Fandom: !Originali
Pairing:
Personaggi: Iatho, Noah, Lord Zenir, Garkos, vampiri, angeli, maghi e cavalieri
Genere: Introspettivo, Romantico, Drammatico, Guerra, Fantasy
Avvisi: Slash, Violenza, Angst
Rating: R
Note: Questa storia è chiaramente ispirata all'ambientazione in cui si sta svolgendo il COW-T di maridichallenge e fiumidiparole, e trae spunto dalla prima settimana di gioco, durante la quale la Veggente (che qui viene citata, ma non è un mio personaggio) ha rivelato ai rappresentanti delle quattro fazioni che l'unica soluzione per stabilire chi comanda è ammazzarsi di botte.
Naturalmente questa è una mia libera interpretazione della faccenda, non so se i tre amministratori avessero in mente un mondo di questo tipo, io ci ho solo fantasticato su per divertimento e per potare a casa punti per la squadra dei vampirli (prompt: Guerra). Iatho e Noah sono nati mentre parlavo con Liz, anche se allora erano diversi, senza nome molto più tondi e di sicuro meno epici, ma si sa che le vie del writing sono infinite e quindi, come al solito, hanno fatto quello che hanno voluto.

Riassunto: Dopo che la Veggente ha rivelato che non può esserci pace tra i quattro popoli, un vampiro si trova a dover difendere i suoi stessi sentimenti oltre alla vita dei suoi simili.
ALL THE ARMS WE NEED ARE FOR HUGGING


Nella luce tremolante delle candele, la stanza sembrava muoversi.
Iatho osservò le ombre aprirsi e chiudersi sulle pareti come il respiro di una qualche immensa bestia che li avesse inghiottiti e nelle cui viscere si fossero ridotti a vivere per sfuggire alla luce del giorno.
Aldilà della vetrata, il sottosuolo si estendeva cinereo e spento per miglia, illuminato soltanto all'orizzonte da un chiarore lattiginoso e opaco, pallido riflesso della gloria del tramonto che avveniva in superfice. Provò ad immaginare il sole che si immergeva dietro le montagne per venir inghiotto dalle tenebre che lo avrebbero nascosto fino all'alba, ma non sapeva quanto accurate fossero le sue fantasie.
“Non è poetico?” Disse, senza voltarsi. “Per metà del giorno siamo custodi di una stella che non ci è permesso vedere.”
“Perchè essa ci ucciderebbe,” replicò sbrigativa la figura alle sue spalle, immobile sulla porta.
Iatho sorrise appena. Si voltò per osservare il suo ospite e poi tornò a guardare fuori dalla finestra. “Non lei, Garkos. La sua luce.”
“Ai miei occhi non c'è molta differenza,” commentò l'altro, liquidando il discorso prima che diventasse una delle solite discussioni infinite che, in più di ogni occasione, avevano rischiato di ammazzarlo di noia. Fece qualche passo avanti nella stanza e si fermò alle sue spalle. “Lord Zenir è tornato. Perché non eri all'assemblea?”
“Perché non ne avevo motivo,” rispose Iatho, piegando la testa all'indietro per scoccargli un'occhiata impertinente, che tradiva la sua età molto più dell'aspetto ancora tragicamente umano. Ci sarabbero voluti almeno altri due secoli prima che il colore gli abbandonasse del tutto le guance e le labbra, e gli occhi perdessero quella scintilla di vita che, come una stella morta da tempo, continuava ancora a brillare ignara del proprio stato. La vita che persisteva tenace anche dopo la morte. Per molti era un risvolto tragico ma romantico in cui crogiolarsi per assecondare l'immagine che il mondo aveva dei vampiri, per Garkos era soltanto una seccatura, nonché il motivo principale per cui soltanto pochi dei più giovani sopravvivevano abbastanza a lungo da farsi le ossa.
“Lord Zenir ha fatto visita alla Veggente e ha riportato notizie di fondamentale importanza,” insistette con pazienza.
Iatho sospirò, chinando la testa. “Non fatico ad immaginarle,” mormorò.
“Iatho-”
“Garkos,” gli fece il verso, stancamente. Si guardarono per un lungo istante e poi Iatho lasciò ricadere le spalle e si sedette sul rientro della finestra, come se all'improvviso non avesse più voglia di mantenere quell'atteggiamento. “Avanti, dillo.”
“La Veggente sostiene che dobbiamo combattere.”
Iatho scosse la testa, abbattuto. “D'altronde, la guerra finora ci ha portato alla vittoria. Perché non continuare?”
Garkos ignorò quel commento ironico, attribuendolo alla sua giovane età e anche alla buona dose di sfacciataggine che aveva sempre posseduto. Sperava soltanto che prima o poi non esondasse in maniera inopportuna di fronte a chi non l'avrebbe accettata. “Lord Zenir ti vuole nella sua guardia,” precisò, così che fosse chiaro che cosa ci si aspettasse da lui.
Iatho annuì. “Ci sarò, non preoccuparti.”
Aveva con Lord Zenir un debito che risaliva alla sua creazione, e provava per lui un rispetto – se proprio non si poteva parlare di affetto – che lo portava ad eseguire i suoi ordini anche se non sempre ne condivideva gli obbiettivi. All'inizio combattere era esaltante; in vita era stato un cavaliere, o almeno stava per diventarlo prima di venire morso, la battaglia era stata tutta la sua vita. Ma adesso, con duecento anni sulle spalle che non aveva mai previsto di vivere, l'idea di una guerra non lo esaltava più così tanto. Era stanco. Avrebbe combattuto, naturalmente, perché Lord Zenir lo voleva, ma non ne vedeva l'utilità e non avrebbe dimenticato di dirglielo non appena si fossero visti.
Garkos annuì, soddisfatto. “Il tuo contributo sarà essenziale per...”
“Sì, lo so,” tagliò corto Iatho. “Come sempre.” Alzò gli occhi al cielo e scosse al testa, scivolando giù dal rientro della finestra con fare annoiato.
L'altro vampiro s'incupi. “Ci metteremo in marcia domani al calare del sole,” disse burbero, ma c'era qualcosa nella tristezza di Iatho che gli impediva di rimanere irritato con lui troppo a lungo. Gli appoggiò una mano sulla spalla in un gesto gentile. “Farai meglio a riposarti, dovrai essere in forze.”
