Fandom: !Originali
Personaggi: Beige, Bianco, Nero, Azzurro, Rosa, Marrone, Fucsia e altri colori
Genere: Introspettivo, Commedia, (momenti di) Drama
Avvisi: -
Rating: PG
Prompt: Storia scritta per la maritombola di maridichallenge (prompt nr.14: beige).
Note: Io amo le personificazioni, quindi ho colto la palla al balzo quando mi sono ritrovata beige fra i prompt della tombola (perché, diciamocelo, non è proprio un colore che ispiri storie di alcun genere, visto quello che ricorda, ecco). La trama non è proprio innovativa, ma mi sono concentrata molto di più sulle caratterizzazioni e spero di averne fatto qualcosa di buono. Se non altro mi sono divertita, e questa è sempre cosa buona e giusta. Spero che vi piaccia :)
Illustrizioni: Qui potete vedere: Rosa, Beige e Bianco, tutti e tre splendidamente disegnati da Leah.

Riassunto: Beige non era mai stato un tipo popolare.
LA TRISTE STORIA DI BEIGE


Beige non era mai stato un tipo popolare.
Il patetico biondo grigiastro dei suoi capelli, quella sua aria sempre un po' triste e l'incapacità di accompagnarsi con chiunque non lo rendevano un ragazzo particolarmente simpatico. Gli altri tendevano ad evitarlo, in parte perché non avevano molto da dirgli e in parte perché accanto a lui la loro immagine finiva inevitabilmente per rovinarsi.
C'era stato un tempo lontanissimo in cui i suoi antenati erano stati rispettati e considerati i rappresentanti dell'avventura e della scoperta; gli abiti degli avventurieri erano stati beige, beige era il colore delle lande desolate in cui regnavano incontrastati i leoni e ogni genere di bestia selvaggia, ma era stato secoli prima, quando lui non era ancora nato e quando, soprattutto, Khaki non era ancora comparso.
A lui tutti volevano bene, perché aveva un nome sofisticato e sembrava più serio di Beige ma, soprattutto, era molto più neutro e per questo andava d'accordo con un sacco di colori inavvicinabili come Marrone o Vinaccia, i quali erano rispettati per la loro forza, ma non si poteva dire che fossero amichevoli nei confronti di tutti gli altri. Essere simpatici a Marrone significava essere intoccabili, da quelle parti.
Beige non aveva questa fortuna e, come se essere un emarginato evitato da tutti quanti non fosse già di per sé sufficiente, il suo cuore batteva inutilmente per l'unica ragazza al mondo che non avrebbe mai potuto nemmeno avvicinare, figuriamoci conquistare.
Rosa era bellissima, più bella di qualunque altro colore Beige avesse mai visto. Era alta e magra, e i suoi lunghi capelli si arricciavano in boccoli lungo la schiena. Aveva mani sottili ed eleganti e occhi grandi e buoni, ed era così dolce e tenera che chiunque la vedesse si sentiva scaldare il cuore, o almeno a Beige succedeva questo, insieme a tutta un'altra serie di sintomi come le mani che sudavano, le palpitazioni e l'improvvisa incapacità di pronunciare una qualsiasi frase di senso compiuto.
Quando la vedeva la mattina a scuola, Beige sollevava una mano, la agitava stupidamente e per il nervoso tirava gli angoli della bocca così in alto che, più che sorridere, sembrava aver appena avuto un paresi di qualche tipo. Lei era abbastanza gentile da salutarlo, ma non si fermava mai, forse perché gli faceva pena o, molto più probabilmente, perché sua madre – Rosa Antico – e suo nonno – quello stesso Marrone che già considerava Beige una specie di malattia incurabile – non approvavano nemmeno che gli fosse amica, in quanto non lo consideravano un colore adatto a lei né, se per questo, uno degno di questo nome.
Beige pensava a tutto questo anche in quel momento, mentre Rosa gli passava proprio davanti, circondata dal solito stuolo di spasimanti che suo fratello Azzurro teneva a bada con occhiatacce infuocate. Ne lanciò una anche a lui, ma più per abitudine che per vera e propria minaccia, visto che Beige non si era nemmeno alzato dal posto in cui era e non costituiva oggettivamente nessun pericolo per la bella Rosa.
“Pensi ancora a quella? E' una causa persa, amico, suo fratello e suo nonno credono che sia fatta d'oro!” Esclamò Bianco, sedendosi sul muretto accanto a lui e togliendosi dall'orecchio un solo auricolare, dal quale proveniva musica rap ad un livello da manicomio.
Nero, il suo gemello, li raggiunse qualche secondo dopo, con la solita camminata pacata mentre scriveva sms col cellulare ad una velocità assurda. “Di chi stiamo parlando?” Chiese, senza alzare lo sguardo e fermandosi a naso proprio accanto al fratello. Erano uno il contrario dell'altro, e non solo cromaticamente. Bianco era confusionario, rumoroso e amichevole, quanto Nero se ne stava silenzioso e quasi invisibile per conto suo, e mentre uno aveva un cespuglio di morbidi riccioli bianchi stretti come molle, l'altro sfoggiava un triste ciuffo nero che gli nascondeva gli occhi, insieme al fatto che aveva sempre lo sguardo puntato sullo schermo di un qualche dispositivo elettronico, che fosse il cellulare o il lettore mp3 poco importava.
