Personaggi: Bill, Tom, David, Saki, OMC
Genere: Drammatico, Romantico, Hurt/Comfort
Avvisi: Lemon, slash, WIP
Rating: NC-17
Capitoli: 15 (on hiatus)
Note: Moscow Intimacy è la mia re-interpretazione di un'altra fanfiction che s'intitola "Ti amo" ed è opera di Alba. Potete trovare l'originale qui. Alba è perfettamente a conoscenza della mia versione, quindi non datevi disturbo ad urlare al plagio.

Riassunto: Sapendo di non poter continuare a vivere accanto al fratello dopo avergli dichiarato il suo amore, Bill se ne va facendo perdere le sue tracce. Tom va a cercarlo, per chiarire la situazione.
01. Break Away

"Qualcuno di voi due vuole spiegarmi cos'è successo?" Il loro manager li aveva letterarmente trascinati in camerino afferrandoli entrambi per la collottola.
"Niente David. Perchè, ti sembra che sia successo qualcosa?" Bill stava ancora ridendo. Non aveva smesso di ridere da quando era salito sul palco. Era assurdo che nessuno si fosse accorto di quanto fosse fatto.
Tom si lasciò andare seduto sul divano, espirando. Il gemello gli lanciò un'occhiata divertita, dalla quale distolse lo sguardo imbarazzato.
"Guardami quando ti parlo" David gli afferrò il viso con una mano e lo costrinse di nuovo a voltarsi.
Bill cambiò immediatamente espressione e si divincolò con due strattoni nervosi.
Tom sapeva che non gli piaceva essere toccato. Fin da piccolo Bill non aveva mai voluto che qualcuno gli si avvicinasse troppo: il contatto fisico lo metteva a disagio. Era sempre stato bello e algido. Alieno quasi, agli occhi del mondo.
E lui, sempre lì di fianco. Ombra perenne a proteggerlo, ad evitare che qualcuno allungasse troppo le mani. Era ridicolo ricordarsi adesso cos'era stato per suo fratello, quando aveva lasciato che per settimane si rovinasse da solo con le sue stesse mani.
"Vorrei solo sapere cosa vi è saltato in testa!" stava dicendo David, mentre Bill si sedeva accanto al fratello sul divano. Tom percepì il calore del suo corpo attraverso la maglietta: gli si era quasi buttato addosso. Lo stava facendo apposta. Incrociò gli occhi divertiti del fratello e si scostò leggermente.
Bill lanciò un'ultima occhiata al gemello, poi strinse le spalle in direzione del manager. "Era un gioco" rispose con nonchalance. "Uno scherzo. Facciamo sempre del fanservice per le ragazze, non vedo perchè ti preoccupi tanto!"
"Perchè hai infilato la lingua in bocca a tuo fratello" fu la risposta secca dell'uomo.
Bill non si scompose. "E allora?"
"Forse è stato un po' troppo eccessivo, non trovi? Non rispecchia la vostra immagine, Bill. Hai passato la linea"
Il ragazzino non sembrava d'accordo. "C'era una linea per caso? A me non sembra proprio. Le foto in cui Tom mi mette una mano nelle mutande sì, il bacio con la lingua no? Davvero non capisco"
David scosse la testa, espirando frustrato. Ecco qual'era il problema a lavorare con dei ragazzini prodigio: non avevano il senso della misura. E mancavano totalmente di logica. Non capivano quando l'allusione smetteva di essere tale. Contò fino a dieci e si dette il tempo di ritrovare la calma, mentre Bill prendeva a guardarsi le unghie come se si trovasse in un altro posto e non nel bel mezzo di una discussione seria. "Ascolta," attese che Bill avesse di nuovo sollevato lo sguardo prima di continuare "la vostra... ambiguità era stata progettata fin dall'inizio. Era sotto controllo. Certe foto, certi atteggiamenti, ogni dettaglio: tutto era stato previsto. Ma c'era un limite. Un conto è alludere ad un incesto tra gemelli. Un conto è farlo vedere sul palco. Capisci costa intendo?"
Bill si strinse nelle spalle. "Capisco che ti stai agitando per niente. Per quanto nei sai tu, potrebbe anche non essere la prima volta che limono mio fratello"
Tom si irrigidì. Chiuse gli occhi sotto la visiera del cappellino e pregò il cielo che David troncasse la discussione prima che Bill - sotto l'effetto della droga - gli raccontasse ogni cosa.
David non lo prese sul serio. In fondo Bill era sempre stato un po' strafottente: lui era il poser del gruppo. La diva. Aveva sempre avuto atteggiamenti irritanti, protetto dal personaggio che gli era stato creato intorno. "Non è questo il punto" insistette. "Siamo andati fuori dal copione. Domani, la foto del vostro bacio farà il giro del mondo"
"Meglio no?"
"E come ci giustificheremo?" chiese David. "Non possiamo negare che vi siete baciati, sul maxischermo si è visto ogni cosa!"