Iatho annuì e fissò lo sguardo sull'ultimo baluginio di tramonto che rendeva la luce leggermente più bianca. Il buio all'esterno era ormai quasi completo.

*


Nel regno angelico, la notte non era davvero buia, ma puntellata di piccole stelle e la luna era sempre piena, un disco enorme e potente, che avvolgeva ogni cosa nella sua luce lattiginosa e rassicurante. Eppure aveva anche lei le sue ombre, ed erano più profonde, più oscure e spaventose di quelle del giorno. Guardandole si aveva l'impressione che, a lasciarsi andare al loro interno, in quel buio si potesse anche scomparire per sempre.
Noah ne era spaventato e affascinato insieme. La quiete silenziosa della notte lo attirava come una calamita, ma non camminava mai nelle zone d'ombra, lo facevano rabbrividire. I suoi passi seguivano il sentiero di stelle che aveva sopra la testa, che come fiammelle di candela lo facevano sentire meno solo mentre attraversava di corsa il bosco, diretto al confine.
Il perimetro era pattugliato dall'esercito al comando degli Hashmallim, le Dominazioni, e nessuno aveva il permesso di varcare le porte angeliche dopo il tramonto, ma Iatho gli aveva insegnato come sfruttare i tempi morti del passaggio delle guardie per muoversi indisturbato.
Noah sapeva che quella era una cosa sbagliata e che non avrebbe dovuto farla, ma era anche consapevole che Iatho gli aveva insegnato cose che violavano ben altre regole, e pertanto si giustificava pensando che pentirsi per le piccole cose non serviva a niente se poi ne faceva di peggiori; e per quelle non riusciva a pentirsi. Era un pessimo angelo, sapeva anche questo.
Raggiunse la fine del bosco, quindi si guardò intorno per controllare che non ci fosse nessuno. Quando fu sicuro che la guardia che aveva appena girato l'angolo continuasse per la sua strada, spalancò le ali e le sbattè un paio di volte per scuoterle dal torpore prima di librarsi in volo e superare con un salto l'alto muro di cinta. Le richiuse lentamente non appena poggiò i piedi sull'erba dall'altra parte, e si guardò intorno con apprensione.
Fuori dal regno, era sempre nervoso. Tutto sembrava più ostile senza la luce di Dio.
“Stai cercando qualcuno?”
Trasalì, voltandosi di scatto ma non fece in tempo a vedere chi aveva parlato perché le ali si chiusero subito intorno al suo corpo, per proteggerlo. L'aria si era improvvisamente saturata di energia negativa, era come venire tempestato da tante piccole scosse elettriche, capaci di superare la barriera delle sue ali e infilarsi sotto pelle. Da dietro lo schermo delle proprie piume sentì una risata divertita ma gentile, e subito dopo una carezza leggera che lo arruffò. “Noah, sono io,” disse la voce. “Apri.”
Noah dischiuse le ali molto lentamente e poi le ripiegò con cura dietro la schiena prima di alzare finalmente gli occhi azzurri sulla persona che gli stava davanti. I suoi strettissimi boccoli biondi ondeggiarono come molle. “Ciao, Iatho.”
Il vampiro si esibì in un mezzo sorriso storto, cercando di non ridere. “Ciao a te,” mormorò.
Noah continuava a sentire la sua energia sulla pelle, e ne era attratto e spaventato esattamente come dalla notte. Desiderava allungare una mano e toccarlo, ma l'istinto lo teneva lontano; così non si muoveva. A Noah sembrò di restare immobile per un sacco di tempo. Sentiva i muscoli tesi e le gambe quasi tremavano per la voglia di fare un passo rimasto a metà e impedito dalla certezza che la forza che lo chiamava era pericolosa. Seguire il cuore era una questione complicata quando l'istinto e la logica ti dicevano l'esatto opposto; e sembrava non migliorare col tempo. Ad ogni incontro, fosse anche solo di sguardi, era sempre la stessa storia.
Iatho continuava a sorridere. Avvisato da un fremito impercettibilmente più forte degli altri, aprì le braccia per accoglierlo nell'istante esatto in cui Noah cedette e gli si gettò addosso, nascondendogli il viso nel petto. “Non pensavo che stanotte non saresti venuto,” disse in un mugolio.
Iatho passò le dita fra i riccioli biondi, posandogli un bacio sulla sommità della testa. “Perché non avrei dovuto?” Chiese.
“Perchè siamo in guerra!” Esclamò Noah, scostandosi, ma senza andare troppo lontano. Strinse le dita bianchissime intorno alle cinghie della sua maglia.
Iatho lo sentì tremare, non sapeva se per veemenza o per paura, ma conoscendolo era più probabile la seconda. Per quanto lo riguardava, era inconcepibile che creature perfette come gli angeli, che avevano la possibilità e l'onore di guardare il volto di Dio, dovessero vivere in una costante situazione di panico. Lo portava a pensare che il Paradiso non fosse poi così diverso dalla landa desolata in cui viveva lui, dove era facile commettere errori e doverne pagare le conseguenze. E questo era profondamente sbagliato. Una certezza in più – quella che in Paradiso ci fosse amore infinito – che si sgretolava.
“Tecnicamente,” gli disse prendendolo per mano e sedendosi con lui nell'erba. “Non siamo ancora in guerra. Non fino a domani notte, almeno.”
Noah abbassò lo sguardo con un piccolo gemito. Sistemò la tunica bianca sui pantaloni e si strinse di più accanto a Iatho. Faceva freddo lontano da casa. “Combatterai?”
Noah aveva il profumo e il calore delle cose vive, ma non era affatto come gli esseri umani. Tutto in lui era più intenso e vivace. Il suo cuore batteva ad un ritmo del tutto diverso e il suo sangue era più denso, scorreva lentamente. Iatho riusciva a seguirne con le dita il percorso sotto la pelle, mentre gli accarezzava il collo distrattamente. “Non ho molta scelta,” rispose.
“Stavolta ci sarò anch'io,” annunciò Noah.
Il vampiro si chinò su di lui, sorpreso. “Che cosa?” Chiese sconvolto. “Che cosa c'entri tu?”
