Personaggi: Chakuza, Fler
Genere: Humor
Avvisi: Slash, Lime
Rating: R
Prompt: Vale per la HMS Maouropia Treasure Hunt di Fanfic_Italia
Note: Dunque, il titolo è tremendo ma dopo quasi due settimane di riflessione profonda non sono riuscita a venirmene fuori con niente di meglio, quindi questo è e questo rimane. La trama originale è saltata fuori durante un meme (questo) ed era così carina nella sua semplicità che dovevo scriverla. Come tutte le cose potenzialmente corte, semplici e facili, non mi è riuscito scriverla come volevo ma penso di potermi considerare comunque soddisfatta del risultato. Ci sono delle frasi carine e tanto basta. Il fiocco dell'elefante che convince Fler a provare la mercanzia è poi caduto a fagiolo per la HMS Maouropia Treasure Hunt <3

Riassunto: Quando il pacco era arrivato, Fler non si era affatto sorpreso perché in casa di Chakuza arrivavano pacchi ogni giorno...
RIBBONED MISUNDERSTANDING


Quando il pacco era arrivato, Fler non si era affatto sorpreso perché in casa di Chakuza arrivavano pacchi ogni giorno. Solo quella settimana erano arrivati due scatoloni da parte di mamma Silvia, contenenti i generi di conforto per il figlio – come se Chakuza fosse uno sfollato di qualche tipo, impossibilitato a reperire latte, pane e acqua dal negozio proprio sotto casa – l'immancabile numero di playboy, che sarebbe finito nella pila di tutti gli altri ancora incelofanati che Chakuza teneva sopra il mobile del soggiorno a ricordargli che, da qualche parte, nel profondo del suo essere, era ancora un sano maschio etero e l'ultimo numero di “Vaniglia e cioccolato” che poteva sembrare l'ennesimo porno, ma era soltanto una rivista di cucina, per la quale aveva preso Chakuza talmente in giro che quello aveva finito per nasconderla chissà dove e poi negare che fosse mai anche solo esistita.
Il pacco di quella mattina non era, dunque, che l'ennesimo di una lunghissima serie e visto che Chakuza sembrava sempre impegnato in città a cercare il caviale beluga, il vero tartufo nero di chissà dove e altre amenità culinarie praticamente introvabili a Berlino senza vendere un rene al mercato nero, Fler era ormai abituato a dover ricevere le consegne, firmarle e in qualche caso pagare pure il contrassegno. Il postino si era ormai probabilmente convinto che vivessero insieme, cosa non vera. Fler si trovava solo a passare più tempo lì che a casa sua, ma la cosa dipendeva semplicemente dal fatto che Chakuza non lo lasciava mai raggiungere la porta senza allungarglisi addosso un'ultima volta, e poi un'ultima dopo l'ultima e poi l'ultimissima, tanto che alla fine Fler era troppo stanco per poter pensare di prendere l'auto e tornarsene al suo appartamento quando poteva morire a quattro di bastoni sul letto dell'austriaco. Per certi versi era un rapimento, ma preferiva non pensarci mentre firmava la ricevuta di consegna sotto gli occhi di un postino convinto di aver capito tutto delle loro vite. Mentre lo faceva, si rese conto che non c'era alcun nome sull'etichetta del destinatario, solo l'indirizzo.
“Come fa a sapere che è roba nostra?”
Il postino lo guardò con l'aria di chi la sa lunga, come al solito. “Ci sono tre appartamenti occupati in questo palazzo. I due del primo piano sono gente strana, non accettano mai la posta, bollette comprese. E la signora Lotte dice di non aspettare nessun pacco, così ho pensato che fosse del signor Pangerl visto che...”
“Visto che ne riceve quintali al giorno,” concluse Fler, finendo di firmare. “Posso capire il ragionamento. D'accordo, dia a me. Ci penso io.”
Il pacchetto non era molto grande. Fler se lo rigirò per le mani in cerca di una scritta che potesse indicarne il contenuto, ma le pareti della scatola di cartone erano completamente anonime. Pesava poco e non faceva rumore, quindi doveva essere qualcosa di piccolo e imballato oppure qualcosa di stoffa.
Era curioso, ma non era ancora arrivato al punto di aprire la posta del suo cosiddetto fidanzato, quindi appoggiò il pacco sul tavolo del soggiorno e cercò di distrarsi in altro modo. Per un po' si mise buono a leggere un libro, poi guardò svogliatamente la televisione e quindi pulì il bagno e la cucina che sentivano la mancanza di una spugna, ma ogni volta che passava dal soggiorno l'occhio gli cadeva sulla scatola. Qualsiasi cosa sembrava meno interessante della prospettiva di dare una sbirciatina al pacco anonimo, così alla fine cedette e pensò che aprirne un lato, guardarci dentro, e poi richiuderlo con cura non era una vera e propria violazione della privacy. Ci avrebbe dato solo un'occhiata, velocemente, poteva anche non capire cos'era.
