freddo+roberta

Le nuove storie sono in alto.

Personaggi: Libanese, Freddo, Roberta
Genere: Introspettivo, Romantico, Drammatico, Erotico
Avvisi: Slash, Lemon, What if, Spoiler 01x12
Rating: NC-17
Prompt: Scritta per il P0rn!Fest (prompt: Romanzo Criminale, Freddo/Libanese, "A Libano, guarda che parto lo stesso.").
Note: Questa storia è stata un tormento, più che per me per la mia beta che voleva uccidermi, fare a pezzi il mio cadavere, bruciarne i resti e poi darli in pasto agli alligatori. Fortunatamente è molto buona e non l'ha fatto, così io ho potuto postare.
Ciò detto, la prima parte della scena è ripresa pari pari dalla puntata, io mi sono limitata ad inserire quello che secondo me passava nel cervello dei nostri due uomini, soprattutto in quello del Libanese che qui aveva due occhi meravigliosi e così feriti che quasi mi veniva da piangere. Quasi, perché sono sempre un pezzo di legno.
E tutto il resto è porno, porno, porno...

Riassunto: Se lascia Roma e scioglie la banda, che cosa gli resta? Intorno a cosa stringerà le dita? Ha bisogno di chiudere il pugno e sapere di aver trattenuto qualcosa, che intorno a lui, anche mentre non guarda, in città si ripete il suo nome. Non può più vivere senza tutto questo, perché questo è tutto ciò che ha. Al Freddo, però, non lo spiega perché gli manca proprio il coraggio.
YOU MADE ME WALK OUT THAT DOOR


Libano è stanco, di quella stanchezza che non si ferma in superficie ma affonda fino a raggiungere il cuore e la testa; deriva dal fatto che si guarda intorno e non trova più niente di quello che c'era. All'inizio si trattava soltanto di qualche dettaglio trascurabile, qualcosa che se chiudeva gli occhi e li riapriva non lo notava più e pensava di aver visto male, ma ogni giorno era un dettaglio sempre più importante, finché non hanno iniziato a mancare interi pezzi e allora scuotere il capo e cercare di mettere meglio a fuoco non è più servito. I vuoti che si erano creati erano sempre lì, forse più luminosi di prima, a ricordargli che aveva perso qualcosa anche se non sapeva esattamente cosa perché i contorni di quelle assenze erano vaghi e cambiavano di continuo, come macchie d'olio sull'acqua, come se non fosse veramente soltanto una cosa a mancare, ma un insieme di cose, che di per sé non volevano dire niente, ma che tutte insieme erano una mancanza talmente importante da farsi notare.
Se ci pensa, Libano sa che tutto è cominciato la notte del furto al deposito della polizia, quando ha parcheggiato convinto che sarebbero entrati tutti i in casa sua per festeggiare, mentre gli altri erano già pronti ad andarsene, persi in cazzi loro con cui lui non aveva niente a che fare. Da quel giorno, a piccoli passi, ognuno si è allontanto un po' dagli altri e adesso si guardano, ma da lontano e con attenzione.
La banda è cresciuta, come crescono i ragazzini, che ad un certo punto non sentono più il bisogno di stare in casa e vogliono andarsene per conto loro, in posti e a far cose che tu non sai.
Al Libanese questo non va bene, gli sembra che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato se gli altri hanno una vita loro che non lo comprende, quando per lui l'unica vita è la banda e senza di lei è soltanto un uomo solo con una bella auto che non sa come fare l'alba senza dormire.
Nella sua presunzione si è convinto che la colpa sia degli altri e sta cercando di recuperare pezzo per pezzo quel controllo su di loro che gli sembra di aver perso, ma quello gli scivola fra le dita come sabbia ogni volta che serra il pugno e questo lo fa così incazzare che vorrebbe mettersi ad urlare.
All'improvviso il mondo si è messo a girare a rovescio e a tutti sembra perfettamente normale.
Naturalmente sarebbe tutto più facile se il Freddo fosse lì a dargli una mano, ma quello ha deciso di non esserci perché, da un giorno all'altro, non gli va più bene niente di quello che decide. Per giorni il Libanese chiede di lui, ma nessuno sa dirgli dov'è finché, alla fine, non è costretto ad andare personalmente a casa sua, dove lo trova con Robertina, questa ragazza di cui non si è mai preoccupato ma che adesso, quando gli apre la porta del garage e sussulta di fronte a lui, gli appare come una minaccia, forse la più grossa che c'era e ancora non aveva notato.
Roberta è una cosetta minuta e pulita, graziosa e fine come ce ne sono poche da quelle parti. Lo guarda con un misto di riverenza e di paura che lo riempie di un certo orgoglio; vorrebbe sorridere di soddisfazione, ma i muscoli del suo viso non rispondono quando ci prova, così si limita a chiederle del Freddo.
Roberta si gira per indicare alle sue spalle e lui è lì, appoggiato al muro con l'aria di uno che si aspetta delle spiegazioni. Solo che in questo caso dovrebbe darle lui e Libano ha già deciso che non se ne andrà di lì finché non le avrà ottenute.
“Me lo offri un caffè?” Gli chiede, tanto per dare un senso alla sua presenza in quella casa. In un altro momento forse non ce ne sarebbe stato bisogno, ma l'aria è tesa per le parole che non si sono ancora detti e per la presenza di Roberta che rappresenta quello che entrambi non vogliono affrontare. Il gelo fra loro è così fisico che stavolta ci vorrà davvero qualcosa di caldo per sperare di scioglierlo.
La loro conversazione inizia in modo impersonale, si scambiano convenevoli come se non si conoscessero abbastanza bene per parlare di qualcosa di serio. Il Libanese cerca di essere gentile e gli fa notare che lo trova bene, anche se gli rode che sia così perché sperava di trovarlo a pezzi come si sente lui, non vuole essere solo in quella confusione. Il Freddo con lui è impietoso, invece. Gli dice che non ha per niente una bella cera.
“Non ho chiuso occhio stanotte,” ammette. “So' stato a ragiona'. A cerca' de capi' un po' de cose.”
In realtà, l'unica cosa che ha fatto è stato tirare su coca finché il naso non gli è andato a fuoco nella speranza di riuscire a dormire senza venir tormentato da incubi in cui sua madre gli pulisce casa.
Quando si è svegliato quella mattina, ancora seduto alla sua scrivania, con la faccia piantata nel legno sporco di polvere, ha pensato distintamente per la prima volta che era tutto uno schifo. E quando ha cercato una cosa bella a cui aggrapparsi, gli è venuto in mente il Freddo; è per questo che ora è qui, anche se la voglia che ha nei suoi confronti muta col passare dei secondi. Quand'era a casa voleva solo vederlo, per strada voleva chiedergli conto e ragione della sua sparizione ma adesso che ce l'ha davanti l'unica cosa che vuole è stringerlo a sé e sentirlo sotto le dita. Gli serve sapere che è reale, che non si sveglierà un'altra volta per trovarsi solo a casa come qualche ora prima, ma Robertina è da qualche parte alle sue spalle e li sta guardando. Sente il suo sguardo addosso anche se lei non fa rumore.