Le labbra di Bill si aprirono in un ghigno malizioso. "Ma non mi dire..."
David si passò una mano tra i capelli, frustrato. "Sarà un lavoraccio trasformare questa cosa, ragazzi. Avreste dovuto per lo meno avvertirci. Vostra madre è furiosa e anche la casa discografica non l'ha presa benissimo"
Sua madre. Tom si rese conto che non aveva mai preso in considerazione la loro famiglia, quello che avrebbero detto o fatto se lo avessero saputo.
"Quanto la fai lunga! Non abbiamo mica scopato!" esplose Bill, la voce leggermente più acuta. Si avvicinò al gemello e gli sussurrò all'orecchio. "Non è vero Tomi?" poi scoppiò a ridere, gettando la testa all'indietro euforico.
"Ci mancherebbe altro!" replicò David. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era una versione gemellare e minorenne degli spettacoli di Marilyn Manson. Poi però sembrò tranquillizzarsi. Sbuffò fuori l'aria, come se avesse appena fatto uno sforzo immane. "Va bene, d'accordo. Ormai è successo e vedremo di trarne vantaggio. Per il resto siete andati bene, anzi benissimo. Tom, sei stato decisamente bravo a recuperare quando Gustav ha sbagliato la battuta"
Tom gli sorrise leggermente, ma quasi non lo aveva sentito.
"Ora tornate in albergo. La macchina è giù che vi aspetta, gli altri sono già andati"
Tom annuì, ma David era già uscito dalla porta.
"Che palle..." Bill si era alzato e aveva aperto una lattina, appoggiando la schiena contro il tavolo del buffet. "Possibile che ogni imprevisto susciti sempre questo casino? Cosa vuoi che succeda? Quelle là fuori non aspettavano altro!"
"Muoviti, dobbiamo andare" Tom lo ignorò e raccolse la giacca dal divanetto. Voleva soltanto tornare in albergo, chiudersi in camera e dormire. Possibilmente fino all'anno dopo.
"Sei arrabbiato anche tu?" la voce di Bill si fece più dolce. Insicura.
Bill si fermò senza voltarsi, a metà tra il gemello e la porta. "No, non sono arrabbiato" rispose.
"Però non dici niente"
"Che cosa dovrei dire?" Tom sembrava stanco.
Bill si staccò dal tavolo, agitando le braccia quasi isterico. "Non lo so! Qualsiasi cosa!" replicò "Io ti bacio sul palco e tu non fai una piega!"
Tom sospirò. "Non so più cosa dirti, Bill. Dico davvero. Sono stanco di stare dietro a tutte le tue cazzate. Non ho neanche ben capito perchè lo hai fatto. Per attirare l'attenzione, suppongo: la mia, quella della gente. Non lo so!"
"Credi che lo abbia fatto per questo?"
Le labbra di Bill tremavano, ma il fratello non era più disposto a farsi intenerire. Non quando sapeva che era solo una maschera e che da un momento all'altro sarebbe caduta. Bill lo aveva fatto troppe volte negli ultimi tempi. "Credo che tu sia molto confuso adesso..."
"Pensavo che almeno tu mi avresti sostenuto in questa cosa!" lo accusò. "E invece sembra che non te ne freghi assolutamente niente!"
"Cosa avrei dovuto fare secondo te? Limonarti sul palco?!?!" replicò duro Tom. "Io non ti capisco!"
"Beh di solito quando ti bacio è questo che fai!"
"Un minuto mi salti addosso e il minuto dopo mi urli che mi odi!" sbottò il ragazzo, imbestialito. "Secondo te dovrei reagire a comando, quando sua altezza ha voglia? Tu credi sempre di poter fare quello che vuoi, vero?! Per te è sempre così! Tu ordini e gli altri eseguono! Sei tu il capo!"
Bill iniziò a piangere per il nervoso e per le parole del fratello che erano dure come macigni e avevano colto nel segno. "Volevo solo che tu mi sostenessi!" ripetè mormorando.
"No tu volevi soltanto mettermi in imbarazzo! Ecco cosa" esplose Tom, alla fine. "Per punirmi o per ripicca, o per chissà quale paranoia che ti è passata per il cervello!"
Con un gesto di stizza Bill gettò a terra tutto ciò che c'era sul tavolo, ringhiando. "VAFFANCULO" gridò, senza sollevare gli occhi dal tavolo.
"Bill..."
"Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!"
"Bill calmati adesso!"
Tom tentò di fermarlo, ma Bill si divincolò e nel tentativo di liberarsi lo colpì sul viso. "Non capisci! Tu non capisci niente!" gridò, quindi lasciò la sala correndo.
Quando Tom uscì nel corridoio, del gemello non c'era già più traccia. Espirò, lasciandosi scivolare contro il muro, con il sangue che gli usciva dal naso. Si chiese come diavolo fossero arrivati a quel punto, come poteva essere degenerato tutto così.
Era accaduto tutto senza che Tom ne avesse avuto il minimo controllo.