“Di Rosa, naturalmente,” Bianco ridacchiò, sgomitando Beige. “Il nostro Romeo, qui, è ancora innamorato.”
“Quella non la darà mai ad uno come te,” commentò Nero, lanciandogli un'occhiata fugace, prima di tornare a digitare. “Dovresti trovarne una alla tua altezza.”
“Una un po' meno popolare, magari.”
“Grazie, siete due veri amici,” commentò sarcastico Beige. “E' incredibile come io sia ancora depresso, dopo tutto il sostegno che mi date.”
Bianco scosse la testa mentre il gemello si stringeva nelle spalle. “Ehi, non è colpa mia se la vita fa schifo,” commentò seriamente. “Siamo nati per soffrire.”
“Io più degli altri, a quanto pare.”
“Sono con te, fratello,” esclamò Nero, giocando a tetris sull'iPhone e suonando completamente disinteressato.
Beige sospirò e non disse nient'altro perché tanto sapeva che non sarebbe stato ascoltato. Lanciò un'altra occhiata languida al vialetto della scuola, ma Rosa era già sparita.
“Comunque, passiamo alle cose serie,” Bianco gli passò una mano intorno alle spalle e lo tirò a sé con aria cospiratoria. “Stasera Grigio da una festa a casa sua. Ci sarà un sacco da bere, tu sei dei nostri, vero?”
“Non lo so, non è che sono molto in vena.”
“Andiamo!” Insistette Bianco, indicando di fronte a sé con un ampio gesto della mano che comprendeva virtualmente tutte le meraviglie che lo aspettavano a casa del Grigio. “Ci divertiremo e ci saranno un sacco di ragazze, così magari vedi se ti passa questa sbandata per Rosa.”
Beige annuì perché gli costava meno fatica mentale che tentare di rifiutarsi, ma sapeva perfettamente che sedere in un angolo da solo a fare da tappezzeria a casa del Grigio non sarebbe servito a fargli passare la cotta per Rosa.
Passò una consistente parte del pomeriggio a sperare che per un qualche motivo indipendente dalla sua volontà questa festa venisse annullata, in modo da poter evitare di andarci senza sentirsi colpevole di aver inventato una scusa becera; i suoi desideri furono esauditi, anche se non esattamente come voleva lui.
Bianco e Nero passarono a prenderlo per trascinarlo fuori di casa che ancora si lamentava di non volerci andare ed insieme raggiunsero la casa del Grigio, che era ormai strapiena di gente che ballava e beveva e si nascondeva in ogni anfratto possibile per fare quelle e altre cose a cui Beige preferiva non pensare.
A lui le feste non erano mai piaciute perché erano la somma di tutto ciò che lo metteva a disagio: ballare, bere, interagire con le persone. Così, una volta che ebbe varcato la soglia e fu abbandonato a se stesso come da copione dai due gemelli, che si dispersero tra la folla alla ricerca di altre persone, si diresse verso il tavolo del cibo e spilluzzicò qualcosa, chiedendosi se potesse passare il tempo ad ingozzarsi di pizza e basta, e se questo avrebbe tenuto a bada la propria depressione abbastanza a lungo da raggiungere l'ora in cui gli altri due si sarebbero sentiti abbastanza soddisfatti da tornare a casa.
Non fece in tempo ad aprire neanche la prima birra, però, perché Marrone fece improvvisamente irruzione dalla porta principale, accompagnato da Verde Militare e Blu Navy – le sue due guardie del corpo – annunciando che Rosa era sparita e che nessuno avrebbe lasciato la casa senza prima essere stato interrogato.
I due militari bloccarono ogni via d'uscita e trascinarono fuori anche chi si era rintanato nelle stanze del piano di sopra, radunando tutti gli ospiti in salotto. Grigio, che era sempre molto pacato, una via di mezzo fra l'esuberanza del bianco e la serietà drammatica del nero d'altronde, questa volta si fece avanti furioso. “Si può sapere che cosa sta succedendo?” Chiese, affrontando Marrone a muso duro.
Marrone si fece avanti a spallate fra i ragazzini di ogni colore che colonizzavano la stanza e si piazzò a gambe larghe di fronte al padrone di casa, sfoggiando la pancia prominente e un doppiopetto dai bottoni grossi come noci. Grigio deglutì, ma sfoggiò un'incredibile coraggio nel non arretrare.
“Succede che mia nipote è scomparsa e nessuno di voi delinquenti lascerà questo posto se prima non salta fuori.”
“Qui Rosa non s'è vista,” replicò subito Grigio, che aveva tenuto ben conto di chi entrava e di chi usciva, soprattutto perché non si era mai trattato di Rosa, sulla quale aveva messo gli occhi da tempo. Aveva dato la festa per invitarci lei, quindi se lei fosse venuta lui lo avrebbe saputo di sicuro. “Doveva venire, ma non si è mai presentata.”