“E quali?” Chiede il Freddo. Versa il caffé con disinvoltura e il Libanese non può fare a meno di leggere nei suoi gesti precisi e veloci il desiderio di levarselo dai piedi il prima possibile. Forse la sua paranoia sta aumentando, o non è mai stata tale e questa non è altro che l'ennesima manciata di sabbia che non riesce a trattenere.
Vorrebbe dirgli che stanno andando tutti alla deriva, che l'altra sera s'è ritrovato solo senza sapere esattamente com'era possibile e che tutti – proprio tutti, anche il Freddo – tengono alla banda molto meno di quanto ci tenga lui e che questo lo distrugge, ma vede la propria immagine già fin troppo fragile, fin troppo esposta per poter concedere anche questa debolezza. Io non ho perso niente, continua a ripetersi mentre cerca negli occhi del Freddo un po' di quella felicità di vederlo che si aspettava di trovare e che invece non c'è, sono loro che non hanno capito un cazzo. Sono loro che stanno rovinando tutto. “Che anni de stecca para nun so' serviti a 'n cazzo,” risponde, pescando la prima cosa insensata e inutile e che nemmeno gli interessa davvero. Non sono i soldi che mancano a preoccuparlo. Lo preoccupa il fatto che anche avendone, non sarebbero uniti comunque. “Mezza banda continua a sputtanasse le quote sue, a non investi', a fregasse le quote nostre. E tra frega' e tradi', ce core poco.”
"E che vorresti fa'?” chiede il Freddo. “Radunare tutti sotto ad un pulpito e faje 'na bella predica?”
Quando appoggia la tazzina sul mobile e si volta a guardarlo, i suoi occhi non tradiscono nessuna emozione, nemmeno una per la quale il Libanese possa infuriarsi. La noia potrebbe giustificarla, la rabbia aggredirla, ma il niente assoluto non si può affrontare. Il Libanese odia fissarsi le mani e trovarle vuote proprio di tutto, anche di reazioni.
Sente il sarcasmo di quella risposta strisciargli sotto la pelle e non gli piace. Lui e il Freddo sono sempre stati dalla stessa parte, dal primo giorno che si sono posati gli occhi addosso e anche quando il Freddo gli spiegava qualcosa, lo faceva da pari a pari, col rispetto che si dovevano a vicenda. Ora il Libanese lo sente così distante che quel sarcasmo gli sa di superiorità, una cosa con la quale non riesce a venire a patti a meno che non sia la sua. “Metterli a libro paga,” risponde con una punta di rabbia. “Da ora in poi, tutti a stipendio fisso e il resto gestito dal Secco.”
A quelle parole il Freddo si volta e sul viso gli passa un barlume di interesse. Il Libanese lo riconosce nel corrugarsi delle sopracciglia e negli occhi che si assottigliano come alla ricerca di un particolare che gli era sfuggito. “A stipendo fisso?” Chiede, incerto. Quando chiude il frigorifero lo fa con un gesto secco che fa tintinnare i barattoli di vetro all'interno. Lo sbuffo che gli scappa di bocca si porta via la sua maschera di disinteresse e quel distacco che, a quanto pare, ha soltanto finto di tenere. Nonostante stia palesemente per essere contraddetto, il Libanese ha un tuffo al cuore perché vuole vederlo vivo e rabbioso e pronto a farlo ragionare come ha sempre fatto. Vuole sentire gli occhi disapprovanti del Freddo sulla pelle, vuole sentirlo dire che è una stronzata, e vuole potergli rispondere di andare a fanculo. Qualunque cosa purché questa sia una conversazione vera e non solo uno scambio di convenevoli dei quali non frega niente a nessuno. “E se Bufalo se vole cambia' er Ferari? Se a Scrocchiazeppi je serve 'na casa più grossa?”
“Me dovranno chiede' il permesso e dovranno esse' molto convincenti,” risponde, pensando che è proprio quello che dovranno fare tutti quanti. Visto che sono stati così coglioni da mandare in malora quello che avevano, sarà lui a decidere per loro. La banda non vuole capi, ma una testa dovrà pure averla se loro non ce l'hanno. Prova ad osservarlo dal basso verso l'alto, cercando un'intesa che però non trova. Gli occhi del Freddo sono duri come al solito ma non è abituato a non saperne sopportare il peso. Non sa cosa sia successo, però, se è stato lui a crescere e il Freddo a rimanere indietro oppure il contrario.
“E tu come pensi de convincerli, eh?” Dice, e il tono si fa leggermente più teso perché Libano non lo guarda e fa pure una fatica assurda a non farsi trascinare da quella voce. “L'unica cosa che li tiene uniti è sputtanasse tutti i soldi.”
“E allora che dovrei fa'?” Gli chiede ad occhi bassi, perché è chiaro che una soluzione lui non ce l'ha ma non ha neanche il coraggio di chiedergliela. Anzi, non dovrebbe proprio doverlo fare. Il Freddo di prima l'avrebbe cercata da solo, l'avrebbe aiutato a risolvere senza farsi pregare. “Ammazzarli tutti come i Bordini?”
“No,” risponde subito il Freddo e la sua voce si fa di nuovo così calda che Libano torna a guardarlo e quando i loro occhi si incontrano, per la prima volta restano a guardarsi. Libano si sente tanto bene con quegli occhi addosso che quello che arriva dopo non se lo aspetta ed è come una doccia fredda. Si sveglia di nuovo ma non c'è sua madre che pulisce, non c'è casa sua, c'è sempre il Freddo nel garage ma è come se la conversazione fino a quel momento se la fosse sognata e stesse andando in una certa direzione soltanto perché lui voleva così. Invece il Freddo pensa cose diverse dalle sue, che sono uguali a quelle che pensano tutti gli altri. “Chiude' la baracca fino a che sei in tempo. Dividi l'utili e ognuno pe' la strada sua.”
Il Libanese lo guarda ed è così sconvolto da quello che il Freddo gli dice che non pensa nemmeno più a quanto è strano il suo sguardo, o a quanto s'è sentito strano lui trovando tutto cambiato anche in quel garage, che era l'unico posto in cui sperava le cose fossero rimaste le stesse. Pensa solo che il Freddo non può davvero avergli detto questo perché la banda sono loro – tutti loro, certo, ma soprattutto lui e il Freddo che l'hanno formata nel senso pratico della parola. Se questa banda esiste è solo perché lui e il Freddo si sono guardati e hanno pensato che insieme sarebbero stati grandi. Sono grandi.
Se scioglie la banda non è la banda che si separa.
“Scioglie' la banda?” Chiede con un filo di voce che deve tirare fuori a forza dal fondo della gola. Dovrebbe dirgli subito qual è il motivo per cui non si può, ma il Freddo lo guarda e annuisce come se non fosse la fine di tutto, e allora lui decide di non farlo e di sbattergli in faccia quello che hanno conquistato, anche se sa che al Freddo delle conquiste non è mai fregato un cazzo. “Mo' che siamo i padroni de Roma?”