Le gerarchie angeliche erano molto rigide, e dalla punta della piramide fino alla base i compiti erano stabiliti con estrema precisione. Noah non aveva mai combattuto, era un angelo custode – o almeno Iatho credeva – e non spettava a lui scendere in campo.
“La situazione è disperata,” spiegò l'angelo, stringendosi nelle spalle senza trovare la forza di voltarsi verso di lui. “La Veggente dice che non c'è altra soluzione che la guerra, e voi ci superate di numero da secoli, ormai.”
Questo perché distruggere un angelo era molto difficile ma crearlo lo era altrettanto, così non perdevano molti elementi, ma, se capitava, rimpiazzarli era impossibile per decine di anni.
“Tu non sei un guerriero,” esclamò, scuotendo la testa.
Noah rise, riempiendo l'aria di un suono che a Iatho avrebbe dovuto essere precluso. “No, affatto,” si mise supino, voltando il viso verso di lui. “Ma è come hai detto tu: non ho molta scelta.”
“Potresti...”
“Rifiutarmi? Non mi è consentito.”
“Scappare,” Iatho corresse il tiro. “Non tutti combatteranno e di certo non avrai problemi a trovare qualcuno che possa nasconderti. Sei un angelo, almeno questo dovrebbe servirti a qualcosa.”
Lo sguardo con cui Noah lo guardò era pieno di tenerezza. “Tu lo faresti?” Chiese. “Lasceresti i tuoi fratelli nei guai?”
Quando era umano e poco più che un ragazzino, il villaggio di Iatho era stato attaccato dai vampiri. Gli abitanti avevano cercato rifugio nella chiesa, senza rendersi conto che le sue mura potevano fare ben poco per loro. Lui li aveva visti attaccare, non era ancora entrato, avrebbe potuto fuggire; ma là dentro c'era la sua gente e così era rimasto. Era rimasto a combattere finché i vampiri non lo avevano sopraffatto. Qualche tempo dopo, quando tutto quello che sapeva di se stesso aveva smesso di contare per lasciare spazio alla sua natura di vampiro, aveva fatto la stessa cosa. Avrebbe sempre impedito fino alla morte che qualcuno facesse male ai suoi simili, quali che fossero. I suoi valori erano sempre gli stessi, era cambiata solo la prospettiva dalla quale guardava la situazione. “No,” ammise. “Non lo farei mai.”
“Allora sai quello che provo,” concluse Noah, con la voce gentile.
“Potresti morire,” commentò lui, tetro.
“Io o un altro, non fa differenza,” sospirò Noah. “Abbiamo tutti le stesse possibilità.”
Iatho sbuffò. “Tranne quelli con la spada fiammeggiante che ne hanno di più,” esclamò sarcastico. “Non dovresti combattere.”
“Perché io no? Che cos'ho io in più dei miei fratelli?” Noah sorrise. “Non ho nessun diritto di essere salvato a dispetto di tutti gli altri.”
“Degli altri non m'importa,” mormorò Iatho.
“E di me?” Domandò l'angelo, allungando una mano ad accarezzargli una guancia.
Iatho si abbandonò a quella carezza, ne cercò il calore con le labbra e posò un bacio sul palmo della sua mano, esitando sulla carne tenera del polso. “Di te mi importa, invece,” inspirò profondamente.
Sentiva il sangue pulsare contro le labbra, appena sotto la superficie, e vi poggiò sopra la bocca aperta, facendo un tentativo e sfiorandolo con le zanne appuntite.
“Fallo piano,” mormorò Noah dolcemente, quando il vampiro cercò il suo permesso con gli occhi foschi e il respiro affannato. L'angelo chiuse gli occhi mentre Iatho affondava i denti nel suo polso. Le due punture gli strapparono uno sbuffo sorpreso che si trasformò in un gemito di piacere non appena l'altro iniziò a bere.
Il dolore del morso scivolò subito fuori dal suo corpo insieme al sangue e non restò altro che quel desiderio caldo e fortissimo che lo prendeva allo stomaco e in mezzo alle gambe dove non avrebbe affatto dovuto, che lo faceva stringere convulsamente le dita intorno alla stoffa della sua maglia per tirarselo contro il più possibile. Gli si abbandonò addosso mentre Iatho gli stringeva il braccio con entrambe le mani, cercò il collo pallido del vampiro e vi strusciò contro il naso, la guancia e la bocca. Gemette qualcosa di incomprensibile e gli nascose il viso contro il petto, chiamandolo per nome.
Iatho si fermò prima di potergli fare del male e Noah si tirò su goffamente, gli artigliò le spalle e gli cinse il collo, coprendogli la bocca con la propria alla ricerca di un qualche tipo di soddisfazione, per quanto inadeguata. Lo copri di baci isterici assaggiando il suo stesso sangue, finché quel calore non lo abbandò un po' alla volta fino ad estingersi del tutto.
Iatho lo aiutò a tornare seduto nell'erba, accanto a lui. “Tutto bene?” Chiese osservandolo attentamente. Con gli occhi neri di nuovo lucidi e la testa piegata di lato sembrava un rapace.
Noah annuì, scuotendo i riccioli. “Il mio cuore batte velocissimo,” mormorò.
“Il mio batte,” Iatho si strinse nelle spalle.
“Lo sento.” Noah sorrise, appoggiando la mano aperta sul suo petto. Era uno suono quasi impercettibile, ma adesso c'era. Sarebbe stato bello non essere il solo a considerarlo un piccolo miracolo.
In teoria, ogni passo fatto in direzione di Iatho era sbagliato, eppure ciò che ne conseguiva era sempre piacevole. Noah aveva imparato a convivere con la contraddizione, anche se continuava a non capirla.
Da qualche parte, un orologio annunciò le cinque del mattino. Iatho guardò la striscia di luce che colorava l'orizzonte. “Devo andare.”
Si alzò in piedi e poi tese la mano per aiutarlo a fare lo stesso. Noah si pulì dai fili d'erba e tirò bene le maniche della tunica perché coprissero i segni.
Iatho se lo strinse addosso a lungo, annusando il suo profumo. Poi gli sciolse la cintura azzurra che teneva in vita e la prese con sè. “Domani cercami sul campo di battaglia,” gli ordinò fissandolo dritto negli occhi e, quando lui volse lo sguardo altrove, lo scosse con decisione. “Noah, mi hai capito? Cercami. Ce l'avrò legata al polso.”