“Io le ho impedito di venire,” precisò Marrone, guardando storto lui, ma anche più o meno tutti i ragazzi presenti ad eccezion fatta di Azzurro, che aveva lo sguardo sconvolto e spaventato per la notizia. “Ma lei dev'essere scappata per raggiungervi lo stesso perché voi le avete fatto il lavaggio del cervello. E adesso, se non mi dite dov'è, io vi faccio sbattere in cella uno dopo l'altro.”
Navy spinse indietro Grigio e lo rimise a posto con gli altri, mentre Verde Militare approntava la cucina per gli interrogatori. “Prima parlate, meglio sarà per voi,” commentò Marrone.
Grigio fu il primo, ma Navy da lui non cavò niente di più di quanto aveva già sentito. Rosa era stata invitata per prima, ma non si era mai presentata e lui non la sentiva dal giorno stesso dell'invito perché suo fratello Azzurro non gli aveva mai permesso di parlare con lei.
Bianco e Nero non avevano mai avuto a che fare con Rosa in vita loro e, quella sera, prima di arrivare alla festa, erano stati soltanto con Beige che, oltre a confermare la loro versione e balbettare praticamente tutto il tempo, disse che lui non si era mai avvicinato a Rosa e che Azzurro di certo poteva dirglielo meglio di lui.
Azzurro ammise di aver lasciato la sorella insieme a sua madre e a suo nonno e di essersi rassegnato ad andare alla festa senza di lei; disse che le aveva mandato un messaggio appena arrivato alla casa del Grigio per dirle com'era, e la copia che ancora aveva nel cellulare confermava le sue parole. A quanto pare Rosa non aveva ancora risposto, il che, a detta di Azzurro, era strano ma non impossibile. A volte la sorella ascoltava la musica con le cuffie e non sentiva il cellulare, ed era plausibile che fosse così triste da stare facendo proprio questo dal momento che Marrone le aveva impedito di fare una cosa alla quale teneva molto. Ad Azzurro fu chiesto anche se c'era modo, per lei, di allontanarsi dalla casa di famiglia senza essere vista e il ragazzo rispose che in effetti avrebbe potuto uscire dalla finestra usando la grossa quercia che dava proprio su camera sua per scendere a terra, ma Rosa soffriva di vertigini e dunque era improbabile che fosse andata così. Dopo di loro, Navy e Verde Militare interrogarono anche tutti gli altri; Rosso che era timidissimo e, ogni due parole, si nascondeva dietro le mani ben aperte. Giallo, che era così pimpante e ciarliero che dovettero buttarlo fuori dalla cucina per farlo smettere di parlare. Arancione, buono come il pane, ma così esageratamente stupido da non sapere bene nemmeno perché si trovasse lì, figurarsi sapere dov'era Rosa. Bianco Sporco, che nel rispondere alle domande divenne ancora più sporco e, naturalmente Celeste, la ragazza di Azzurro, che invidiava Rosa perché era più bella e più amata, ma che aveva un'alibi di ferro, essendo stata agli allenamenti con le altre cheerleader fino a che Azzurro non era andata a prenderla e si erano recati alla festa insieme ad altre dieci persone. Una volta nella casa del Grigio, si erano chiusi in una stanza, dove per altro Navy li aveva poi trovati. Alla fine, dei trenta invitati, nessuno sapeva che fine potesse aver fatto Rosa, nessuno l'aveva vista dopo scuola e nessuno poteva essere davvero accusato di niente. Marrone stava per perdere le speranze, quando arrivò la telefonata.
Navy si affrettò a collegare il cellulare al televisore del Grigio, così che la videochiamata fosse visibile a tutti, come da richiesta di Fucsia, il cui faccione rubicondo comparve sullo schermo neanche due secondi dopo.
“Potete sentirmi tutti?” Chiese la donna, che con l'abito, le calze, le scarpe, il rossetto e il cerchietto per i capelli dello stesso colore era esagerata e vistosa, quasi fluorescente. “Bene.”
“Tu!” Sibilò Marrone, attraverso il telefono. “Che cosa vuoi, ancora?”
Tra lui e Fucsia non correva una grande simpatia da quando lui l'aveva allontanata dalla città, strappandole lo status di colore con l'accusa di aver tramato alle sue spalle. Al tempo le prove contro di lei erano state quasi ridicole, ed era stato chiaro a tutti che Marrone l'avesse cacciata per far posto alla nipote, così come aveva declassato Blu a mansioni minori per dare modo ad Azzurro di farsi un nome. Nessuno naturalmente aveva osato aprire bocca allora, e nessuno lo fece nemmeno in quel momento, quando gli occhi di Marrone si strinsero su Fucsia, anche se lei non poteva vederlo.
“Marrone, non mettermi fretta. Oggi sono io che spiego a te come stanno le cose,” replicò Fucsia, tirandosi sul naso un paio di occhiali dalla montatura spessa e appuntita ai lati, con due brillantini per ogni lente, che le rendeva enormi gli occhi truccatissimi. “Tanto per cominciare, c'è qualcuno che vorrei farti vedere.”
La telecamera con cui, evidentemente, Fucsia si stava riprendendo, si spostò alla sua destra, mostrando una stanza in penombra, completamente vuota tranne che per una sedia alla quale Rosa era legata ben stretta. La ragazzina, provatissima, teneva la testa piegata sul petto e i lunghi boccoli più chiari le scendevano scomposti e spettinati sulla faccia.