“Ora che semo ancora vivi,” puntalizza il Freddo e lo fa guardandolo dritto negli occhi. “O vuoi aspettare che i soldi spariscano del tutto, eh? O che cominciamo a sparasse tra de noi, uno co' l'altro?”
Una parte del Libano sa che ha ragione, che se prendessero tutto quello che hanno guadagnato fino a ora e sparissero, potrebbero vivere tutto il resto della loro vita senza fare più niente e magari, levandosi di mezzo, nessuno darebbe più loro fastidio. Sa che già adesso le cose non vanno bene, e che di giorno in giorno non fanno che peggiorare, senza che lui riesca mai a metterci una pezza. Prima Scrocchiazeppi, poi i Buffoni e ieri i Bordini. Gli ultimi è stato facile ammazzarli, non erano della banda, ma gli altri? Si sono salvati perché gli vuole bene, ma per quanto ancora durera quest'affetto che ora gli ha fermato la mano ma gli fa tanto male da strappargli il cuore?
Se lascia Roma e scioglie la banda, che cosa gli resta? Intorno a cosa stringerà le dita? Ha bisogno di chiudere il pugno e sapere di aver trattenuto qualcosa, che intorno a lui, anche mentre non guarda, in città si ripete il suo nome. Non può più vivere senza tutto questo, perché questo è tutto ciò che ha.
Al Freddo, però, non lo spiega perché gli manca proprio il coraggio.
Quando lo guarda negli occhi e non ci trova niente – assolutamente niente – di quello che invece sa esserci nei suoi, non se la sente di esporsi. Non vuole aprire bocca e ammettere cose di cui potrebbe pentirsi.
Lo guarda mentre continua a ripetere che il momento di mollare è quando si vince, ma la voce del Freddo è un'eco lontana che non ha più importanza mentre si rende conto che è qui che glielo dirà, che è su questo tavolo che forse chiuderà proprio col Freddo prima di chiudere con tutti gli altri che si sono comportati anche peggio di lui. Le parole ce l'ha sulla lingua, ordinate, in attesa, quello che deve fare è soltanto aprire la bocca e lasciarle uscire. Lo fa quasi con rassegnazione. “La banda nun se po' scioglie' Fre'. Avemo fatto n'accordo coi servizi sergreti.”
Il Freddo non risponde e sposta lo sguardo ovunque tranne che su di lui.
Ha sempre un modo pacato di affrontare la rabbia, la accoglie e la processa finché non è sicuro di poterla utilizzare a proprio vantaggio, ma stavolta nemmeno lui sembra capace di gestirla. Lo sforzo che sta facendo per trattenersi gli tende il viso e gli incrina la voce, lo costringe ad alzarsi e a raccogliere velocemente tutti gli oggetti che trova. Quando finalmente posa gli occhi su di lui, si sta già allontanando dal tavolo. “Avemo chi?” Chiede ironico.
Libano deglutisce piano. Fosse un altra persona, un altro momento – fosse un altro se stesso, forse – le cose sarebbero diverse, ma adesso deve essere sincero anche se le conseguenze di quello che sta per dire saranno più disastrose di qualunque cosa gli riservi il futuro da qui in poi. “Io e er Dandi pe' usci dar gabbio.”
Il segreto gli libera lo stomaco, ma non per molto. La sensazione dura giusto il tempo che ci mettono le parole ad arrivare alle orecchie del Freddo, poi il suo sguardo si riempie di una delusione che in tre anni non c'era mai stata, nemmeno quando Libano faceva di testa sua sfidando l'autorità di tutti gli altri, e allora il peso ritorna, più grosso di prima.
“E quanno cazzo pensavi de dimmelo?” Chiede il Freddo, e la rabbia fa capolino dietro ai suoi denti e nel modo in cui i suoi occhi scuri ora gli si posano addosso con la chiara intenzione di fargli del male.
Ci riescono perfettamente perché il Libanese non è abituato a farsi guardare in questo modo da loro. Rimane inchiodato sul posto. Lui che non ha paura di niente, ora ce l'ha perfino di sollevare la testa. E' un fruscio indistinto alle sue spalle a dargli modo di sfuggire a quegli occhi e, quando si gira, incontra l'espressione incerta e a disagio di Roberta che è sempre stata lì e loro non se ne sono nemmeno accorti.
“Io devo fare delle commissioni,” mormora. Le sue parole sono assolutamente fuori luogo in quella discussione, rimbombano nel garage semivuoto e li costringono a mettere da parte quello che sta avvenendo fra loro per dare retta a lei, che è in parte ciò che è sempre avvenuto da quando il Freddo le ha posato gli occhi addosso, in un momento inopportuno in cui il Libanese li aveva già messi addosso a lui.
Il Freddo annuisce e lei lo imita senza alcun motivo. “Ciao,” aggiunge poi, rivolto a lui che le fa un cenno del capo.
Rimangono immobili così come sono finché la porta non si richiude con un tonfo e allora il Freddo gli passa vicino a passo spedito e lui lo afferra e lo trattiene.
“'A Fre' ma 'ndo sta er problema?” Ci prova a dirlo in tono sicuro, ma la frase non gli esce spavalda come sarebbe stata in passato. E in fondo non sta affatto cercando di fargli digerire qualcosa che farà comunque a tutti costi, sta chiedendo scusa per ciò che non ha potuto fare a meno di fare. “L'avemo sempre fatto, no? Con la Camorra. Con la Mafia. Prima se semo alleati e poi je l'avemo messo ar culo.”
“A sto giro te lo sei messo ar culo da solo, io me ne vado.”
Il Freddo lo dice così, in un unico sbuffo di fiato, e l'umore del Libanese cambia all'istante. Torna se stesso e si dimentica dei servizi segreti e di tutto quello che è avvenuto negli ultimi giorni. Qualunque cosa perde importanza di fronte alla possibilità concreta che il Freddo si allontani. “'Ndo cazzo vai, te?”
“Parto,” ripete lui con più chiarezza, disposto a dirglielo altre cento, dieci, mille volte se necessario pur di farglielo capire. “Chiudo e te dico addio, Libano.”
Addio è una parola inaccettabile detta da quella bocca. Il Libanese questo pensiero, però, non lo processa nemmeno, agisce e basta. E' un moto di stizza quello che lo spinge ad alzarsi e a serrare le dita intorno al braccio del Freddo per poi sbatterlo contro la penisola e lì inchiodarlo con entrambe le mani.
Il Freddo geme di dolore, ma non può muoversi perché il corpo del Libanese lo schiaccia contro il piano di legno che gli punta dritto in mezzo alla spina dorsale. “Che cazzo fai?” Chiede a fatica.
Lo sguardo che il Libanese gli lascia scorrere addosso è una risposta sufficiente che non ha bisogno di nessuna spiegazione. Tra loro due c'è un non detto che riempirebbe ben più delle due pagine che ha scritto in galera per Robertina e tanta – troppa – voglia insoddisfatta nonostante quello che si sono permessi senza mai davvero riconoscerlo.
