tom+david

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: Tom, David Jost
Genere: Comico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Note: D'accordo, mi rendo conto che questa era tremenda.
Era tremenda ben oltre la tremenditudine di altre Toast che ho scritto. Mi dispiace, Yul, di più non sono riuscita a fare .__. Sappi, però, che mi ci sono impegnata parecchio. E l'ho pure finita, cioè, miracolo! \O/ E, insomma, buon compleanno!

Riassunto: Quando David aveva chiesto un toast vegetariano, aveva semplicemente desiderato una sottiletta fra due fette di pane ben tostato. Nient'altro.
TOAST - VARIANTE SUL TEMA


Quando David aveva chiesto un toast vegetariano, aveva semplicemente desiderato una sottiletta fra due fette di pane ben tostato. Nient'altro. Non che fosse una richiesta esagerata, come i lamentosi piagnistei di Bill che chiedeva cose impossibili, come cene ad orari improbabili o animali in via di estinzione che, alle volte, era più facile prendere uno shuttle e andargli a prendere la Luna piuttosto che accontentarlo. Ma avrebbe dovuto sapere che chiedere quei due semplici ingredienti montati insieme in una forma quasi basilare ad una persona come Tom avrebbe scatenato conseguenze imprevedibili.
Insomma, lui era David Jost e seguiva quel gruppo male assortito di ragazzini da quasi dieci anni e avrebbe dovuto saperle cose del genere. Non era forse stato presente quando di fronte alla richiesta di un frullato da parte di Bill, Tom aveva ridipinto le pareti dello studio di rosa fragola? Per non parlare del barbecue del fine settimana precedente, che si era quasi trasformato in un sacrificio umano di massa.
Il punto non era che Tom non sapesse cucinare, anzi, tutt'altro.
Se messo in condizione di farlo, era perfettamente in grado di provvedere al cibo per se stesso. Il problema sorgeva quando il cibo che preparava era per qualcun altro. Tom era un cuoco che non funzionava sotto stress. Quindi, starsene disteso sul letto in piena estasi post-sesso e chiedergli, già che era in cucina, se gli preparava un toast era stata una pessima mossa. Non che Tom non avesse reagito con un entusiastico “Certo! Ci penso io!”, era solo che adesso, dalla cucina, provenivano i rumori più strani, tra cui l'inquietante chiocciare di una gallina viva di cui David ignorava totalmente la provenienza.
“Tutto bene?” Chiese, sporgendosi un po' con il corpo in direzione della cucina, come se – a tendersi – avesse potuto vedere dietro gli angoli.
“Sì, tranquillo!” Pentole che cadevano. “E' tutto sotto controllo.” La gallina.
David non era esattamente convinto. “Non vuoi che venga a darti una mano?”
“Assolutamente no!” Arrivò subito da Tom. E poi altri rumori. Era una motosega, quella?
David tornò a distendersi, cercando di rilassarsi. In fondo era soltanto un toast. Vegetariano, per giunta, quindi più semplice: una sottiletta fra due fette di pane ben tostate. Nient'altro.
Tom poteva senz'altro farcela.
Appoggiò la testa al cuscino ergonomico e sospirò, pensando a quello che erano state le ore precedenti: erano entrati in quella stanza che era appena il tramonto e ora, attraverso le tende, David poteva intuire che il sole stava calando di nuovo. Era dai suoi vent'anni che non passava una giornata intera a letto. Era già tanto se aveva avuto voglia di un toast piuttosto che di una bombola di ossigeno. Il fatto era che il suo organismo aveva dovuto adattarsi a Tom, che aveva chiarito fin da subito che non si sarebbe adattato a lui. Era abituato a fare sesso per periodi di tempo non umani e David avrebbe dovuto comportarsi di conseguenza. Il manager aveva scoperto che dieci anni di yoga, alla fine, erano serviti a qualcosa.
“Ci vuoi anche l'uovo?” La voce di Tom arrivò dalla cucina ad interrompere i suoi vaneggiamenti mentali, che per altro comprendevano un Tom quasi nudo fra le coperte di seta in un giardino zen. Che non era più zen e, soprattutto, non era più nemmeno un giardino da quando Tom, per l'appunto, aveva deciso che era un'ottima ambientazione per le loro performance. Lui aveva qualcosa da ridire, soprattutto perché la sabbia s'infilava dappertutto e gli enormi sassi di fiume non erano per niente comodi. Ma Tom era una diva, esattamente come suo fratello, e la sua parola era legge. David avrebbe avuto modo di sfogare la propria frustrazione con Bushido, più tardi, al telefono. Parlare con quell'uomo gli faceva sempre ricordare che c'era chi stava peggio di lui. Il tunisino doveva assecondare le richieste di Bill e niente – niente, nemmeno la sabbia del giardino zen in posti che David non pensava di avere – era peggio di Bill e della sua insana passione per i giochi di ruolo durante il sesso. David, per dire, non avrebbe saputo da che parte girarsi se gli fosse toccato vestirsi da Cavaliere Jedi e cercare di concupire un Tom vestito da giovane Padawan.
“Stai ancora pensando ai giochini di mio fratello su Star Wars?”
David si voltò, sconvolto. “E tu come...?”
“Lo vedo dalla faccia,” commentò Tom, che per altro sfoggiava un meraviglioso completo vedo-non-vedo costituito da un grembiule da cucina, guantoni da forno e... basta. “Quando pensi a noi due nel giardino zen, le sopracciglia ti fanno una virgola verso destra. Quando pensi a mio fratello e Bushido vestiti come due jedi, il viso ti si assottiglia tutto. E, tra l'altro, assomigli un po' all'imperatore Palpatine.”
“Grazie, sempre gentile.”
“Dovere,” commentò Tom, posando sul letto un vassoio con un piatto coperto e fumante. “E comunque il concetto di giovane padawan di mio fratello è ben lontano da quello che io, te e qualunque persona abbia visto anche solo dieci minuti di Star Wars potremmo mai avere.”
“Perché?”
Tom gli passò un tovagliolo e una bottiglietta d'acqua. “I suoi padawan sono vestiti Armani e hanno cinture di brillantini,” Tom sospirò. “E hanno uno strano concetto di potenza della forza.”
“Che cosa...?”
“David, davvero, tu non vuoi saperlo.”
“Non voglio.”
“No, non vuoi,” Tom scosse il capo velocemente, come cercando di allontanare immagini inquietanti dalla sua testa. E David, davvero, preferì non sapere.
“Allora, questo toast?” Chiese, fregandosi le mani.
“Ecco sì, il toast,” Tom si schiarì la voce. “Ho pensato che un toast fosse una cosa troppo, come dire, semplice.”
“Semplice.”
“Sì. Dopo ore e ore di sesso sfrenato e, per altro, anche degno di oscar,” proseguì Tom, privo di modestia, “ci voleva qualcosa di più... elaborato.”
“A-ah?”
“Tipo che il prosciutto cotto non c'era.”
“E' perché sono vegetariano.”
“Infatti,” annuì velocemente e con convinzione Tom, guardando il piatto, ma senza scoperchiarlo. “Così ci ho messo delle carote.”
“Carote?”
“Erano l'unica cosa che ci assomigliasse... per colore.”
“Ma sono arancioni!”
“Beh, l'arancione è quasi rosa.”
David avrebbe voluto dirgli che allora, in paragone, anche Gustav era quasi un chitarrista, ma lasciò perdere.
“E poi la sottiletta, ecco... non lo so. Si è sciolta.”
“Era una sottiletta,” constatò con grande acume il manager.
“Sì ma...” Tom sembrava perplesso. “Comunque, ho pensato ci volesse dell'altro, quindi ho trovato del pecorino. Più solido.”
“Pecorino.... con le carote.”
“E un pizzico di noce moscata!” Aggiunse Tom, giulivo, come se quell'ultima rivelazione potesse in qualche modo cancellare l'abominio appena pronunciato. Tiro via il coperchio dal piatto e David si ritrovò davanti un agglomerato di pecorino semi-sfatto dal quale spuntavano qua e là pezzi di carota bruciacchiata e cruda. Rimase immobile a fissare quella palla appiccicosa per molti, lunghissimi istanti.
“Allora?” Chiese Tom, speranzoso.
“E'...” David sospirò. “Innovativa.” Si schiarì la voce. “E il... ehm, pane?”
“Non l'ho ritenuto necessario,” rispose Tom, serissimo. Nemmeno fosse un cuoco di fama internazionale che spiega al suo pubblico perché nella torta di pere e cioccolato non ha ritenuto necessario inserire delle pere quanto 3/4 di mango rosato delle Ande, venduto al mercato di Lima a 300 euro al kg. “Il pecorino era un collante sufficiente.”
“Collante. Esattamente la parola che stavo cercando,” commentò David, stuzzicando la palla amorfa con la forchetta.
“E poi così è un po' come noi,” commentò Tom, con un sorriso tutto convinto.
David sollevò un sopracciglio.
“Un gran casino di pecorino stagionato,” iniziò indicando l'agglomerato, “e giovani carote novelle! Senza pane, perché non ci serve per stare appiccicati.”
David ci pensò su un istante e poi scoppiò a ridere, tirandoselo addosso mentre cercava di assaggiare quell'abominio culinario. In qualunque forma si presentasse il toast, era sempre una cosa buona, alla fine.
Personaggi: Tom, David Jost
Genere: Comico, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Note: Questa è la storia che ho regalato a Yulin per Natale.
In teoria doveva essere una drabble (ridiamo tutti quanti insieme), in pratica sono 10 drabble insieme. Mille parole circa. Che posso farci? Radical-Gay-Chic!David è la cosa che preferisco, in assoluto. E credo si veda dal momento che lo infilo veramente da ogni parte. Nient'altro. Spero che vi piaccia ^^v

Riassunto: Questo non è un albero di natale, David.
NATALE CON DAVID
...o dell'embrionale senso artistico di Tom Kaulitz.


