto campeggio e negli ultimi sei anni della loro vita, più o meno, non avevano dormito altro che in alberghi a quattro stelle. Alla fine, un po' per disperazione, un po' per evitare di rendersi ulteriormente ridicoli uno di fronte all'altro, decisero di stendere in terra qualche enorme foglia d'albero che trovarono lì intorno e fingere di essere comodi.
Nel giro di qualche minuto la gran parte di loro cadde addormentata in un profondo sonno condito da un russare più o meno fastidioso, ma Diego non riusciva a chiudere occhio, oppure non voleva. Suarez gli si affiancò mentre era seduto di fronte al fuoco che per miracolo erano riusciti ad accendere e guardò con lui il buio della giungla che gli si parava davanti. Per un po' rimase in silenzio, non sapendo bene da che parte iniziare ad intavolare il discorso, né tanto meno quale discorso fare con precisione. Pensò che nei film si vedevano spesso scene del genere, e la gente aveva tante cose profonde da dirsi di fronte ad un fuoco da campo di notte, invece la sua testa era vuota e, se anche c'era qualcosa che vi volteggiava dentro, di certo non era una questione profonda.
Diego, naturalmente, non aiutava. In generale era sempre stato un tipo taciturno, di quelli che dopo aver vinto qualcosa preferivano festeggiare sbandierando i pettorali piuttosto che urlare, e difatti lo prendevano tutti in giro perché era sempre nudo; ma adesso la situazione era peggiorata. Se non era impegnato ad organizzare le ricerche o a cercare di evitare Lugano, se ne stava in silenzio a guardare punti imprecisati di fronte a sé e non era per niente facile parlargli in questo modo.
“Fa caldo qui, vero?” Esordì Suarez, nella maniera più sbagliata possibile, probabilmente.
Diego annuì, rendendosi vagamente conto della sua presenza.
Suarez si schiarì la voce. “Senti Diego...”
“Se vuoi ancora suggerirmi la storia della maledizione, ti prego di rimandare almeno a domattina,” lo bloccò subito, voltandosi verso di lui con uno sguardo stanco e le palpebre a mezz'asta. “Non credo di poterci ragionare in questo momento.”
“No, no,” si affrettò a dire Surez. “Mi chiedevo solo... quanto siamo davvero sicuri che Edi sia qui?”
Diego inspirò profondamente.
“Diego, io lo so che ci tieni ad Edi, ci teniamo tutti, accidenti, ma se poi scopriamo che stiamo girando a vuoto e stiamo perdendo tempo prezioso?” Gli fece notare. “Oggi abbiamo mangiato solo un paio di mango e qualche ananas. Quanto credi che dureremo in questo modo senza azzannarci alla gola? Non sappiamo nemmeno accamparci!”
“Quando inizierete a guardare Muslera come se fosse un piatto di bue alla creola, allora vi fermerò,” sorrise Diego, ma visto che Suarez non sembrava altrettanto divertito, tornò quasi immediatamente serio. “Lui è qui, da qualche parte. Lo so.”
“Come lo sai?”
“Lo so e basta, Luis!” Insistette Forlàn. “Vuoi che ti dica che me lo sento nello stomaco? Non lo so com'è che funziona, però so che c'è. Come so se dorme o meno nel letto accanto al mio in albergo, anche senza svegliarmi. Lo so e basta.”
Suarez sollevò entrambe le mani in segno di resa. Regola numero uno: mai darsi per vinti in campo. Regola numero due: mai accennare a Diego Forlàn la possibilità di lasciare Edinson Cavani in mezzo ad una giungla piena di dinosauri. Ora lo sapeva. “D'accordo, va bene. Non intendevo dire che voglio lasciarlo morire...”
“Luis, non morirà-”
“Nessuno, lo so,” annuì con foga Suarez. “Dico solo che potrebbe non esserci.”
Diego lo guardò male, molto male. Male come ti può guardare una persona che non guarda mai male nessuno e poi alla fine decide di farlo.
“Ma c'è,” si corresse subito Suarez. “Perché il tuo fegato così dice, e io voglio credere al tuo fegato. Ma abbiamo almeno un piano? Un'idea? Insomma, volevi venire qui e ci siamo, ma...”
Diego gli indicò la massa rocciosa alle loro spalle. “Aggireremo questa specie di collina, domattina, e vedremo come andrà.”
“Uh, bene,” Suarez annuì, per nulla convinto ma neanche propenso a voler insistere.
“Lo troveremo,” insistette Diego.
La mattina dopo, più che una squadra erano un gruppo molto ampio di persone con il mal di schiena. Non avrebbero dovuto averlo, naturalmente, perché si allenavano tutti i giorni, erano ipoteticamente elastici e tonici, eppure due delle riserve non riuscivano a raddrizzarsi e Abreu aveva il collo così intirizzito che poteva guardare soltanto a destra. Muslera, invece, sembrava non aver perso niente del proprio entusiasmo e la prima cosa che fece fu dirigersi direttamente da Forlàn per chiedere informazioni, ignorando totalmente Lugano che se ne stava in piedi proprio lì accanto, con la sua bella fascia gialla da capitano a svettare sulla maglietta azzurro pallido.
Diego spiegò la situazione come l'aveva spiegata a Suarez. Qualcuno ipotizzò anche di dividersi, ma non sembrava una bella idea. Non quando i triceratopi erano partiti molto prima che loro si svegliassero, lasciandoli in balia dei carnivori. Era meglio restare uniti.
