Fandom: !Originali
Pairing:
Personaggi: Miguel, Matias
Genere: Introspettivo, Romantico
Avvisi: Slash, Lime, Bloodplay, What if (Cow-T!verse)
Rating: R
Prompt: Guerra
Note: E ci siamo anche quest'anno. Nuovo Cow-T, nuovo -verse, nuova originale. Ma non proprio. Quest'anno il Cow-T è ambientato in una città e quelle che erano quattro razze in guerra sono ora quattro bande rivali. E io mi sono chiesta: e se fossero entrambe le cose? Così in questa storia c'è una banda di latinos che sono anche vampiri. Sì, lo so. Sembra un film di Tarantino. Che potrebbe essere un bene o un male a seconda di come vedete Tarantino. Ad ogni modo, questa storia parla di Miguel che è il capo dei vampirli Blood Devils, squadra per la quale questa storia raccoglie punti

Riassunto: Vuole che combattiamo gli uni contro gli altri. Ha messo la città in palio, e se stessa.
IT'S THE FINAL REVELATION THAT WILL TEAR THE WORLD APART


Matias smontò la semi-automatica e sistemò ordinatamente i pezzi sul vecchio tavolo della cucina a seconda della grandezza. Si lavò le mani con cura e quindi si sedette a pulirli uno per uno con il vecchio straccio che gli pendeva dalla tasca posteriore dei jeans strappati.
Un sole stanco e arancione si inabissava al di là del fiume e la città si preparava ad essere lasciata all'abbraccio della notte che l'avrebbe resa muta, fredda e inospitale come quell'appartamento.
Si era svegliato da solo e con in bocca ancora il sapore del sangue, i vestiti sporchi di terra e nemmeno la più pallidea idea di che diavolo fosse successo la sera prima. Non era la prima volta che perdeva completamente la testa ma di solito il giorno dopo lui era già lì a raccontargli quello che aveva rimosso.
Per un po' si era aggirato lungo i corridoi bui, fingendo di avere qualcosa da cercare, ma sapeva che lui non era in casa e che non ci sarebbe stato modo di sapere quando sarebbe rientrato finché non l'avesse fatto, quindi alla fine si era trascinato fino in cucina, guardando l'unica finestra della stanza con diffidenza e annusando controvoglia gli ultimi raggi di sole per assicurarsi che anche stavolta non gli avrebbero fatto del male.
La semi-automatica era ancora a pezzi sul tavolo. A volte ci metteva anche un'ora per pulirla. Miguel lo prendeva in giro e gli diceva che quando la poggiava sul tavolo e si avvicinava con le mani ancora un po' umide sembrava un chirurgo sul punto di fare un'operazione. Miguel non capiva a cosa gli servisse la semi-automatica quando poteva spezzare un collo a mani nude.
La semi-automatica era un ricordo di suo padre. Era l'arma che suo padre gli avrebbe regalato il giorno che avesse compiuto diciotto anni, se non avesse finito per ammazzarlo lui stesso prima, involontariamente.
Non aveva voluto. Era stato un errore. Era stato un errore anche farsi trasformare da uno che ne sapeva meno di lui. Quella sera era tornato a casa dopo due giorni di cui non ricordava niente, barcollava da fare paura, sembrava strafatto. Suo padre di certo lo aveva pensato. Non era poi così strano che lo fosse e adesso che erano passati quasi dieci anni non poteva dargli torto. Suo padre aveva alzato le mani e lui invece di cercare di raggomitolarsi sul pavimento con le braccia sopra la testa, aveva attaccato.
Fino a quel momento nemmeno si era ricordato di aver cercato quel tipo giù alle fabbriche che si diceva non fosse umano. Il vuoto che aveva nella testa si era riempito tutto quanto insieme mentre saltava alla gola del padre e lo stendeva a terra, un uomo di quasi due metri che pesava più di cento chili. Lo aveva addentato alla gola e, mentre beveva, aveva ricordato tutto: il patto di entrare nella banda, l'alito che sapeva di rum, la stretta dolorosa delle sue mani intorno ai polsi. Com'era stato morire, però, non lo aveva ricordato mai più.