L'angelo sorrise. “Andrà come è giusto che vada,” disse.
“Noah!”
“Buona fortuna,” gli augurò con un ultimo bacio prima di spingerlo lontano da sé. “Ora vai, sta sorgendo il sole.”
Iatho guardò l'orizzonte che si faceva sempre più chiaro e guardò Noah che gli sorrideva, ben sapendo che non aveva alcuna intenzione di cercarlo l'indomani. Serrò i pugni e poi fu costretto a correre via, prima che l'alba lo cogliesse lontano dal sottosuolo.
Sarebbe andata com'era giusto che andasse, purchè fosse come voleva lui.

*


Se l'alba li drenava di ogni forza, il tramonto gliela restituiva, come se per vivere di notte dopo la morte dovessero consegnare quell'alito di vita in pegno al giorno, prima di coricarsi.
Iatho guardava le truppe vampiriche schierarsi sulla piana nel più assoluto silenzio. Nessuno di loro indossava una vera e propria armatura – che li avrebbe impediti nei movimenti, risultando per altro inutile agli strali degli angeli che trapassavano qualsiasi cosa – ma soltanto una specie di corazza robusta che gli copriva il petto per evitare i colpi diretti di lama al cuore, che avrebbero posto fine alle loro vite quasi istantaneamente.
Iatho stava legando la propria, quando Garkos gli si avvicinò già in assetto da guerra; non lo avrebbe sorpreso scoprire che si era svegliato prima degli altri, sole permettendo, e che fosse pronto da ore. “Salute, Iatho,” disse impettito, per poi sospirare alzando gli occhi al cielo ed aiutarlo a legare bene la corazza.
“Potevo farlo da solo,” protestò il vampiro più giovane.
“Certo, e farti ammazzare,” esclamò Garkos, tirando le cinghie con forza e facendolo sobbalzare. “La corazza dev'essere allacciata in modo tale da aderire al corpo e muoversi con esso. Se lasci uno spazio, lo useranno per impalarti.”
Iatho non rispose ma finì per aggrapparsi al tavolo che aveva davanti, felice di non dover respirare. Guardò la striscia rossa del tramonto all'orizzonte, il sole non era ancora calato del tutto. Mancava mezz'ora, forse anche di più. Non aveva nessuna voglia di combattere. Non ne aveva avuta durante le guerre passate, non ne aveva adesso che questa si prospettava infinita. Un tempo combattevano in attesa di una soluzione. Adesso che la Veggente aveva rivelato che non ce n'erano, tutti avrebbero smesso di cercarle e si sarebbero limitati a combattere fino a sterminarsi a vicenda. Il problema era che lui non credeva che questo sarebbe mai successo. Anno dopo anno, gli esseri umani continuavano a nascere e ad essere addestrati per diventare cavalieri oppure maghi, e buona parte di essi veniva trasformata in vampiro. In quanto agli angeli, potevano perdere ma morivano poco, e così ci sarebbero sempre stati.
“Lord Zenir vuole vederti prima dell'inizio della battaglia,” gli annunciò Garkos, interrompendo i suoi pensieri e rimettendosi composto al suo fianco, con le mani dietro la schiena.
Iatho saggiò le cinghie della corazza, quindi si legò i capelli in una lunga coda nera. “Andrò da lui immediatamente,” disse. Stava per allontanarsi, quando si rese conto che non avrebbe avuto il tempo di parlare di nuovo con Garkos prima dell'attacco. Così gli strinse una spalla e gli fece un cenno con la testa. “Riporta a casa il cuore,” gli augurò.
“Riporta a casa il cuore anche tu,” rispose il più anziano.
Lord Zenir era ancora nelle sue stanze, perciò Iatho dovette attraversare metà dell'accampamento per raggiungere la sua tenda e venire accolto dai ringhi poco amichevoli di due soldati della guardia che controllavano l'entrata e che, evidentemente, non erano stati avvisati che adesso anche lui era uno di loro.
Istintivamente, snudò le zanne e si mise a ringhiare a sua volta. Una delle due guardie fece un passo avanti nella sua direzione, flettendo le dita pronto a saltargli alla gola, se necessario.
Lord Zenir fu evidentemente richiamato dal rumore basso e continuo che proveniva dalle loro gole, perché comparve scostando i lembi della tenda. “Che succede qui?” Chiese, guadandoli tutti e tre. Le due guardie e Iatho si ricomposero.
“Signore, il ragazzo vi avrebbe disturbato.”
“Fatelo passare,” ordinò, burbero. “Da oggi in poi anche lui fa parte della guardia.”
I due bestioni si fecero da parte e Iatho passò in mezzo a loro con lo sguardo più scuro di quando era arrivato. Quando entrò, Lord Zenir era seduto dietro alla sua scrivania. “Perdonali Iatho,” si scusò. “Sono un po' troppo apprensivi.”
“Fanno il loro lavoro,” commentò, guardandosi intorno. La tenda era piuttosto grande, ma completamente spoglia a parte il tavolo e due sedie. Lord Zenir non aveva dormito lì, pensò Iatho senza un motivo preciso. Neanche la terra era smossa. “E dovrò farlo anch'io, a quanto pare. Perché mi vuoi nella guardia?”
Il capo dei vampiri sospirò pensoso. “Vorrei averti al mio fianco,” disse alla fine.
“Vuoi tenermi d'occhio,” lo corresse Iatho con un mezzo sorriso sarcastico.
“Voglio che non ti succeda niente,” precisò Zenir.
Iatho alzò gli occhi al cielo. “Questa non è la mia prima battaglia, né la prima guerra. Me la caverò.”
“Quello che ci aspetta è diverso da qualsiasi cosa abbiamo mai affrontato prima, Iatho,” insistette Lord Zenir con voce conciliante. “Questa non è più una guerra, ma un massacro. Gli angeli saranno più agguerriti.”
“E così anche noi.”
Zenir socchiuse gli occhi per un istante. “Iatho, ti prego, non devi dimostrare niente a nessuno.”
Il vampiro emise un ringhio contrariato. “Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno” esclamò, deciso. “E soprattutto non del tuo.”