Le mani di Libano trovano subito la strada sotto la sua maglietta e gli stringono i fianchi seguendo la traccia delle impronte che ci ha già lasciato. La sua pelle si scalda sotto le sue dita e ne riconosce la stretta, si modella sotto i suoi polpastrelli e rabbrividisce al primo accenno di carezza.
Schiude le labbra e vorrebbe dirgli di fermarsi, ma il Libanese gli solleva gli occhi addosso e basta l'ordine che vi legge dentro a farlo rinunciare. Accoglie invece la sua lingua quando Libano si china a baciarlo e lo fa prendendo possesso della sua bocca come ha già preso possesso del suo corpo, e in un attimo il Freddo non ha più il controllo di niente.
Libano ha un modo tutto suo di fare l'amore e il Freddo non lo ha compreso subito. C'è voluto del tempo perché riconoscesse il modo brusco che ha di toccarlo come il tentativo di essere gentile.
Lo spoglia quasi strappandogli tutto di dosso e il Freddo deve stargli dietro, assecondare i suoi movimenti, se vuole evitare che gli sloghi una spalla mentre gli toglie il maglione.
Il Freddo gli accarezza le guance ruvide, lascia baci più lenti e languidi sul suo viso stanco nel tentativo di rallentare quel momento che altrimenti si brucerà in un attimo con tutta quella irruenza ma Libano non vuole essere fermato, ha furia di mettere le mani ovunque, come sempre, e lo trascina quasi di forza verso il letto, lasciandosi dietro una scia di abiti aggrovigliati.
Cade di peso tra le lenzuola ancora sfatte e la prima cosa che sente è il profumo di Roberta, fortissimo e dolce; lo sente anche Libano, ma sulla sua pelle, riconoscendo finalmente quella traccia sconosciuta che lo ha aggredito mentre lo annusava in cucina. Ringhia e lecca via il fantasma di lei sulla sua pelle, un centimetro alla volta, lasciando il Freddo libero di strusciarsi contro il suo corpo, in cerca di un sollievo che non gli vuole ancora dare.
Il Freddo è scarmigliato e rosso in viso per il modo in cui Libano lo ha trascinato fino a lì quasi per i capelli. Ha appena il tempo di respirare che l'altro segue a ritroso la scia umida che a disegnato e risale a baciarlo, togliendogli la capacità di pensare a quello che stanno facendo, ma anche il fiato e la forza di fermarlo se mai davvero lo ha voluto. Si lascia andare alla prepotenza del Libanese come ha sempre fatto in tutte le situazioni, cercando di limitarla con le carezze quando si fa troppo violenta e di sfruttarla a suo vantaggio quando nell'irruenza di stargli addosso, Libano gli si spinge contro e gli fa vedere le stelle.
Quando finalmente gli infila un ginocchio fra le cosce per fargliele aprire, il Freddo gli obbedisce senza nemmeno starci a pensare e al Libanese basta questo per decidere che può andare avanti a fare come dice lui.
La mano che gli pianta tra le gambe non è più gentile di quella che lo ha toccato finora, dispensa carezze così strette che quasi fanno male, ma il Freddo le insegue comunque, spingendo disperatamente il bacino in avanti, tremando quando le dita del Libanese sfiorano la punta e minacciano ogni volta di abbandonarlo, prima di tornare indietro e stringere alla base, strappandogli un altro gemito incontrollato che a stento riesce a trattenere per decenza tra i denti.
Libano gli incombe addosso, non lascia respirare neanche un centimetro di pelle, si è allungato su di lui come ha fatto con la sua vita e ora è tutto ciò che occupa la sua visuale, tutto ciò che può sentire sotto le dita, così quando si allontana, l'assenza di calore è quasi insopportabile.
Spalanca gli occhi e allunga le mani, tenta di riportarselo addosso ma il Libanese torna giù solo per baciarlo un'ultima volta prima di entrare in lui, e il bacio è così intenso e tenero e così straordinariamente tranquillo per i suoi standard che al Freddo quasi fa paura perché non vuole nessuna gentilezza. Soprattutto non ora. Per questo gli stringe forte la spalla, affondando le dita nei muscoli, per veder riaffiorare la rabbia negli occhi del Libanese, che allora ringhia e si spinge dentro al suo corpo con la violenza che stava cercando, così può serrare forte le ginocchia intorno ai suoi fianchi e concentrarsi solo sul dolore dei denti che gli stringono la pelle e delle spinte che sembrano aprirsi una strada troppo profonda. Non deve pensare a nient'altro, non deve scusarsi di niente con nessuno. E' solo la rabbia e la voglia che sono esplosi, e non è nient'altro.
Il Libanese lo sente gemere e lo guarda, trovandolo bello come non ha mai fatto perché in effetti non si è mai permesso di osservarlo in questo modo prima.
Vorrebbe che quel momento durasse in eterno, non solo perché è il primo attimo da settimane in cui sta davvero bene e non sente nemmeno il bisogno di tirare, ma anche perché in questo modo non dovrà affrontare conseguenze di nessun tipo. D'altronde non è mai stato disposto ad affrontarne quando si è trattato del Freddo. Piuttosto si perde nel calore del suo corpo, nell'abbraccio un po' ruvido e goffo che si stanno scambiando e mentre, spinta dopo spinta, sente avvicinarsi un orgasmo che gli sembra di inseguire da sempre, cerca i suoi occhi, cerca di riprendersi ciò che del Freddo è suo e che si è perso in questa cucina, in questa casa, chissà dove e chissà con chi in questa città mentre lui non guardava.
Il Freddo geme di piacere tra le labbra appena dischiuse, cerca di avvisarlo, prima che il suo corpo formi un arco perfetto sotto a quello del Libanese, ma lui non ha bisogno di quel sussurro, né della stretta delle sue dita intorno alle braccia che poi scioglie in una carezza che scivola piano fino ai suoi polsi. Il piacere del Freddo lo ha sentito montare attraverso i brividi della pelle sempre più intensi, dal fiato sempre più corto e dal tremolio appena accenato delle palpebre chiuse. Sa leggere il suo corpo, lo conosce a memoria, così può stringerlo tra le gambe un'ultima volta, appena prima di seguirlo con una spinta più profonda delle altre, che si gode a pieno, lasciandosi scivolare fino in fondo, chiudendo gli occhi e inspirando il loro profumo sul corpo che ancora freme tra le sue dita.