“E poi non è colpa mia,” cercò di convincersi, mentre sollevava con cura il nastro adesivo. “Sei tu che te ne stai lì e mi chiedi di essere aperto.”
Per un istante si rese conto di stare ragionando proprio come Chakuza, che discuteva con gli oggetti esattamente come con le persone ma preferì non indagare per non dover riconoscere che la follia di quell'uomo era in effetti contagiosa come pensavano tutti.
Aprire un solo lato della scatola non servì a molto. Anche ficcandoci dentro parte della faccia, Fler non riuscì a vedere nient'altro che un po' di plastica e tanto imballaggio. Così incrociò le braccia al petto e fissò intensamente il pacco con disappunto nella speranza, forse, che si sentisse in colpa e si aprisse da solo, scusandosi anche di aver fatto ostruzionismo.
Ovviamente la scatola si guardò bene dal reagire in qualche modo, così Fler dovette prendere una decisione difficile. Si trattava di resistere alla curiosità e sperare di essere reso partecipe del contenuto una volta che Chaku lo avesse tirato fuori, oppure aprire la scatola ma poi richiuderla per evitare litigate oltraggiate, col suo uomo che urlava, agitando le braccia e lanciando oggetti in giro, come una specie di piccolo tornado in miniatura. Era un dilemma, senza dubbio.
Doveva prendere in considerazione tutte le opzioni. Ad aspettare che fosse Chakuza ad aprire la scatola, c'era il rischio che quello volesse tenere per sé il contenuto. Ad aprirla lui stesso, il rischio era di non saperla richiudere o di chiuderla male, ma le probabilità che Chakuza se ne accorgesse, con lo spirito di osservazione di una talpa morta che si ritrovava, erano minime e, anche nel caso, poteva sempre denudarsi e disporsi in bella posa su qualche superficie. Chakuza avrebbe sicuramente abboccato. “Direi che possiamo procedere allora,” concluse, annuendo con convinzione alla scatola. “La decisione è presa.”
Grazie alle amorevoli cure di Bushido, che ad un certo punto della sua esistenza lo aveva fatto entrare nel giro come se spacciare droga sotto la sua supervisione fosse più sano e sicuro che tentare di uscire dal ghetto come stava cercando di fare prima di conoscerlo, Fler aveva un passato da corriere e aveva una certa esperienza in fatto di scatole. Molto spesso, lui e Bushido tenevano per sé un po' di ciò che trasportavano, come pagamento extra per tutto lo sforzo fatto, ma ovviamente i pacchi dovevano risultare intatti quando li consegnavano o qualcuno si sarebbe preoccupato di massacrarli di botte, così avevano passato pomeriggi interi ad allenarsi per perfezionare la suprema arte di aprire le scatole in maniera quasi invisibile.
Bushido era sempre stato più bravo ma Fler poteva vantare una certa tecnica.
Si armò di taglierino, si tirò virtualmente su le maniche della camicia che non portava e quindi si apprestò a togliere il nastro adesivo che chiudeva la parte superiore della scatola, cercando di non strapparlo. Ci vollero circa venti minuti per fare le cose per bene ma, quando finì, Fler guardò il proprio operato e si sentì estremamente soddisfatto. “Bene. E ora vediamo che cosa nascondi,” commentò, appoggiando il taglierino da una parte e aprendo le alette di cartone con sacralità.
La scatola conteneva diverse cose, nessuna delle quali aveva un senso agli occhi di Fler. Non che la vista di un'ampia varietà di giocattoli sessuali lo turbasse di per sé, era solo che Chakuza non aveva mai mostrato interesse per simili chincaglierie, da uomo tradizionalista e tutto d'un pezzo qual era. Se non fosse stato così necessario, avrebbe evitato di usare anche il lubrificante, convinto di poter fare tutto da solo, con la potenza inaudita della propria salivazione o peggio.
Ormai troppo incuriosito per fermarsi ad una semplice occhiata, come del resto era prevedibile, cominciò a tirare fuori ad un ad uno gli oggetti contenuti nella scatola. Pose tutto con cura sul tavolo, in bell'ordine e poi si mise a ridere, tirando fuori l'ultimo oggetto. “Chakuza, spero che questo te l'abbiano dato in omaggio per tutto il resto,” esclamò a voce alta, sollevando con un dito un tremendo tanga a forma di elefante.
Se lo rigirò tra le mani per guardarlo bene. L'elefante aveva un viso rotondo e simpatico e sembrava estremamente compiaciuto e soddisfatto, tutte caratteristiche che lo facevano assomigliare a Chakuza.
“Se gli mettessi un fiocchetto sulla fronte,” commentò, aggiustando quello dell'elefante. “Sareste identici.”
A pensarci bene, l'austriaco doveva averlo comprato di proposito, contento della loro soddisfatta somiglianza.
Fler sorrise, stringendo il tanga nel pugno e pensò che non aveva niente di meglio da fare, alla fine.