Lord Zenir non se la prese, anzi gli regalò un sorriso gentile e vagamente intenerito. “Non ho capito perché ti ostini a rifiutare il mio patronato,” commentò incredulo. “Non saresti né il primo né l'ultimo ad avere la protezione di un vampiro più antico di te.”
“Non è la protezione il problema” replicò malamente Iatho, incrociando le braccia al petto e guardando altrove.
Lord Zenir lo guardò con un po' di rammarico. “Lungi da me sminuire il tuo valore agli occhi degli altri,” sospirò abbassando le spalle. “Non è per sfiducia nelle tue abilità che ti voglio nella guardia. D'altronde non affiderei la mia vita a persone incapaci.”
Iatho non rispose. Si rinchiuse in un mutismo ostinato e fiero, serrando la mascella e guardando fisso un punto alle spalle dell'altro vampiro.
Lord Zenir rimase per minuti interi in attesa di un qualche segno di apertura da parte sua ma non ne arrivarono, così alla fine ci rinunciò. “Ti sei nutrito?” Chiese.
Sembrò che il timido rossore sulle guance di Iatho si facesse più intenso. “Sì,” rispose, con lo sguardo sempre fisso a quella minuscola macchiolina sulla stoffa della tenda mossa dal vento.
“Quando?”
“Ieri,” rispose. Il suo pensiero corse alla notte precedente e alle stelle nel cielo sopra la città celeste. Il sangue di Noah era più potente del sangue umano, e molto più resistente. Infuso della grazia di Dio, ne portava il miracolo, seppur in minima parte, così i suoi effetti erano più duraturi e più concreti. Dopotutto, le alte sfere avevano il potere della resurrezione e i vampiri erano morti, non poteva essere più semplice di così. Iatho si sarebbe sentito potente e invincibile per altri due giorni ancora, senza dover soddisfare il bisogno di nutrirsi di nuovo prima di altri cinque. Anche se non era quasi mai la fame a spingerlo a bere da Noah.
“Dovresti nutrirti di nuovo prima della battaglia,” insistette Lord Zenir. “Devi essere in forze.”
“Lo sono,” lo rassicurò.
Lord Zenir lo osservò con attenzione. Notò la pelle rosea e lo sguardo vivo. Perfino le sue labbra non avevano l'aspetto ruvido e ingrinzito che in genere preannunciava la sete ma erano piene e rosse e lucide, come fossero umide. I suoi occhi indugiarono sui polsi magri e sulla stoffa azzurra che era legata stretta intorno ad uno di essi. Tutto era chiaro ora.
Il vampiro più giovane sfidò il suo sguardo non ritraendo la mano.
“Iatho...” mormorò Zenir senza nessuna rabbia nella voce, ma la stessa traccia di stanchezza che si portava dietro dall'inizio di quella discussione. “Credevo ne avessimo già parlato.”
“Lo abbiamo fatto.”
Lord Zenir batté di colpo il pugno sulla superficie della scrivania. Iatho sussultò. “Dannazione! C'è un motivo se ti ho chiesto di smetterla.”
“Mi dispiace,” rispose lui, deglutendo. “Sai che non posso farlo.”
Lo scoppiò d'ira si esauri com'era arrivato, e Lord Zenir tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, portando le mani in grembo pensosamente. “In tempi come questi è meglio che tu non costringa la gente a chiedersi dove sta la tua lealtà,” mormorò.
“La mia lealtà sta con i vampiri,” protestò Iatho con decisione.
Lord Zenir si rese conto che quella situazione cominciava a scivolargli tra le dita come sabbia, e che non aveva avuto il coraggio neccessario a stringere la mano. “Cerca di ricordarlo quando calerà il sole.”
“Non lo dimentico mai,” replicò Iatho.
Il capo dei vampiri abbassò lo sguardo. “Questa storia è finita ieri sera,” esclamò autoritario. Iatho cercò di replicare, ma non gliene dette il tempo. “Ora va', la battaglia sta per cominciare.”
“Agli ordini.” Iatho ringhiò, lasciando la stanza furioso.

*


Iatho affondò le unghie nel petto del cavaliere, trapassò ossa e muscoli ed estrasse il cuore ancora palpitante per gettarlo lontano. Il cavaliere non ebbe il tempo di reagire. Il suo corpo si accasciò come quello di una bambola, con le ossa del torace esposte e la bocca aperta nell'ultimo grido che non aveva avuto il tempo di emettere. Lasciò il cadavere per gettarsi subito addosso ad un mago poco più avanti che con le mani cullava una sfera di energia violacea, pronta per essere lanciata su un gruppo di vampiri poco più avanti. Erano state lanciate molte sfere come quella nel corso delle ultime ore. Lui e i suoi simili avevano imparato a temerle, perché sembravano soltanto sollevarsi innocue nel cielo, per poi esplodere in una luce simile a quella del sole, che li accecava e bruciava loro la pelle, costringendoli a fughe disorganizzate ed esponendoli ai colpi dei cavalieri, che li mietevano come spighe di grano.
I due gruppi di esseri umani – maghi e cavalieri – avevano subito stretto alleanza per distruggere i vampiri. C'erano molti, fra di loro, che ancora avevano dubbi se attaccare o meno gli angeli. Per molti portava sfortuna, altri più folli credevano che l'ira delle creature celesti si sarebbe abbattuta solo su coloro che se lo meritavano – in parole povere qualche sporadico peccatore tra le fila umane e l'intera popolazione dei vampiri, naturalmente – ma cominciavano a ricredersi adesso che tra le fila angeliche, le spade infuocate non facevano distinzione di razza. Evidentemente la punizione divina si estendeva oltre il pensiero comune.
Gli angeli erano una macchina unica, i singoli inquadrati in file infinite di elementi apparentemente tutti uguali. Si muovevano in blocco, attaccavano insieme, erano inavvicinabili.
Un cavaliere fuori misura, con un elmo a forma di testa di leone si avventò su Iatho con tutto il proprio peso. Il vampiro scartò di lato e lo azzannò al collo, affondando i canini. Il corpo dell'uomo atterrò con un tonfo sordo, con lui sopra la schiena. Strappò la giugulare, sputandola subito dopo perché il sapore del sangue non lo trattenesse in un posto solo. Si stava muovendo nella calca di corpi intenti a combattere con un solo obbiettivo in mente, e non si sarebbe fermato.