Il mondo riprende ad esistere solo quando il loro respiro si calma e si ritrovano a respirarsi addosso, così vicini che è impossibile guardarsi davvero. La prima occhiata del Libanese dopo il sesso è sempre velata da una buona dose di confusione di fronte alla quale il Freddo si concede un sorriso nostalgico. Vorrebbe aprire bocca e parlare, ma non sa come farlo. Tutte le parole che potevano scambiarsi sembrano rimaste in cucina; se le immagina cadere a terra, pesanti com'erano, mentre il Libanese lo sballottava di qua e di là prima di trascinarlo sul letto. Le cerca sul pavimento e quasi si dispiace di non trovarle. La verità è che ce le ha tutte piantate in gola e non vogliono uscire. E' il Libanese a tirarle fuori, quando allunga un braccio e gli accarezza il collo e le labbra, gli manda di nuovo brividi così forti lungo la schiena che il Freddo è costretto a spalancare la bocca e a lasciarle uscire, altrimenti sa che rimaranno là per sempre fino a soffocarlo. “Libano, io parto lo stesso,” mormora. Rimane fermo e aspetta, come un animale impaurito di fronte ad un'auto che gli sta venendo incontro, finché Libano non si solleva e lo guarda dritto negli occhi cercando cose che non c'erano più, nemmeno prima che finissero di nuovo a letto insieme. C'è l'amore, quello sì – lo pensa ora che sta per abbandonarlo, quando non è mai riuscito a pensarlo prima – e c'è anche la voglia di aiutarlo ma non più quella di restare. Roma gli fa paura e se Libano resta, gli fa paura anche lui.
L'espressione sul viso del Libanese si fa subito più consapevole e al tempo stesso così triste che il Freddo vorrebbe rimangiarsi tutto quanto, anche se non può e non deve farlo.
Costringersi a rimanere in silenzio aspettando una reazione qualsiasi da parte sua è un atto di forza che non è proprio sicuro di poter affrontare, non quando Libano lo guarda con quegli occhi lì. Ha un'espressione che non gli ha mai visto addosso, perché è quella che ha sempre protetto dietro al muro di spavalderia che hanno appena fatto a pezzi fra quelle lenzuola.
Libano non è mai stato così debole, mai così fragile, e il Freddo sa di aver appena distrutto quel poco che ancora di lui era rimasto intatto. “Non è roba de oggi, Fre'. E' da un po' che ce stavi a pensa'”. La sua voce trema e il Freddo si stupisce che non la nasconda. Ogni parola gli esce di bocca spezzata e non gliene frega niente. Tutto ciò che fa è fissarlo, e dirgli in faccia cose che dimostrano quanto bene lo conosca, cose che il Freddo non può negare anche se non ci sono prove per sostenerle. “La squinzia tua te diceva: prendemo un aereo, ripartimo da zero, vero?” Il Libanese parla di Roberta con delicatezza, ma lo fa con dolore.
La gelosia che prova nei suoi confronti non è che un'ombra sottile nel tono che usa, tutto il resto è fatto di sentimenti che il Freddo non ha mai intuito e che, forse, non coglie nemmeno ora che ce li ha davanti. C'è tanta di quella rassegnazione, nelle sue parole, che è costretto a deglutire e a respirare forte nella speranza che l'aria fredda e soffocante che si respira in quel garage possa fargli ingoiare anche le lacrime che non ha più voglia di trattenere.
Ma la colpa non è di Roberta, di questo il Freddo è sicuro. Non è lei ad averlo trascinato lontano da ciò che voleva, e non è stato nemmeno il Nero per quanto gli abbia dato un attimo di tregua dai problemi che il Libanese si tira dietro sempre, qulunque cosa faccia. “No, Libano, er biglietto in mano me ce l'hai messo te.”
Lo ha fatto quando ha cominciato a mettere in mezzo gente pur sapendo che lui non approvava, quando ha cominciato a volere troppo, quando ha perso di vista il progetto che insieme avevano creato e che in principio era tutto un'altra cosa. Freddo ha come l'impressione che Libano sia andato avanti senza di lui, in una direzione che avevano concordato di non prendere mai. Chissà se se lo ricorda.
Sospira e in quell'attimo il Libanese ritrova il suo orgoglio, anche se non è più quello di un tempo e ha forza sufficiente solo a piegargli in basso le linee delle bocca e ad indurirgli il mento, gli occhi rimangono tristi e spaesati e il contrasto è così forte che il Freddo deve stringere i pugni e ficcarsi le dita nei palmi per non scattare a stringerselo di nuovo addosso quando Libano si alza e si riveste in fretta.
“Dico ar Secco de preparatte i soldi,” è la prima frase che dice dopo un silenzio lungo minuti interi nei quali anche il Freddo si è vestito per evitare ad entrambi l'imbarazzo di guardarsi. E' stata una scena ridicola mentre si davano la schiena e si rimettevano i pantaloni, ognuno concentrato sul respiro dell'altro, nella speranza di cogliere un cambiamento che annunciasse qualche parola.
Il Freddo annuisce, anche se dei soldi non gli frega niente.
Gli corre dietro, un passo dopo l'altro, quando si allontana, ma Libano non si volta e lui non lo ferma. Fanno solo la strada insieme per l'ultima volta e quando la porta si apre, sulla soglia c'è Robertina.
L'occhiata che si lasciano addosso è un addio, e Freddo pensa sia giusto che alla fine quello scambio avvenga proprio tra loro due, mentre una entra e l'altro esce da casa sua come dalla sua vita.
Personaggi: Libanese, Freddo, (nominata) Roberta
Genere: Introspettivo
Avvisi: What if, Slash, Fluff
Rating: PG
Prompt: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.83: questa foto).
Note: Io di questa storia mi vergogno molto perché so che non sta né in cielo né in terra, e che la serie è fatta in modo tale che non mi sarebbe dovuto passare nemmeno per l'anticamera del cervello di scrivere cose simili, ma tanto sapevo che alla fine avrei ceduto perché stavo coccolando la possibilità da troppo tempo per non farlo. Non oso pensare a cosa succederà ora che al primo what if ne è seguito un altro. Non finiranno mai, io lo so. E da questo all'AU il passo è breve. Tragedia...

Riassunto: Lo lasci solo mezz'ora e quello s'addormenta.
SOMETHING RIGHT (for a change)


Il Freddo entra in casa e chiude la porta piano.
Il silenzio immobile che pesa sull'appartamento gli fa pensare che sia vuoto e, visto che non dovrebbe affatto esserlo, mette mano alla pistola che tiene infilata nei pantaloni per sicurezza. Avanza in salotto e maledice il giorno che ha comprato quel posto perché è un unico grande spazio aperto che, al confronto, il suo vecchio garage era più facile da controllare, con una sola via d'accesso tra la zona in cui dormiva e quella in cui smontava le auto rubate. Qua non ci sono punti per ripararsi. Non si può difendere una casa del genere, e proprio non capisce perché il Libanese si ostini a non fargliela vendere, tanto ha comunque bisogno di trovarne una più grande perché là dentro non ci stanno più tanto comodi.
Avanza verso il corridoio che porta alle camere da letto con attenzione, seguendo automatismi ormai collaudati dei quali nemmeno è consapevole. Ha imparato a muoversi con un'arma in mano quando era un ragazzino e non ha più smesso da allora; stringe le dita intorno all'impugnatura e deglutisce, abbassando il ritmo del proprio respiro per non coprire neanche il minimo suono. Si appoggia alla parete e apre la porta della stanza sua e di Roberta, spingendola con la mano bene aperta. Aspetta qualche secondo, per vedere se qualcuno è pronto a sparare, ma non arriva niente.