Suo padre era morto senza emettere un suono. Per tutto il tempo aveva guardato il soffitto con gli occhi scuri rotondi e sgranati e quando Matias aveva alzato la testa, finalmente sazio, la smorfia che aveva sul viso gli sformava così tanto i lineamenti che per un secondo non lo aveva nemmeno riconosciuto.
Aveva pianto un sacco quella notte e per molti motivi diversi, poco per la morte di suo padre. Certo aveva versato qualche lacrima anche per lui ma suo padre era morto quando sua madre se n'era andata, si era subito convinto che in un qualche modo contorto gli avesse fatto un favore. A fargli salire le lacrime agli occhi era il sapore del sangue in bocca e il suo riflesso nello specchio che sembrava chiedergli che cosa avesse intenzione di fare adesso senza più un padre o una madre, senza più neanche una vita. Era tornato da quel tipo – non aveva pensato nemmeno di chiedere il nome – ma quello non c'era più e nessuno lo vedeva da giorni. Non l'aveva più incontrato e per quanto ne sapeva poteva anche essere morto.
Diventare un vampiro gli era sembrata un'idea grandiosa finché non si era ritrovato con una gran fame e nessuna idea di come gestirsi. Aveva dovuto imparare a percepire l'arrivo dell'alba per ritirarsi in tempo e a non assalire troppa gente nello stesso posto per evitare i sospetti. Matias aveva sedici anni allora e non si era reso conto di quanto sarebbe stato atroce averne sedici per tutta la vita.
Ma tutto questo non aveva più molta importanza da quando Miguel era arrivato e aveva cambiato le regole del gioco e con il fatto che era un adulto gli aveva dato una scusa da rifilare a chi non sapeva farsi gli affari suoi e gli chiedeva se c'era qualcuno ad occuparsi di lui perché era troppo giovane per vivere da solo. Lui rispondeva che c'era suo fratello e quando quelli vedevano la figura imponente di Miguel si ritenevano soddisfatti e lo lasciavano in pace.
Stava finendo di riassemblare la semi-automatica quando sentì la porta aprirsi. Il sole era tramontato del tutto e l'unica fonte di luce era la vecchia insegna al neon del locale di fronte che minacciava di salutarli da mesi ma che ancora resisteva lampeggiando ad intermittenza.
Fece scorrere il carrello senza voltarsi. "La prossima volta che te ne vai senza avvertirmi, ti faccio fuori."
Miguel si prese il tempo di togliersi la giacca di pelle e di appenderla con cura al gancio sul muro che fungeva da attaccapanni prima di prendergli la testa con una mano e lasciargli un bacio sulla fronte.
"Non lo faresti mai," commento con tranquillità.
Sorrise quando sentì il cane scattare indietro e poi la canna fredda dell'arma premergli contro la tempia. Matias teneva la pistola con sicurezza, senza inclinarla inutilmente rischiando di decentrare il colpo e faceva forza contro la sua testa, come a dimostrare di fare sul serio.
Miguel osservò quasi con tenerezza la sua espressione scura e la fronte che si corrugava per la concentrazione. Del tutto incurante della minaccia, gli scostò una ciocca nera dagli occhi e quindi si alzò, scostando la pistola con una mano. "Se vuoi sparare, fallo," commentò, mentre apriva il frigo e recuperava una bottiglia di soda. "Non minacciare a vuoto."
"Vaffanculo." Miguel posò la pistola sul tavolo e appoggiò la testa al muro dietro di lui, dondolandosi sulle gambe della sedia. "Perché insisti con quella roba? Non ti serve."
Miguel si strinse nelle spalle. "Mi piace il sapore."
"Hai bevuto?" Matias lo guardava con un'espressione stanca e annoiata. C'erano momenti in cui sembrava che niente potesse scuoterlo dall'apatia in cui cadeva ciclicamente. Miguel ricordava di averlo sempre visto così, impermeabile a quello che gli succedeva intorno. Per questo i suoi sorrisi erano così belli.
Annuì, finendo il contenuto della bottiglia con un unico sorso. "Un tipo giù al molo. L'ho lasciato privo di sensi sulla strada, non mi andava di fregarmene."