Era una fortuna che, nel sottosuolo, il sole non calasse né sorgesse mai. Ne vedevano soltanto il riflesso sbiadito filtrare dalla superficie, rosa al mattino, più arancione al pomeriggio, e da esso potevano stabilire il passaggio del tempo. Combattevano da più di dodici ore, e non erano soltanto gli esseri umani ad essere stanchi. A volte con lo sguardo Iatho cercava Lord Zenir, cercava il capo dei maghi o quello dei cavalieri, e nessuno dei tre voleva cedere e dichiarare una pausa. Era una follia, come se quella battaglia da sola potesse decidere qualcosa.
Sentì la voce potente di Lord Zenir sollevarsi sul clangore delle spade e ordinare di serrare i ranghi. Alzò lo sguardo sul proprio obbiettivo – l'esercito angelico – e ringhiò contrariato, ma obbedì. Garkos attese il suo passaggio prima di chiudere il cerchio intorno a Lord Zenir, che portava sul viso i segni della stanchezza, ma sembrava non darle peso. Garkos invece era stato ferito. Iatho notò la lunga cicatrice che gli apriva la pelle da una spalla all'altra. Adesso si stava richiudendo, ma sul momento doveva quasi avergli staccato la testa. La bruciatura sul braccio, invece, sarebbe rimasta.
“E' tutto a posto?” Chiese il vecchio, sputando a terra.
Iatho annuì velocemente, ripulendosi il viso con il dorso della mano.
“Fintanto che teniamo a bada i maghi,” gli disse Zenir, chinandosi su di lui “I cavalieri non sono un grosso problema. Ne abbiamo fatti fuori a centinaia da questa parte.”
“E così hanno fatto loro con noi dalla parte opposta,” sospirò Iatho, guardando la devastazione che si apriva davanti ai suoi occhi.
“Stiamo resistendo,” gli fece notare Zenir.
Iatho non pensava che fosse una bella notizia. Si poteva resistere anche per sempre, volendo, ma non disse niente. Finse di controllare la situazione.
“Abbiamo trovato il punto debole degli angeli,” disse Lord Zenir dopo un po'. “Possiamo infliggere loro un duro colpo se ci muoviamo ora.”
Iatho ne dubitava. Per tutta la battaglia gli angeli erano stati praticamente intoccabili. Il numero dei loro morti era ridicolo rispetto al loro. Iatho aveva controllato quei cadaveri uno ad uno, fermandosi a studiarne bene i volti e annusando l'odore del loro sangue prima che svanisse in quello della morte per essere sicuro di quello che vedeva. Noah era ancora vivo. Noah era da qualche parte, mescolato alla luminescenza accecante di altre centinaia di creature come lui.
“Garkos ha studiato la formazione angelica,” continuava intanto Lord Zenir, osservando gli angeli che, poco distanti, avanzavano nella loro direzione. Per tutta la battaglia il loro esercito e quello dei vampiri non si era sfiorato che poche volte come se le due forze, le più potenti in campo, fossero tenute a debita distanza l'una dall'altra da quelle umane. “Un attacco frontale è impensabile, perché la testa dell'esercito è formata dal gruppo degli elementi più potenti, che assicurano e proteggono l'avanzata. Ma al centro ci sono gli elementi più deboli, stando a Garkos si tratta di angeli di basso livello, forse nemmeno soldati, e lo squadrone è totalmente sguarnito ai fianchi, il che significa che un attacco laterale ci permetterebbe di fare breccia nel blocco compatto e dividerlo.”
Iatho ascoltava in silenzio, osservando uno sporadico gruppo di cavalieri che si avventava sull'esercito angelico, sfruttando gli incantesimi di copertura lanciati dai maghi. La ferocia degli uomini durò solo qualche istante, prima che cadessero uno dopo l'altro sotto i colpi implacabili delle spade infuocate e degli strali degli angeli che si erano alzati in volto. Era evidente che le prime file fossero impenetrabili.
Immaginò il loro imminente attacco mentre Lord Zenir lo descriveva. Si sarebbero divisi in due gruppi e, sfruttando l'assalto dei maghi che teneva impegnata la testa dell'esercito angelico, lo avrebbero attaccato sui due lati. Con la giusta velocità, avrebbero infranto la debole barriera che ne proteggeva il cuore più debole. Lo squadrone si sarebbe spaccato in due, collassando momentaneamente. Gli elementi più forti sarebbero rimasti ma, con un po' di fortuna, la confusione del momento li avrebbe resi vulnerabili e anche gli altri due eserciti avrebbero colto l'occasione, giocando a loro favore. “Potrebbe funzionare,” esclamò.
“Funzionerà,” concordò Lord Zenir.
Garkos scelse quel momento per avvicinarsi e annunciare che non c'era più tempo ed era meglio agire finché gli angeli erano impegnati a combattere i maghi. “Bene,” annuì Lord Zenir. “Prendi metà degli uomini e dirigiti ad ovest. Io guiderò il secondo gruppo. Al mio segnale, attaccate. Iatho, tu verrai con me.”
Garkos annuì e sparì l'attimo successivo, abbaiando ordini ai suoi uomini.

*


Oltre l'orizzonte, l'alba avanzava lentamente.
La luce si era fatta rosata e polverosa, e la stanchezza aveva un nuovo peso per i vampiri. Non era la fatica a piegare le loro spalle e ad indebolire le braccia, ma il richiamo del sonno che s'insinuava sotto le palpebre e li invitava a tornare nel caldo abbraccio della terra. Iatho cercò di scrollarsi di dosso il torpore. Ancora uno sforzo, pensò. Soltanto uno.
Si trovavano ad est, lungo il fianco della montagna sulla quale sorgeva il municipio. L'esercito angelico era davanti ai loro occhi, solido e inespugnabile; apparentemente immune allo scorrere del tempo.