"Vorrai scherzare!" Fu l'unico commento che uscì dalla bocca di Tom quando lo chiamò in salotto perché desse il suo giudizio. David proprio non capiva che cos'avesse che non andava il suo albero di natale.
"Questo non è un albero di natale, David," gli spiegò il biondo, indicando la preziosa scultura in legno e metallo di cui si era così faticosamente appropriato quella mattina da Muji, sottraendolo - per altro - ad una checca isterica vestita Dolce & Gabbana che lo aveva seguito abbaiando fino alla cassa, deciso a riaverlo indietro. D'altronde non era colpa sua se il tipo era già ampiamente appesantito dal cenone di natale prima ancora del venti di dicembre.
"Ma si che lo è, guarda!" Esclamò, intenerito dall'embrionale senso artistico di Tom, ancora troppo acerbo per comprendere l'eleganza di forma e struttura che aveva davanti agli occhi. Lo prese per le spalle e lo spostò di fronte alla scultura. Indicò l'oggetto e prese a decantarne le evidenti qualità. "Non devi cercare l'immagine dell'albero Tom, ma ciò che esso rappresenta."
C'era una base rettangolare in legno lucido e, su di essa, quello che sembrava un brutto gomitolo di grossi fili di metallo. Tra le maglie di questo enorme giocattolo per gatti meccanici era intrecciata una comune trafila di lucine di natale bianche. "Questa è una palla," commentò.
"Guarda meglio."
"David, posso anche guardarlo per ore ma quella è una palla," ripeté il biondino. "Se voleva essere un albero di natale, è venuto male."
David sospirò. "Sei di una superficialità imbarazzante a volte," esclamò, per poi avvicinarsi alla sua amata scultura. "Questa è l'essenza dell'albero di natale," spiegò, indicando la sfera nella sua totalità. "La sfera rappresenta il nucleo primario della festa mentre le luci, bianche e soffuse, ne rappresentano il calore, il senso stesso del natale. Capisci?"
Tom capiva che andava a letto con un imbecille. "E, esattamente, come ce li metto gli addobbi sul nucleo caldo del natale?"
"Non servono addobbi!" Esclamò David, entusiasta senza motivo. "E' questo il bello. E' già tutto qui, racchiuso in questa meraviglia."
Tom avrebbe avuto da ridire sul suo assurdo concetto di meraviglia ma preferì soprassedere visto che al momento aveva problemi decisamente più urgenti. "Nel tuo sgabuzzino, che per altro è una piazza d'armi, ci sono adesso tre scatoloni di addobbi natalizi assortiti che ho strappato con le unghie e con i denti a mio fratello che li voleva per addobbare un gigantesco abete nel giardino del suo tunisino, mi segui fin qui?"
David annuì, non comprendendo.
"Bene. Ora, io non faccio a borsettate con mio fratello per quattro palle, per poi sentirmi dire che non avrò un albero di natale su cui appenderle."
"Ma Tom," iniziò l'uomo, con l'occhione ceruleo sgranato. "Questa scultura è alternativa, capisci? E' qualcosa di nuovo e innovativo, qualcosa che non sia il solito albero di natale."
Tom lo ascoltava con le braccia incrociate al petto. "Non è Natale senza un albero di natale," riispose e, prima che David potesse commentare aggiunse: "E quello non è un albero di natale. Quindi adesso, o usciamo e andiamo a comprare un albero vero con i rami e la forma da albero, oppure mi troverò un fidanzato alternativo, possibilmente nuovo e portatore di tecniche innovative. Ci siamo intesi?"
David sospirò. "E della mia scultura cosa ne faccio?"
"Gli troveremo un posto, non preoccuparti."
Quattro ore dopo, nel salotto minimalista in vetro e acciaio di David troneggiava un abete alto tre metri e largo due, ricoperto di palline, festoni e addobbi fin quasi ad esplodere. Per completare questa fiera del pacchiano, Tom aveva comprato un puntale dorato e aveva preteso calze da appendere al camino che David non possedeva. Tom, in quel preciso momento, stava ovviando a questo increscioso inconveniente appendendo le calze ai rientri delle finestre con il nastro adesivo trasparente.
David sospirò, osservando la scena da un angolo del salotto. Scambiò con la sua palla d'arredamento, che ora era un costosissimo ferma-porta, uno sguardo tra il rassegnato e l'intenerito, quindi tornò ad osservare Tom che fischiettava canzoni natalizie in chiave heavy metal, mentre spostava palline colorate con l'occhio critico dell'esperto.
"Contento, adesso?" Chiese l'uomo.
Tom si girò con tanto entusiasmo negli occhi che David non poté fare a meno di sorridere. Gli si avvicinò, passandogli una mano tra i capelli per poi lasciarla scivolare sulla sua nuca e stringere affettuosamente. Tom fece quasi le fusa sotto le sue dita.
"Spegni le luci," gli ordinò, passandogli il telecomando.
David non fece che premere un tasto e le lampade al neon si abbassarono per poi spegnersi del tutto e lasciare la stanza immersa nella calda luminosità delle lucine intermittenti.
Tom gli si sistemò tra le braccia, con uno dei suoi sorrisi a metà. "Ora, questo è quello che io chiamo un albero di natale," commentò.
David si chinò a baciarlo piano sulle labbra. "L'avevo intuito. Sei un tradizionalista: abeti, palline e festoni..."
"Non esattamente," sorrise il rasta. "E' che avevo bisogno di un posto più grande dove mettere il mio regalo di natale."
"E che cosa vorresti, sentiamo?"
Tom lo stese delicatamente sul tappeto da troppe centinaia di euro, appena sotto gli ultimi rami e gli scivolò sopra, con un movimento fluido e collaudato. "Voglio un manager," rispose in un sussurro. "Pensi che lo riceverò?"
David gli chiuse le braccia intorno e nicchiò. "Dipende, sei stato buono?"
"Tu cosa ne dici?"
David chiuse gli occhi e sorrise, perdendosi nel primo di una lunga serie di baci.
Personaggi: Tom, David Jost, Jorg Kaulitz
Genere: Comico, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: PG 13
Illustrazioni: Leah
Note: Questa storia è stata scritta per il compleanno di Yulin. E non ho molto da dire, in effetti, tranne che il titolo viene dal film omonimo e che le bellisssime illustrazioni che vedete sono opera di Leah, che è adorabile e disegna benissimo. E noi tutte le vogliamo bene *sparge amore sul suo nemico naturale*
Il rating è tremendamente insulso ma mi dicono che la R sarebbe stata un'esagerazione. Nient'altro. BUON COMPLEANNO COINQUI-BRADIPO!

Riassunto: Forse dovresti conoscere mio padre."
GUESS WHO'S COMING TO DINNER


Generalmente David era un uomo sensato.

Uno di quelli che ragionavano secondo la logica e che non si facevano prendere mai - ma proprio mai - dal panico. David era quel tipo di persona che di fronte ad una catastrofe di proporzioni oggettivamente epiche non batteva ciglio. La catastrofe si abbatteva, lui la inquadrava, la razionalizzava, e quindi se ne liberava con uno schiocco di dita.

O una telefonata al suo avvocato.

Qualche mese prima, a due ore dal concerto, Bill aveva perso il suo portafortuna - uno stupido pupazzetto in gomma tirato giù da quelle infernali macchinette a pallina, che aveva assunto un significato particolare solo perchè l'euro che lo aveva liberato dalla sua gabbia di plastica apparteneva a Tom - e si era rifiutato di cantare.

Ora, David sapeva che non potevano fare il concerto senza un cantante, per quanto stonato e poco dotato fosse. Sapeva che c'erano centinaia di ragazzine isteriche là fuori che, Dio solo sapeva perché, volevano vedere Bill saltellare disarmonico da una parte all'altra. E sapeva anche, che la buonanima surfista di suo padre lo aiutasse, che Bill senza il suo maledetto portafortuna diventava isterico. E Bill isterico equivaleva alla possibilità di essere arrestati per omicidio.