L'intera sequenza di eventi si dipanò di fronte ai suoi occhi, come diapositive su un videoproiettore. Scena dopo scena, come in un film di cui involontariamente era stato il protagonsita.
Lui in scena, con il suo copione in mano a recitare battute scritte per lui da qualcun altro. Era stato una marionetta, costretta a ballare in un teatrino di legno.
E quei fili, che lo rendevano vivo, erano sempre stati tra le dita magre di Bill.
Anche ripercorrendo ogni evento a ritroso non ricordava con chiarezza l'inizio della faccenda. Ogni istante era nitido nella sua testa, ma non l'inizio. Quello no, si perdeva tra i suoi ricordi. Era l'acqua torbida appena sotto la cascata: poteva distinguere ogni tratto di fiume ma là dov'era iniziato tutto era schiuma e vapore.


"Ti amo" Bill sembrava assolutamente serio. I grandi occhi castani ancora truccati dall'ultima intervista, l'abito che gli avvolgeva il corpo minuto.
Tom all'inizio non aveva capito. "Cosa?"
"Ti amo" ripetè Bill, ancora più serio. C'era così tanta disperazione nel suo sguardo che Tom si spaventò. Non aveva mai visto il gemello tanto impegnato in qualcosa, così tenacemente in attesa di una risposta.
"B-Bill, che stai dicendo? Non fare lo stupido!" provò a scherzare Tom. Abbozzò un sorriso, nel tentativo di smascherare quella pagliacciata ma suo fratello sembrava serio.
La situazione era assurda. Erano appena usciti da un'intervista devastante proprio sull'argomento. Il presentatore non aveva fatto che alludere alle twincest che le fan scrivevano su di loro. Certo Bill era sembrato un po' strano senza i suoi soliti sorrisi, senza la sua presenza scenica ma Tom aveva pensato che fosse per colpa di tutte quelle domande personali, tutto quell'indagare nella sua vita privata.
"Ti sembra che io stia scherzando?" la voce di Bill era soltanto un sussurro incrinato, ora. Le parole gli erano sfuggite di bocca una dietro l'altra senza controllo. Non aveva realmente pensato di dire davvero al fratello quello che provava. Era successo. E ora che era lì ad aspettare una reazione - una qualsiasi - si rendeva conto che qualunque fosse avrebbe cambiato il loro rapporto. Chiuse le mani e conficcò le unghie nel palmo fino a sentire dolore. Dio ti prego, fà che non mi guardi come il resto del mondo.
"I-io..." Tom era incredulo. Si passò una mano sugli occhi stanchi e si appoggiò al muro perchè non era sicuro di potersi reggere in piedi. Espirò. "Seriamente, Bill, non capisco"
"Cosa c'è da capire?" replicò il ragazzo. "Quello che scrivono... le twincest o come diavolo si chiamano: è tutto vero. E' così che mi sento, come mi descrivono loro!"
"Perennemente arrappato, totalmente illogico, spesso sgrammaticato e isterico come una scimmia?" chiese Tom. Aveva letto un paio di quelle stronzate girando per forum e a volte si sorprendeva di quante idiozie potesse scrivere la gente anche in poche righe.
Bill sollevò su di lui uno sguardo già pieno di lacrime e Tom si sentì tremendamente in colpa. Sdrammatizzare, a quanto pareva, era fuori discussione. "Scusami, mi dispiace."
"E' una tortura" mormorò Bill. Tirò su col naso, ma le lacrime stavano già scendendo. "Io ho questi... pensieri adesso. Ogni minuto del giorno. Ogni volta che ti ho vicino. Ogni volta che mi ... tocchi"
Era abituato a vedere il fratello piangere: Bill aveva sempre sfogato in quel modo il dolore e la rabbia. Quando Bill piangeva, lui doveva semplicemente picchiare qualcuno e tutto si risolveva ma adesso le cose erano diverse. Dubitava di poter ottenere un qualche tipo di risultato con atti di masochismo. Tom si sentiva a disagio. "Non avevo idea che ti sentissi così. Com'è potuto succedere?"
"Non lo so!" Bill scosse la testa, la massa delle sue ciocche ondeggiò con lui. "Non lo so, Tom! E' successo e basta. Improvvisamente mi sono reso conto che...che provo qualcosa per te"
Tom si grattò la testa, confuso. "Forse tutta questa storia delle fanfiction ti ha influenzato, magari è solo una fase..."
"Le storie non c'entrano niente!" Bill tirò nuovamente su col naso, ma ormai le lacrime scendevano così copiose che singhiozzava. "E' iniziato tutto molto prima che le scoprissimo.. oddio, mi sento così stupido ad avertelo detto!"
I singhiozzi si fecero ancora più forti. Bill portò entrambe le mani sugli occhi a coprirsi il viso. Sembrava incredibilmente fragile in mezzo a quel corridoio. Istintivamente, Tom lo abbracciò come faceva sempre quando qualcosa non andava. Bill appoggiò la testa contro il suo petto, perdendosi nella maglietta enorme del fratello. "Hai fatto bene, invece" mormorò Tom, appoggiando la testa su quella del gemello. Non ne era così sicuro, ma voleva evitare di far sentire Bill più diverso di quanto non si sentisse già.