*


Fler aveva dovuto aspettare quasi quattro ore perché Chakuza fosse di ritorno dalla sua caccia al tonno pinne gialle e, anche una volta che fu tornato, ci vollero altri venti minuti prima che si accorgesse del bigliettino sopra la porta della cucina e della freccia nel corridoio che lo avrebbero condotto in camera, dove Fler lo stava aspettando. L'idea originale era di attenderlo con un po' di atmosfera, che non significava petali di rose e candele quanto birra e... birra ancora, ma Chakuza ci aveva messo talmente tanto che Fler alla fine si era stancato, così quando l'austriaco lo raggiunse in camera da letto, stava giocando alla playstation e aveva già bevuto quasi metà della birra che aveva preparato.
“Cosa diavolo era quel biglietto?” Chiese Chaku, posando la felpa sulla sedia.
“Non mi ricordo più nemmeno cosa c'era scritto sopra,” borbottò Fler e poi gli si spalmò addosso il secondo successivo. “Ce ne hai messo ad arrivare...”
“Avevo delle...”
Fler annuì senza ascoltarlo, baciandolo lentamente mentre lo spogliava. Chakuza non si preoccupò di chiedere oltre, perché quella era già una risposta sufficiente a tutte le sue domande. Si lasciò svestire senza fare una piega e lo stese sul letto, già dimentico della spesa sul tavolo o della stanchezza o di qualunque altra cosa che non fosse l'uomo sotto di sé.
“Ho intenzione di provare tutto quello che hai ordinato,” gli mormorò Fler in un orecchio.
“Non ho ordinato niente,” gli fece notare Chaku.
Fler rise allegro e già palesemente ubriaco. “Certo, come no.” Lo baciò di nuovo e poi iniziò a sganciarsi i pantaloni, con disinvoltura.
Chakuza rimase ipnotizzato dalle sue mani e dalla cerniera che si abbassava un centimetro alla volta, rivelando cosa nascondeva. Si inumidì le labbra, ma rimase a metà del gesto quando vide che sulle mutande di Fler c'era un fiocchetto. Azzurro, grande più o meno un paio di centimetri, con tanti puntolini bianchi. E sotto di esso una proboscide. O non esattamente.
“Fagli ciao,” lo prese in giro Fler, strusciandoglisi addosso.
“Cosa... sarebbe di preciso?” Chiese.
Fler gli baciò un orecchio in maniera tale che Chakuza perse nozione di dove si trovava per qualche secondo. “Pensavo lo sapessi, ne hai uno anche tu,” commentò Fler, toccando con mano.
“Intendevo l'elefante.”
Fler sorrise. “Non lo so. Un restyling?”
Chakuza lo guardò e poi si mise a ridere forte, trascinandosi dietro Fler che lo abbracciò stretto e gli affondò il viso nel collo. “Potrei farti delle pessime battute sulle banane.”
Fler rise ancora. “Oddio, ti prego falle! Non ti ho mai sentito parlare sporco.”
Chakuza lo morse forte sul collo, strappandogli un mugolio. “Vuoi che mi occupi dell'elefante oppure no?”
Fler annuì.
“Allora scostati e stai zitto.”
Il fiocco era cucito male e si staccò quasi subito, ma nessuno dei due ci fece troppo caso.