Dunque, perfettamente consapevole delle possibili conseguenze, aveva preso in mano la situazione. Da un Bill che piangeva come una prefica era riuscito a farsi dire dove il portafortuna - che essendo un piccolo orso, era stato chiamato Orsetto con uno slancio di fantasia molto esiguo, considerando che Bill scriveva canzoni - era stato visto l'ultima volta. Quindi, saputo che Orsetto era stato avvistato sul tavolo del tourbus, aveva letteralmente costretto tutti a cercarlo, organizzando squadre di ricerca degne dell'esercito.

Il tourbus era stato diviso in zone quadrate, di un metro per un metro, e ognuno aveva ricevuto l'ordine tassativo di frugare anche tra le maglie del tessuto che rivestiva i divani se era necessario. David, in piedi sul tavolo, aveva tuonato ordini invitando tutti a fare del loro meglio. A dieci minuti dall'inizio del concerto era poi saltato fuori che il pupazzetto Bill ce l'aveva in tasca, ma ciò non toglieva che David avesse affrontato la cosa con metodo e razionalità. Tutti gli altri avevano poi cercato di ammazzargli il cantante, ma questi erano dettagli...

In ogni caso, sulla serenità mentale di David ci potevi sempre contare. Sempre, a parte quando il padre del ragazzino diciassettenne con il quale aveva una relazione decideva che era giunto il momento di conoscere (e forse disintegrare a mani nude) l'uomo che si portava a letto suo figlio.

In quel preciso momento, David era isterico. E l'isteria di un uomo che generalmente non è mai isterico raggiunge livelli paranormali. Bill privo del suo Orsetto, in confronto, sarebbe apparso come una persona perfettamente controllata. Il manager si era svegliato alle cinque del mattino in modalità casalinga disperata e aveva pulito la casa da cima a fondo, arrivando perfino a raschiare tra le mattonelle con uno spazzolino. Quindi era uscito a fare la spesa ed aveva passato quasi tre ore al supermercato cercando di decidere cosa preparare da mangiare.

Lui era vegetariano ma Tom non lo era e, con ogni probabilità, non lo era neanche suo padre. Anzi, David ne era praticamente certo: nessun camionista era vegetariano. Era un controsenso. Era come dire: un gay che non sapeva vestirsi. Pura fantascienza. Beh c'era pur sempre Bill che generalmente entrava di testa nell'armadio e ne usciva con addosso cose a casaccio, adornandole poi con chincaglieria random. Lui era un raro caso di gay privo di stile. David si era perfino fermato - in mezzo al corridoio degli assorbenti, per altro - a pensare a questa cosa. Poi però gli era venuto in mente che Bill non era proprio gay, era ben oltre la gaytudine. Bill era una donna, infilata nel corpo - neanche troppo maschile - di un uomo. E c'erano donne che si vestivano malissimo. I gay no, ma le donne sì.

Questo aveva risolto il dilemma.
Però restava quello della cena. David non sapeva cucinare la carne o, meglio, sapeva farlo ma la sola idea lo disgustava perchè carne significava dover maneggiare pezzi crudi di animali morti e questo, prima ancora che andare contro il suo senso morale, perchè gli animali non andavano sfruttati e uccisi, e i polli da batteria, e le mucche sfiancate dalla mungitura e le capre transgeniche con sei gambe etc.. etc.., prima ancora di tutto ciò, la carne cruda andava contro il suo senso estetico che era molto più forte e schizzinoso del suo senso morale per le ingiustizie animali.

Sospirò. Avrebbe dovuto piegarsi alla necessità di nutrire il padre di Tom con del cibo che gli aggradasse, prima che quell'uomo si mangiasse la sua testa, staccandogliela di netto con un morso. Dunque aveva comprato del macinato e dello spezzatino - che non sembrava più animali di nessun tipo - e un po' di pesce a caso, basandosi su quale delle confezioni sembrasse più carina.
Quindi, per tirarsi su di morale, aveva fatto un giro nel fornitissimo reparto vegetariano, regalandosi qualche leccornia di soia, e un quintale di quinoia alla quale Tom avrebbe sicuramente lanciato un'occhiata tanto disgustata da far pensare che si trattasse di una montagnola di letame piuttosto che di una pianta.

David sospirò. Tom non ne voleva sapere di mangiare qualcosa che non fosse drammaticamente unto e portatore di un quantitativo di colesterolo bastevole ad abbattere un piccolo elefante. Si era chiesto più volte quale buona stella proteggesse il ragazzino da una vita di obesità e infarto. Quando lo prendeva in giro per le schifezze che mangiava, Tom rispondeva sempre che il cibo non gli avrebbe mai dato problemi finché continuava a scopare con quei ritmi.

I problemi, semmai, li avrebbe avuti David che con quei ritmi l'infarto lo rischiava anche senza il colesterolo.



Ad ogni modo, quando uscì dal supermercato - in ritardo di due ore sulla sua strettissima, sfiancante tabella di marcia fuori di testa - David aveva con sè troppa carne per un uomo solo (anche se camionista), tanta soia da sfamare i bambini dell'Africa, non della verdura ma un'intero giardino botanico, e quattro preparati differenti per torte che avrebbe utilizzato tutti, dal momento che non sapeva se al padre di Tom piacesse di più la cioccolata, la crema, la frutta o fosse un tipo da yogurt.

Il pomeriggi lo aveva passato cucinando e spaventandosi da solo all'idea di cosa sarebbe successo quella sera. Jorg Kaulitz sarebbe entrato da quella porta, lo avrebbe preso per il collo e infine sbattuto ripetutamente contro un muro finchè la sua testa non sarebbe esplosa in mille pezzi, macchiando il suo bel divano comprato da Muji neanche una settimana prima. Insieme a Tom, per altro, che era il nemico naturale del Muji.

Tom gli aveva detto e ripetuto che suo padre era un uomo tranquillo, che non aveva mai picchiato nessuno ma David sapeva che un uomo non è più tanto tranquillo quando scopre che il suo unico figlio maschio (David era profondamente convinto che all'idea di un Bill maschile, Jorg avesse rinunciato quando i gemelli avevano la tenera età di 3 anni) va a letto con un altro uomo e che questo uomo, per inciso, ha 17 anni più di lui. David sapeva che quella cena non era altro che il preludio a tanto sangue e, probabilmente, un ricovero in ospedale. Forse la morte.

La bella idea l'aveva avuta Tom, un giorno che erano entrambi distesi sul letto matrimoniale di casa Jost, comodamente drappeggiati uno sull'altro, con David che gli passava amorevolmente le mani tra i dread biondi. Tom aveva alzato il testone e aveva esclamato serafico: "Forse dovresti conoscere mio padre."

A David era partita una valvola mitralica, anzi due. Si era scostato da quel faccino bianco e rosso che fino a qualche minuto prima aveva avuto una delle più belle espressioni che avesse mai visto - perchè era stato lui a generarla - e lo aveva guardato con un enorme punto interrogativo sulla testa spettinata. "Come prego?"

Tom aveva annuito, che Dio lo perdonasse. "Bill dice che sarebbe ora, dal momento che-"

"Aspetta," David lo aveva fermato, sollevando perfino un ditino ben curato. "Bill dice?"

Tom aveva scosso il testone di nuovo avanti e indietro, spargendo amorevolmente dreads da tutte le parti. David aveva sospirato. "Tom, Bill è una vipera. Mira alla mia rovina," gli aveva fatto notare.

"Ma non è vero. Ormai la gelosia gli è passata."

Se si poteva considerare sorpassata gelosia un ragazzino che mentre ti fai largo tra la folla di un supermercato ti grida dietro: "Attenzione gente! Fate largo al pedofilo! Tenete stretti i ragazzi di 17 anni."

"Tom, non gli è passata proprio per niente. Tuo fratello mi vuole morto."

"Solo quando sto via per il week-end," aveva precisato Tom. "E comunque credo che abbia ragione. Anche mamma la pensa allo stesso modo."

"Anche tua madre mi vuole morto," si era lamentato David. Poi però aveva sospirato, rendendosi conto che sarebbe stato infantile battere i piedi. Lui e Jorg erano due esseri umani e avrebbero parlato da persone civili. David gli avrebbe detto che con Tom era una cosa seria, che gli voleva bene insomma. E allora perchè nessuno riusciva a togliergli dalla testa che Simone e Bill, le due donne della vita di Tom, si fossero coalizzati e gli avessero mandato contro la loro personalissima arma di distruzione di massa?

Quando Simone era venuta a saperlo - grazie a Bill che non teneva mai la bocca chiusa (con grande gioia di Bushido, gli avrebbe detto Tom per prenderlo in giro) - aveva dato di matto, lo aveva picchiato con rabbia seppur blandamente, quindi si era accorta che da un uomo alto un metro e settanta con due occhioni rotondi e azzurri come i suoi non poteva venire una grande minaccia e si era calmata. Aveva fatto un enorme sospiro rassegnato e aveva passato tre giorni mormorando "La mia unica possibilità di avere nipotini..." suscitando l'ira funesta di Bill che aveva cominciato a strillare che in quella famiglia c'era anche lui, che era un MASCHIO, e che poteva ben trovarsi una donna per sfornarle dei piccoli Kaulitz. La scena era stata assurdamente epica e avrebbe impressionato tutti se poi, a metà del suo discorso su come avrebbe procreato riempiendo il mondo di neonati, il suo telefono non si fosse messo a squillare e non avesse risposto con un cinguettante: "Anis! Amore! Mi manchi, dove sei?"
Alché sua madre aveva ripreso a cantilenare: "La mia unica possibilità di avere nipotini..." aggirandosi per la casa come un'automa mentre, alle sue spalle, Bill parlava con Bushido di farsi venire a prendere.