Si sentono gli uccellini cinguettare dagli alberi in giardino e poco altro. Così si affaccia con cautela e cerca di cogliere tutta la stanza con una sola occhiata, così da essere pronto a reagire, ma non c'è niente e nessuno ad attaccarlo. Tutto quanto è come l'ha lasciato, tranne il Libanese che stava guardando la tv e invece ora dorme sul suo letto, russando anche un po'.
Lo indica con la mano aperta anche se lui non può vederlo e rimette la pistola al suo posto con un sospiro. Libano occupa quasi metà del letto perché è eccessivo perfino quando dorme e allora si allarga, gambe e braccia, fino a coprire tutta la superficie a sua disposizione; accanto a lui, rannicchiata contro il suo fianco, c'è la bambina che si succhia il pollice e non dovrebbe farlo. Roberta non ne sarebbe contenta. D'altronde non dovrebbe nemmeno dormire a quest'ora, perché altrimenti stanotte farà dannare sua madre, ma il Libanese non si preoccupa di questo – tanto quella mica ucciderà lui – né del fatto che dovrebbe essere sveglio soprattutto lui perché la bambina ha solo due anni e non può certo pensare a se stessa da sola.
In realtà la responsabilità sarebbe del Freddo, visto che doveva occuparsene lui mentre Roberta era a lavoro, ma le formiche di Trastevere hanno alzato la voce e qualcuno doveva andare a zittirle, qualcuno di grosso che potesse davvero parlare in nome del Libanese, costretto a fare poco o niente con Scialoja che gli alita sul collo anche se solo esce a prendere una boccata d'aria.
Libano non è uno a cui affidare i bambini, non tanto per lui in sé – che ha abbastanza correttezza nei suoi confronti da non fare cose inappropriate quando la piccola è nei paraggi – ma per il fatto che è pericoloso, che da un giorno all'altro qualcuno potrebbe decidere di fare irruzione nel posto in cui si trova e farlo fuori. Se proprio deve lasciare sua figlia a qualcuno mentre va in giro a spezzare ginocchia, forse Freddo potrebbe lasciarla ad Angelina che è più pratica o alla madre di Roberta, ma la verità è che la prima non gli piace, e lui non piace alla seconda. Libano non è la scelta migliore, ma è quella che lui preferisce, perché in fondo di Libano si fida, anche se in questo momento lo fa un po' meno, visto che lui è entrato in casa e quello nemmeno se n'è accorto.
“Lo lasci solo mezz'ora e quello s'addormenta,” borbotta, togliendosi il cappotto e appoggiandolo su una sedia. Si allunga sul letto per recuperare la bambina, ma non fa in tempo a raggiungerla che le dita del Libanese serrano la presa che hanno sulla caviglia di lei. “Ma sei sveglio?”
L'uomo apre gli occhi di scatto e per un istante lo fissa intensamente come se non riuscisse a mettere a fuoco quello che ha davanti, il che probabilmente è anche vero. “Sei tu,” dice soltanto, con la voce impastata. Si guarda intorno, abbassa lo sguardo sulla figlia del Freddo che dorme pacifica e che di tutto quello che è avvenuto negli ultimi dieci minuti non sa nulla, quindi torna a guardare lui serissimo. “Nun t'avvicinà senza avvertimme.”
Il viso del Libanese si distende sempre durante il sonno, così ora il Freddo può assistere alla lenta metamorfosi delle sue labbra che si imbronciano, del naso che un po' si arriccia e delle sopracciglia che si aggrottano, dandogli nuovamente un'aria incazzata. “Questa è casa mia,” gli fa notare. “E quella è mi' fijia.”
“Sì, ma tu nun t'avvicinà lo stesso mentre c'ho li occhi chiusi e lei sotto mano,” ribadisce il Libanese, senza smuoversi di un solo centimetro dalla sua posizione. “Potrei reagì male.”
Il Freddo non si lascia impressionare, anche perché il Libanese dice un mucchio di stronzate, quindi a stargli dietro potrebbe perdere la strada per tornare a casa. Recupera la bambina dal letto e quella apre gli occhi piano come ha fatto il Libanese, con la stessa smorfietta addormentata.
Non è che come padre sia un granché, lui. Quando Roberta gli ha detto di essere incinta – è successo poco tempo dopo che Libano lo ha convinto a rimanere a Roma con lui – il Freddo ha cominciato a fare un incubo dietro l'altro, immaginandosi cose tremende, tra le quali una strage nell'appartamento del Libanese, durante la festa del primo compleanno del suo primogenito. Nel suo sogno c'era tutta la banda al completo, e finiva con i tappeti ricoperti di sangue. Si è svegliato con l'ansia e i sudori freddi e ha pensato di dire a Robertina che non era cosa, che lui non poteva fare il padre, che non sarebbe stato un bene né per lei né per quel bambino che aveva il diritto di nascere in un posto migliore di Roma quando la comandavano loro.
Solo che non ha avuto il coraggio di aprire bocca, un po' perché non voleva deludere Roberta – che era felice in una maniera che lui non comprendeva – e un po' perché non c'era modo per lui di riuscire ad allontanarsi da Roma senza Libano, non dopo che quello l'aveva fatto restare la prima volta. Non dopo che dividevano ancora il letto, nonostante la presenza di Roberta nella sua vita.
Ci ha rimuginato sopra per giorni, finché qualcuno non ha deciso per lui e quel qualcuno, manco a dirlo, è l'uomo che adesso lo sta seguendo in cucina, grattandosi la pancia mentre lui si aggira tra i mobiletti in cerca di qualcosa da mangiare. Freddo lo ricorda benissimo. Il Libanese è entrato in casa sua e si è piazzato a gambe larghe sulla sedia di cucina, la stessa sulla quale è seduto anche in questo momento, e lo ha fissato finché il Freddo non si è sentito a disagio – cioè praticamente quasi subito – e gli ha chiesto cosa c'era che non andava. Il Libanese ha appoggiato i gomiti sul tavolino rotondo e ha detto: “Se da quarche parte te trovo bijietti pe' lascià Roma, te spacco le gambe, così poi te ne vai striscianno.” Il freddo ha smesso di preparare il caffè e un po' ha deglutito. “Ma de che stai a parlà?” Ha chiesto, fingendosi ignaro di tutto.
“Nun fa er cojone co' me, perché nun è aria. Tu er pupo lo tieni e je stai pure 'ntorno quanno cresce, che se tanto tanto me viè da pensà che te ne voi di novo annà, te a vedi co' me. Ce semo intesi?”
Quella è stata la prima e unica minaccia che il Libanese gli abbia rivolto in cinque anni, ma è stata sufficiente e il Freddo è rimasto; mai si sarebbe immaginato che Roberta lo dicesse anche a lui per avere qualcuno che le parasse le spalle. S'è fatta un sacco furba.