Lord Zenir lo osservava con lo sguardo assente, in attesa di vedere il gruppo di Garkos in posizione dall'altra parte del campo di battaglia. Il suo sospiro improvviso annunciò che si era finalmente risolto ad affrontare un argomento che aveva evitato per tutta la discussione. “Iatho, io so che la tua lealtà è verso di noi,” gli disse, anche se dal tono sembrava che volesse ricordarglielo più che constatarlo. “Spero che il tuo cuore sia rivolto nella stessa direzione.”
Iatho si voltò di scatto e incontrò il suo sguardo severo. “Non preoccuparti. La mia lealtà e il mio cuore si trovano esattamente dove devono stare,” esclamò.
Al segnale, i due squadroni si abbatterono sui fianchi dell'esercito angelico, cogliendolo di sorpresa. La testa, impegnata a difendersi dall'attaccato frontale, non poté voltarsi per contrastare l'avanzata dei vampiri, così l'esiguo gruppo di angeli scelti che aveva il compito di proteggere il nucleo debole dell'esercito si ritrovò a farlo da solo contro un intero branco di bestie assetate di sangue, pronte a tutto pur di chiudere la questione almeno per la giornata.
I primi vampiri caddero sotto i colpi di spada, ma quelli subito dietro erano pronti a prendere il loro posto e ben presto furono troppi per essere fermati da una sola fila di angeli.
Iatho ne atterrò uno prima che potesse sferrare l'attacco, strinse le ali fragili che si ruppero come rami sotto le sue mani. Lo inchiodò a terra e infine gli spezzò il collo con un morso, proseguendo oltre prima ancora che gli occhi della creatura potessero spegnersi del tutto. Avanzò abbattendone uno dietro l'altro senza dar peso ai cadaveri che si lasciava alle spalle, guardandosi intorno freneticamente alla ricerca di quell'unico paio di occhi di cui gli importasse qualcosa.
Se Noah stava davvero partecipando alla battaglia, allora doveva trovarsì lì da qualche parte in mezzo agli altri. Iatho non aveva la minima idea di che cosa avrebbe fatto una volta che lo avesse trovato, ma al momento questo non importava granché. L'unica cosa che desiderava era vedere che era vivo ed essergli abbastanza vicino da permettergli di continuare ad esserlo. Il come era un dettaglio inutile al quale avrebbe pensato poi. Si lasciò guidare dall'odore prima ancora che dagli occhi, quando lo sbattere delle ali sollevò tanta terra da accecarlo. Sentiva i vampiri intorno a lui affondare le zanne ringhiando e il grido disperato degli angeli che riecchieggiava dall'uno all'altro come se in realtà provenisse da una sola persona. Era un lamento acuto e privo di parole, lacrimevole e disperato e Iatho pensò che c'era qualcosa di antico e di animale che lo accumunava al dolore dei vampiri quando anch'essi cadevano a terra per restarci.
Dopo un po', Iatho perse nozione del tempo e dello spazio. La battaglia non si estendeva più per chilometri e fra migliaia di persone, ma era lì in quel momento e durava i brevi istanti che gli servivano ad abbattere il nemico che aveva davanti, per poi ricominciare da capo con quello successivo; e non aveva idea di quanto tempo fosse passato da che avevano iniziato l'attacco, da che era iniziato lo scontro. Da che era iniziata la guerra, forse. L'istante prima e quello dopo erano uguali agli altri mille istanti che c'erano stati, tutto ciò che vedeva erano il sangue e le piume e la terra, i corpi che cadevano e quelli che disperatamente cercavano di prendere il volo prima che uno dei suoi fratelli saltasse e li azzannasse alla gola.
Fu per questo che l'arrivo di Garkos lo colse di sorpresa. Sollevò lo sguardo sulla prima metà dell'esercito che si faceva spazio per raggiungerli. Sentì Zenir dare ordini alle sue spalle, e si rese conto che intorno a lui c'erano solo vampiri. Lo squadrone angelico era diviso. Di Noah, nessuna traccia.
Fu mentre lo pensava che il suo profumo lo investì fortissimo, misto alla paura e al dolore. Sollevò di scatto la testa dal collo di un angelo e si guardò intorno. Tra la polvere che andava diradandosi, vide Noah cadere in ginocchio, la testa che si piegava violentemente all'indietro sotto le fauci di uno dei suoi.
“No!” Il grido rauco e disperato che gli scappò di gola attirò l'attenzione di Lord Zenir che impiegò qualche secondo di troppo per individuarlo e capire cosa stava succedendo. Quando si rese conto della situazione, era già troppo tardi.
Iatho gettò via il cadavere che aveva per le mani e corse verso l'angelo, ma quando lo raggiunse, ci erano già sopra in cinque. In due gli si erano avventati sul suo collo, e gli altri erano sul punto di smembrargli le ali. Piombò sul gruppo con un ringhio basso e prolungato, appiattendosi sul terreno, pronto a balzare al minimo segno di pericolo.
Uno dei cinque, un vampiro alto e robusto con un viso rotondo e ordinario che nemmeno la trasformazione aveva saputo rendere più attraente, snudò le zanne insanguinate. Iatho gli fu addosso il secondo successivo. Lo spostò di peso dal corpo di Noah e lo artigliò al viso e al collo e al torace, finché quello dopo una breve lotta e un uggiolio non restò immobile. Ansando, Iatho si voltò ad affrontare il secondo che si era fatto sotto mentre gli altri tre, ormai dimentichi della preda, osservavano lo scontro.
Il primo colpo lo prese in pieno e lo mandò a schiantarsi contro una roccia. Si rialzò velocemente, nonostante il dolore alla spalla, flesse le braccia prima di spiccare un salto e affondargli le unghie nel petto per sbatterlo a terra. Rotolarono a lungo nella polvere, colpendosi a vicenda, poi Iatho lo azzannò alla gola e scosse la testa violentemente finché non sentì la carne strapparsi; allora lo lanciò lontano.
Corse verso Noah che non si muoveva e lo difese dagli altri che si misero a girargli intorno come lupi.
“Iatho!” Lord Zenir lo fissò inorridito, mente intorno a loro infuriavano gli strascichi della battaglia per abbattere l'esercito angelico. Alcune creature avevano provato ad alzarsi in volo per lanciare strali dall'alto, ma con il rischio di colpire anche gli amici tra i nemici in mezzo al mucchio, avevano smesso quasi subito per battere in ritirata nelle retrovie. In molti erano morti, stavolta. E altrettanti erano feriti. L'esercito angelico aveva subito in duro colpo e, dal momento che la cosa faceva comodo a tutti, né maghi né cavalieri si erano messi in mezzo. Con la luce del sole che filtrava più intensamente dalla superficie, il corno dei maghi suonò la tregua e quello dei cavalieri gli fece eco qualche istante dopo.