Gordon era stato un osso molto meno duro, comunque. Gordon era un uomo pacifico e - per la cronaca - aveva praticamente la sua età. Avrebbe potuto essere il suo compagno di banco al liceo. Non aveva il carisma, nè l'autorità per guardarlo dritto negli occhi e dirgli: "Hey tu, butta giù le mani dal mio figlio adottivo o ti spezzo tutte le dita una per una e poi te le ficco lì dove non batte il sole, e farò in modo che NON ti piaccia."
La scena si era svolta con grande tranquillità. Spinto dalla moglie, Gordon si era presentato a casa sua, vagamente in imbarazzo. "Salve," aveva detto. Alchè ne era seguito un silenzio imbarazzato finchè non aveva aggiunto, "Mi manda Simone", come a giustificarsi.
David aveva provato per lui la stessa pietà che provava per se stesso e quindi lo aveva invitato ad entrare. Avevano finito per bersi una birra di fronte alla televisione, con questo assurdo dialogo.

"Insomma tu e Tom..."

"Già."

"Avrei detto Bill."

"Bill sta con Bushido."

"Quell'uomo mi fa una pena."

"Anche a me."

E lì la cosa era finita. In definitiva, l'osso più duro fino a quel momento era stato proprio Bill che non era fisicamente pericoloso, ma aveva una tenacia mica da ridere e anche adesso - dopo mesi di relazione - continuava amorevolmente a sfrangiare le gonadi.
Solo che se Simone era una donna ragionevole, Gordon un uomo mite e Bill, fondamentalmente, solo una checca isterica, Jorg era tutto un altro paio di maniche.

Jorg era un camionista.

E mentre fissava lo spezzatino cuocersi nel forno e riversare quintali di grasso animale sulle patate, David si chiese se continuasse a ripeterselo perchè i camionisti gli facevano paura o per quel suo feticismo latente per quei nerboruti camionisti che ogni tanto comparivano su Pride. E questo era senza ombra di dubbio il pensiero più gay che avesse mai fatto. Doveva nascondere i numeri del giornale, prima che li trovasse Tom e lo pretendesse vestito da carpentiere. Rabbrividì.

Ad ogni modo, qualunque cosa si aspettasse dal fisico di Jorg, ne rimase profondamente deluso. Quando aprì la porta, con un livello di agitazione curabile solo col Diazepam, si ritrovò davanti un uomo ben vestito, con la faccia dura e squadrata e un principio di barba ma niente che lo facesse assomigliare ad un bifolco trasportatore di Loitsche. Anzi.

Ad avercene di camionisti così eleganti...
David!

"Ehm, Salve!" Esordì, un po' troppo querulo in effetti. E il grembiule con su scritto Queer at work non migliorava la sua situazione. L'uomo lo squadrò da capo a piedi con un viso indecifrabile. David vide Tom ridere e giurò che se rimaneva vivo gliel'avrebbe fatta pagare. Si tolse in fretta il grembiule e lo gettò a caso alle sue spalle, il più velocemente possibile, con disinvoltura. "Prego, faccia come se fosse a casa sua."

L'uomo entrò seguito dal figlio che era qualche centimetro più alto di lui e molti centimetri più alto di David. Tom gli sfiorò casualmente una mano che David si infilò terrorizzato in tasca un attimo prima che Jorg si voltasse. "Ci abita da solo, qui?" Chiese, notando che la casa era esageratamente enorme.

"Sì, anche se non capita spesso," rispose David.

"Nel senso che si porta gente a a casa?"

"NO!" Sbraitò l'uomo. "No. Nel senso che non ci sono mai. Sono... siamo sempre in tour."

Jorg annuì e dedicò al salotto un'altra di quelle occhiate indecifrabili. "Papà, vieni a vedere la palestra, è una cosa pazzesca," esordì Tom, già diretto verso la stanza. Era incredibilmente a suo agio nell'appartamento. Il fatto che stesse facendo gli onori di casa rendeva David improvvisamente molto nervoso. Li seguì, vagamente in ansia.

Jorg analizzò tutto quanto con attenzione. "Una macchina per fare i pesi," disse compiaciuto. "Quanto riesce a tirare su?"

"Ehm... " David aprì e chiuse la bocca un paio di volte. "Io faccio yoga, per lo più."

"Yoga."

"Ehm sì."

"Ed è snodatissimo, papà. Dovresti vederlo!" Esclamò Tom. David non capì se era diventato improvvisamente scemo o se voleva fare lo stronzo. Jorg lo stava guardando così intensamente da trapassarlo.

"Ehm, APERITIVO?" Gracchiò, indicando la sala da pranzo.

Di fronte ad un bicchiere di prosecco e adorabili tartine, David pensò che non ne sarebbe uscito vivo. "Quindi è qui che porta mio figlio," iniziò Jorg.

"Se lo dice così sembra che ce lo trascini per i capelli," ridacchiò nervoso David. Ma Jorg non rideva. "Ma ovviamente non è affatto divertente." Colpo di tosse. "Io.. ehm.. Capita a volte che passi qui il fine settimana."

David piantò gli occhi in terra e sperò intensamente di avere una vanga con la quale scavare molto a fondo. Quella serata non cominciava affatto bene e sarebbe finita peggio. E lui sarebbe morto. Forse doveva mandare un telegramma a sua madre.

"Cosa c'è per cena?" Chiese Tom, abbarbicato scompostamente su una poltrona, con le scarpe da ginnastica sul costoso rivestimento di pelle, come al solito. Con suo grande disappunto, David gli aveva servito della coca cola e aveva zittito il suo Ma David! Di solito beviamo litri di- con un affettuoso quanto enorme crostino in gola.

"Dunque, abbiamo delle crepes francesi alla ricotta e spinaci, spezzatino di manzo con patate e degli hamburge per te," rispose, con un'occhiata al suo biondino.

Tom si trasformò istantaneamente nella sua adorabile versione dodicenne, con gli occhi a stellina. "Hambruger veri?"

David rise. "Sì veri."

"Carne? Lei non era vegetariano?"

"Sì, ma pensavo che a lei avrebbe fatto piacere mangiarla."

"E lei abbandona così le sue convinzioni morali?" Jorg sollevò un sopracciglio, più o meno come lo sollevava Bill, notò David; con quel modo di fare supponente.

"No, ma mi piace mettere i miei ospiti a proprio agio," rispose il manager che aveva sì terrore dei camionisti, ma che alle sue convinzioni morali era molto legato. E tutto gli potevi toccare, tranne quelle.

Jorg lo fissò molto intesamente ma non disse assolutamente niente. David a quel punto li scortò tutti in cucina. Tom non mancò di tirargli una pacca sul sedere alla quale il manager replicò con un muto COSA DIAVOLO FAI? E quindi si voltò a sorridere amabile - troppo amabile - verso il padre di Tom, invitandolo a sedersi.

Durante il primo, rimasero tutti in silenzio.

Durante il secondo, Tom urlò estatico che c'erano gli hamburger veri! E ricoprì di ketchup e maionese la carne di manzo controllato tedesco certificato, che più sana di così proprio non saprei dove trovargliela signor Jost, aveva detto il macellaio del supermercato. Jorg era rimasto in silenzio, ma tra un pezzo di spezzatino e l'altro - mentre David si mangiava la sua amata insalata - tirò fuori un: "Da quanto va a letto con mio figlio?"

Volarono pezzi di carota e un intero hamburger ricoperto di maionese. Cibo sulle cheerleaders.
"C-come prego?"

Jorg mise in bocca un pezzo di spezzatino dopo averlo tagliato con una cura da lord inglese che proprio non si addiceva al suo essere un camionista - David doveva rivedere i propri stereotipi. "Da quanto mi dice Bill, lei e Tom state insieme da mesi. Alchè, conoscendo mio figlio, suppongo che abbiate rapporti sessuali."

Ma che domande erano?

"S-sì."

"Da quanto?"

"Da sempre?" Esclamò David, senza pensarci. Tom rise. Jorg lo guardò fisso. "Io e Tom abbiamo... cioè non..."

"Gli sono saltato addosso io il primo giorno," sopperì Tom, dopo aver recuperato l'hamburger. "Se aspettavo lui ci svernavo in quel gabinetto."

"Lei crede, signor Jost, che la vostra relazione sia appropriata dal momento che mio figlio ha solo diciassette anni mentre lei ne ha quanti? Trentasette?"

"Trentasei," replicò stizzito David, stringendo le dita intorno alle posate fino a piegarle. Mai sbagliare l'età di una signora. "Comunque, mi rendo conto che la differenza di età possa preoccuparla, ma io voglio molto bene a suo figlio."