Per aggirare la sporgenza rocciosa, che a tratti sembrava una montagna e a tratti era verde ed erbosa come la collina che si erano lasciati alle spalle, ci volle più tempo del previsto, naturalmente, perché nemmeno Diego – nelle vesti del grande condottiero – aveva la minima idea di quanto ci volesse a spostarsi da un punto ad un altro se non si parlava di campi da calcio o da tennis. Così all'ora di pranzo erano ancora a metà strada e stavano ulteriormente rallentando per non perdersi Muslera, che aveva insistito per salire su un albero e guardare più da vicino un dinosauro volante.
“E' uno pterodattilo!” Aveva gridato senza neanche vederlo. Gli era bastato sentirne il gracchiare in lontananza. Era corso verso l'albero più vicino, ci aveva messo sopra le mani enormi e quindi aveva iniziato ad arrampicarsi, incurante di tutto e di tutti, ma soprattutto del tempo che stavano perdendo e della possibilità di ammazzarsi cadendo da un albero alto sei metri.
La bestia enorme era passata sulle loro teste, facendo ombra sul gruppo pur non essendo esageratamente grande, accolta dalle imprecazioni meravigliate del gruppo e dallo squittire insensato e imbarazzante di Muslera, appeso al ramo come una scimmia. “Lo sapete,” aveva iniziato subito dopo, mentre seguiva il volo dell'animale nel cielo, “che la gente usa la parola pterodattilo per indicare tutti i dinosauri volanti, ma che in realtà lo pterodattilo è solo uno dei tanti dinosauri volanti? Per indicarne uno generico, bisognerebbe dire pterosauro.”
“Fatelo scendere!” Urlò a quel punto Lugano, indicando il suo portiere con un bastone di legno alquanto minaccioso. “Fatelo scendere di lì o lo tiro giù io a sassate!”
Suarez e lo stesso Forlàn si premurarono di eseguire l'ordine, aiutando Muslera a tornare a terra senza sfracellarsi di testa. Lugano, poco distante, era così teso e arrabbiato che sembrava sul punto di farsi scoppiare la testa. Per questo capirono tutti che forse era meglio darsi una mossa. Finalmente, dopo ore di camminata e Forlàn che li incitava a proseguire ogni dieci minuti per evitare che si accasciassero sulla prima roccia piena di muschio disponibile, raggiunsero il versante opposto della montagna, di fronte al quale si lasciarono andare stremati e pronti ad implorare Forlàn di lasciarli lì e proseguire da solo, di ucciderli tutti, se necessario, ma di non farli camminare più.
Diego lì lasciò cadere a terra uno ad uno mentre osservava il nuovo lato della roccia e constatava che non era liscio come l'altro e che c'erano delle caverne. Due superiori, a una decina di metri d'altezza, e una più in basso, più grande delle altre due.
“Scordatelo,” lo apostrofò Lugano, arrivandogli alle spalle.
“E' un posto sensato dove guardare,” gli rispose Diego, le braccia incrociate al petto e lo sguardo stretto a valutare quanto fosse proponibile scalare la roccia fino alle caverne più in alto.
“E' un posto pericoloso. Non sappiamo cosa si trova là dentro.”
“Potrebbe esserci Edi,” esclamò Forlàn.
“O potrebbe esserci una delle bestiacce che piacciono tanto a Muslera,” replicò Lugano. “Rischiamo di entrare là dentro e di uscirne a pezzi.”
“Perché devi essere sempre così catastrofista?”
“Perché tu sei pazzo, ecco perché!” Esclamò Lugano. Ormai erano gli unici due in piedi della squadra e, come al solito, stavano litigando. “Ti piace fare l'eroe ma siamo in tanti qui, non c'è solo il tuo Edi. E se sono ancora il capitano della squadra, e a quanto pare lo sono perché la fascia è ancora qui sul mio braccio, i ragazzi non si muoveranno da qui.”
“Posso ricordati che anche Edi fa parte della squadra?”
“Posso ricordati che forse Cavani è ancora a casa sua?”
Suarez, disteso a terra, si rotolò prima da una parte e poi dall'altra, lamentandosi rumorosamente. “Mamma, papà, potreste smetterla di litigare, per favore?” Li prese in giro. “Cos'è non ci volete più bene?”
Lugano lo mandò a quel paese, e Diego non poté fare a meno di ridere, ma prima che potesse tentare nuovamente di spiegare le proprie motivazioni, Muslera li chiamò con voce incerta.
“Ehm, ragazzi?”
I due Diego si voltarono contemporaneamente e trovarono il portiere che faceva loro segno di raggiungerlo a qualche metro di distanza. Gli obbedirono giusto perché era meglio che stare lì a litigare. “Che c'è?”
“Guardate.”
Spostandosi un po' più lontano dal complesso roccioso davanti al quale si erano trovati, la visuale cambiava completamente e quella che un attimo prima era apparsa come una collina, era in realtà un gigantesco teschio di roccia con due caverne per occhi e una come bocca. Lugano si fece il segno della croce.
“E' un teschio,” esclamò Muslera.
“O almeno lo sembra. E' solo una coincidenza,” tagliò corto Forlàn, tirando via Muslera prima che si facesse prendere dal panico, o prima che vedesse una qualche altra bestiola preistorica. Ma non fece in tempo perché arrivarono gli altri.
“E' un teschio!” Ripeté qualcuno.
“E' una maledizione,” Suarez tornò alla carica. “Lo vedi, Diego?”
Diego sospirò. “D'accordo, adesso calmatevi,” esclamò, aspettando che tutti facessero silenzio prima di continuare. “Quello non è un teschio e questa non è una maledizione. Le maledizioni non esistono e nessuno si sarebbe mai preso la briga di scolpire la roccia a forma di teschio, vi pare?”
“Sì, ma...”
“Non puoi negare che potrebbe essere pericoloso.”