Dopo un po', Bill sembrò calmarsi. Tom sentì che si asciugava gli occhi e si scostò un po' per vedere come stava. Il gemello sollevò la testa e gli lanciò uno sguardo umido. Il mascara e l'eye-liner colando gli avevano formato due righe nere sulle guance. "Ho qualcosa che non va" mormorò.
"Non dire così"
Bill scosse la testa, le mani appoggiate sul petto di Tom che senza volerlo lo stringeva ancora. Nella sua tenerezza era così dolorosamente ambiguo. "L'unica cosa che riesco a pensare e che vorrei tu provassi le stesse cose. E' da quando l'ho capito che sogno un momento identico a questo dove tu mi dici che sono le tue stesse sensazioni e non tenti di farmi ragionare"
"Siamo fratelli" fu tutto quello che riuscì a dire.
"Lo so"
Rimasero in silenzio a lungo. Bill con l'orecchio appoggiato al suo cuore, per coglierne ogni singolo battito accelerato. Da giorni un'idea si era fatta strada nella sua testa e ora era arrivato il momento di concretizzarla. Se doveva fare quello che aveva deciso, allora voleva crogiolarsi nel calore di suo fratello fino all'ultimo istante. Sentire il suo corpo oltre quei vestiti enormi, come aveva fatto molte volte prima di allora giocando con lui senza nessun altro pensiero.
"Senti..." Tom iniziò impacciato, proprio mentre Bill si staccava da lui lentamente.
Il gemello si asciugò l'ultima lacrima e poi abbozzò un sorriso. "Sto bene" mormorò. "A dire il vero, credo che me ne andrò per un po'"
"Cosa?" Tom sgranò gli occhi per la sorpresa. "E dove vorresti andare?"
Bill fece qualche passo indietro, allontanandosi dal fratello, si accarezzò un braccio confuso. "Da qualche parte, non importa dove" rispose. "Voglio solo del tempo per pensare"
"Io non voglio che tu te ne vada"
Bill si morse un labbro nel tentativo di non ricominciare a piangere. Tom sembrava davvero così triste. Non si era aspettato che fosse così difficile: ora che sentiva quelle parole, stava perdendo la forza di andarsene. "Tom, non posso rimanere qui. Pensavo di poter sopportare, ma non ci riesco più! Sapere che sei qui, accanto a me e che ... che è sbagliato quello che sento... non ci riesco" Bill deglutì, raccontare quella stessa verità non era stato altrettanto complicato allo specchio. "Non capisci quanto sia difficile? Pensa a tutte le ragazze che ti girano intorno, a come mi sento io quando le baci, quando...devo farti schifo, non è così?"
"No, affatto" Tom scosse la testa. "E non ti lascio andare così, Bill. Sei solo confuso"
"Ti prego, non rendermi le cose ancora più complicate" mormorò. "C'è un'auto qui fuori che mi aspetta. Ho già avvertito mamma e David."
Bill fece per voltarsi, ma Tom lo trattenne. "No! Tu non te ne vai così!" ringhiò il fratello. "Se c'è un problema lo affrontiamo insieme!"
"Tom, per favore!"
"No!" il ragazzo lo strattonò, riportandolo verso di sè. Bill era così leggero che sembrava fatto di niente. "Non puoi lasciarmi qui così!"
Il viso di Bill si fece più scuro. Coprì la poca distanza che lo separava dal fratello e lo baciò sulle labbra prima che l'altro potesse fare qualsiasi cosa per fermarlo. Tom lo lasciò andare di scatto e si ritrasse, senza volerlo.
"Lo vedi?" mormorò Bill. Lo tradì una vena tremula nella voce: aveva sperato fino all'ultimo che Tom non lo lasciasse andare, di non vedergli in viso quell'espressione quasi terrorizzata. "Se resto qui finirai col guardarmi come un mostro e io non voglio."
Il ragazzo lo guardò un'ultima volta, poi si calò il cappuccio in testa e gli voltò le spalle uscendo da quella stanza.
"Bill, aspetta!"
Tom provò a rincorrerlo, ma fece appena in tempo a vederlo salire sul taxi che partì un istante più tardi.

Tom aveva passato le ultime due ore a fissare il vuoto con il cellulare in mano: Bill rifiutava le sue chiamate e non riusciva a trovare nè David nè sua madre da nessuna parte. Gustav e Georg continuavano ad entrare ed uscire dalla sua stanza chiedendogli se stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa, magari di un cheesburger o una coca. Nessuno dei due si era azzardato a chiedergli dove si fosse cacciato Bill: le urla incazzose di Tom che sbatacchiava il telefono in terra ogni volta che il gemello non rispondeva erano già abbastanza esplicative.