"Questo non è indicativo."

"No, mi rendo conto," annuì David. "Ma non ho preso questa cosa alla leggera, ecco."

"Per un uomo che non tira su i pesi, le conviene," Jorg tornò a dedicarsi al suo spezzatino, con aria misteriosa e mistica. E David sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
Il resto della cena si svolse in un tripudio di silenzi e di domande imbarazzanti. Jorg volle sapere se Tom veniva trattato bene, se David usava delle precauzioni e se l'ego di suo figlio veniva saltuariamente ricompensato. Il tutto in un allegro susseguirsi di momenti tremendamente umilianti per David che tutto voleva - perfino prostrarsi ai piedi di quell'uomo e farsi ammazzare - piuttosto che raccontargli modi, tempi e dettagli delle sue prestazioni sessuali, quando poi - per inciso - l'uomo sollevava sempre quel fottutissimo sopracciglio supponente, così che sembrava quasi di avere Bill davanti, ma meno truccato. E più camionista.

Quando per Jorg arrivò l'ora di andarsene, David tirò un profondo sospiro di sollievo, il più gioioso della sua esistenza. Uno che, forse, non riuscì neanche bene a nascondere; mentre accompagnava l'uomo alla porta, Tom decise che a quel punto poteva svicolare dal suo obbligo di presenza e rintanarsi nello studio di David, nel quale aveva fatto installare un paio di consolle. Gli orridi strumenti del demonio, che David aveva sempre tenuto lontani dalla sua persona, erano stati comprati dal manager in persona per distrarre Tom quando era troppo stanco. Il che faceva della sua casa, l'antro-standard di un pedofilo: appartamento isolato, dolciumi, e una stanza piena di videogiochi. Ma a questi dettagli vagamente passabili per legge non voleva affatto pensare. Li scacciò virtualmente con la mano.

"Dunque, signor Kaulitz, è stato un piacere conoscerla," disse accompagnandolo alla porta.

"Anche per me," rispose l'uomo, con la stessa voce severa che aveva usato tutta la sera.

"Spero che parlarmi possa averla tranquillizzata."

"Assolutamente no," rispose di nuovo Jorg, senza però cambiare espressione. La spina dorsale di David fu attraversata da un brivido freddo e da inquietanti echi di azioni legali. "Sapere che mio figlio la frequenta mi turba più di quanto io dia a vedere," poi però gli dedicò un sorriso gelido, simile a quello di uno squalo, "ma so che la mia ex moglie la tiene d'occhio e non esiterebbe a spaccarle le gambe se dovesse fare qualcosa che non gradirei. Inoltre, Bill sa come proteggere suo fratello, e mi fido molto del suo giudizio. Se lui dirà che lei va bene per Tom, allora andrà bene anche a me. Altrimenti, prenderò provvedimenti. Arrivederci, signor Jost."

David lo seguì con lo sguardo mentre infilava nell'ascensore e usciva. Improvviisamente, l'idea di venir preso a cinghiate nei denti da Jorg Kaulitz appariva un destino più roseo di quello che gli si prospettava davanti: essere tenuto sotto controllo da Bill, ed essere soggetto al suo giudizio.

Mezz'ora dopo, quando ebbe finito di sterminare qualcosa come un milione di zombie, Tom uscì dallo studio e lo trovò ancora in piedi accanto alla porta che fissava il pianerottolo sgombro.
"David?" Lo chiamò. "Cos'è un ictus?"

"No, è terrore," gli rispose l'uomo, senza muoversi.

Tom lo raggiunse, chiuse delicatamente la porta e quindi lo condusse verso la camera, facendo molta attenzione a non farlo sbattere contro gli angoli. "Dada, forse dovresti riprenderti. Mi sembra un po' presto per farti da badante."

"Tuo fratello..."

"No, guarda, non ci contare," Tom scosse la testa mentre raggiungevano la camera da letto. "Bill non ti farà mai da badante, nemmeno se lo paghi in abiti di Prada."

"No, sciocco, parlavo di tuo padre," commentò David, tornando a guardarlo mentre si faceva spingere sul letto senza protestare. "Mi ha detto che si servirà di tuo fratello per giudicarmi. Sono finito. Mi farà arrestare."




Tom non sembrava per niente sconvolto. Anzi, lo guardava sorridendo. Finì di stenderlo sul materasso, quindi salì su di lui con disinvoltura e si accoccolò sul suo petto, inspiegabilmente tenero. "Non dovresti preoccuparti così."

Per abitudine, David prese a passargli le dita tra i dreads, per poi scendere a disegnargli con l'indice il contorno del viso. "Non capisci? Se tuo padre si affida ai giudizi di tuo fratello, si farà un'idea tremenda di me."

Tom gli strusciò il musino contro una guancia. "Hmm..." Sembrava poco interessato.

David sospirò e cercò di guardarlo negli occhi. "Dico sul serio, Tom," mormorò, facendogli sollevare il viso. Il biondo lo baciò velocemente sulle labbra.

"Io dico che ti preoccupi troppo," fece le fusa il ragazzino che, di fronte al resto del mondo era un gran duro, e tra le braccia di David era una pallina di tenerezza.

"L'ultima volta che Bill ha parlato di me a qualcuno ha detto che sono un vecchio tardone che crede di avere ancora quindici anni e se la fa con i ragazzini perché non riesce a trovare nessun altro," gli ricordò.

Tom sorrise e lo baciò di nuovo. "Scommetto che Bill sarebbe tremendamente orgoglioso di saper che ti ricordi ogni singola parola che gli esce di bocca. E' il suo sogno proibito."

David non rispose, si limitò a sospirare un po' affranto, guardando il soffitto mentre continuava ad accarezzare distrattamente il corpo di Tom su di lui.

Tom ridacchiò ancora. "Sai, mio padre si può anche affidare ciecamente ai giudizi di Bill," disse piano, appoggiando le labbra alle sue e costringendolo a guardarlo. "Ma c'è una cosa che non sa."

"Che cosa?"

Tom sorrise. "Bill non direbbe mai niente che io non voglia."
Davi ricambiò il sorriso.
Personaggi: Tom, David Jost
Genere: Commedia, Romantico
Avvisi: Slash
Rating: R
Note: Questa toast è stata scritta in un giorno. Per il solo fatto che è una tost, e per il tempo che c'ho messo è da considerarsi un miracolo. Per tutto il resto è, ovviamente, un'emerita bischerata. Il titolo della fanfiction viene da un film di Pedro Almodovar (che ovviamente ha degli accenti di cui io mi infischierò bellamente) che non ho visto; bene. Il titolo però mi è sempre piaciuto. Se l'ho scelto è perchè aveva qualcosa a che fare con gli ospedali. Ok, non chiedete, prendetela come viene.
Mrs. Marlene è un mio personaggio. E' il cane di David nel mio universo Toast. Esiste un'altra shot che - se il cielo ci assiste - prima o poi finirò e dovrebbe collocarsi prima di questa (e che alcune di voi già hanno letto per metà), in cui la sua presenza è un po' più marcata.
Cos'altro? Nell'idea originale il Billshido non era previsto, ma ora c'è...

Riassunto: Tom aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
"L'hanno portata in ospedale," disse alla fine il manager.
HABLE CON ELLA