Matias alzò gli occhi al soffitto, scuotendo la testa. "Dovresti bere di più. Sei troppo giovane per poterti permettere della pietà. Quella è roba da centenari."
"Sono forte," Miguel si strinse nelle spalle. "E poi tu hai solo dieci anni più di me, non sono quelli a fare la differenza."
Matias si scostò dallo schienale della sedia e infilò la semi-automatica nei pantaloni. "Infatti io uccido le persone, genio."
"Non è così facile per me."
"Perché eri un angelo?"
Le virgolette vagamente derisorie tra le quali Matias racchiudeva ogni volta la parola lo mettevano sempre di malumore. "Forse. Non lo so," tagliò corto. "Non mi va di parlarne."
Matias era abbastanza stronzo da sottolineare quel piccolo particolare, ma non così tanto da insistere quando gli occhi di Miguel diventavano così scuri e il suo viso si tendeva restituendogli tutti gli anni che la natura – una delle due – gli sottraeva. "Come vuoi," masticò, tornando ad appoggiarsi al muro e sollevando una gamba sulla sedia di fianco. "Dove sei stato?"
Miguel attraversò la cucina e lo raggiunse al tavolo. Si tirò indietro i lunghi capelli neri e li annodò di nuovo nella solita coda dietro la testa. Aveva piume intreccate in alcune ciocche e Matias non aveva dubbi che fossero le sue. "C'è stata un'adunata," lo informò, lanciandogli qualcosa che nel coprire la distanza che li separava brillò nell'ultima luce che filtrava dalla finestra.
Matias lo prese al volo e si rigirò tra le dita un minusclo pezzo di vetro viola. "La veggente," sbuffò, infastidito. Non gli stava troppo simpatica perché aveva avuto a che fare con lei già in passato, anche se più che averci a che fare era stato costretto a sottostare a quello che diceva. "Cosa altro aveva da raccontare, la stronza? L'ennesimo allineamento degli astri, scommetto."
Miguel si concesse una risata stanca. "No, voleva giocare."
Matias sollevò un sopracciglio. "Giocare? Sembra una cosa sporca."
Lui gli prese la mano e lo costrinse ad aprirla delicatamente, stendendogli bene le dita. Poi chiuse la propria mano a pugno e gli lasciò cadere sul palmo una pioggia di quei piccoli pezzi colorati che atterrarono sulla pelle di Matias, tagliandola appena. "Vuole che combattiamo gli uni contro gli altri," rispose lui, osservando le goccioline di sangue spuntare una dopo l'altra sulla mano di Matias. "Ha messo la città in palio, e se stessa."
Matias guardò i vetri colorati, alcuni erano abbastana grossi da riflettere un particolare distorto del suo viso. Si perse nella replica infinita del proprio riflesso in quelle schegge. Piegò la mano e lasciò cadere i vetri sul tavolo. "Avere la città, questo sì che sarebbe fantastico," commentò, sollevando le dita e osservando con grande attenzione i rivoli di sangue che adesso gli scorrevano lungo i polsi. Vi avvicinò il naso per sentirne l'odore e raccolse in punta di lingua una goccia che stava per cadere sul tavolo. "Avremmo un sacco di cibo a disposizione."
Miguel non cercò nemmeno di guardare altrove, consapevole che era ancora troppo giovane per resistere al richiamo del sangue, soprattutto quello di un master che lo aveva attratto anche quando non era ancora un vampiro. Seguì con lo sguardo il muoversi lento delle labbra di Matias che si chiudevano su ogni singola goccia senza riuscire a tamponare completamente le ferite. "Io non voglio la città, io voglio lei," disse e poi, incapace di trattenersi oltre, gli strattonò il braccio emettendo un ringhio basso e infastidito.
Matias rise divertito e si allungò verso di lui, porgendogli il palmo, mentre si accontentava delle gocce che ricadevano lungo il suo avambraccio. Miguel si avventò sulle dita e perse quasi del tutto il controllo, sentendo il bisogno di premerci contro prima il naso per sentirne l'odore e poi quello di seguire con la lingua il percorso delle vene che sentiva pulsare appena sotto la superficie della pelle, fino al polso che addentò con forza, strappando a Matias un gemito ben lontano dal dolore. "Che cosa vuoi farci con lei?" Chiese, passandogli le dita tra i capelli. "Devo preoccuparmi?"