*


Chakuza si stese sul letto con uno dei respiri più soddisfatti che avesse esalato nell'ultimo mese e Fler lo guardò con una certa soddisfazione personale giacché gran parte di quella contentezza dipendeva soltanto da lui. “Non so perché, non so come, ma... wow,” commentò.
“Sei sempre così loquace,” Fler lo picchiò con uno dei tre dildo di gomma che erano sparsi per il letto. “Il mio elefante dice che dovresti esprimerti con più riconoscenza.”
“Di' al tuo elefante che non ha voce in capitolo.”
“Oh ma vorrebbe.”
Chaku sospirò. “Vedremo, se farà il bravo.”
“Non trattarlo male, abbiamo anche perso il suo fiocchetto!” Esclamò Fler, recuperando il tanga e sollevandolo all'altezza degli occhi. “Vedi?”
Chaku si limitò a voltare la testa. Dove prima c'era il fiocco, ora c'era solo il pezzettino di filo che era servito per cucirlo. “Sono cose che capitano,” commentò con uno sbadiglio. “Sarà qui da qualche parte.”
“Potevi evitare di strapparlo a morsi,” borbottò Fler.
“Ti stai lamentando?”
Fler lo guardò, ci penso su e poi si strinse nelle spalle. “No, in effetti no,” rispose, sistemandosi più comodo e incrociando le braccia dietro la schiena. “Ma dopo mi aiuti a cercarlo.”
“Non vedo l'ora,” rispose apatico l'austriaco.
Fler lo picchiò di nuovo, ma poi si voltò e si appoggiò al suo petto. “Comunque non me l'aspettavo”
“Che cosa?”
“Questo,” Fler indicò il letto e tutti i gingilli accuratamente disseminati intorno senza nessuna logica. “Insomma, non è da te.”
“Beh, ti eri dato tanta pena che mi sembrava giusto provare,” rispose Chakuza, aggrottando le sopracciglia sulla testa rotonda. “E comunque è stato molto divertente.”
“Sì ma se tu non li avessi ordinati, a me non sarebbe mai venuto in mente di usarli.”
Chakuza scosse la testa. “Io non ho comprato un bel niente, Fler.”
“Ma sono arrivati stamattina dentro una scatola.”
Si guardarono.
“E allora di chi diavolo sono?” Chiese Fler, guardando il dildo con aria perplessa come se contenesse la risposta.
Chakuza si strinse nelle spalle. “Cosa vuoi che ne sappia?”
“Pensa,” mormorò Fler. “Da qualche parte in questa città c'è qualcuno che piange i suoi giocattoli perduti. Non ti fa un po' pena?”
“No.”
“Neanche a me.”

*


“Ne è proprio sicura?” Chiese David Jost, picchiettando la penna sulla sua agenda gigantesca.
Dall'altra parte del telefono la signorina fece di tutto per non lasciar trasparire il proprio fastidio. “Sì, signore. Ho già controllato quattro volte.”
“Faccia un quinto tentativo, vuole?” Tentò David, con la voce più accomodante che gli riuscì di tirare fuori dopo una telefonata di mezz'ora che non aveva risolto niente. Telefonare ai corrieri non serviva mai a nulla, alla fine. Se la tua posta era dispersa, era dispersa e basta.
“Come vuole, signore,” fece lei con un sospiro. “Qui c'è scritto che il suo pacco è stato consegnato ieri mattina.”
David era stato in casa tutta la mattina e quel pacco non s'era visto. “Vuole ripetermi l'indirizzo?”
La signorina eseguì automaticamente e David sgranò gli occhi.
“Questo non è il mio indirizzo.”
“E' quello che ci ha fornito, signore.”
“Non è possibile. Non so nemmeno di chi sia,” replicò subito David.
La signorina sospirò. “Non so cosa dirle, signore.”
David rimase in silenzio così a lungo che la signorina si sentì in dovere di assicurarsi che fosse vivo. “Signor Jost, è ancora lì?”
“Sì, ci sono,” mormorò l'uomo, fissando un punto indefinito di fronte a sé.
“Può fare un reclamo se vuole,” esclamò la ragazza. “Oppure può sperare che il destinatario rispedisca indietro il pacco. Conteneva merce di valore?”
“In un certo senso,” mormorò confusamente il manager. Se un ordine di 500 euro in un sexy shop poteva considerarsi merce preziosa.
“Vuole fare un reclamo?” Chiese ancora la ragazza, che evidentemente preferiva processare una lamentela che non stare lì in silenzio o a consolarlo.
“No, lasci perdere. Arrivederci.”
David riattaccò, sospirando.
Da qualche parte in città qualcuno si stava divertendo con addosso il suo tanga a forma di elefante.

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