“Non lo nego, Sebastian, ma non voglio lasciare niente di intentato,” rispose Forlàn.
Lugano, lasciato ancora una volta ai margini del crocchio che s'era formato, si schiarì la voce e poi, non contento, salì su una roccia lì vicino e pretese l'attenzione di tutti quanti. “Diego,” disse rivolgendosi direttamente a Forlàn. “Mi rendo conto di cosa ti spinge e, credimi, ti capisco. Tutti ti capiamo, ma qui c'è in ballo il bene della squadra. Prendi la partita di ieri, mi segui? Io sono dovuto uscire. Non volevo, ma ho dovuto perché non rendevo abbastanza. Spesso il desiderio di un giocatore passa in secondo piano rispetto a quello dell'intera squadra. A volte bisogna sacrificare un compagno.”
“No, aspetta,” Suarez alzò un braccio e trovò perfino la forza di alzarsi in piedi. “Non starai dicendo che per te un tempo in panchina, ha lo stesso peso di lasciare un compagno di squadra tra le grinfie dei dinosauri, spero.”
“Non sappiamo se Cavani sia effettivamente qui,” puntualizzò Lugano.
“Ma per te ha lo stesso peso,” insistette Suarez. “Quindi, se adesso ti lasciassimo qui perché sei un rompipalle in modo che l'intera squadra possa evitare di sentirti sbuffare ogni quattro passi e quindi arrivare più serena alla semifinale, saremmo perfettamente giustificati perché lo faremmo per il bene della squadra.”
“No, tu non mi segui...”
“Andiamo Diego,” Suarez ignorò Lugano e fece un cenno a Forlàn. “Recuperiamo Edi e leviamoci di qui. Ti do una mano io.”
“Vengo anch'io,” si offrì Muslera, lanciando un'occhiataccia a Lugano, che non fece paura a nessuno ovviamente ma colse un po' tutti di sorpresa visto che, fino a quel momento, era stato tutto entusiasmo e urla. Maxi, Victorino e Arevalo li seguirono a ruota insieme a Fucile, che era stato zitto praticamente fino a quel momento e quando aprì bocca lo fece per mandare a quel paese Lugano.
Forlàn li ringraziò tutti con un sorriso, e in sei si avventurarono nella caverna.

*


La caverna era umida, il che poteva anche considerarsi un'ovvietà visto che si trattava di una caverna, ma piuttosto che ammettere che oltre ad essere umida faceva anche una discreta paura, tutti trovarono molto più utile constatare che fosse soltanto umida.
“E buia,” Suarez concluse discorsi che in realtà non erano mai usciti dalla testa di nessuno. “Non abbiamo qualcosa per fare luce?”
Muslera si ritrovò ancora una volta a desiderare di avere delle tasche e di poterci tenere dentro un accendino o dei fiammiferi, ma non le aveva. “No, dovremo andare a tentoni,” concluse, appoggiando una mano alla parete della caverna, sperando che non ci fossero insetti. Odiava gli insetti.
Più si inoltravano all'interno della caverna, più la luce esterna li andava abbandonando. Erano tutti abbastanza felici che ciò avvenisse per gradi, perché le cose sembravano meno preoccupanti quando svanivano a poco a poco. Alla fine, quando si accorsero di essere troppo al buio, lo erano ormai già da un pezzo. “Vedi qualcosa, Diego?” Chiese Muslera, che chiudeva la fila.
“Ancora nulla,” commentò Forlàn.
A quello seguì un silenzio prolungato, anche se nessuno seppe bene di quanto perché, per qualche motivo, nel buio il tempo sembrava scorrere più veloce; finché Suarez non ebbe un'illuminazione divina e, deglutendo, chiese al proprio portiere: “Nando?”
“Sì?”
“Ci sono dinosauri che vivono nelle caverne?”
Muslera sentì Forlàn imprecare sotto voce, così preferì rimanere sul vago. “Non molti,” disse. “Solo alcuni.”
“E questi alcuni sono carnivori o erbivori?”
Il portiere si grattò la nuca. “Anatomicamente aerodinamici?” Buttò lì, sperando di sviare l'attenzione di Suarez sulle abitudini alimentari dei dinosauri per parlare della loro struttura anatomica.
“Anatomicamente... Ma che diavolo significa? Ci mangeranno vivi o no? Questo voglio sapere!” Scattò Suarez, fermandosi di scatto in mezzo ad un cunicolo, tanto che il portiere gli andò a sbattere contro.
“Cercavo solo di non metterti paura.”
“Quindi sono carnivori.”
“Non ho detto questo.”
Suarez si passò una mano sulla faccia. “Se fossero stati erbivori, non ci sarebbe stato nessun problema, quindi mi avresti detto che erano erbivori; ma visto che non lo hai fatto allora sono carnivori e ci mangeranno.”
“Vedi come sei? Non intendevo questo!”
“Se non sono né carnivori né erbivori, cosa diavolo dovrebbero essere? Esistono dinosauri macrobiotici?”
“Okay, d'accordo potrebbero essere carnivori. Cercavo solo di non farti andare nel panico!”
“Beh non ci sei riuscito per niente!”
Diego gli fece segno di stare zitti. “Ragazzi, ascoltate.”
I due smisero di litigare e tutti quanti insieme si misero in ascolto. C'era come un mormorio sommesso che riverberava attraverso le pareti della caverna. Dapprima fu solo un bisbiglio indefinito ma poi, aguzzando le orecchie, riuscirono a captare qualche parola. Alla fine, aver dovuto ascoltarsi l'un l'altro in campo per un mese sopra il ronzio continuo delle vuvuzela era servito a qualcosa.
“Qualcuno sta parlando,” commentò Maxi.