Poi all'improvviso, il telefono si era messo a squillare. Tom aveva tirato su prima ancora di controllare il display. "Pronto?"
"Tom, sono la mamma"
"Alla buon'ora!" ringhiò Tom. Attraversò la stanza a grandi passi e chiuse la porta sulla faccia di Georg che era appena tornato con un paio di videocassette nell'ennesimo tentativo di tirarlo su di morale. "Sono due ore che tento di chiamarti! Dov'eri?"
"All'areoporto"
La voce tesa e stanca di mamma Simone sembrarono riscuotere Tom dalla sua arrabbiatura. Il cuore prese a battergli più forte: c'era qualcosa che non andava. "Mamma, cos'è successo?"
"Bill è lì con te?"
Per un istante il tempo sembrò fermarsi. Tom percepì soltanto il respiro di sua madre attraverso la cornetta e il proprio che gli rimbombava nelle orecchie. "N-no" rispose, lo sguardo perso nel pavimento della stanza. "E' partito due ore fa. Speravo fosse venuto lì"
"Doveva" ammise la madre. "Mi ha chiamato ieri, ha detto che sarebbe stato qui per un po' ma non è mai sceso dall'aereo"
"Ne sei sicura?"
"Tom credi che sia stupida?" sbottò la madre. "Sono stata lì un'ora ma di lui neanche l'ombra. Ho chiesto alla compagnia aerea: il suo nome non era neanche nella lista dei passeggeri!"
"Merda!"
Tom si lasciò andare seduto sul letto ancora disfatto. La camera sembrava il risultato di un'esplosione post-atomica: vestiti ovunque, i suoi videogiochi sparsi su ogni superficie disponibile e le carte di merendine che non trovavano mai la strada per il cestino. Bill trovava quella stanza disgustosa. Ogni volta che ci entrava stava attento a dove poggiava il sedere e si aggirava prendendo le cose soltanto con due dita. Schizzinoso.
"Tom?"
"Sono qui"
"Dov'è?" chiese sua madre. Non era mai stata una donna facile alle lacrime, ma adesso Tom poteva sentire un leggero tremore nella sua voce.
"Non lo so, ma'" il cervello di Tom stava già lavorando per cercare una possibile soluzione a quella faccenda. "Quando è partito non mi ha detto dove andava. A dire il vero ho saputo che se ne andava cinque minuti prima che prendesse il taxi"
"E' successo qualcosa? Avete litigato?"
Tom trattenne il respiro per qualche istante. "...no" rispose alla fine. Espirò, mentre gli tornava alla mente l'intera scena. Bill che gli diceva che lo amava e che non avrebbe sopportato di rimanere lì con lui. Non poteva raccontarlo a sua madre. "Sei riuscita a parlare con David? Forse lui sà qualcosa!"
"Lui non sa niente. Bill gli ha detto che veniva da me" Simone espirò, cercando di mantenere la calma. Suo figlio che gli mentiva non era una novità: avere due gemelli maschi che si spalleggiavano a vicenda fin dalla tenera età di tre anni l'aveva allenata alle bugie, ma in questo caso la cosa era seria. Bill aveva deliberatamente tenuto tutti all'oscuro, compreso il suo gemello e adesso poteva essere chissà dove, senza nessun tipo di protezione. La sua notorietà lo rendeva un bersaglio facile, lasciarlo andare in giro da solo era fuori discussione già da molto tempo.
"David non ha avuto nessun'idea?" chiese Tom.
"Sì, ha detto che lo avrebbe cercato" la donna tentò di riordinare le idee. "Ha parlato di rintracciare la sua carta di credito per seguire i suoi spostamenti. Ha detto che mi faceva sapere ma non ho sue notizie da almeno un'ora"
"D'accordo. Adesso calmati" Tom si stava già mettendo la giacca, con il telefono incastrato tra la testa e la spalla. "Telefona a tutti i nostri amici, senti se è andato da loro. E chiama anche i parenti a Cologne"
"Tom l'ho già fat--"
"Fallo di nuovo!" insistette Tom. "Prova tutte le persone che conosci e che conoscono Bill. Forse vuole solo farci credere di essere scappato: lo sai com'è fatto! Ricordi quando era piccolo e ogni settimana se ne andava di casa per poi rintanarsi nella casetta sull'albero di Andreas?"
La donna non potè trattenere un sorriso, anche se triste. "Tom, aveva soltanto dieci anni!"
"Beh espandi leggermente le sue possibilità. Forse ha trovato la sua casa sull'albero in un altro stato. In fondo gli emo come lui fanno sempre gli stessi ragionamenti!"
Simone scosse la testa, pensando che era stato un bene chiamare Tom. Non importava quanto fosse drammatica la situazione, lui trovava sempre il modo di sdrammatizzare e certo andare in giro urlando isterica non l'avrebbe aiutata a ritrovare Bill. "D'accordo, va bene..."
"Mamma?"
"Sì?"
"Non ti preoccupare, lo troveremo"

Bill aveva passato le ultime due ore seduto in una tavola calda a qualche chilometro dall'albergo.