“Rosa!” Gridarono all'unisono Marrone, Azzurro e Beige che per uno strano caso del destino ora si ritrovavano nella stessa metà di salotto a fissare sconvolti la stessa immagine e a provare lo stesso identico terrore.
Lei, come li avesse sentiti, sollevò il visino spaventato e pallido come un cencio, e implorò di venir liberata. Fucsia riportò manualmente la telecamera su di sé proprio mentre Marrone ringhiava. “Che cosa le hai fatto? Lasciala subito andare o te ne pentirai!”
“Punto primo, Marrone, ti ho già detto che sarò io a spiegarti tutto questa volta, come e quando voglio io,” rispose Fucsia. “Punto secondo, non ti è permesso darmi ordini. E punto terzo, quello più importante, io non mi pentirò di niente perché tu farai come dico io oppure la tua preziosissima Rosa smetterà di esistere per sempre.”
La telecamera inquadrò ancora una volta Rosa, che stavolta si agitava perché su di lei pendeva pericolosamente un immenso secchio bianco, con sopra disegnato due rombi blu concentrici con un pallino rosso in mezzo.
“E' bianchetto!” Gridò inorridito Azzurro, arretrando di un passo e finendo, per questo, addosso a Beige, che invece lo scostò per guardare con più attenzione lo schermo. Il nonno di Rosa strinse furioso il pugno, ma non disse una parola, mentre Fucsia guardava dritta l'obbiettivo, come se potesse vederlo. “Sei più disposto ad ascoltarmi adesso, vecchio rimbambito?”
“Che cosa vuoi?” sibilò Marrone tra i denti.
Il viso di Fucsia si rilassò in un'espressione di trionfo, le sue labbra si tesero in un sorriso appena accennato, discreto, stranamente elegante per una che risplendeva come un albero di natale e aveva rapito una ragazzina minacciandola di cancellarla dalla faccia della Terra. “Adesso iniziamo a ragionare,” annuì soddisfatta. “Le mie richieste sono molto semplici. Voglio riavere indietro il mio vecchio posto e pretendo che mi sia riconosciuto lo status di colore, come a chiunque altro. Sono stufa di vivere nell'ombra e di essere considerata uno scherzo della natura.”
Beige si voltò in direzione di Marrone, convinto che desideri simili fossero così semplici e ragionevoli da soddisfare che sarebbe trascorso meno di un secondo tra la richiesta e l'accettazione della stessa, ma Marrone non disse proprio un bel niente, né subito né dopo qualche minuto. Si limitò a guardare lo schermo con aria truce.
“Nonno, che cosa aspetti?” Lo incalzò Azzurro, guardandolo con la stessa aria sconvolta di Beige. “Dalle quello che vuole e facciamola finita.”
Il vecchio lo ignorò. “Fucsia, sai che non posso concedertelo.”
“Io so solo che non vuoi, perché sei un vecchio testardo e borioso” rispose quella. “Ma stavolta dovrai mettere da parte l'orgoglio o la tua bellissima nipote morirà.”
Marrone vibrò di rabbia, tutto il suo corpo era teso per la frustrazione. Sulla stanza calò il silenzio, in parte attonito per la sua esitazione, in parte terrorizzato all'idea di quello che poteva succedere a Rosa.
Fucsia allungò un braccio verso il pulsante di spegnimento della telecamera. I presenti videro la sua grossa mano coprire quasi tutto lo schermo. “Hai tempo fino a domattina all'alba, vecchio, poi potrai dire addio alla tua bella Rosa,” disse, un attimo prima di spegnere. “Mi farò viva io.”
Azzurro si scagliò contro il nonno l'esatto istante in cui il televisore torno nero. “Si può sapere che cos'hai nella testa?” Ringhiò, sfruttando la propria altezza per fissarlo dall'alto in basso con rabbia.
Marrone serrò la mascella e sostenne la sua presenza imponente a qualche centimetro di distanza dal proprio corpo senza battere ciglio. “Ho fatto quello che andava fatto,” rispose, mentre il suo sguardo vagava di lato.
“Vuoi lasciare Rosa in mano a quella pazza?” Ringhiò ancora Azzurro, che era fuori di sè e scalpitava. Stringeva e chiudeva i pugni, come sul campo da football prima del calcio d'inizio. “Vuoi che la elimini con il bianchetto per sempre? Dalle quello che vuole, chi se ne frega! Un colore in più o in meno non cambierà le cose!”
Marrone rimase in silenzio, così preso dai suoi pensieri che non sembrava nemmeno aver sentito il nipote che gli urlava sconvolto nelle orecchie.
“Parla, maledizione!” Sbottò Azzurro.
Il vecchio sospirò, lasciando ricadere le spalle. “Fucsia non può avere ciò che vuole. Quello è il posto di tua sorella, e lei non voleva farsi da parte. Per questo l'ho mandata via qualche anno fa.”
“Se non fai qualcosa, avremo un posto vuoto e nessuno ad occuparlo,” sibilò Azzurro.
“Risolveremo questa situazione,” replicò Marrone.