Suarez scosse la testa. “No, sembra cantare.”
“Sta pregando,” suggerì Arevalo.
“E' Edi!” Esclamarono in coro, mettendosi a correre tutti quanti insieme, incuranti della possibilità che ci fossero dinosauri erbivori, carnivori o aerodinamici in circolazione.
Corsero a perdifiato, seguendo Diego che naturalmente era stato il primo a lanciarsi in avanti. Così come non si erano accorti subito che la luce andava lentamente scemando, così non si accorsero che aumentava finché all'improvviso non si resero conto di vederci bene come appena entrati nella caverna. E quando lo fecero, sperarono subito che non fosse mai successo o che fosse possibile, per qualche magia divina, chiudere gli occhi e teletrasportarsi altrove. Fu Diego a fermarsi di colpo, le braccia larghe a bloccare il passaggio anche a quelli che non gli si erano schiantati addosso e che rischiavano di superarlo per inerzia. “Fate piano,” sussurrò.
Di fronte a loro il corridoio si apriva in un'immensa sala circolare, illuminata dalla luce che penetrava da un foro sul soffitto. Ad analizzarla da fuori, probabilmente, il loro teschio spaventoso aveva un buco proprio sulla sommità della testa e quel buco faceva da lucernario alla caverna. La sala aveva le pareti di roccia e c'era un piccolo fiume interno che l'attraversava per quasi tutta la larghezza. Tra le anse del fiume, che si snodava come un serpente, c'erano piccoli promontori di roccia e sull'ultimo di essi, proprio in fondo alla sala, era seduto Edi, gli occhi chiusi e il rosario in mano. Sarebbe stato facile, per i ragazzi, attraversare quei dieci metri che li separavano da lui se solo non fossero stati tappezzati da dinosauri apparentemente addormentati.
“Fammi indovinare,” sussurrò Victorino. “Questi non sono né quelli erbivori né quelli aerodinamici.”
Muslera deglutì. Sebbene in parte fosse affascinato dalla visione, dall'altra era più consapevole di tutti gli altri del rischio che correvano e, per una volta, avrebbe voluto essere quello ignorante in materia. “Sono velociraptor,” mormorò, osservando queste bestie di quasi due metri, rannicchiate nelle loro tane.
“E cosa mangiano?”
“Noi,” sospirò Muslera, fissandone uno che si era un po' scosso dal sonno al sentire le loro voci. “Prendiamo Edi ed andiamocene. Subito.”
Recuperare Cavani era più semplice a dirsi che a farsi. Forlàn fece qualche passo nella stanza, fermandosi ogni volta che sentiva o notava uno dei raptor muoversi nel sonno. “Edi,” sibilò piano. “Edi!”
Cavani alzò la testa solo dopo che lo ebbero chiamato quattro volte, e solo perché era troppo impegnato ad avere molta paura. Quando finalmente posò gli occhi su Diego, quello era ormai a metà strada e con i piedi fra le zampe dei velociraptor. “Diego!” Esclamò l'attaccante. E poi, subito dopo: “Dove diavolo eri?”
Forlàn si ritrovò automaticamente a stringere i pugni e cercare di non avventarsi su di lui. Lo fermò solo il fatto che probabilmente sarebbero stati entrambi mangiati dai dinosauri prima che lui potesse prendere Edinson a sberle. “Ti cercavo.”
“Beh ero qua,” sibilò l'altro ragazzo. “In mezzo alle bestie.... qualunque cosa siano.”
“Sono velociraptor,” suggerì piano piano Muslera, tentando di essere utile.
Forlàn si voltò verso di lui con uno sguardo al vetriolo, ma non disse niente perché due dinosauri sotto di lui si mossero, così l'intero gruppo rimase immobile e trattenne il fiato, ma non successe niente.
“Ora, molto lentamente, vieni verso di me.”
“Non posso,” mormorò Cavani, guardandosi intorno e deglutendo.
“Lo so che hai paura, ma...”
“No, non ho paura,” lo corresse Cavani, agitandosi “Sono terrorizzato, ma non è questo il punto. Credo di avere una gamba rotta.”
“Merda!” Sibilò l'altro. Ci pensò su un istante e poi annuì, più a se stesso che agli altri. “D'accordo, vengo lì. Stai fermo.”
“Non puoi farcela! Sono ovunque!” Sibilò Edi, che era talmente scombinato da avere fango anche sulla punta del naso e foglie di vario genere tra i capelli. “Si sveglieranno, ti attaccheranno e ti mangeranno! Diego non farlo!”
Diego camminava talmente piano che probabilmente sarebbe morto di vecchiaia prima di raggiungerlo. “Vuoi che ti lasci lì?” Tentò di scherzare.
“Ovviamente no! Ma dovrò pur dire qualcosa!” Sbottò Cavani.
Diego inspirò profondamente, a cercare il coraggio, la forza, la pazienza, l'intervento di un Dio superiore che lo fulminasse impedendogli così di sopportare oltre. Era un uomo provato. Dai dinosauri, certo, ma soprattutto da Edinson Cavani.
Si passò una mano fra i capelli e quindi tornò a concentrarsi. Cercare di attraversare senza schiacciare nessuna zampa dotata di artiglio non era esattamente facile. Va bene l'equilibrio, va bene l'armonia dei movimenti, ma era ben diverso che cercare di schivare un avversario venuto lì per toglierti la palla ecco. E se anche si risparmiava le metafore calcistiche in un simile frangente...
Quando mise piede sulla roccia di Edi, quello gli gettò subito le braccia addosso, aggrappandosi al suo collo come non ci fosse un domani, così Diego si dimenticò che nel tempo che ci aveva messo ad arrivare aveva già pensato a come ammazzarlo. Lo abbracciò a sua volta e gli stampò un bacio sulla fronte ad occhi chiusi. “Ci sono io, adesso,” tentò di rassicurarlo. “Sono qui per riportarti indietro.”