Aveva pensato di recarsi in aereoporto e prendere il primo volo per l'altro capo del mondo ma poi si era reso conto che così rintracciarlo sarebbe stato molto più facile; la carta di credito, il suo nome sulla lista dei passeggeri: David avrebbe impiegato si e no mezz'ora per capire dov'era diretto e ancora meno per avvertire il pilota di non farlo scendere. Per non parlare del fatto che sapeva soltanto il tedesco e non aveva la minima idea di come farsi capire all'estero senza un interprete. Rimanere in città era più sicuro.
Aveva ritirato dal suo conto tutto il contante possibile, quindi aveva trascinato le sue due enormi valigie fin dentro il locale, e si era rintanato nel tavolo più in angolo.
Stava ancora giocando con il menu quando una cameriera gli si era avvicinata per prendere la sua ordinazione. Una birra. Una zuppa. Qualcosa di caldo che allontanasse il gelo che gli si era insinuato fin dentro le ossa. Fuori la temperatura si stava facendo proibitiva, l'inverno era quasi al suo culmine. Mancavano quattro settimane a Natale. Tra poco: le strade gelate, la neve in cumuli alti mezzo metro lungo i marciapiedi e il vento freddo che ti sferzava il viso fino alle lacrime.
Sospirò, affondando il cucchiaio nella brodaglia pastosa che gli era stata servita. Non aveva idea di dove rintanarsi, nè di cosa avrebbe fatto poi. Come poteva fuggire a suo fratello, alla sua famiglia, alla band? "Come posso rimanere ancora lì?" aggiunse a bassa voce.
Si sentiva sospeso tra due possibilità, entrambe ugualmente devastanti. Non poteva sparire, ma non poteva neanche tornare indietro. La vita con suo fratello era ormai un sogno irrealizzabile, la vita senza di lui un concetto altrettanto impossibile. "Fantastico..." deglutì senza far caso alla zuppa che gli ustionava la gola. "Me ne vado e non so neanche dove. E ora sto qui a farmi le paranoie drammatiche come un poeta dell'ottocento. Non solo moralmente perverso, ma anche un enorme e stupido clichè. Sono uno stereotipo...."
Lasciò andare il cucchiaio con un gesto di stizza. Sul tavolo, accanto al suo piatto, era appoggiato il giornale della mattina, piegato sulla pagina degli spettacoli: una foto della band prendeva praticamente tutta la pagina con la sua bella faccia in primo piano. Sorrideva.
Accanto a lui, come sempre, Tom salutava il pubblico sbracciandosi come un indemoniato. Il suo entusiasmo era contagioso, le ragazze urlavano al suo passaggio e gli gridavano cose senza vergogna. Aveva un sorriso per tutte, un gesto per tutte e non c'era una sola di loro con la quale non avesse flirtato, fosse anche per un secondo. Lo amavano.
E lo amava anche lui. Gli sembrava impossibile non farlo, che ci fosse qualcuno al mondo che vedendolo non se ne innamorasse a prima vista.
La cameriera era tornata senza che lui se ne accorgesse, così Bill trasalì quando gli chiese se avesse finito. Annuì e poi si accorse che la donna lo stava fissando, lo sguardo dubbioso che andava alternativamente dal suo viso al giornale. Bill tirò via il quotidiano, facendolo sparire sotto il tavolo. "Era tutto buonissimo, grazie" biacicò velocemente, badando a tenere lo sguardo in basso. I battiti del suo cuore accelerarono ma la cameriera sembrò convincersi che no, quel ragazzino allampanato e con le occhiaie non poteva assolutamente essere il Bill Kaulitz di cui si parlava sul giornale.
Quando si fu allontanata, Bill espirò. Lo sguardo gli cadde sul portatovaglioli che rifletteva opaco il suo viso. Il cappellino calcato fino alle orecchie non era sufficente a nascondere la sua identità. Come aveva fatto a non rendersene conto? Gli occhi erano ancora truccati pesantemente per l'intervista ed erano troppo appariscenti. Troppo suoi.
Afferrò il tascapane che conteneva ad occhio e croce metà dei suoi possedimenti e si diresse in bagno. Tom lo prendeva sempre in giro per quella borsa, per quanto pesava, per le cianfrusaglie che ci ficcava ogni volta. I suoi trucchi, il diario, le annotazioni per le nuove canzoni e una quantità innumerevole di oggetti totalmente inutili. E nessuno poteva metterci le mani, nè sopra nè dentro. Quel tascapane era inviolabile. L'unico bagaglio a mano che si concedesse quando viaggiavano, l'unico oggetto per il quale pretendeva la cassaforte nei camerini. Nemmeno sua madre, in dieci anni che la possedeva, aveva mai potuto toccare quella borsa. "Cosa mai ci terrai dentro!?" gli aveva detto una volta Tom, infastidito quando aveva osato tirarla su per spostarla e lui gli aveva urlato contro. Ci tengo dentro te, Tom. Avrebbe voluto rispondergli così, ma probabilmente sarebbe suonato alquanto macabro.