David era piuttosto nervoso.
E quando David era nervoso, il mondo intero lo era, perchè quando sei un manager zen, calmo fino a rasentare la stupidità umana, allora se ti fai prendere dall'ansia, vuol dire che è successo qualcosa di veramente grave.
David si aggirava per lo studio di registrazione come un'anima in pena da quella mattina. Il suo era tutto un vagolare di stanza in stanza, spostando oggetti che non avevano alcun bisogno di essere spostati e un trafficare, un chiedere, un informarsi senza ragione. Tom era un ragazzo essenzialmente paziente, essendo cresciuto per diciannove anni con quellla piaga fatta e finita di suo fratello, ma aveva un limite; e quel limite lo aveva raggiunto quando David era entrato nella sua stanza, aveva fatto il giro due volte, si era seduto, si era rialzato, il tutto mentre lui tentava disperatamente di infilare tre note giuste una dietro l'altra sulla chitarra.
"D'accordo, David," sbuffò alla fine. "Che cosa diavolo hai stamattina?"
"Niente," replicò l'uomo, torturandosi le mani.
Tom poggiò la chitarra a terra e sospirò, quindi gli si accosciò davanti con fare accondiscendente, gli appoggiò le mani sulle cosce e tentò di farsi guardare negli occhi. Dopo mesi di relazione più o meno stabile, Tom sapeva che David potevi rigirartelo come un calzino per dritto e per rovescio ma, ogni tanto - diciamo una volta ogni qualche mese - David sceglieva una paranoia random - e decideva che era giusto deprimersi per essa. In que casi, Tom doveva mettersi lì, decifrare l'intricato nodo di neuroni che aveva bloccato le tangenziali del suo cervello e quindi risolvere l'esodo vacanziero delle sue sinapsi con un intervento mirato. Dal momento che l'uomo continuava a starsene seduto sul letto a contorcersi le mani perso nel delirio schizoide della sua mente, Tom decise che poteva anche rinunciare a tutti gli impegni che aveva in agenda quella mattina: suonare, mangiare, dormire, fingere di suonare un altro po' dopo pranzo, evitare abilmente suo fratello che voleva andare al cinema e infine scopare con David se era posssibile. Ora l'ultima opzione sembrava irrealizzabile e tutte le altre erano appena state cancellate dalla necessità di tirare fuori quell'uomo dal pozzo senza fondo del suo cervello. Un ottimo modo per passare un giorno di pausa.
"Va bene, cominciamo," espirò, sedendosi a gambe incrociate per terra.
"Cominciamo cosa?" Chiese David, un po' perplesso.
"A cavarti fuori di bocca il motivo," spiegò sbrigativamente il rasta, mettendosi comodo. "E' per qualcosa che ho detto o che ho fatto? Hai avuto forse l'assurda impressione - dopo otto fottuti mesi che scopiamo, ma vabbè, con te non si può mai sapere - che io in qualche modo, o per qualche motivo che può sembrare razionale soltanto a te, possa aver pensato che mi sento costretto-barra-forzato-barra-obbligato a stare con te?"
Visto il cipiglio del ragazzino, David lo guardò un po' stranito. "N-no?"
"Allora ti sei forse svegliato stamattiina con l'assurda paranoia di aver fatto o detto qualcosa che possa avermi sconvolto nell'intimo, nel qual caso mi sento di darti immediatamente una risposta preventiva e rassiccurarti che niente che ti sia mai uscito di bocca può avermi sconvolto più di ciò che entra in quella di mio fratello?"
"N-no?" Rispose ancora David, sempre più sconvolto.
Tom annuì, con aria pensierosa. "Per lo meno abbiamo eliminato le due motivazioni più quotate. Paradossalmente le cose si fanno più semplici," ragionò. "Di solito ti preoccupi per le cazzate, se non si tratta nemmeno di quelle significa che devi essere qui per un motivo veramente stupido."
"Grazie per l'immenso rispetto con il quale ti rivolgi alla mia persona, Tom."
"Prego, figurati," commentò il biondo, perso nel suo ragionamento. "Vediamo un po', è per quello che abbiamo fatto ieri sera? Immagino sia stato un po' impegnativo vista l'età che hai. Ti fa male da qualche parte?"
L'espressione di David divenne la rappresentazione visiva dell'orgoglio oltraggiato. "A parte che vista l'età che hai vai a dirlo a tuo nonno - con il quale spero tu non abbia mai questa conversazione, povero vecchio -, per tua informazione io sto benissimo e ti ricordo che sono molto più snodato di te. Devo forse riportarti alla memoria che solo due settimane fa le vertebre della tua schiena hanno schioccato così forte che non ti sei più mosso per paura di esserti rotto qualcosa?"
Tom tossì, completamente rosso per l'imbarazzo. Non era stato affatto un bello spettacolo e ci teneva che quella notizia, in qualunque sua forma, non uscisse mai dalla stanza da letto in cui la scena si era svolta. Ciò che rendeva il tutto ancora più furiosamente imbarazzante era che quando le sue vertebre erano schioccate una dietro l'altra emettendo lo stesso suono di tre trappole per topi messe una di fianco all'altra, lui e David non stavano facendo assoluamente niente di troppo strano. David era disteso di schiena, Tom era sopra di lui e si era tirato indietro, stirandosi come un gatto. L'idea era quella di un movimento sensuale, nella pratica era stato un gioioso susseguirsi di crick e crock. Ne era rimasto talmente sconvolto che la nottata si era fermata lì, con Tom che si chiedeva se non fosse il caso di andare da un medico e David che si spanciava dal ridere dall'altra parte del letto.
"Se il motivo non sono io che vengo costretto da te a fare sesso, e non sei tu che costringi me a fare sesso, nè un qualche episodio legato ad una scopata.... possibile che il problema non sia affatto il sesso?"
"Ebbene sì, Tom. Esistono altre cose oltre al sesso, nel mondo."
Tom gli rispose con una scrollata di spalle che aveva tutto un mondo di dubbio dietro. "Se lo dici tu," commentò. "Ad ogni modo, se mi togli il sesso, io non so più cosa dirti. Con Bill è facile: se non si tratta di Bushido e delle discutibili pratiche sessuali a cui quell'uomo rifiuta giustamente di sottoporsi, allora è sicuramente un problema di unghie, di moda o di qualche altra cazzata della stessa portata. Con te è più complicato: se non ti stai lamentando del sesso - e già lì non capisco come tu possa, dal momento che lo fai con me - non vedo quale altro motivo avresti di piagnucolare."
Tom aveva uno strano problema di logorrea quando era da solo, e l'unico modo di fermarlo era parlare. A stare zitti non si risolveva nulla: Tom era così abituato ad essere interrotto da suo fratello fin dalla tenera età di... sempre, che quando si trovava intorno il silenzio, gli prendeva la fregola di riempirlo e di traboccare fuori. Le sue frasi diventavano orge di subordinate quando Bill non c'era.
"L'hanno portata in ospedale," disse alla fine il manager.
Tom sgranò gli occhioni ambrati, perdendo sia la faccia di tolla che la scazzataggine dimostrata fino a quel momento. Sapeva quanto David tenesse a sua madre, l'unico parente che gli fosse rimasto; ora capiva il perchè di tutta quell'ansia da parte del suo manager - del suo uomo, anzi, che con questo nuovo risvolto c'era più orgoglio a dirlo. A Tom l'idea che David stesse male e che toccasse a lui di consolarlo piaceva molto. "Mi dispiace," mormorò, col faccino tutto serio. "Quando l'hanno ricoverata?"
"Ieri sera," David strinse le mani una contro l'altra, tra le ginocchia divaricate. "Ci sono state delle complicazioni."
Tom annuì con aria contrita. Non sapeva esattamente che cosa dire, non sapeva nemmeno cos'avesse la madre di David. Insomma, il manager non gli aveva mai detto niente, poteva essere qualsiasi malattia. "I ... medici che cosa dicono?"
"Che ci vorrà ancora qualche ora. Forse tutta la mattina," rispose, giocando nervosamente con il cinturino dell'orologio che gli stava un po' grande e gli girava intorno al polso. "Non lo sanno di preciso nemmeno loro. Mi hanno detto che mi chiameranno quando accadrà."
Tom non poté evitare di trattenere un gemito. La situazione era davvero grave, allora.
Alla madre di David non rimaneva che qualche ora. "Oddio, mi dispiace..." mormorò ancora, alzandosi e sedendoglisi accanto.
"Non è una grossa sorpresa, in realtà," ammise l'uomo, tristemente. "Mi avevano avvertito che l'età era quella che era. Forse andava fatto prima, ecco, solo che non ho mai avuto il coraggio."
"Non è colpa tua," si sentì di dirgli Tom, molto partecipe. "Non è davvero colpa tua."
David si strinse nell'abbraccio del suo ragazzino, e sorrise leggermente. Rimasero in silenzio per un po', entrambi a contemplare il vuoto.
"Dada?" Chiese poi il biondo.
"Hm?"
"Lei ha bisogno di te ora," disse timidamente. "Forse dovresti andare da lei. Qui ce la possiamo cavare senza di te per un po'. Bill riesce a scrivere stronzate tranquillamente da solo."
David ridacchiò e scosse la testa. "Preferisco di no. Sono già abbastanza nervoso così, andrò quando sarà il momento. Non me la sento di vederla là così, sotto sedativi..."
"Certo, capisco," commentò Tom, che invece non capiva per niente. Se sua madre, o Bill o una qualsiasi delle persone a cui voleva bene fosse finita all'ospedale con al più qualche ora di vita, lui sarebbe stato lì accanto a letto per tutto il tempo.
David gli battè una mano sulla coscia. "Ora non fare quel musino, però," cercò di sorridergli. "Andrà tutto bene."
"Questo dovrei dirtelo io," lo riprese Tom. "Andrà tutto bene."
David sorrise. Stava per aprire bocca e ringraziarlo di tanta partecipazione, così insolita da parte sua quando la porta della camera si spalancò senza permesso e senza perdono, rivelando la temutissima figura di un Bill che risplendeva di luce propria.
Nella fauna maschile di quella casa, Bill era senza dubbio l'elemento più temibile, nessuno come lui riusciva a far fuggire gli altri poveri animaletti che abitavano lo studio di registrazione. Quando Bill non era con il suo uomo, al quale gli altri lo consegnavano un giorno si e l'altro pure perchè ci si trastullasse distraendolo, vagava per la casa in cerca di vittime da assoggettare, asservire e assuefare con ondate di chiacchera ininterrotta. Perlopiù la gente si nascondeva e, quando non aveva più la forza di farlo, si arrendeva spontaneamente, pronta a farsi cadere le orecchie di fronte allo sproloquio del gemello più piccolo. Questo quando Bill era semplicemente Bill.
Quando il moro era nella sua versione Deluxe, ossia in gran forma per aver passato la notte col suo tunisino e per aver avuto una di quelle che lui definiva le mie idee più geniali, era semplicemente insostenibile. E quello era uno di quei momenti.