“No! No! Tu non devi risolvere un bel niente!” Esclamò il ragazzo, allontanandosi di qualche passo per poi tornare indietro ed indicarlo con un dito accusatore. “Non appena quella pazza richiamerà, tu gli dirai che va bene, che può essere un colore, che può essere pure un Primario per quanto mi interessa, ma le darai ciò che vuole e riporteremo Rosa a casa.”
“Non è così semplice, ragazzo.”
“Lo è, invece. Lo è eccome. Rosa è più importante di qualsiasi cosa tu stia cercando di proteggere. A lei non frega niente del futuro che hai riservato a lei o a me. Non le è mai fregato niente di far parte della tua cerchia! Riportala a casa, non c'è nient'altro a cui tu debba pensare.”
Marrone non rispose, rimase fermo dov'era, incurante dello sguardo di tutti i presenti che stavano trattenendo il fiato di fronte a questa litigata di famiglia, la prima che avvenisse in pubblico.
La famiglia di Marrone era sempre stata molto riservata, nessuno sapeva le questioni personali del vecchio o degli altri parenti. Quello che succedeva nella loro villa, rimaneva tra quelle quattro mura e per anni – quasi tre generazioni, da quel Bordeaux, zio di Marrone, che era arrivato da un paese straniero per gettare le basi del loro potentissimo impero – tutto era sembrato andare liscio come l'olio, ma evidentemente anche all'interno della famiglia qualcosa non quadrava.
“Nonno!” Lo incalzò Azzurro. Il vecchio socchiuse gli occhi, come se quel grido lo ferisse, ma non disse niente.
Fu allora che Beige si fece avanti, le mani strette a pugno e la determinazione dipinta sul volto. “Se non vuole cedere al ricatto, allora andiamo a prenderla,” esclamò.
Marrone si voltò verso di lui con aria interrogativa, mentre Azzurro alzava gli occhi al cielo nel tentativo evidente di chiedere la forza dall'alto dei cieli. “Dove vuoi andare a prenderla se non sappiamo nemmeno dove la tiene?” Esclamò.
“Io lo so!” Insistette Beige, e quando tutti gli altri lo guardarono con aria poco convinta, sbuffò un sospiro estenuato. “Ho riconosciuto il posto in cui Rosa è rinchiusa. E' un vecchio capannone, mio padre ci faceva le consegne fino a qualche anno fa, prima che lo chiudessero. C'era una vecchia centralina elettrica proprio vicino alla porta dietro di lei, una di quelle che ormai sono fuori legge. Nessun capannone ancora in uso le monterebbe, credetemi.”
“E dove si troverebbe questo vecchio capannone?” Chiese Azzurro, ancora scettico.
“Appena fuori città, all'inizio dell'autostrada.”
Marrone annuì. “In effetti ha senso. E' una zona isolata, ma non troppo lontana. Non dev'essere stato difficile rapire Rosa e portarla lì per chiamarci subito dopo.”
“E che cosa dovremmo fare?” Chiese ancora Azzurro. “Quella è pericolosa. E armata.”
“Ma sola,” puntualizzò lui. “Basterebbe coglierla di sorpresa.”
Azzurro ci ragionò sopra qualche minuto. “Potrebbe essere fattibile, ma mi servirà una squadra,” commentò alla fine, dando per scontato che sarebbe andato lui a salvare la sorella.
Beige annuì. “Io sono con te,” si offrì. “Ma in due non siamo sufficienti.”
Azzurro e Beige si voltarono verso le altre persone presenti, in attesa che qualcuno fosse abbastanza coraggioso da unirsi a loro per la pericolosa impresa. Per qualche lunghissimo minuto nessuno aprì bocca e rimase fermo dov'era, poi Bianco sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Veniamo noi,” esclamò, trascinandosi dietro il fratello, che puntò a terra i piedi e si agitò scompostamente.
“Veramente io non voglio andare da nessuna parte,” protestò Nero.
“Vorrai mica lasciarlo andare da solo? Quello senza di noi non va lontano due metri,” esclamò bonariamente Bianco, continuando a tirarlo senza farsi nessun problema.
“E io cosa c'entro? La mia vita non fa già abbastanza schifo senza dovermi mettere contro una pazza invasata che fa male agli occhi solo a guardarla da quanto è fosforescente?”
Bianco sospirò, quindi passò un braccio intorno al collo del fratello e gli piantò una mano sulla bocca, riducendo le sue lamentele ad un mormorio confuso e indispettito. “Noi veniamo,” ripeté, con un sorriso incoraggiante in direzione di Beige.
“In quattro possiamo farcela,” annuì Azzurro, ormai convintissimo. “Ora muoviamoci, l'alba non è lontana.”

*


Arrivare al capannone non fu complicato, volendo escludere il borbottio costante e ripetitivo di Nero che si lamentava dell'ingiustizia perpetrata ai suoi danni e li accusava di rapimento e maltrattamenti vari ed eventuali che avevano leso la sua anima prima ancora che il suo spirito.
Lo ignorarono tutti fintanto che le sue chiacchere non furono altro che fastidiose, e poi Bianco pensò a zittirlo di nuovo quando furono in vista del capannone che, in effetti, aveva le luci accese.