Nei bagni non c'era nessuno, così infilò in quello delle donne dove lo specchio era più grande. In caso fosse entrato qualcuno avrebbe potuto sfruttare il suo corpo androgino. Erano diciotto anni che lo scambiavano per una femmina, almeno questa volta gli sarebbe tornato utile. Si tolse il cappello e fissò il proprio riflesso, quasi perfetto. I capelli erano stati lisciati e pettinati verso il basso. La sua parrucchiera li scalava regolarmente ogni tre settimane in modo che fossero sempre a posto. Quella pettinatura gli incorniciava il viso delicatamente, accentuando quell'aria femminile per la quale era adorato e offeso in tutte le parti del mondo. Gli occhi erano due macchie scure, su un viso reso diafano dal fondotinta. Doveva togliere quella maschera, Bill Kaulitz doveva sparire.
Struccarsi gli occhi non fu per niente facile. Tutto quel nero non andava via con una passata di cotone, ne sapeva qualcosa. Per ogni intervista, concerto o apparizione ci voleva mezz'ora di trucco. E lo stesso tempo era necessario alla fine.
Bagnò un nuovo dischetto di struccante e si accanì con ancora più foga. Man mano che toglieva il trucco, i suoi veri lineamenti spuntavano fuori. Come un'altra persona che emergeva lentamente da sotto la sua pelle. Alla fine, tolto il cerone, Tom lo fissò attraverso lo specchio.
"Tomi..." allungò una mano verso il riflesso e quasi si stupì di sentire vetro liscio e freddo sotto le dita e non la morbidezza delle guance del fratello.

"David!" Tom lo assalì prima ancora che fosse completamente uscito dall'ascensore dell'hotel. Aveva la faccia scura e turbata di quando lui e Bill combinavano qualcosa di disastroso. Le sue sopracciglia si incurvavano verso il centro della fronte e il naso si arricciava, come se fosse pronto a ringhiare. Quando erano piccoli si spaventavano sempre un po' per quella reazione. Beh, Bill sicuramente. Lui un po' meno ovviamente. "Allora? Ci sono novità?"
David non si fermò neppure e continuò diritto per il corridoio, con Tom che gli trotterellava dietro a grandi passi. "No, nessuna novità"
"Ma... la carta di credito? E la lista dei passeggeri?"
"Niente" rispose l'uomo, aprendo la propria stanza.
Tom gli andò dietro prima che potesse chiuderlo fuori. "Ma avevi detto che così potevano rintracciarlo!"
"Certo! Se avesse usato la carta di credito per comprare i biglietti, ma non lo ha fatto!" sbottò il manager. "Non è nemmeno partito"
Tom sgranò gli occhi, sconvolto. "Cosa?"
"Non c'è sulla lista dei passeggeri della Lufthansa, nè di qualsiasi altra compagnia aerea" spiegò David. Poggiò la giacca sul letto e si versò da bere.
"Ma.."
"Non è partito, Tom" ripetè, prima che il ragazzino potesse insistere. "Non ha preso nessun aereo. Ovunque sia, è ancora in questa nazione"
Tom era incredulo. Si era già immaginato il fratello in volo, diretto chissà dove, magari già atterrato in qualche posto sperduto del... del vietnam o del madagascar, magari! Un posto dove nessuno lo conoscesse e loro non avessero i contatti per rintracciarlo. E invece no, era in Germania. Magari in qualche tavola calda a mangiare una zuppa!
"Se è qui sarà più facile rintracciarlo!" esclamò però alla fine.
David scosse la testa. "No. Se resta qua avrà meno possibilità di utilizzare i documenti. Se non si registra da qualche parte, non lo troveremo più"
"Avrà pur bisogno di soldi no? Prima o poi userà la carta!"
"Lo ha già fatto. Due ore fa ha ritirato il massimo da uno sportello automatico" lo informò il manager, passandosi una mano tra i capelli. "Siamo corsi lì, ma non c'era già più. Ho fatto setacciare i dintorni ma è stato inutile. Con quella cifra può andare avanti per mesi. Anche se gli blocchiamo il conto non servirà a nulla nell'immediato"
"Beh dovrà pur dormire da qualche parte!" insistette Tom, incapace di stare fermo.
"Magari ha degli amici o dei parenti che lo coprono" David si strinse nelle spalle. "Ci sono motel che non chiedono documenti... le possibilità sono infinite"
A lungo rimasero in silenzio. Tom si sentiva come svuotato. Erano passate dieci ore da quando suo fratello gli aveva fatto la grande rivelazione, tre da quando virtualmente era sparito nel nulla. Era quasi l'alba e nessuno di loro aveva dormito.