Sulla porta, bello come il sole, quasi luccicante per tutta la paccottaglia che aveva adosso, sorrise estatico annunciando ai profani: "Ho avuto l'idea per la canzone migliore che sia mai stata scritta dall'inizio della storia della musica tedesca e internazionale!"
"Permettimi di dubitare," commentò David, scettico.
"Uomo di malafede! Tu non hai fiducia nelle mie capacità!" Sbraitò, sbandierando un foglietto a destra e a manca. Poi li guardò entrambi, seduti lì così sul letto con lo sguardo alle mattonelle - il che era inaccettabile con la sua luce divina che rischiarava la stanza. Come si poteva guardare altro quando lui era lì? "Beh, cos'è questa faccia da funerale?"
"Bill, non è proprio il momento!" Esclamò Tom, cercando di apparire ragionevolmente severo senza essere troppo cattivo. L'equilibrio dei toni di voce era la sua specializzazione olimpionica da quando si era messo con David e Bill aveva smesso di perorare la causa della sua morte.
"Come sarebbe a dire che non è il momento?" Protestò il gemello, con una mano sul fianco e un sopracciglio sollevato come a sfidarlo. Provaci, cellula delle mie cellule, a dirmi che non è il momento e vedi che fine fanno tutti quei rasta che ti ritrovi. "Ho scritto il prossimo singolo. Anzi, il singolo definitivo! E' il momento per forza!"
"Non quando la-"
La frase di Tom fu interrotta dal trillo del telefono di David che si mise a cantargli You made me believe in magic nella tasca dei pantaloni. Il biondo si zittì all'istante, in ansia quanto David. E Bill rimase oltraggiato all'idea che il suo annuncio fosse stato irrimediabilmente compromesso da una musica tanto tremenda.
"E' il medico," mormorò David, guardando il display. "Pronto?"
Tom lo seguì con lo sguardo mentre si alzava e prendeva a girare ansiosamente per la stanza. Il biondo cercò di capire cosa stesse accadendo dalla metà di conversazione che gli arrivava mentre suo fratello tentava di comprendere quale ragione avessero mai avuto tutti e due per ignorare lui.
"E come sta?" Disse David. E poi annuì lentamente. "Quanto manca?"
Tom si mise una mano sulla bocca, senza neanche rendersi conto di quanto somigliasse a suo fratello di fronte alla notizia improvvisa di una svendita di Prada a cui non poteva andare.
"Capisco," annuì David. E poi subito dopo: "Quanti scusi?"
Tom trattenne il fiato, chiedendosi cosa fosse successo. Bill continuava a ripetersi che erano stati dei gran maleducati, tutti e due, a non starlo a sentire dal momento che lui aveva una notizia fantastica. Questa telefonata stava durando troppo.
"Ha detto sei?" Ripeté David, un po' colpito. "Beh no, in effetti dalle analisi sembrava dovessero essere la metà."
Tom si ritrovò a pensare che la madre di David stava probabilmente soffrendo molto se avevano previsto per lei ben sei interventi.
"No beh, in qualche modo farò," David continuava ad annuire. "Non è un problema. Sì, sto venendo lì. Parto immediatamente."
Il manager chiuse il telefono e quando, girandosi, si ritrovò davanti Bill pronto a riprendere il discorso dal punto esatto in cui lo aveva lasciato lo fermò sul nascere con un dito di fronte al naso. "Non ora Bill, devo scappare."
Tom si alzò istantaneamente, pronto a seguirlo ovunque. "Vengo con te!" Esclamò, ricevendo da suo fratello l'occhiata fulminante brevettata. Che ignorò.
David gli fece un cenno vago con la testa, come a dirgli che bastava non gli fosse d'intralcio.
"Allora vengo anch'io!" S'impuntò subito Bill. Nessuno degli altri due protestò, essenzialmente perchè uno era troppo nervoso e l'altro troppo amorevolmente in ansia.
David scese veloce le scale, con gli altri due zompettanti dietro, s'infilò in garage e aspettò ben poco pazientemente che salissero tutti e due in auto, Tom davanti e Bill dietro, con la testa tra i loro sedili come un condor particolarmente permanentato.
Durante il viaggio, rimasero tutti mortalmente in silenzio. David perchè era discretamente nevoso, Tom perchè non sapeva decisamente che pesci prendere con la mamma morente del suo manager nonché uomo e Bill perchè, sostanzialmente, non aveva capito una mazza e si riteneva mortalmente offeso perchè nessuno sembrava affatto interessarsi alla sua grande notizia.
La loro meta si rivelò essere molto più vicina del previsto. David parcheggiò in orizzontale su due parcheggi, dimostrando un notevole slancio artistico, quindi corse all'interno della struttura medica con gli altri due che gli arrancavano dietro nonostante avessero gambe ben più lunghe delle sue. I gemelli oltrepassarono le porte automatiche almeno due minuti dopo di lui e, senza leggere nemmeno un cartello, lo trovarono piegato sul banco dell'accettazione che maltrattava la povera infermiera che ci era seduta dietro.
"In quale stanza? Posso già entrare?"
"Signor Jost, si calmi. E' arrivato appena in tempo," stava dicendo la graziosa signorina con la divisa bianca. "E' in fondo al corridoio."
David batté una mano sul bancone quindi si mise a correre nella direzione indicata. E gli altri due sempre dietro. Bill con la faccia scazzatissima e Tom sempre più sconvolto all'idea di incontrare per la prima volta la mamma di David sul letto di morte.
Fu per questo e forse anche per altri motivi che poi gli balzarono agli occhi qualche istante dopo che rimase sulla porta della stanza, con la mascella slogata fin quasi al ginocchio.
La stanza poteva essere effettivamente descritta come una stanza ospedaliera ma laddove avrebbero dovuto esserci la madre di David, un letto, una flebo e dei tubi, c'erano un cane, una cuccia e un mucchio di cuccioli che sembravano topi.
"OH.MIO.DIO CHE CARINIIIIIH!" Cinguettò suo fratello spostandolo praticamente di peso per accosciarsi accanto alla cuccia e guardare lo Shitzu grigio-bianco con gli occhi sbrilluccicosi.
"David, cosa significa?" Chiese Tom, con cautela. Prima di ammazzarlo di botte voleva chiarire la situazione. Forse avevano sbagliato stanza. Forse sua madre in punto di morte aveva chiesto di vedere i suoi cani. Forse la mamma di David era un cane. Qualunque cosa andava bene, purchè la verità dei fatti non fosse davvero quella che pensava.
"Mrs. Marlene ha avuto i suoi cuccioli," sfarfallò David, con gli occhi lucidi e innamorati del neopadre accanto al letto della mogliettina con figlio in braccio. "E stanno bene! Tutti e sei!"
"Questo lo vedo," ringhiò tra i denti il biondo. "E tua madre in fin di vita?"
David, ancora un po' intontito dalla visione dei cuccioli si voltò a guardarlo a fatica. "Cosa c'entra mia madre? E' partita per una crociera ai Caraibi la settima scorsa."
Il manager si accosciò di fianco a Bill e accarezzò la sua Mrs. Marlene con dolcezza, stando ben attento a non toccare i cuccioli gli uni accavallati sugli altri perchè lei avrebbe potuto prenderla male. "Sei stata bravissima," le disse mentre Bill pigolava che erano bellissimi e li contava tutti uno per uno e ricominciava da capo. Erano quattro batuffoli bianchi, uno marrone e uno nero.
"Ma... ma..." Tom nel frattempo balbettava incredulo. "E i pochi giorni che restavano, e i sedativi?!"
David sospirò. "Tom non so di cosa stai parlando," espirò alla fine, tornando ad alzarsi in piedi e ad avvicinarsi al biondo.
"Di oggi! E del muso lungo che avevi!" Sbraitò il ragazzino, mentre il fratello era tutto in agitazione perchè quei cosini rotolavano felici nella scatola che li conteneva. "E mi hai detto che non le restava molto e che ti avrebbero chiamato quand'era il momento!"
"Si ma parlavo del cane!" Esclamò David.
"Tu sei uno stronzo" Gli rinfacciò il biondo, indicandolo pure. "E io che mi sono preoccupato per te! E per tua madre che a quest'ora starà prendendo il sole ad Ibiza!"
"Ibiza è in Spagna, Tom."
"FA' LO STESSO!"
David sollevò entrambe le mani, in segno di pace. "Ok, d'accordo. Era solo per chiarire," l'uomo tossicchiò. "Comunque mi dispiace se hai frainteso-"
"Io non ho frainteso. Sei tu che non ti sei spiegato bene! Eri lì, con la faccia da tragedia, a parlare di ore rimaste e di medici come se stesse morendo qualcuno!"
"Pensavo che lo sapessi che Marlene doveva partorire."
"Io lì' a consolarti per qualcosa di molto più grave e tu zitto, mica mi dici niente! Sei un gran bastardo!"
"Ma come facevo a sapere che per chissà quale motivo pensavi a mia madre, dio santo?"
"Avresti dovuto arrivarci! Non ti sembrava un dolore un po' troppo grande per un cane che partoriva?"
"Beh io al mio cane ci tengo!" Puntualizzò David, tutto convinto.
Tom si spalmò una mano in faccia. "Non ci posso credere. A me quasi viene una sincope per tua madre - che per inciso non ho mai visto - e tu ... non ci credo, davvero."
David lo guardò, lì così tutto imbronciato, che per dispetto non aveva guardato Mrs. Marlene nemmeno una volta, quando invece il cane lo aveva riconosciuto e gli aveva fatto le feste scodinzolando allegramente, pur senza muoversi. L'uomo finì come al solito per trovare immensamente tenero quel ragazzino ancora non troppo adulto che si vergognava di preoccuparsi per lui. Lo abbracciò di getto, intanto che sullo sfondo Bill stava palesemente morendo dalla voglia di tenere una di quelle palline in mano.
Tom borbottò un "Non mi abbracciare stronzo," che venne soffocato dal maglione di David, che se lo stringeva addosso.
"Perchè non vai a salutarla?" Gli sussurrò nell'orecchio.
"Non ci penso nemmeno."
"So che vuoi farlo."
"Non è vero," s'impuntò Tom. Poi, dopo qualche secondo. "E dei cagnolini che ne farai?"
David sorrise. "Vedremo."
Bill nel frattempo era tutto un uggiolare di pigolii estatici di fronte ai sei nuovi arrivati.
Tom sospirò affondando ancora di più nel maglione di David. "Sarà meglio che salvi quelle povere bestie," borbottò.
Fece per staccarsi, ma David lo afferrò riportandoselo addosso. "Grazie," sussurrò.
Tom sorrise.
Personaggi: Tom, David Jost
Genere: Comico
Avvisi: Slash
Rating: PG
Note: Missing moment di "Cuteness is not a good reason" di Yulin - collocabile tendenzialmente ovunque nella storia. Ci sono serate in cui mi dici scrivi, e io mi limito a guardare da un'altra parte. Ci sono serate in cui mi dici scrivi... e ci riesco. Il trucco non so dove stia.
Questa è dedicata ad una Yulin col mal di pancia. Sembra che le toast siano meglio della borsa dell'acqua calda!