Suarez agitò le braccia sopra la testa. “Vi dispiace rimandare a dopo le scene d'amore? Abbiamo dei problemi qui. Dinosauri, ricordate?”
I due si riscossero, giusto per constatare che forse la gamba di Edi non era proprio rotta, ma di certo non gli permetteva di starsene in piedi per conto suo, così Diego si fece passare un braccio dell'altro intorno alle spalle e imboccò il percorso al contrario, andando ancora più piano di prima. Suarez e Victorino gli vennero incontro a metà strada per aiutarlo a sopportare il peso di Cavani, ma troppe gambe tra troppe zampe fecero sì che la loro fortuna li abbandonasse nel bel mezzo del risveglio collettivo di una colonia di raptor.
Muslera constatò la situazione, “Okay, siamo morti,” concluse.

*


“Correte!” Era stata la parola d'ordine.
Muslera si era girato e quindi era fuggito, con quel secondo di vantaggio sui dinosauri che aveva permesso alla squadra di arrivare per lo meno al corridoio oltre la sala, con Victorino e Suarez che chiudevano la fila, proteggendo Forlàn che si trascinava dietro Cavani. Avevano tirato delle rocce, non tanto per colpire i dinosauri, quanto per distrarli, ma avevano perso più tempo che altro, pertanto ora correvano e basta, al buio, seguendo il lungo urlo del portiere che non si era mai spento da quando aveva aperto bocca.
I raptor erano veloci e pesanti, i passi rintronavano alle loro spalle come colpi di tamburi e fu ancora più spaventoso quando cominciarono a sentirne il fiato caldo e rancido fin troppo vicino.
“Ci stanno affiancando!” urlò Maxi e desiderò avere per le mani un pallone. Di certo non li avrebbe uccisi, ma una pallonata in testa faceva male a chiunque, soprattutto a chi aveva la testa piccola come quelle bestiacce.
Muslera avanzava con una mano contro la parete, correndo e urlando e mentendo su quanto lontana fosse l'uscita. La prima zampata andò a vuoto e Victorino, che quasi ci aveva rimesso un orecchio, si sentì in dovere di spingere Forlàn a correre un po' più veloce, con uno spaventato: “Diego, Cristo, muoviti! Mi stanno mordendo il culo!” che risuonò per tutta la caverna, così che sembrò piena di Victorini.
Per chi era fuori, vederli uscire fu uno strano effetto ottico. Sembrò quasi che l'enorme massa rocciosa non fosse altro che una bottiglia di spumante appena stappata, e loro la schiuma che ne era appena uscita. Videro Muslera che agitava le braccia e gli altri che si liberavano a ventaglio nella radura, seguiti da decine di dinosauri.
“Correte!” Ripeté Muslera a quelli fuori “Non fatevi accerchiare!”
Gli altri non se lo fecero ripetere due volte, anche perché non c'era molto da domandarsi quando bestie alte un metro e mezzo si abbattevano su di te con gli artigli snudati. La fuga fu scoordinata, disorganizzata e all'insegna del panico più totale. Se non si divisero fu solo perché i raptor non glielo permisero, bloccandoli ai lati e incanalandoli, quanto più possibile dove volevano loro.
“Non ce la faccio,” ansimò Edi, che perdeva terreno.
Diego lo tirò su praticamente di peso, facendolo poggiare meglio sulla gamba sana. “Forza!” Gli abbaiò, senza starlo a sentire.
Edi fece altri due passi, poi inciampo' e cadde a terra, portandoselo dietro. Uno dei raptor li saltò completamente, preso nella corsa e probabilmente con gli occhi fissi su Arevalo poco più avanti. “Andiamo, dobbiamo alzarci,” esalò Diego, cercando di riprendere fiato, mentre Edi scuoteva la testa. “Non scuotere la testa, dammi la mano, forza!”
Cavani fece un profondo sospiro e gli porse la mano per essere tirato su. L'attimo dopo, era di nuovo aggrappato alla spalla di Diego ed erano pronti a ripartire. “Non ho fatto tutta questa strada per lasciarti in mezzo alla giungla, chiaro?”
Edi annuì.
“Quindi muoviti.”
Ovviamente il velociraptor che a quel punto gli si parò davanti avrebbe potuto mangiarseli ma Suarez era nei paraggi e anche senza la palla che Maxi aveva così disperatamente sognato, riuscì a tirargli una bastonata sufficiente a fargli perdere la voglia di attaccare proprio loro due. Non rimasero lì a guardarlo scodinzolare altrove, comunque, e cercarono di raggiungere gli altri poco più avanti.
Muslera era improvvisamente diventato il punto di riferimento di tutti gli altri, perché conosceva i dinosauri. Il punto era che non aveva idea di come si sfuggisse ad un branco di velociraptor perché generalmente nei libri che aveva letto e nei film che aveva visto, nessuno riusciva mai a sfuggire a questi dinosauri e ciò non era molto consolante.
“Pensa...Pensa...Pensa...” Muslera si guardò intorno, c'erano soltanto alberi e, più avanti, la foresta che si apriva in un'altra piccola radura dove probabilmente sarebbero rimasti solo i loro amabili resti. Già si immaginava i titoli dei giornali che si chiedevano dove fosse finita l'intera nazionale uruguaiana, mentre loro erano lì con le mosche intorno, chissà dove e soprattutto chissà quando.