Quando Miguel sollevò la testa, il suo sguardo perso bastava già ad indicare dove fosse riposta la sua attenzione, ma rispose lo stesso. "Con lei dalla mia parte, posso togliere di mezzo Dimitri".
"Quindi c'era anche lui," commentò gelido mentre come al solito Miguel se lo tirava contro e cercava il collo, ancora insoddisfatto.
"C'erano tutti," mormorò l'angelo, leccando appena sotto il lobo e poi affondando di nuovo i canini, assaporando il brivido che gli aveva strappato prima ancora del sangue.
"Ti dà ancora la caccia?" Chiese Matias, abbandonandosi tra le sue braccia, attento però che l'altro non esagerasse.
"Non davanti a lei e mai ufficialmente, ma non mi lascerà mai stare," mormorò Miguel, giocando con il segno del suo stesso morso e poi mordendo ancora per sentirlo sussultare.
"E vuoi l'aiuto degli altri."
"Hanno tutto da guadagnare. L'hai detto tu, la città ci serve."
Matias pensò a come sarebbe stata la vita per loro se le strade della città fossero state soltanto dei vampiri. Niente più imboscate, niente più tregue. Niente più esecuzioni vendicative. Forse li avrebbero ammazzati tutti, versare sangue era un po' il loro marchio, dopo tutto. Poteva abituarsi all'idea di non vedere nemmeno più un angelo in giro, a meno che non fosse morto. "L'idea potrebbe piacermi," ammise, spingendolo con forza contro la sedia e costringendolo così a staccarsi dal suo collo mentre gli saliva addosso e iniziava a spogliarlo. C'erano pulsioni in lui che non erano mai svanite, forse perché non aveva mai capito il motivo per cui dovesse farne a meno o sostuirle quando poteva avere tutto: sangue e sesso. "Ma come pensi di fare? Non siamo poi così tanti."
"Ma siamo più forti," precisò Miguel, liberandolo della maglia e osservando per un attimo i segni appena percettibili delle cicatrici che i vecchi morsi gli avevano lasciato sulla pelle. "Ci occuperemo prima dei cavalieri, poi dei maghi. Creeremo altri dei nostri e quando saremo abbastanza..." sorrise, tracciando una striscia di sangue tra il collo e il suo ombelico da seguire con le labbra. "Distruggere gli angeli sarà più facile."
Matias gli porse la pancia, osservando la città immersa nel buio oltre la finestra. "E credi che non capiranno quello che stiamo facendo?"
"Saranno troppo impegnati a combattere con i maghi e i cavalieri. Le tregue non esistono più, Matias. Non potranno evitare di scendere in battaglia."
Mentre i morsi e i baci si confondevano senza che Matias potesse più dire quando riceveva l'una e l'altra cosa, cercò di mettere a fuoco almeno ciò che l'altro gli stava dicendo. "Pensi davvero che potremmo farcela? Quel figlio di puttana non è un angelo come gli altri."
"Non lo sono nemmeno io," ringhiò Miguel, sollevandolo di peso e distendendolo sul tavolo.
Matias gli prese il viso fra le mani e lo indirizzò di nuovo verso il suo collo mentre lo aiutava freneticamente a liberarsi dei pantaloni di entrambi. "Tu non sei più un angelo," gli ricordò, prima di premerselo leggermente contro, così che sentisse il sapore del sangue.
Era per questa colpa che Dimitri doveva pagare.
Ma Miguel non lo disse. Chiuse gli occhi e affondò i canini.
  1. ma…ma…cosa aspettavo a leggere??? *O* *bava everywhere* ovviamente l’insoddisfazione dilaga, visto tutto il non detto, ma questi due mi piacciono molto molto <3 spero di poter leggere al più presto le altre storie che hai pubblicato su di loro (ma chissà quando ricapiterà un pomeriggio in cui le bambine dormiranno in sincrono per due ore filate?) comunque grazie di avermeli fatti conoscere! X3 iatho e noah mi mancano comunque, ma questi due promettono davvero bene XD

    Haru
    11/01/2013 17:51

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