All'inzio tutto quanto era stato troppo frenetico per fermarsi e pensare a cosa fosse successo: le telefonate di sua madre che ogni mezz'ora chiedeva se fosse tornato, Georg e Gustav che si erano offerti di battere la città palmo a palmo per ritrovarlo, David che faceva avanti e indietro dall'albergo agli uffici della produzione, all'areoporto, sempre attaccato al cellulare nel tentativo di mettersi in contatto con questa o quella persona. Tom aveva passato tutto quel tempo tra la hall e il corridoio di fronte alla sua stanza, nella quale non era voluto più entrare. Sempre in movimento, sempre occupato a far qualcosa. Sapeva che se si fosse appoggiato anche solo un istante da qualche parte, sarebbe crollato. E non poteva permetterselo.
Quando David era uscito un'ora prima senza dire dove andava, Tom aveva sperato che fosse la volta buona, che gli avessero comunicato qualcosa di importante. Ritrovarselo ora, seduto accanto, privo di altre soluzioni lo aveva come svuotato. Tutto ad un tratto si sentiva completamente perso. Se neanche David sapeva dove cercarlo, cosa poteva fare lui?
"Hai provato a chiamare Andreas?" chiese David, all'improvviso. La sua voce bassa e greve sembrò quasi rimbombare nel silenzio perfetto che si era creato.
"Dice che non vede nè sente Bill dall'ultima volta che siamo stati là" rispose Tom senza guardarlo. Cominciava a trovare interessante quella macchia sul muro "Ha detto che provava a fare un giro dei nostri amici"
Rimasero ancora in silenzio, poi Tom sentì David espirare. La tensione nell'aria sembrò intensificarsi, Tom era ormai abituato a percepire un uragano in arrivo visti i casini che combinava di solito. "Cosa diavolo è successo?" chiese il manager. "Vuoi dirmelo ora?"
"Non lo so" Tom si mise sulla difensiva. Si portò verso la finestra e guardò fuori. Berlino era immersa nella luce rosata del sole nascente. C'era qualcosa di magico in quella visione. Pensò a suo fratello là fuori e strinse il pugno sul davanzale.
"Fino a ieri andava tutto bene. Poi all'improvviso tu ci parli e lui decide di andarsene"
"Pensi che sia colpia mia?" Tom si voltò di scatto e lo fulminò con lo sguardo quasi sfidandolo a confermare.
"Non dico questo, ma sicuramente qualcosa è successo" insistette David, cercando di evitare lo scontro. Non gli era mai piaciuto litigare con i suoi due pupilli: rimettere a posto le cose era sempre più stancante che scatenare la discussione. "Durante l'intervista era tranquillo"
"No! Non lo era affatto!" Tom si morse la lingua. Il fatto era che si sentiva tremendamente in colpa per non essersi accorto del malessere di Bill e ora non sopportava l'idea che nessun'altro lo avesse notato e che Bill fosse stato completamente solo con il suo problema. Se ripensava all'intervista, per esempio, ricordava come fosse stato in silenzio per quasi tutto il tempo.... lui! Lui che era pronto a sbranarti vivo se riuscivi a rispondere alle domande prima di lui. Lui che ti parlava sopra se osavi dire la tua prima che avesse espresso la propria opinione. Come diavolo avevano potuto pensare che fosse a posto?!?
"Non lo era?" lo incalzò David. "Aveva un problema e non me lo hai detto?"
"No" Tom sospirò. "Io... senti David, non lo sapevo che avesse un problema, okay?"
David non sembrava assolutamente convinto da quella risposta. "Cosa mi stai nascondendo?"
"NIENTE!" replicò secco il ragazzino, sperando che questo bastasse a far smettere David di fare domande ma il manager continuava a fissarlo come se fosse intenzionato ad attendere da lui una risposta per tutta la vita. "Ascolta, ne so quanto te. Ad un certo punto mi ha detto che se ne andava e se n'è andato"
"E non lo hai fermato?"
"Hai mai visto Bill che fà quello che gli dici?" Tom lo guardò da sotto in su. David ricambiò l'occhiata, poi gli venne da ridere. Una risata breve, involontaria, che contagiò anche Tom. Entrambi avevano ben chiare in testa tutte le volte in cui Bill si era intestardito su qualcosa ed era stato impossibile fargli cambiare idea. Quando Bill si metteva in testa qualcosa, non voleva sentire ragioni. O si faceva come voleva lui, oppure non se ne faceva nulla.
E se davvero per caso non se ne faceva nulla, allora s'incazzava il doppio, diventando isterico.
David espirò e gli battè una mano su una spalla. "Sarà meglio che tu vada a letto ora. Vedrai che prima o poi salterà fuori"
"Io non--"
"Tom, soltanto un paio d'ore" insistette il manager. "Sei in piedi da ieri mattina"
Il ragazzino ci pensò su qualche istante, poi si rese conto che David aveva ragione. Improvvisamente, la stanchezza si fece sentire tutta insieme. Faticava a tenere gli occhi aperti. "Se ci sono novità.." iniziò, prima di lasciare la stanza.
"Ti vengo a chiamare personalmente, promesso" lo rassicurò il manager.


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