Fu lì, mentre era fermo a immaginare la propria morte e quella dei suoi compagni che sentì la terra vibrare sotto i piedi. La prima cosa che pensò fu “No, dai!” e la seconda fu effettivamente: “Merda”. Si voltò di scatto e trovò gli altri che lo guardavano tutti pieni di aspettativa, circondati dal branco di velociraptor con un altro tipo di aspettativa più gastronomica.
“Vi ricordate quando vi ho detto che c'erano dei dinosauri carnivori e dei dinosauri.... anatomicamente aerodinamici?”
Gli altri annuirono.
“Ecco, questi sono aerodinamici,” deglutì. Poi la terra tremò così forte che Edi dovette piantare le unghie nelle spalle di Diego per stare in piedi. “Ora arriva quello carnivoro.”

*


Inizialmente, i ragazzi non avevano capito. Erano stati troppo intenti a non farsi mangiare dai dinosauri che avevano davanti per pensare a quello – uno – che doveva ancora arrivare, ma poi era venuto a tutti il dubbio che fosse qualcosa di veramente grosso se la terra tremava e, soprattutto, se i raptor avevano improvvisamente deciso che non valeva più tanto la pena di mangiarsi la nazionale uruguaiana. “Che diavolo sta succedendo?” Chiese Diego.
A rispondergli fu l'enorme testa del tirannosauro, che sbucò da sopra gli alberi e li osservò con due occhi grossi, stupidi e vagamente infastiditi. Per un attimo Forlàn provò l'inquietante sensazione di essere una bambola dentro una casa di bambole. I raptor rimasero immobili e poi scattarono via dalla parte opposta, superandoli senza nemmeno guardarli. Il tirannosauro li seguì con lo sguardo e fece due passi pesanti fra loro, prendendo al volo una bestia mentre gli passava davanti.
Suarez fece una smorfia e incassò le spalle nel sentire le ossa del velociraptor rompersi e parte delle budella atterrare a nemmeno quattro metri da lui con un suono umido. Istintivamente scattò indietro, inciampò e continuò a strisciare appena sotto la coda del tirannosauro che ondeggiava pericolosamente a destra e a sinistra.
Gli occhi di Diego scattarono verso Muslera che scosse piano la testa.
“Non vi muovete,” mormorò. “Non può vederci se stiamo fermi.”
Suarez deglutì, togliendo il proprio corpo dalla traiettoria del gigantesco dinosauro fintanto che quello gli dava le spalle e si guardava intorno, come a cercare una nuova preda da mangiare viva. Si spostava lentamente, girando la testa prima da una parte e poi dall'altra per osservare ciò che gli stava intorno. Si abbassò verso di loro, sbuffando alito caldo a meno di un metro dalle loro facce e brandendo la coda nervosamente.
“Non vi muovete,” ripeté Muslera.
“Fernando,” lo chiamo piano piano Suarez, con il viso del tirannosauro così vicino che avrebbe potuto contargli i peli nelle grossissime narici se ne avesse avuti, “tu sei proprio assolutamente certo e indiscutibilmente sicuro che non possa vedermi?”
Muslera avrebbe voluto rispondere che no, non lo sapeva se davvero non li vedesse, che non sapeva nemmeno se stare fermi immobili come statue di cera potesse davvero servire a qualcosa o se invece adesso il T-rex li stesse guardando come fossero carote intagliate a forma di esseri umani su un enorme pasticcio di patate. Non so nulla, avrebbe voluto dire, e se quello che vi dico è sbagliato e ci farà ammazzare tutti prendetevela con quel fanfarone di Micheal Chricton e quel disgraziato di Spielberg che gli ha dato retta. Io non sono un paleontologo! Ma poi pensò che dare di matto non sarebbe servito a molto, che probabilmente Suarez si sarebbe messo a correre, scatenando il panico e che se c'era anche una sola possibilità di non morire in questo modo atroce se la sarebbero giocata come deficienti. Quindi mentì. “Sì,” rispose, senza muovere la testa. “Stai fermo.”
Quando le tragedie devono succedere, generalmente la comprensione che hai di loro scatta un secondo prima che avvengano. Diego questo lo sapeva bene, perché era abituato a quello che succedeva in campo. Era capitato più di una volta di perdere una partita al novantesimo minuto. E quel gol, quello preciso, lo aveva visto prima ancora che l'avversario lo segnasse. Era come una scarica elettrica dal fondo dei piedi e poi una sensazione che pressava nello stomaco: adesso lo fa, pensava. Ed era gol. Così capì che Lugano si sarebbe alzato e si sarebbe messo a correre esattamente un attimo prima che lo facesse. Quando si girò a guardarlo, il loro capitano stava giusto scattando in piedi.
“Lugano, no!” Gli gridò.
“Io non voglio morire” Urlò, prima di gettarsi a capofitto nella giungla. Il movimento improvviso attirò l'attenzione del tirannosauro che si mise immediatamente in moto, schiacciando con le enormi zampe i resti del velociraptor mangiato poco prima. Videro il bestione aprirsi un varco fra gli alberi senza nessun problema, e i tronchi cadere ai lati del suo corpo man mano che avanzava. Non camminava troppo velocemente, non correva nemmeno, ma uno dei suoi passi era sufficiente per doppiare quelli incerti e impauriti di Lugano.
Sembrò che tutto succedesse incredibilmente di fretta. Diego lasciò andare Edi, affidandolo a due delle riserve che gli si erano avvicinate. “Dobbiamo aiutarlo.”
“Se Lugano continua a muoversi, si renderà visibile e il tirannosauro gli sarà addosso subito,” esclamò Muslera
“E' morto,” commentò Victorino, riassumendo il concetto del portiere in maniera più che soddisfacente.