Alla fine la bambina è nata e il primo compleanno lo hanno davvero festeggiato a casa del Libanese che se n'è fregato altamente delle sue paranoie e ha preteso di ospitare la festa della sua figlioccia. Quando sono arrivati, l'appartamento era tutto pieno di palloncini e c'era il Bufalo con un bicchiere di aranciata in mano senza sapere cosa farci, o cosa fare di se stesso ad una festa senza né droga né donne. “A questo a pupetta je dà alla testa più della coca,” ha commentato con la voce roca e il viso imbronciato, indicando il Libanese che inghiottiva pizzette una dietro l'altra.
“Da' qua che te vedo impedito,” il Libanese spezza l'incantesimo dei suoi ricordi e gli toglie la bambina dalle mani. Lei si siede tranquilla sulle sue ginocchia, infilandosi il pugno in bocca. “Allora, com'è andata?”
“Tutto liscio come l'olio,” risponde e solleva trionfante il barattolino di pappetta alla mela che Roberta ha avuto l'accortezza di lasciargli sul bancone della cucina con un biglietto – Falle fare merenda! – ma che lui non ha visto se non dopo una ricerca di venti minuti.
“Chi te sei portato dietro?” Chiede il Libanese, mentre la bambina disegna con la bava sul tavolino. Questo è il motivo per cui il Dandi ha giurato sulla sua culla, il giorno stesso che è nata, che non vuole avere a che fare con lei prima dei dodici anni. Sia mai che gli sporchi le camice di Ivve San Lorant.
“Er Bufalo, c'aveva voja de menà le mani,” risponde il Freddo, che tiene il barattolino della pappetta con due dita, come se gli facesse schifo. E in effetti gli fa schifo, preferirebbe sparare in testa a qualcuno. Dare da mangiare ai ragazzini non è roba da uomini. “Sta ancora là a spezza' le ossa a uno. L'ho lasciato che se divertiva.”
Libano annuisce con aria pensierosa. “Ce vole un po' de movimento ogni tanto,” commenta. “Ce stamo a 'nfiacchì.”
Freddo si è seduto e sta cercando di centrare la bocca di sua figlia con il cucchiaino pieno di pappa. Per qualche motivo gli sembra la cosa più difficile che abbia mai fatto in vita sua: la pappa cade, lei si distrae, e sono più le volte che le sporca la faccia che non quelle in cui effettivamente riesce a nutrirla. Assottiglia gli occhi e fa una mezza smorfia, prima di sospirare per ritrovare la calma che sente scivolare via lentamente. “Nun peggiorà la situazione. Ho già abbastanza problemi de mio, senza bisogno che me ricordi come ce semo ridotti. E te apri sta bocca, pe' piacere. Ma come fa tu' madre a sopportatte tutti i giorni?”
La bambina non lo ascolta, in compenso si volta a guardare il Libanese, che però si è perso a fissare le mensole della cucina.
“Te ricordi? Amo deciso qui che tenevamo 'sta creatura,” commenta con un mezzo sorriso.
Freddo smette di imboccarla per guardarlo un secondo con un sopracciglio sollevato. “Amo? Avete deciso, tu e Roberti'.”
Libano stavolta ride. “E' stata un sacco convincente, nun potevo dije de no.”
Robertina non ha avuto nessuna paura, il giorno che si è presentata al bar di Franco, con addosso il suo bel cappotto a costine marroni e la borsa ben stretta in mano. Ha ignorato l'uomo che dietro il bancone già l'avvertiva che il Freddo non c'era e si è immersa nell'aria fumosa della sala da biliardo, cercando con lo sguardo il Libanese, seduto al tavolo del poker.
Lei e quell'uomo sono venuti a patti quando hanno capito che nessuno dei due avrebbe mai spodestato l'altro dal cuore del Freddo, così hanno instaurato un rapporto di generale menefreghismo e reciproca accettazione, che poi significa che per un tacito accordo non si danno mai noia a vicenda e così vivono tutti felici. Per questo, quando l'ha vista entrare al bar dove non aveva mai messo piede, il Libanese si è preoccupato. Ha subito fatto una smorfia incattivita, per meglio affrontare l'espressione decisa di Robertina che sembrava lì solo per ribaltare il mondo. E lui non era pronto a farselo ribaltare.
Il Libanese le ha chiesto se c'era qualcosa che poteva fare per lei e Roberta ha detto che voleva un posto più isolato per parlare; così lui ha urlato per mandare fuori tutti quanti, costringendo il Bufalo a mollare a metà una partita e per questo scatenando una serie di imprecazioni delle quali, ancora oggi, se si sforza, riesce a sentire l'eco. Roberta lo ha guardato dritto negli occhi e ha detto: “Sono incinta.”
Al Libanese lo stomaco si è stretto al punto che avrebbe potuto sputarlo fuori ridotto ad una pallina da ping pong, ma è stato abbastanza bravo da non darlo a vedere. “E che voi da mé? Guarda che anche se io e l'omo tuo se divertimo, nun c'entro gnente,” ha scherzato.
Roberta non ha riso. Non ha nemmeno accennato un sorriso; anzi la sua espressione si è fatta più seria e ha costretto il Libanese a recuperare la sua più arcigna. “Questo lo so, Pietro, sono qui per un altro motivo,” ha risposto, usando il suo nome di battesimo come fosse sua madre. Il Freddo non lo chiama così nemmeno nei momenti in cui sono da soli. Chiamarlo per nome è stata una manovra infame, ma furba.
Per questo il Libanese ha deciso di ascoltarla e l'ha invitata a sedersi con un cenno del capo. “Parla.”
“L'ho già detto a Fabrizio e credo che non l'abbia presa bene,” lo ha avvertito lei, e lo ha fatto col tono di chi sa che ha davanti qualcuno che può capirla. In effetti è così, perché lui e Roberta non si incrociano quasi mai, ma quello che condividono li rende più simili di quello che credono entrambi.
“Si è rifiutato?” Ha chiesto lui.
“No, ha solo quello sguardo negli occhi.”
Il Libanese ha capito subito che Roberta parlava dell'ombra che nasce negli occhi del Freddo quando è stanco o ha paura, quando vuole scappare lontano, in un posto in cui secondo lui sarebbe più facile vivere, perché non lo conoscerebbe nessuno. Per quanto sia più grande di lui, il Freddo non ha mai capito che ovunque possa andare, i suoi problemi lo seguiranno sempre; che è lui il problema. Come lo è il Libanese.
Così ha sospirato. “Ce penso io, sta' tranquilla.”
Il Libanese si ricorda il primo sorriso che Roberta gli ha fatto, perché in qualche modo gli ha scaldato il cuore. Con quel grazie mai detto, è andato dal Freddo e gli ha fatto paura, soltanto un po', giusto per vederlo tremare sotto il suo sguardo, perché il Freddo non lo fa mai e invece a lui piace.
“Se la smetti de perdetti nella testa e la tieni ferma, forse riesco anche a falla mangià prima de domani, te che dici?” Il Freddo sbuffa e si accascia sul tavolino, quasi arreso.
Il Libanese recupera la bambina che si sporge dalle sue braccia, attirata da chissà cosa e la rimette seduta per bene. “Mangia che sennò te chiudo ner bagagliaio de la porsche e te faccio fa 'n giro che nun te lo scordi.”