Dopo aver perlustrato la zona e aver cautamente osservato all'interno attraverso una finestra polverosa, i quattro si fermarono per riordinare le idee a qualche metro di distanza, nascosti da uno sparuto gruppo di alberelli sopravvissuti alla colata di cemento dell'autostrada.
“Allora, è tutto chiaro?” Chiese serio Azzurro, che per l'occasione si era fatto due strisciate blu sugli zigomi e le aveva fatte fare anche agli altri tre. Nero ancora stava cercando di togliersi le sue con un po' di saliva, ma stava riuscendo solo a sporcarsi pure le guance.
Gi altri annuirono, guardandosi tutti quanti negli occhi.
Al segnale di Azzurro si misero in posizione.

*


Fucsia camminava avanti e indietro da quasi un'ora, fissando ossessivamente il telefono e chiedendosi se non dovesse richiamare prima del previsto e insistere con le proprie richieste. In fondo mancava ancora un po' all'alba e lei aveva dato al vecchio un sacco di tempo per organizzarsi. Non aveva idea del modo in cui sarebbe potuto intervenire, ma di certo dargli la possibilità di farlo non era stata una grande idea. Avrebbe dovuto continuare ad incalzarlo e costringerlo a cedere subito, adesso si ritrovava a dover attendere in ansia e senza nemmeno un giornale di enigmistica da compilare.
Lanciò un'occhiata alla ragazzina che da un po' se ne stava in silenzio, con gli stinchi intrecciati alle gambe della sedia e la testa abbandonata sul petto. Sapeva che era ancora viva perché ogni tanto emetteva un singulto spaventato e poi perché, onestamente, era difficile che fosse morta così senza un motivo, visto che nessuno l'aveva proprio toccata. Fucsia non credeva nelle morti romantiche per paura, consunzione o crepacuore. Guardò di nuovo il vecchio orologio appeso al muro e sospirò, erano passati appena dieci minuti dall'ultima volta che ci aveva buttato un'occhiata e le lancette non avevano preso a muoversi più velocemente. Sapeva che guardare i numeri sul quadrante non avrebbe fatto niente di buono per la sua ansia, ma non poteva evitarlo, d'altro canto non è che ci fosse granché da fare in un capannone vuoto. Lei non era né il tipo da sedersi su una poltrona ad accarezzare il gatto in attesa dei suoi avversari, né il tipo che raccontava i suoi piani malefici alla povera vittima innocente, anche perché non aveva nessun gatto né tantomeno nessun piano malefico. Le sue richieste erano talmente semplici, e soprattutto così lecite, che aveva ritenuto più sensato esporle direttamente che non ingegnarsi a macchinare chissà che. Gli prendo la nipote, aveva pensato, e gliela restituisco in cambio di quello che voglio. Era un po' come dare indietro il bigliettino del guardaroba alla signorina, quando uscivi dalla discoteca. Non si faceva mica male nessuno.
La lancetta dei minuti scattava ad una lentezza insostenibile, come se fosse immersa nella melassa, Fucsia provava quasi del dolore fisico nel fissarla, gli veniva voglia di fare il tifo per lei, per vedere di aiutarla nel suo lungo viaggio dall'1 al 12. Era così presa dal dramma del tempo che avveniva proprio davanti ai suoi occhi che i quattro forti colpi alla porta la colsero di sorpresa. Sussultò e cacciò un urletto imbarazzante che per fortuna si perse nell'eco dei colpi che ancora rimbalzava da una parete all'altra del capannone. Forse nemmeno Rosa, che aveva alzato il capo, spaventata e speranzosa insieme, lo aveva sentito.
“Chi diavolo è?” Abbaiò quando si fu ripresa abbastanza da ritrovare il contegno.
In tutta risposta, la porta si spalancò con un tonfo, andando a schiantarsi contro la parete e producendo un'altra serie di rimbombi fragorosi. “Sono Azzurro, e per te è finita!” Tuonò il ragazzo, con una mano sul fianco e il braccio teso di fronte a sé.
Beige, appena entrato di soppiatto dall'altra parte del capannone, si spalmò una mano in faccia e sospirò, prima di riprendere a camminare guardingo verso Rosa, che gli dava le spalle.
Fucsia fissò intensamente il nuovo arrivato per qualche istante, con una piega impietosita tra le sopracciglia fatte di fresco e le labbra un po' arricciate per il disgusto. “E quindi?” Chiese.
Azzurro rimase spiazzato, tanto che calò perfino il braccio e fissò dritto davanti a sé, verso Beige che stava disperatamente cercando di non farsi notare per liberare sua sorella. Fucsia lo fissò un po', senza sapere che cosa stesse avvenendo esattamente.
Beige, accorgendosi dell'improvvisa immobilità di Azzurro, gli segnalò di continuare a blaterare prima che Fucsia si voltasse e notasse che tentavano di fregarla.
“E quindi, secondo te?” Si riprese subito Azzurro, con un teatrale colpo di tosse. “Sono qui per liberare mia sorella e non c'è niente che tu possa fare per fermarmi!”