“Non è ancora morto,” Diego lo fulminò con lo sguardo. “Dobbiamo aiutarlo.”
“E che cosa vuoi fare? Tirare il tirannosauro per la coda?”
“Distrarlo,” rispose Diego.
Maxi aveva iniziato a scuotere la testa prima ancora che Diego finisse di parlare. “No,” commentò. “Mi dispiace ma no.”
Forlàn si voltò verso Suarez che alzò le mani, in segno di resa. “Non guardare me. Lo sai che di solito ti seguo a ruota, ma quello è un tirannosauro e Lugano è un cretino.”
“Ragazzi!” Diegò sgranò gli occhi azzurri, come fosse molto deluso. “Andiamo! E' uno dei nostri!”
“Lui, Edi, voleva lasciarlo crepare,” commentò Victorino, con un'occhiata molto eloquente.
“E sbagliava,” puntualizzò Forlàn, indicando l'uomo e il concetto con lo stesso dito. “E noi dobbiamo dimostrarglielo.”
Muslera si agitò sul posto. “E non c'è un modo un po' meno pericoloso per dimostrarglielo? Tipo una bella ramanzina in spogliatoio?”
Diego si voltò verso di lui. “Dobbiamo riportarcelo, in spogliatoio, per fargliela.”
La squadra intorno a lui rimase in silenzio, la testa bassa. Se avessero aspettato ancora un po' il tirannosauro avrebbe usato Diego Lugano come spuntino e poi, probabilmente, sarebbe tornato a mangiare anche loro. La tentazione di tornare indietro – ammesso che ci riuscissero – e dire a tutti che avevano perso il capitano, così da nominare Forlàn una volta per tutte era grande, ma non sarebbe stato giusto e lo sapevano.
“E va bene, d'accordo!” Sbottò Suarez alla fine, dopo aver mugolato indecentemente, sopraffatto dalla consapevolezza che Diego aveva ragione e loro dovevano accettare quel piano suicida. E poi crepare, forse, ma comunque accettare. “Perché devi sempre essere così maledettamente buono, tu?”
Diego gli sorrise e gli batté su una spalla.
“Se proprio deve succedere, è meglio che la squadra sia unita, no?” Ragionò alla fine Muslera.
“E poi lo sai come potremo farglielo pesare a vita se lo salviamo?” Commentò Victorino con un ghigno. Se tornavano indietro, non sarebbe passato giorno senza che rinfacciasse a Lugano di avergli evitato una morte atroce tra i denti infiniti di un dinosauro preistorico.
Sarebbero stati momenti deliziosi.

*


Mentre correvano a caso nella boscaglia, cercando di attirare il più possibile l'attenzione del grosso bestione che rincorreva Lugano, tutti fingevano di stare facendo altro e visto che nessuno di loro aveva troppa fantasia, l'illusione più quotata fu che stessero tutti giocando gli ultimi tre minuti di una partita importantissima e che non potessero perdere, pena l'esposizione al pubblico ludibrio internazionale.
Maxi saltò sul posto, dicendo al tirannosauro che sua madre era una poco di buono e se la faceva con un brontosauro di passaggio. Poi fuggì il più velocemente possibile mentre Muslera colpiva il muso della bestia con un sasso chiedendo scusa. “Mi dispiace tanto, ma non puoi mangiarlo, anche se capisco che ti venga voglia!” Gridò, mentre si gettava in scivolata sotto la coda, e Suarez gli copriva le spalle attirando il dinosauro nella direzione opposta.
In tutto questo, Lugano era in terra, a qualche metro dal dinosauro e stava tentando disperatamente di allontanarsi.
“Diego, cortesemente, ti daresti una mossa?” Sibilò Suarez, evitando per un soffio la zampata del tirannosauro e lanciando a Forlàn un'occhiata omicida. “Recupera lo stronzo e andiamocene!”
Forlàn annuì, abbassandosi appena in tempo, prima che la coda dell'animale lo spedisse in orbita chissà dove. “Se smetti di farlo scodinzolare da questa parte, forse!”
“Ehi! Preferisci la testa invece del culo?” Gli urlò l'altro, i denti del dinosauro che mordevano a vuoto a qualche centimetro dalla sua faccia.
Forlàn ringhiò qualcosa di incomprensibile che assomigliò moltissimo ad un'imprecazione molto, molto cattiva e così, poco, pochissimo da lui che Suarez rise e si segnò di prenderlo in giro quando e se tutto questo gran casino di lucertole fosse finito.
Alla fine, Diego riuscì quantomeno a rotolare alle spalle della bestia, afferrare Lugano per la maglia, dirgli di stare zitto e quindi trascinarlo senza nessun garbo verso i margini della foresta. Suarez, Maxi e Muslera fecero girare il dinosauro ancora un po' e poi, uno dopo l'altro, cercano riparo non troppo lontani da Forlàn e dal capitano. Il tirannosauro emise un ruggito potente che risuonò raggelante nell'aria e poi si rese conto di averli persi di vista e iniziò ad annusare intorno.
I ragazzi si guardarono tra loro, e soprattutto guardarono Forlàn, con aria molto interrogativa. “E adesso cosa facciamo?” Chiese alla fine Muslera.
“Se non troviamo una soluzione, possiamo sempre lanciargli di nuovo Lugano.”
Il capitano si voltò verso Suarez e lo guardò malissimo, poi la testa del tirannosauro fece capolino sopra il loro nascondiglio.
E quella fu l'ultima cosa che videro.

*


“Ti avevo detto che mi facevano paura, Diego!”