Se il Freddo fosse uno che parla parecchio, lo avrebbe richiamato con un urlo, invece lo guarda e basta, allungando il collo e sollevando il mento, come a dire che lui sta lì e se prova a dirlo un'altra volta, potrebbe pure incazzarsi.
Il Libanese non si preoccupa, naturalmente. Potrebbe dirlo altre dieci, cento, mille volte senza sentirsi mai in pericolo di vita né, se per questo, in imbarazzo. Ha intenzione di farlo anche quando la bambina sarà abbastanza grande da comprenderlo; anzi, lo farà soprattutto allora, perché le minacce funzionano sempre.
Difatti ora, quando la imbocca, la bambina mangia, anche se il Freddo lo guarda così storto che potrebbe fargli un buco in fronte semplicemente con la forza delle pupille.
“Che c'hai da guarda'? Mangia, no?” Commenta, accenando alla bambina.
Il Freddo evita di rispondere e raschia il fondo del barattolo col cucchiaio di plastica, come ha visto fare a Roberta ogni tanto.
Libano osserva la bambina che agita le braccia e aspetta l'ultimo boccone. “Certo potevi fallo maschio, che e femmine so' 'n casino poi quanno crescono e comunque nun ce prosegui la dinastia,” ragiona. “Me sa che ne devi fa n'attro.”
“E se poi è femmina pure quella? Nun è che posso passà a vita a fa fijli.”
“Perché no, almeno te diverti.”
Il Freddo scuote la testa e si toglie il peso di quest'ultima cucchiaiata, quindi passa sommariamente il bavaglino sulla bocca della bambina e tira un sospiro di sollievo. “Una basta e avanza. E poi pe' colpa tua semo già in quattro, nun è sufficiente?”
Il Libanese non risponde, allunga solo una mano e gli pulisce la guancia, dove anche lui era sporco di pappa. Sbuffa qualcosa che non è una risata, quanto più un grugnito affettuoso, prima di prenderlo per il collo come al solito e baciarlo. Il Freddo ha come l'impressione che seduti a quel tavolo abbiano appena deciso qualcos'altro; ma dal momento che non sa cosa e che, quasi sicuramente, non vuole saperlo, chiude gli occhi e si perde un po'. Se c'è qualcosa che deve sapere, sicuramente Libano o Roberta faranno in modo che lo sappia.
Personaggi: Libanese, Freddo, (nominata) Roberta
Genere: Introspettivo
Avvisi: What if, Slash
Rating: PG
Prompt: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.50: "Spiaggia di notte.").
Note: Io soffro perché questa storia mi fa venire voglia di scriverci su, ma non mi dà la possibilità di farlo come ho sempre fatto, ossia di stravolgerla fin nelle fondamenta. Non posso spedire la banda nello spazio a pijasse gli anelli di saturno. Deve prendersi Roma, e poi perderla, e devono perdersi loro perché sennò non funziona. E questo mi fa stare molto male, perché non sono abituata a non poter fare quello che mi pare con quello che leggo. Certo potrei, voglio dire, nessuno mi vieta di spostarli tutti nel deserto berbero, ma mi rendo conto perfino io che sarebbe una stronzata.
Questa storia nasce dall'impotenza di fare tutto questo e soprattutto di scrivere una Freddo/Libanese senza necessariamente dover seguire la sequenza canon, perché non mi riesce e sono impedita.
Il tutto si concentra intorno alla possibilità che quando Freddo vuole andarsene, riesca non solo a far capire al Libanese che quello è il momento giusto per chiudere baracca, dividersi gli utili e andarsene, ma che riesca a convincerlo a partire con lui e Roberta, così non dovranno fare a meno l'uno dell'altro, come evidentemente non possono fare.
Tutto ciò deriva dal mio amore per la gelosia palese (nonché canon) del Libano per Robertina, e dalla mia insana passione per il rapporto tra lei, il Freddo e il Libanese, che esiste solo nella mia testa e su spiagge Brasiliane dove – tutti e tre contemporaneamente – non hanno mai messo piede.

Riassunto: Non doveva partire, e lo sa.
MY HOME AWAY FROM HOME


Il Libanese si siede sulla sabbia e guarda la spiaggia di notte, che è un deserto.
Concentra lo sguardo sulle onde che si infrangono a pochi metri dai suoi piedi e immagina di essere a Fregene, a due passi da Roma, e non dall'altra parte dell'Oceano dove tutto è diverso e l'aria profuma di cose che non conosce.
Per uno che non è mai uscito dalle quattro strade di casa sua, dieci ore di volo sono un inferno; confinato come al gabbio, condannato senza prove. Ha passato tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, salutando Roma finché non è sparita, e poi continuando a cercarla con gli occhi anche quando c'è stato solo oceano per ore. Sull'aereo il Freddo si è seduto accanto a lui e lo ha diviso da Robertina che ha dormito sempre, povera stella; il giorno che sono partiti li ha svegliati all'alba, tutti e due, con la valigia nel bagagliaio ma deciso a non partire più. Ha sbattuto il Freddo contro il muro del garage ed è stato a tanto così da fare un gran casino. A tanto così...ma non ha fatto niente, perché Robertina guardava, e c'aveva tanta di quella paura negli occhi che s'è sentito stringere il cuore. Le vuole bene perché non è ancora davvero una donna, e le vuole bene perché Freddo gliene vuole, e non può pensare di fare altrimenti.
Non doveva partire, e lo sa. Lo sa ogni volta che si guarda intorno e non trova Trastevere. Lo sa ogni volta che al ristorante non ci sono i bucatini, che una telefonata a mamma costa i milioni e la mattina non c'è un cazzo da fare se non prendere il sole.
Non doveva partire perché questa è la loro vita, non la sua, e non lo sarà mai, nemmeno se ci prova. Non è nessuno, qui, e non è niente perché il Freddo pensa alla casa, pensa a Robertina, pensa che magari un locale sulla spiaggia, eh Libane' che ne dici. E lui non dice niente, perché non gliene frega un cazzo e vuole tornare a casa.
Allora Robertina lascia stare e va a dormire, e ci pensa il Freddo a fargli cambiare idea.
Comincia sempre guardando il mare, finché il mare non lo guardano più e nei respiri di Freddo lui ritrova la strada di casa, la voglia di restare, nonostante qui non c'entri niente e non sia nessuno e non abbia un cazzo da tenere per le mani. Stringe la sabbia tra le dita, tocca tutto, lo fa continuamente; spera di sentire qualcosa – una cosa qualsiasi – che non lo faccia sentire così allo sbando, ma la verità è che l'unica cosa che è rimasta di Roma è il Freddo e lui si sente a casa solo quando ce l'ha sotto le dita.
“Te va' de rientrà, mò?” Chiede lui, quando ritrova la forza di alzarsi e cercare i pantaloni.
Il Libanese annuisce e si avviano verso casa, dove la luce è accesa e Robertina finge solo di dormire.