Fucsia sospirò. “Ragazzo, potrei elencarti almeno una ventina di modi in cui potrei farlo, ma non ne ho il tempo perché aspetto una telefonata da tuo nonno. Ora, perché non torni a casa da bravo e aspetti che ti restituisca tua sorella?”
Per sottolineare quanto poco fosse rimasta impressionata dalla sua entrata, Fucsia fece per voltarsi e riprendere ad ignorarlo, così Azzurro fu costretto a fermarla. “Io non tornerò a casa!” Esclamò deciso, avanzando come un toro in direzione della donna. “Sono qui per Rosa e non me ne andrò senza di lei.”
“Sta bene,” disse Fucsia esasperata, sapendo che faceva prima ad assecondarlo che a cercare di mandarlo via. Si massaggiò le tempie, frustrata e stanca. “Siediti pure tu e aspettiamola tutti insieme, questa telefonata.”
Beige era appena uscito da dietro un gruppo di casse e si trovava in un punto pericolosamente scoperto tra l'entrata e Rosa quando Azzurro fallì a trovare qualcos'altro di sensato da dire e lasciò che Fucsia si voltasse, scoprendo tutto.
“Prendi Rosa!” Urlò a quel punto.
Beige e Fucsia si misero a correre contemporaneamete, ma mentre Beige andava verso la ragazza legata, la donna si gettò di lato, afferrando il capo della corda che teneva in tensione il secchio di bianchetto sul soffitto. “Fate un altro passo e le faccio la doccia,” li minacciò entrambi, guardando prima l'uno e poi l'altro.
Azzurro e Beige osservarono il secchio a qualche metro dalle loro teste che ondeggiava pericolosamente. Una goccia si staccò dal bordo e atterrò ad un pelo dal piede di Beige che si sentì rabbrividire.
“Non oseresti,” mormorò incerto Azzurro.
“Vogliamo scommettere?” Chiese Fucsia. “Una volta eliminata Rosa, qualcuno dovrà pur prendere il suo posto e nessuno potrebbe farlo, tranne me. Anche tuo nonno lo sa. Vi sto offrendo un'alternativa pacifica, non costringetemi a forzare la mano del vecchio.”
In tutto questo, Rosa non aveva smesso di tremare un secondo e ora guardava Beige con occhi languidi e terrorizzati, come se lui possedesse tutte le risposte del mondo e soprattutto la capacità di tirarla fuori da quella situazione, cosa di cui Beige dubitava molto.
Perfino Azzurro gli lanciò un'occhiata come a chiedergli che cosa dovessero fare e lui cominciò ad avere nostalgia dei bei tempi andati in cui nessuno si aspettava niente da lui.
“Non potremmo semplicemente discuterne?” Chiese debolmente. “Metterci ad un tavolo e... e parlare?”
“Parlare?” Sbraitò Fucsia, più basita che arrabbiata. “Ragazzino ma da dove vieni? Se fosse bastato parlarne, ora non saremmo qui!”
Rosa fissò Beige e mugugnò qualcosa di incomprensibile che lui pensò di aver intuito e riferì a modo suo. “Rosa non vuole il suo posto, sono sicuro che il signor Marrone sarebbe molto più ben disposto a trovare un accordo se ne discutessimo senza che sua nipote rischi una fine tragica che la cancellerebbe per sempre e senza perdono dalla faccia della Terra.”
Rosa e Azzurro mugolarono pietosamente.
“Quell'uomo non capisce nient'altro che le minacce. Un bel giorno di qualche anno fa mi ha fatto recapitare una lettera di benservito, con un'ordinanza di restrizione e mi ha spedito fuori dalla città a calci nel sedere! Io non voglio dire una parola, voglio che sia lui a parlare e quando vedrò le sue labbra muoversi sarà per dirmi che sono di nuovo un colore!”
“Signora Fucsia,” sospirò disperato Beige, occhieggiando nella sua direzione. “E' proprio sicura di volerlo fare? Lei non mi sembra una persona cattiva.”
“Certo che non sono una persona cattiva,” Fucsia si guardò intorno in cerca di un immaginario pubblico che la sostenesse contro le ovvietà del ragazzino. “Ma poi si può sapere chi sei tu? E che razza di colore sei? Un giallo sporco?”
Il colpo della borsa di Nero che atterrava sulla sua testa fu l'unica risposta che Fucsia sentì, prima di arretrare, in stato confusionale. Nel farlo, lasciò andare la corda che cominciò a srotolarsi ad una velocità spaventosa.
“Il bianchetto!” Gridò Azzurro, indicando il secchio che s'inclinava.
Bianco e Nero si attaccarono immediatamente a quel che ancora restava della corda e stabilizzarono il secchio prima che si vuotasse, ma non poterono far niente per la cascata di liquido corposo come vernice che ne era già uscita. Beige si gettò di peso sulla sedia di Rosa, che si mise ad urlare mentre entrambi cadevano. La vernice si schiantò a terra con un suono umido, schizzando ovunque gocce corrosive. Beige spinse la sedia, tentando di ignorare le piccole punture brucianti sulle gambe, e la allontanò il più possibile dal liquido che si stava allargando sul pavimento.
“Azzurro aiutami a slegarla!” Ordinò, mentre la ragazza si agitava e sgranava gli occhi in direzione del bianchetto che guadagnava terreno.