Forlàn non si era svegliato. Cioè si era svegliato in quel momento, ma quando Edinson aveva iniziato a parlare, lui stava ancora dormendo; ma questo non sembrava aver costituito per lui un grande problema. Non lo costituiva mai, del resto. Ecco perché Diego non capiva mai niente di quello che Edi diceva, perché i discorsi indirizzati a lui iniziavano sempre senza di lui. La vita di Forlàn era un inferno e quell'inferno si chiamava Edinson Cavani.
“Ti eri almeno accorto che dormivo?” Fu la prima cosa che gli chiese, tirandosi a sedere sul letto e passandosi una mano tra i ricci biondi. Ne tiro fuori due foglie e un legnetto su cui non volle indagare subito.
“Non dormivi, eri svenuto,” precisò Cavani, passandogli un bicchiere d'acqua che si scoprì a desiderare ardentemente. “Ma tanto tu senti sempre, anche mentre dormi.”
“E' una maledizione, con te.”
“Comunque sei stato l'ultimo ad aprire gli occhi,” riprese Cavani. “Tutti gli altri sono già a fare colazione. E la nazionale ghanese? Puf! Sparita, naturalmente. E niente galli, niente sangue, nemmeno il calderone.”
Forlàn aveva un gran mal di testa. Sospirò. “D'accordo, Edi....” strizzò gli occhi perché la luce che entrava dalla finestra era insostenibile “... di cosa stai parlando esattamente?”
Cavani lo guardò a lungo e fece anche il giro per guardarlo da tutti i lati. “Sei sicuro di star bene?” Chiese.
“No, ho mal di testa e tu mi parli di galli.”
“Non ti ricordi niente? I ghanesi, la maledizione, i dinosauri!” protestò Edi.
Diego ci pensò un istante. Questo era esattamente quello che aveva sognato. “E tu come lo sai?”
“Lo so perché sono stato quasi mangiato vivo da un branco di velociraptor dentro una grotta chissà dove e chissà quando!” Replicò il moro, con aria molto interdetta. “Mi hai salvato tu, non ti ricordi nemmeno questo?”
Forlàn scosse la testa. “Non possiamo aver sognato la stessa cosa!”
“Perché non l'abbiamo affatto sognata,” esclamò snervato Cavani, mostrando la gamba steccata. “Vedi? Una settimana di fermo. Tabarez dice che se non gioco la semifinale, mi spezza lui l'altra così le fa compagnia.”
“Ho bisogno di un'aspirina.”
“Era nel bicchiere d'acqua,” sospirò Cavani. Si sedette accanto a lui e gli massaggiò le spalle. “Ci hai salvati tutti.”
“Quindi sarebbe tutto vero?” Forlàn piegò la testa di lato, per guardarlo. “Il... cretaceo, i velociraptor...”
“E il tirannosauro che voleva mangiarsi Lugano, sì.”
Forlàn rise, passandosi una mano sulla faccia. “Edi, non è possibile,” commentò. “E' molto più probabile che ci siamo drogati tutti. Non me lo ricordo, però ci sta. Suarez è abbastanza scemo da...”
“Siamo stati maledetti,” insistette. “Te l'avevo detto, io!”
“Edi...”
“E' così. Muntari ce l'ha con noi perché vinciamo la partita, così ci fa il voodoo e ci spedisce tra i dinosauri, convinto che ci mangeranno vivi, mi segui fin qui?”
Forlàn sospirò rassegnato. “No, ma immagino tu voglia andare avanti.”
“Io compaio lontano da voi e una di quelle bestie mi trascina nella sua tana. Lugano non ne vuole sapere ma tu convinci tutti gli altri a salvarmi, a proposito grazie, e poi?”
Forlàn voleva piangere. “E poi?” Chiese.
“E poi Lugano si mette a correre rischiando la morte e tu che fai?”
“Che faccio? Io niente, lo salviamo tutti insieme.”
“Esatto!” Esclamò Edinson, schioccando le dita. “Lo salviamo tutti insieme.”
Forlàn continuava a non capire.
“Noi lavoriamo tutti insieme, spirito di squadra e bam! L'incantesimo si spezza ed eccoci qua,” concluse Edinson, soddisfatto. “Siamo una grande squadra.”
“E tutto questo tu lo hai capito... come, esattamente?”
“Ci ho pensato su mentre aspettavo che ti svegliassi, ma non ti svegliavi mai!” Edinson si alzò faticosamente e tirò su anche lui. “Ora muoviamoci, quando avrò spiegato agli altri come stanno le cose, forse potremo presentare un esposto alla FIFA ed eliminare la squadra ghanese da ogni competizione mondiale.”
“Edi...”
Ma il ragazzo era già alla porta e agitava la mano. “Non mettermi i bastoni fra le ruote, Diego, lo sai che tanto lo farò comunque.”
“Giusto,” Forlàn si infilò la felpa e sospirò.
“A proposito,” si ricordò l'altro, fermandosi all'improvviso sulla soglia. “Ha chiamato Zaira, dice se la richiami. E poi devi richiamare Maria Soledad.”
“Ma è tua moglie!” Protestò il biondo.
“Sì ma non crede alla storia dei dinosauri e vuole parlare con te,” Edi scrollò le spalle. “Le chiavi le hai tu?”
Forlàn non si sprecò nemmeno a rispondere, tanto Edi stava già parlando d'altro.

*


Muslera sistemò bene i calzini e le magliette pulite.
Le pose ordinatamente ai lati della valigia e tastò con due dita l'asciugamano che aveva steso sul fondo per vedere quanto fosse morbido, quindi vi posò sopra le due grosse uova maculate e le coprì con altre magliette. Trovarle non era stato difficile, il nido dei brontosauri era proprio in bella vista.
Chiuse la porta con cura, quindi s'infilò la chiave in tasca e scese con gli altri a fare colazione.