“Che cos'hai fatto?” Mormorò Lord Zenir sconvolto, guardando il vampiro più giovane con occhi tristi. Si avvicinò al suo protetto, scostando bruscamente di lato i vampiri che ora fissavano rabbiosi la scena. Iatho ringhiò subito, sulla difensiva, stringendo fra le braccia l'angelo che era svenuto e sanguinante, ma vivo.
“Non ti avvicinare,” esclamò. La sua voce aveva un suono gutturale e ruvido, come se per farla uscire avesse prima dovuto strapparla al controllo della bestia che si era impadronita di lui. “Nessuno si deve avvicinare. Lui è mio.”
Lord Zenir lo osservò tornare a guardare l'angelo con occhi offuscati di potere, ma comunque teneri e preoccupati. C'era qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui se lo stringeva al petto. Lord Zenir non sapeva se fosse più fuori luogo l'affetto che dimostrava o la bestia che traspariva dai suoi lineamenti. Sembravano entrambi sbagliati, forse perché erano presenti in lui nello stesso momento.
Garkos li raggiunse in quell'istante e si avvicinò a Lord Zenir per sussurrargli all'orecchio, guardando anche lui Iatho, come chiunque altro là intorno. “Suonano i corni della tregua. Dobbiamo rispondere.”
Lord Zenir annuì, ma non disse niente. Continuò a guardare Iatho a terra e a chiedersi che cosa li aspettasse ora. Il suo protetto aveva ucciso un suo simile e ne aveva ferito un altro per salvare quell'angelo, la legge era chiara. Lo aspettava una condanna a morte.
Garkos si agitò sul posto. I corni nemici continuavano a suonare. Per quanto grave, qualunque altra questione doveva essere rimandata al momento in cui sarebbero tornati all'accampamento. La tregua andava accettata e confermata. “Signore?”
“Suona la tregua,” cedette alla fine Zenir, senza guardarlo. “E fa preparare le celle, abbiamo un prigioniero.”
“Uno soltanto, signore?” Chiese qualcuno tra i presenti.
A Lord Zenir bastò lanciare un'occhiata in direzione di chi aveva parlato perché questi chinasse il capo, uggiolando. Quindi fece qualche passo avanti. Iatho ringhiò di nuovo, ma lui lo ignorò. Si chinò di fronte al proprio protetto e cercò i suoi occhi prima di parlare. “Adesso lo portiamo via,” gli disse seriamente, scandendo le parole come se non fosse certo che le avrebbe capite.
Iatho scosse la testa, si fece indietro, trascinando un po' il corpo esanime di Noah.
Lord Zenir lo fermò stringendolo per un polso. “Sarà curato e per il momento resterà in vita,” gli sussurrò. “E' il massimo che posso fare.”
Iatho sembrò valutare le possibilità che aveva, o l'assoluta mancanza delle stesse.
Lord Zenir ripeté che sarebbe stato loro prigioniero. Lo ripeté più volte, forse perché l'unica altra cosa che aveva da dirgli non gli piaceva affatto e rimandava il momento, nella speranza che non arrivasse mai e che una volta riuscito a trascinare via tutti i presenti da quel dannato campo di battaglia, una volta tornati all'accampamento, forse sarebbe riuscito a strappare al Concilio una sentenza clemente.
Alla fine Iatho acconsentì che lo portassero via.
Seguì con lo sguardo i due vampiri che si allontanavano trasportando Noah mentre i corni suonavano la tregua e l'alba si completava. Il campo ormai deserto era immerso in una luce biancastra e lattaginosa, troppo fioca per essere davvero giorno e già troppo luminosa per essere notte.
Iatho osservò l'orizzonte chiedendosi se sarebbe stata l'ultima volta, poi lasciò che gli legassero le mani dietro la schiena e seguì il resto dell'esercito all'accampamento.

*


Nei giorni che seguirono, la situazione fu tesa.
Il Concilio si presentò da Lord Zenir senza essere stato convocato e lui fu costretto ad indire una riunione speciale per discutere la questione in oggetto. Aveva sperato che si trattasse di una discussione preliminare, e che ci sarebbe stato il tempo di analizzare i pro e i contro di quello che era accaduto, ma la verità era che Iatho era stato condannato direttamente sul campo dagli occhi di chi lo aveva visto nell'atto di uccidere il compagno, e sembrava che non ci fosse niente che Zenir potesse dire o fare per convincerli a cambiare idea, anche perché le pressioni da parte del popolo dei vampiri erano pesanti, e il Concilio non avrebbe mai rischiato di perdere i suoi privilegi per salvare un traditore assassino filo-angelico solo per la bella faccia di Zenir, che aveva tanti meriti ma evidentemente non abbastanza per avanzare richieste di favori simili. Neanche per un suo protetto che non si era dimostrato all'altezza dei suoi compiti.
La condonna sarebbe stata la morte per esposizione al sole.
L'unica cosa che Lord Zenir riuscì ad ottenere fu che l'esecuzione venisse rimandata alla fine della guerra, sostenendo che sarebbe di certo stato più semplice estorcere informazioni al loro prigioniero con l'aiuto di Iatho piuttosto che non con la tortura, e il Concilio aveva dovuto concordare.
Lord Zenir avrebbe pensato successivamente a come convincere Iatho a fare una cosa simile; per il momento gli serviva tempo, tanto tempo. Tutto il tempo che poteva riuscire a trovare.
Iatho, dal canto suo, non parlò se non per ripetere che voleva vedere Noah, che era tenuto legato in una tenda non molto lontana da quella in cui si trovava lui, libero dalle corde ma non di andarsene dove gli pareva. Passarono i mesi, ma la condanna rimase. Passarono i mesi, e gli fu chiesto di tradire Noah.
A Noah fu chiesto di tradire gli angeli. E quando arrivò il momento, entrambi fecero ciò che era giusto fare.

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