Azzurro aggirò il lago bianco che si era appena formato e corse a dare una mano. Quando Rosa fu libera, la tirò su di peso e si allontanò, lasciando che le due metà liquide del bianchetto si chiudessero su se stesse.
Beige ansimava, appoggiato alle casse, poco lontano. Gli altri lo raggiunsero, trascinandosi dietro Fucsia che cominciava a riprendersi ma era ormai innocua, perché Nero si era premurato di legarla ben stretta con un paio di manette che portava appese alla borsa.
“Ce l'abbiamo fatta,” mormorò Beige, con un sorriso stanco, mentre si lasciava scivolare a terra. Infilò il dito in uno dei buchi aperti dal bianchetto e lo fece uscire da quello accanto. “Erano quelli buoni, e ora chi la sente mia madre?”
“Sei stato davvero un grande, Beige,” Azzurro gli strinse forte la mano e gli batté contro una spalla, sbilanciandolo un po'. Rosa si liberò dalla sua stretta per correre da Beige e avvolgerlo in un abbraccio tenero e riconoscente.
“Grazie. Senza di te, adesso non sarei qui.”
Beige si strinse nelle spalle. “Nah, non ho fatto niente,” nicchiò, arrossendo. “E poi non ero mica solo! Non ce l'avrei fatta senza tutti gli altri.”
“A proposito, di questa che ne facciamo?” Chiese Azzurro, indicando con un cenno della testa Fucsia che apriva e chiudeva gli occhi, nel tentativo di combattere un'emicrania fulminante.
“La portiamo con noi,” decretò Beige, sollevandosi con l'aiuto di Bianco e Rosa. “A proposito Nero, si può sapere che cos'hai in quella borsa? L'hai quasi stesa!”
Nero sorrise con vera soddisfazione per la prima volta in almeno sei mesi e tirò fuori una pietra enorme, grande almeno la metà della sua testa. “Con questa!” Rispose, felice. “La tengo in borsa per ogni evenienza. Se la mia sofferenza arrivasse a livelli tali da ispirarmi un suicidio nel fiume, sarebbe inadeguato farlo senza avere una pietra. Io vivo la mia vita e inseguo la mia morte secondo precisi canoni estetici.”
Quando Nero si abbassò a riaprire gli occhi dal suo sentito comizio, gli altri – Fucsia compresa – se n'erano già andati da un pezzo.

*


Marrone stringeva la costosa stilografica d'oro come fosse stato un coltello da macellaio e sembrava più propenso ad ucciderci qualcuno che non a firmare il contratto che aveva davanti. La testa china sul foglio e la mascella serrata, non voleva sollevare lo sguardo su nessuno dei presenti che si erano radunati intorno al tavolo e che aspettavano che lui mettesse finalmente la parola fine a quella brutta vicenda.
Beige, con l'aiuto degli altri e soprattutto di Rosa, era riuscito a far sedere lui e Fucsia allo stesso tavolo, dove, al seguito di un'ora e mezzo di turpiloquio, erano riusciti a discutere più o meno civilmente.
“Nonno, vogliamo sbrigarci?” lo incalzò Azzurro, vestito di tutto punto per scendere in campo. “La partita inizia fra dieci minuti.”
Marrone lo sentì sbuffare, sentì il ticchettio amplificato delle unghie di Fucsia sul tavolo, del piede di Rosa sul pavimento e il vago sentore di musica che proveniva dalle cuffie nelle orecchie di Nero. Li percepiva su di sé come avvoltoi in attesa del suo cadavere e alla fine cedette.
Appose la sua firma in calce ad un documento di quattro pagine che restituiva a Fucsia il suo splendore e a Rosa una libertà che aveva minacciato di toglierle senza consenso. Il sorriso collettivo lo investì prima ancora che sollevasse gli occhi e, con un sospiro, ammettesse la propria sconfitta e il fatto che forse aveva leggermente torto.
Rosa, del resto, era stata piuttosto chiara, al riguardo, quando gli aveva detto che non aveva alcuna intenzione di prendere il posto di Fucsia né ora né mai e aveva anzi sollecitato la candidatura della donna, un po' per aiutarla e un po' perché la sola idea di sedere a vita su una poltrona di pelle con mansioni di responsabilità non l'allettava proprio per neinte, non quando con un corpo come il suo poteva fare la modella e guadagnare miliardi in un tempo relativamente ristretto. Non avrebbe dovuto nemmeno imparare tutte quelle cose noiose come storia, geografia o matematica!
In quanto a Beige aveva preso a ronzarle intorno senza la paura che Azzurro lo malmenasse ma, contrariamente alle centinaia di film di sfigati che aveva visto per sentirsi meno solo, Rosa gli era molto riconoscente, ma non così tanto da tramutare la sua tiepida pietà in qualcos'altro.
Lui, comunque, non se l'era presa più di tanto, sulla lunga distanza era meglio aver acquistato la fiducia e il rispetto di tutta la scuola, piuttosto che l'amore probabilmente molto volubile di Rosa.
Se non altro adesso era sicuro che avrebbe preso il diploma. Solo, magari, ma vivo.

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