Riassunto: Tom, vorresti smetterla per favore?
ABOUT A BOY

"Tom, vorresti smetterla per favore?"

"No"

Ecco appunto.
Quando sei il manager di una band di ragazzini, devi mettere in conto cose triviali come i cambi di umore, gli imprevedibili ritorni ad una mentalità pre-scolare, incapacità non solo di abbassare la seggetta ma di pisciare nella tazza, ubriacature, gravidanze inattese.

Potrebbero sembrare molte cose, ma non lo sono.

Quando sei il manager di una band di ragazzini E l'amante di uno di essi, devi mettere in conto molte più cose oltre a quelle già citate.

La polizia, ad esempio; ma non solo.

Dopo tre mesi di relazione con Tom, David aveva capito tre cose:
uno, Tom non era gay, ergo non avrebbe mai imparato a lavarsi i vestiti da solo.

Stava con lui, forse, ma non era gay. Non aveva proprio la struttura mentale per esserlo. L'errore comune è pensare che la struttura mentale di un gay comprenda essenzialmente il fare sesso con un altro uomo. Se non hai questa mentalità, allora non sei gay.

Quanto di più sbagliato.

Sei gay se, sostanzialmente, sei disposto a prenderti cura della casa - e per cura s'intende non solo abbassare la seggetta del cesso, ma anche lavare i vetri delle finestre e spolverare una volta alla settimana - , se hai delle piante in terrazza, se il tuo cane non è un labrador pieno di fango, ma un labrador che profuma di pulito. Se tu, profumi di pulito.
Se non lasci i calzini sporchi per casa.

Ecco, Tom i calzini li lasciava per casa.
A frotte di quindici o sedici paia per stanza.

Era convinto che la seggetta fosse automatizza e non capiva l'utilità di pulire le finestre.
In quanto alla polvere, se ci soffiavi sopra quella si spostava. Problema risolto.
Tom era l'esempio vivente dell'assenza di struttura mentale adeguata.

Faceva sesso con uomo, sì; era forse gay? Assolutamente no.

Due, Tom non capiva in che situazione si trovasse.
Il rasta, fondamentalmente, comprendeva solo qualche concetto semplice: donne, sesso, cibo, grosse automobili prive di stile.

Quello che non capiva era il concetto di abuso di minore.

Non che David abusasse di lui - anzi! A giudicare dalla quantità di tempo che David riusciva a passare in verticale, invece che disteso su un letto, si poteva ben dire che fosse Tom ad abusare di lui -, non che ci fosse da preoccuparsi insomma. Il punto era che Tom non si controllava.

Che ci fossero le finestre aperte, ospiti in casa.... le telecamere.
Riusciva a mettergli le mani nei pantaloni.
Il che per il SexGott poteva essere controproducente.

Il che per DAVID, poteva essere controproducente.

Vai a spiegare ad un giudice che non sei erroneamente scivolato nel ragazzino, quanto piuttosto ti sei svegliato una mattina e ce lo avevi seduto addosso.
Ecco, una roba così.

Si poteva biasimare un uomo ancora nel pieno delle sue facoltà fisiche se un bel giovane gli si gettava fra le braccia di sua spontanea volontà?
David sapeva che lo avrebbero biasimato a tal punto da rinchiuderlo dieci anni in un posto con le sbarre per biasimarlo ancora meglio.

La terza cosa che David aveva capito di Tom, è che non aveva alcun controllo su di lui.
Ne aveva avuto un po', agli inizi, quando andava ancora alle medie; ma era stato un periodo breve.

Tom faceva sempre di testa sua.
E se nel fare quel che faceva, ti irritava.
Allora lo faceva più forte.

Ecco perché, "Tom, vorresti smetterla per favore?"

"No".

Visto? David mugugnò qualcosa di incomprensibile, in una lingua che non era tedesco ma sicuramente lo era stato un tempo, prima che il manager venisse travolto dalla frustrazione.
Provò a concentrarsi, a chiudere fuori tutti i suoni che stavano arrivando dal posto in cui si trovava Tom, tentò disperatamente di leggere oltre la prima riga del suo libro ma niente.

Sempre quel continuo mugolio interdetto.

E tutto quell'ondeggiare. Quei movimenti.
E le imprecazioni.

"Non potresti farlo nella tua stanza?"
"Non è divertente se non mi guardi!"

"Io non ti sto guardando, sto cercando di leggere!"

"Certo, come no" disse, ridendo. "Lo sanno anche i muri che ti piace guardarmi il culo."

"Non essere così volgare."

"Non posso dire muro?" Ghignò.

E poi di nuovo si mosse e imprecò.
E si agitò.

E David era sempre alla prima riga di quel dannatissimo libro. "Tom, te lo chiedo per favore. Vorrei leggere."

"Non è vero."

"Si che lo è."

"Mi stai guardando."

"No, sto cercando di indurti fuori da questa stanza con la sola imposizione delle iridi."

"Bella prova."

Il biondo si mosse impercettibilmente, ipnotizzato dalle immagini di fronte ai suoi occhi. Allungò le lunghe braccia e le ritrasse, la sua figura si stagliava appena appena circondata di luce nel buio della stanza.

David sospirò, poteva starlo a guardare per ore. Vero.
Ma non quando aveva l'ultimo romanzo di Stephen King per le mani.

"To-om!"

"Da-da!"

"Ci sono giorni che vorrei metterti le mani addosso."
"Sarebbe l'ora, devo sempre fare tutto da solo." Gli fece la linguaccia. E poi mugolò, preso in contropiede. "Dio, dio dio..."

"Già, è quel che dico anche io."

"Perché non vieni anche tu?"

"Sono troppo vecchio per queste cose."
"Non dicevi così ieri sera, con mio fratello."

"Tuo fratello ha un altro modo di giocare."
"Perché non vi piace farlo in piedi."

"Già."

Tom già ansimava, senza fiato. "Merda!" Imprecò. E poi un "Sì!!!"

David roteò gli occhi sorridendo e posò il libro: ormai non c'era più verso di leggerlo. King avrebbe dovuto aspettare. Qualcosa di mediamente pesante gli atterrò accanto, sul letto.

"Sono. Un. Grande." Commentò Tom ruotando i fianchi snelli.
"Questa cosa ti ha preso come una droga."
"Puoi dirlo."

David sollevò il controller che era arrivato volando nella sua direzione. "Dovrei dire a tuo padre che la Wii non è stata una grande idea. Non fai altro che giocarci, e non sei concentrato sul lavoro."

"Tu diglielo e io gli racconto come ti deconcentri tu, giocando con me."

"Sei tremendo."

Tom ghignò.